Esattamente come per i parallelismi tra calcio e basket, sviluppati arditamente e sapientemente da Francesco Buffoli (cercateli cliccando qui nella sezione “Il gioco delle somiglianze”), così va letto questo affascinante parallelo tra calcio e Formula Uno, basato un po’ sulle qualità e il rendimento assoluto e un po’ sulle caratteristiche degli atleti. D’altra parte, si tratta di due discipline tra le più seguite in Italia e nel mondo, capaci di catturare l’interesse di milioni di appassionati, spesso in simultanea. Abbiamo provato così a mettere in piedi questo curioso giochino, che accomuna grandi nomi della Formula Uno e grandi nomi del calcio. Il dibattito è aperto.
Juan Manuel Fangio – Alfredo Di Stéfano
Entrambi argentini, entrambi di origine italiana, entrambi i dominatori degli anni ’50, entrambi ammantati da una leggenda che affonda nel bianco&nero della TV e nei racconti di quei pochi fortunati che possono ancora raccontare di averli visti all’opera. Due Miti con la M maiuscola. Fangio, pilota completissimo e impeccabile in ogni fondamentale, è stato capace di vincere cinque Mondiali, di cui quattro consecutivi, con quattro scuderie diverse e detiene ancora oggi la più alta percentuale di pole position della storia. Un fenomeno arrivato tardi in Formula Uno (a 39 anni) – ma all’epoca non era così una rarità – e dopo aver corso e vinto in tante categorie diverse. Di Stéfano, invece, un Mondiale non lo ha mai vinto, anzi: non lo ha nemmeno disputato, anche se non per colpa sua. Eppure è circondato da un alone di straordinarietà molto simile, ha avuto una carriera incredibilmente longeva e incredibilmente vincente, ha costruito l’epopea del Real Madrid. Ed esattamente come Fangio ha il merito di aver creato il mito del Campionato del mondo di Formula Uno, così don Alfredo ha gettato le basi della Coppa Campioni, che se oggi è diventata la competizione più ricca e ambiziosa lo deve in gran parte (anche) a lui.
Jim Clark – Garrincha
Due geni maledetti, capaci al loro prime di regalare magie e di essere difficilmente fermabili. Entrambi due volte campioni mondiali (Clark vinse il Campionato nel 1962 e nel 1965 ed è stato l’unico per altro a conquistare il Mondiale e la 500 Miglia di Indianapolis nello stesso anno, Garrincha fu bicampeón con la Seleçao brasiliana nel 1958 e nel 1962), hanno sposato in un modo unico poesia, arte, sregolatezza e una vita oltre il limite. Tanto che nessuno dei due ha avuto una carriera così longeva ed entrambi sono andati incontro, anche se in maniera differente, a una brusca e inaspettata fine: Clark morì in un incidente in pista, in una competizione minore (erano tempi quelli in cui i piloti non correvano solo in Formula Uno) nel 1968, Mané finì i suoi giorni extracalcistici in miseria e tragedia, divorato dall’alcol e dai vizi, morendo a 50 anni, solo e dimenticato.
Jackie Stewart – Bobby Charlton
Sir e Sir. E non importa che uno sia scozzese e l’altro inglese. Perché entrambi, contemporanei anche in questo caso come Fangio-Di Stéfano e Clark-Garrincha, hanno unito i risultati e la completezza di repertorio a un aplomb british che li ha resi figure rilevanti e intelligenti dentro e fuori il paddock e il campo da gioco. Stewart vinse tre Mondiali tra il 1969 e il 1973, anni in cui anche Charlton – che campione del mondo con la sua Inghilterra lo fu nel 1966 – era ancora al top internazionale dopo aver rischiato la vita nella tragedia aerea di Monaco ’58. Stewart in pista non ha mai avuto incidenti gravi, ma ha rischiato di morire spesso anche lui, in una Formula Uno distante anni luce, in termini di sicurezza, da quella attuale. Il baronetto scozzese è stato uno dei primi a battersi con la federazione per garantire ai piloti maggiore tutela e protezione, probabilmente scottato dalla perdita dell’amico e compagno di squadra François Cévert, morto durante le qualifiche del Gran Premio degli Stati Uniti nel 1973. E come Stewart, al termine della sua carriera sportiva, è stato manager e uomo d’affari, così Charlton, una volta appese le scarpette al chiodo, ha avviato una proficua carriera dirigenziale. Della serie: eleganza e signorilità non solo nello sport.
