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L’ultimo gol di Pelé. Il calcio perde il suo Re

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Ero poco più di un bambino la prima volta che mi ritrovai tra le mani un poster di Pelé. La Gazzetta dello Sport aveva pianificato un sondaggio – non ricordo se i votanti erano i lettori o una giura di esperti – per stabilire il più grande di tutti i tempi in diversi sport. Nel calcio vinse Pelé.

Era strano per me, che ho iniziato a seguire il calcio negli anni ’90 ed ero ammorbato dal mito di Maradona (come molti di quelli che hanno cominciato a masticare fútbol nell’Italia di quel periodo) vedere un foglio rosa, un po’ sbiadito, con la gigantografia di un nero e al suo fianco una lunga e proficua biografia.

Non conoscevo Pelé e iniziai quel giorno ad avere una infarinatura generale su chi fosse.
Quando intorno ai 18-20 anni mi sono avvicinato più profondamente alla storia del calcio, il primo nome di cui mi sono invaghito è stato quello di Alfredo Di Stéfano, considerato “il terzo grande del ‘900”.

Da un lato i racconti entusiastici di mio padre, tifoso della Fiorentina, estimatore della Grande Inter e ammaliato in giovane età dall’Invincibile Real Madrid, dove don Alfredo era il perno fisso e il leader assoluto. Dall’altro le prime letture: Gianni Brera e Adalberto Bortolotti, entrambi sostenitori del primato di Di Stéfano su qualunque altro giocatore che avesse mai messo piede sul pianeta Terra.

Maradona da adolescente. Di Stéfano da giovane uomo.
A Pelé sono arrivato tardi. Quando ho cominciato a visionarlo una decina di anni fa e a studiarlo maggiormente nel dettaglio. Letture e testimonianze. Un numero imprecisato di video, ove possibile di partite intere. Materiale che ho trovato in gran parte su internet, ma oggi non più e non solo: anche attraverso contatti personali, sviluppati in Sudamerica, che mi hanno portato ad avere una conoscenza vasta di O Rei.

Oggi è possibile vedere Pelé probabilmente più di un suo contemporaneo che viveva in Europa.
Potere delle moderne tecnologie, che da fine anni ’50-primi anni ’60 consentono di visionare centinaia di partite e formarsi un giudizio su calciatori di certi periodi passati in modo abbastanza completo e forse maggiormente equilibrato di chi li ha vissuti. Perché chi vive un momento è figlio delle emozioni del presente. Mentre chi osserva una partita a distanza di anni ha un distacco razionale, metodico, un approccio più da studioso.

La continua ricerca e analisi della storia del calcio – la mia grande passione, quella che con l’amico Jo Araf mi ha spinto a creare questo sito – mi porta sempre più a rendermi conto dell’assurdità delle classifiche, dell’impossibilità di paragonare calciatori di epoche differenti. Impossibile per i contesti, prima ancora che per i passaggi generazionali.

Ma con Pelé ho sempre avuto la sensazione di un giocatore capace di elevarsi di un filo su tutti. E a mio avviso il solo Messi, ora che ha vinto tutto e un Mondiale in maniera sontuosa e anche per certi versi impronosticabile, può tenere il passo.

Benfica-Santos 2-5, finale Intercontinentale 1962 – Secondo Peter Lorenzo, capo dello sport della BBC, quella di Pelé è stata la più straordinaria prestazione individuale di un calciatore nella storia

E chi pensa che Pelé fosse solo numeri, statistiche o gol, sbaglia di grosso. Pelé era tutto. Era arte, poesia, fantasia, gioia, genio, emozione. Sbaglia chi ritiene che avesse un tocco meno vellutato o abbia emozionato meno di Maradona o Messi. La sensibilità del piede era la medesima: rotonda, raffinata, sinuosa. Ma Pelé, più come Messi da questo punto di vista, sposava la creatività a una estrema concretezza e le qualità tecniche a una continuità prestazionale straordinaria, nonché a una capacità di dominio merckxiana, da cannibale, nel suo periodo migliore (tra il 1958 e il 1965, della serie: gli altri gareggino per il secondo posto). E fu proprio questa la sua “rivoluzione”, il suo timbro nel calcio brasiliano, prima di lui particolarmente dispersivo e incapace di coniugare l’estetica all’essenza.

Nessuno è stato precoce come lui, l’unico calciatore che dal provino con il Santos a 14 anni (in cui umiliò il nazionale brasiliano Formiga) al debutto in prima squadra fece passare un anno e mezzo, di fatto senza trafile nel settore giovanile.

A 16 anni era già il più forte calciatore del Brasile. A 17 lo era del mondo. Nessun altro minorenne nella storia è riuscito a fare ciò che ha fatto Pelé in Svezia, in termini calcistici (6 gol nelle ultime 3 partite, migliore in campo sia in semifinale sia in finale) e in termini sociali: lui, leader tecnico di una nazionale formidabile, e i suoi compagni riscattarono l’onta del Maracanaço di 8 anni prima, portando sulla scena globale lo stile dei neri e dei mulatti. Che non dovevano più incipriarsi per giocare come Friedenreich. O lottare per i propri diritti come Fausto dos Santos. O rimanere esigua minoranza come Leônidas e Domingos da Guia.