Niki Lauda – Johan Cruijff
Carisma tracimante, talento debordante e la capacità unica di cambiare per sempre il proprio sport. Questo, oltre all’epoca (anche qui due contemporanei, nel cuore degli anni ’70) accomuna l’austriaco Niki Lauda e il Papero olandese Johan Cruijff. Si dice che Lauda, testa da computer, anticipatore di Prost e in parte oggi di Verstappen, stratega incredibile, tre volte campione mondiale, abbia dato un impulso decisivo per proiettare le monoposto nell’era moderna, tra maggiore sicurezza e i primi vagiti dell’elettronica e di un approccio quanto meno molto più organizzato, se non già tecnologico. Freddo e spietato, capace di rientrare a tempo di record (42 giorni) dopo il famigerato incidente al Nürburgring del 1° agosto 1976 che poteva costargli la vita, Lauda è ancora oggi un’icona indimenticabile. E Cruijff – per lui nessun Mondiale, ma tre Coppe Campioni di fila e un mare di altri trofei individuali e di squadra – nel calcio non è stato da meno: per molti lui, il suo Ajax e la sua Olanda sono stati lo spartiacque tra un gioco più antico e uno più moderno, per quanto nello sport sia praticamente impossibile individuare cesure nette. Ma di sicuro da Cruijff in poi il calcio non è più stato lo stesso. E di sicuro gli effetti della rivoluzione da lui propugnata sono molto radicati e visibili ancora oggi in tutto il mondo.
James Hunt – George Best
La leggenda vuole che George Best, il genio di Belfast dalla carriera breve ma accecante come un fulmine, trovandosi di fronte il grande Cruijff in una partita degli anni ’70 tra l’Olanda e la sua Irlanda del Nord, gli abbia fatto un tunnel e poi gli abbia detto: «Tu sei il migliore, ma solo perché io non ho tempo». Non vi sono prove che questo sia davvero successo. Anzi: è più probabile che l’episodio sia stato inventato per alimentare il mito del Quinto Beatle. Eppure, in questo caso, è più che mai significativo, perché il corrispettivo di Best nella Formula Uno, ovvero l’inglese James Hunt (come lui dotato di un talento cristallino; come lui capace di ballare poche estati, seppur a un livello straordinario; come lui icona pop; come lui testa matta e con una condotta extra sportiva tutt’altro che irreprensibile) il tunnel a Lauda-Cruijff… lo ha fatto davvero. Correva la stagione 1976, quella dell’incidente al Nürburgring, una delle annate più note nella storia della Formula Uno: Hunt e Lauda diedero il là a un duello infuocato, che è anche diventato la trama di un film di grande successo, Rush). Il vantaggio di Lauda a inizio stagione sembrava decisivo, ma Hunt, anche sfruttando l’incidente del rivale, a un certo punto cambiò marcia e quando Lauda rientrò alle gare tutto era in gioco. L’ultimo gran premio fu determinante: si correva in Giappone, cadde una forte pioggia, Lauda si ritirò poiché riteneva troppo pericoloso gareggiare e Hunt con il terzo posto finale si prese il titolo.
Nelson Piquet – Zinédine Zidane
Il brasiliano Piquet, tre volte campione mondiale negli anni ’80 nonostante la feroce rivalità Senna-Prost, si ritagliò uno spazio importante come Zidane, che si fece largo nell’epoca di Ronaldo il Fenomeno a suon di prestazioni straordinarie nei grandi momenti che lo hanno portato nel gotha del calcio. Piquet aveva uno stile equilibrato: freddo e ragionatore, ma non spietato calcolatore alla Lauda o alla Prost, aggressivo il giusto senza gli eccessi di un Mansell. Così Zizou dominava la scena in mezzo al campo con il suo gioco suadente e danzato, dando grande equilibrio alle sue squadre: sapeva contrastare il giusto pur non essendo un mediano, era un abile regista ma senza essere la sua specialità, segnava poco ma le sue erano sempre reti pesanti, decisive. E come Piquet seppe conquistare il suo terzo Mondiale forse un po’ a sorpresa a 35 anni, così Zidane nel 2006 a 34 anni fu ancora il miglior giocatore della Coppa del mondo tedesca, salvo poi perdersi in finale contro l’Italia per una testata di troppo. Fuori dal campo appaiono entrambi abbastanza riservati, schietti, con un carattere a volte un po’ spigoloso: della serie, vivi e lascia vivere.
Alain Prost – Michel Platini
L’epoca in cui dominano è la stessa, gli anni ’80. La nazionalità, pure. E di simile hanno anche quel modo di fare un po’ naif, forse tipico francese, che li fece risultare molto nelle grazie del sistema calcistico e non sempre simpatici ai più. E ancora: come Prost è uno che rischiava poco, cercando di massimizzare tutti i punti – non a caso si guadagnò il soprannome di Professore – così Platini non spese una goccia di sudore in più di quanto fosse strettamente necessario. Un caso che entrambi si siano ritirati ancora all’apice, non appena percepiti i primi sentori del declino (Alain dopo aver vinto il quarto Mondiale nel 1993; Michel a 32 anni, una sola stagione dopo aver vinto il secondo tricolore della sua esperienza juventina)? Le analogie sono tante. Poi, certo, nei rispettivi sport la forma con cui sono arrivati a conquistare straordinari risultati – entrambi autori di carriere molto vincenti e redditizie – fu diversa: Prost allo spettacolo concedeva poco, Platini invece era un inno al bel gioco, alla poesia e all’arte.
Ayrton Senna – Diego Armando Maradona
Il talento sovrumano. L’iconicità di cui ancora oggi godono, in ogni parte del globo, e non solamente tra gli appassionati di Formula Uno e di calcio. Il carisma unico, senza epigoni. E poi ancora, volendo, la rivalità con un francese dall’atteggiamento a volte un tantino supponente (Prost in un caso, Platini nell’altro). Senna e Maradona hanno molto in comune. Forse anche quell’aria da “soli contro tutti”, “soli contro il mondo”, quel modo che avevano di ribellarsi al sistema, di portare avanti battaglie che andavano oltre lo sport. Senna e Maradona sono stati capaci di regalare magie indimenticabili, che ogni appassionato continua a rivedere e vivere in loop anche a distanza di anni. Hanno vinto tanto e avuto carriere abbastanza longeve e continue, ma probabilmente un po’ meno di quanto il loro sconfinato talento avrebbe potuto suggerire. In realtà, Senna e Maradona sono stati la dimostrazione che la vittoria e la continuità non sono mai tutto: conta il genio, conta quello che sai fare dentro un abitacolo o con un pallone ai piedi, contano le emozioni che sai regalare alla gente che là fuori guarda e di te è perdutamente innamorata, e lo sarà per sempre. Sono stati in qualche modo simili anche nella brusca fine: due morti scioccanti, anche se chiaramente quella di Senna ancora di più. Due morti che hanno alimentato ulteriormente il loro mito. Fino a quando un’auto romberà a tutta velocità all’interno di un autodromo o fino a quando un pallone rotolerà su un terreno di gioco, i nomi di Ayrton e di Diego non saranno mai dimenticati.
Michael Schumacher – Pelé
Se Senna e Maradona sono stati il massimo dei geni maledetti, Schumacher e Pelé sono stati, molto semplicemente, la Formula Uno in un caso e il Calcio nell’altro. I due emblemi sommi delle rispettive discipline, uno status raggiunto grazie a basi solidissime: la completezza, la capacità di adattamento a contesti diversi, la perfezione stilistica, le cifre da record, la dominanza al loro prime, il peso delle loro vittorie in cui spesso davano l’idea di non lasciare manco le briciole agli avversari. I sette Mondiali e gli svariati record del pilota tedesco hanno segnato uno spartiacque nella storia della Formula Uno, come nel calcio Pelé, l’unico calciatore che ha vinto tre Coppe del mondo (anche se di fatto furono due e un pezzo), è stato un simbolo universale capace di spingersi oltre i confini del gioco e di segnare, seppur in modo diverso da Cruijff, un pre-Pelé e un post-Pelé. Due nomi eterni, quelli di Schumacher e Pelé, anche nel loro caso conosciuti ovunque e da chiunque, e non solo dagli appassionati.
Fernando Alonso – Franz Beckenbauer
Due personalità imponenti, a volte persino troppo. Due caratteri non sempre facili da gestire, perché o si faceva come volevano loro, oppure… quella era la porta. Due sportivi completi. Spettacolari sì, ma anche estremamente concreti. Anzi: soprattutto concreti. Alonso interruppe il dominio di Schumacher e della rossa Ferrari, Kaiser Franz ha fermato la rivoluzione arancione di Cruijff. Alonso ha spesso saputo spingere le sue auto oltre i limiti, vincendo d’astuzia, di strategia, d’intelligenza, andando vicino due volte (nel 2010 e nel 2012) a ribaltare favori e pronostici che pendevano su altre sponde. E portando dunque anche in Formula Uno la massima coniata proprio da Beckenbauer: «Non vince chi è più forte, ma chi vince è il più forte». Così Beckenbauer ha vinto spesso agendo di rimessa – d’altronde era un difensore – capovolgendo il fronte del gioco con lanci che erano capaci di azionare il fronte d’attacco e cogliendo di sorpresa la linee nemiche.
Lewis Hamilton – Lionel Messi
Fuori dal campo sono diversi: Hamilton si è spesso speso in battaglie sociali e conduce una vita mondana. Messi si è sposato con la ragazza della porta accanto, ha un’esistenza morigerata e si dedica quasi esclusivamente al calcio. Tutto vero però… fino a un certo punto: perché entrambi, approfittando del loro status e delle loro ricchezze, non hanno mai lesinato proficue campagne di beneficenza. E perché entrambi, da buoni atleti del XXI secolo che per rimanere al top devono essere veri professionisti, seguono regimi molto ferrei: Lewis è vegetariano per ragioni etiche, Leo lo è stato in tante fasi della sua carriera per questioni di salute. Anche qui sta il segreto della loro straordinaria longevità: entrambi a quasi 40 anni non sono più probabilmente i migliori al mondo, ma sono ancora estremamente competitivi. Cosa li accomuna invece in pista e sul campo? Beh, oltre alla continuità di cui abbiamo detto, il fatto di essere i due atleti più vincenti nella storia dei due sport; di possedere doti uniche, da predestinati, con un talento puro che si intravedeva già da subito; di essere i veri eredi, in termini di creatività e di arte, di Senna e Maradona. Non a caso, Senna è l’idolo di Lewis e Maradona il modello di Leo (qui gioca anche il discorso della nazionalità). Sia Hamilton sia Messi hanno attraversato momenti non semplici, soverchiati spesso dal peso delle aspettative, da critiche feroci e ingiuste. Sia Hamilton sia Messi hanno però saputo risollevarsi, grazie a quel fantastico mix di professionalità e qualità cui facevo riferimento prima, tagliando traguardi come mai nessuno era riuscito a fare nella storia delle due discipline.
Sebastian Vettel – Zico
Ancora sull’asse Germania-Brasile, per un altro parallelismo affascinante. Sebastian Vettel, quattro volte campione del mondo, carattere latino più che tedesco, stile sobrio ed elegante, un signore anche fuori dal paddock. Quando le condizioni erano favorevoli – o comunque non sfavorevoli – sapeva imporre un ritmo e vincere come pochissimi altri. I problemi nascevano quando qualcosa, nell’ingranaggio, andava storto. Zico, il mago brasiliano che avrebbe dovuto rinverdire il mito di Pelé, era simile: ha vinto titoli in patria e soprattutto Libertadores e Intercontinentale con il Flamengo in capo a una prestazione tracimante nella finale contro il Liverpool, ma quando qualcosa si metteva di traverso non riusciva a invertire il corso della storia. Entrambi sono stati due talenti cristallini, capaci di conquistare la platea subito e già in tenera età, aggraziati e belli da ammirare, eppure forse un po’ privi di quel killer instinct che avrebbe consentito loro di salire nell’attico.
Max Verstappen – mix tra Ronaldo e CR7
Chi è Max Verstappen nel calcio? Ricorda in alcune cose Cristiano Ronaldo, in termini di costanza di rendimento, di fame, di organizzazione spesso quasi scientifica e maniacale. Ma ricorda un po’ anche Ronaldo il Fenomeno, sul piano delle doti da predestinato e di quella velocità – che sia palla al piede o su una monoposto – che sembra arrivare dal futuro. Un mix tra i due Ronaldi è quanto di maggiormente simile ci sia oggi, probabilmente, a Max Verstappen, un pilota potenzialmente davvero clamoroso: sembra un po’ uno Schumacher nel passo gara ma senza gli eccessi caratteriali del tedesco; un Prost nella guida quotidiana e nella gestione dei punti e dei momenti, però con punte di velocità alla Senna. Non resta che aspettare di vedere come evolverà la sua carriera nei prossimi anni per trarre un giudizio definitivo, in attesa che anche nel calcio possa emergere un adeguato corrispettivo di Verstappen, dato che oggi – molto semplicemente – nella generazione post-Messi e post-Cristiano Ronaldo, non c’è.
Nota a margine
Tazio Nuvolari – Giuseppe Meazza
Emerge dalle immagini in bianco&nero degli anni ’30 un nuovo intrigante parallelismo d’azzurro vestito… Quello tra il Mantovano Volante – capace di dominare la scena automobilistica e motoristica dell’epoca, raccogliendo consensi e applausi in tutta Europa, grazie a vittorie roboanti e uno stile di guida coraggioso e impeccabile – e il Balilla, due volte campione mondiale con l’Italia, emblema di un Paese che si spinse e rimase sulla cima della montagna pallonara per un decennio. Ancora oggi, le due massime leggende mai prodotte dal nostro automobilismo e dal nostro calcio.
Con i consigli e la supervisione di FRANCESCO BUFFOLI, esperto di Formula Uno