Era la consacrazione del futebol bailado, il calcio armonico, danzato, irridente, sinuoso e sensuale, specchio del samba e della bossa nova, il calcio nato dai dribbling e dai movimenti di bacino degli schiavi di colore per sfuggire alle angherie dei padroni bianchi. Fu l’inizio dell’età dell’oro. Pelé, aiutato da compagni straordinari come Garrincha, Didi, Zito, Gilmar, Nilton Santos, Bellini prima e Tostão, Rivelino, Carlos Alberto, Gérson, Jairzinho e Piazza poi (perché nel calcio nessuno vince da solo) cambiò la storia del Brasile, che si trasformò da eterna perdente e bella incompiuta a Paese guida del calcio, una nomea che lo accompagna ancora oggi: a ogni competizione delle nazionali, a ogni Mondiale, il Brasile è sempre la squadra più attesa. E anche quando non è favorita, riveste sempre un’attenzione e un fascino unici da parte di appassionati e addetti ai lavori. Questa considerazione e questa sensazione che ancora oggi abbiamo del Brasile sono nate grazie alla generazione-Pelé.

L’epoca di Pelé segnò una nuova epoca per il mondo. L’epoca della decolonizzazione, delle rivendicazioni delle minoranze, delle rivolte sociali, del consumismo su larga scala, dell’avvento della pubblicità, dello sbarco sulla Luna. Pelé fu uno dei simboli e i neri divennero gli emblemi del gioco e dello sport: la rivalità tra lui ed Eusébio nel calcio si accompagnò alla fama planetaria raggiunta da Pelé grazie ai viaggi intercontinentali del suo Santos, pari solo a quella di Muhammad Alì, altro atleta di colore.

Pelé e Muhammad Ali

Pelé e Ali. Diversissimi. Ali saliva sulle barricate per urlare al mondo le condizioni di inferiorità della propria gente, perché i neri meritavano gli stessi diritti e gli stessi trattamenti dei bianchi. Pelé pensava a giocare a pallone e basta. Non si schierò mai contro la dittatura militare brasiliana e lasciava parlare solo la propria immagine di ragazzo di colore che era riuscito a scalare la montagna del potere e arrivare in cima.

In questo senso fu comunque un esempio per gli africani e i neri in generale, che non a caso erano sempre i più contenti ed entusiasti quando potevano ammirarlo e toccarlo da vicino. Lo ha ricordato anche Barack Obama, che ha definito Pelé «un suo idolo di gioventù e un modello per la gente di colore».

Accorto politicamente e non schierato, sì. Poco generoso, no. Pelé, come Maradona d’altro canto, si è sempre speso in prima linea per i bambini poveri. E la sua Fondazione oggi è diventata un colosso che elargisce regolarmente denaro e aiuto agli ultimi.

Secondo nome più conosciuto al mondo negli anni ’60 dopo la Coca Cola, ministro dello sport, uomo immagine dell’ONU, della FAO, dell’UNICEF, Pelé ha visitato una novantina di nazioni ed è stato ricevuto da 70 capi di Stato e tre papi. Nessun altro calciatore può pareggiare una simile notorietà.

E nessun altro rappresenta meglio di lui il gioco. Bortolotti, che pure – come ho scritto – da un punto di vista calcistico gli preferiva Di Stéfano, ha sottolineato che comunque «Pelé è stato il più grande perché è stato il simbolo universale del calcio, la sua essenza, la sua malìa».

Sembra quasi superfluo dire cosa sia stato Pelé sul campo. Se bastasse una parola, forse sarebbe “la perfezione”. È stato la creatività sudamericana, la razionalità europea, l’armonia africana. Un riuscito mix tra le doti tecniche di Messi, quelle atletiche di Cristiano Ronaldo, l’esplosività di Mbappé. Dai 19 ai 25 anni era come avere il Ronaldo brasiliano nella sua versione maggiormente brillante, con in più il colpo di testa, una visione di gioco superiore, maggior classe e completezza.

Unico calciatore a risultare il migliore in campo in due finali mondiali (e non credete al falso mito “eh ma non mai giocato in Europa”, per approfondire il tema leggi qui), ha segnato 29 gol in 25 finali disputate in carriera. E nessuno, né sul piano delle cifre né dell’analisi prestazionale, si avvicina nemmeno lontanamente a simili performances.

Non sono dunque i 1.300 e passa gol (di cui ufficiali “solo” 757) o i 3 Mondiali vinti (due e un terzino, per la precisione) a fare di Pelé un fuoriclasse unico. Ma è il fatto che nei momenti più importanti, quando un campione deve marcare maggiormente la differenza, lui non abbia praticamente mai sbagliato (per approfondire leggi qui).

Per me, dunque, il più decisivo. Il più completo come atleta in sé (giocò anche 4 volte in porta senza subire reti), anche se Di Stéfano era più completo in termini di posizioni e zone occupate in campo. Il più forte dentro il campo. Il più grande in termini di iconicità fuori, da questo punto di vista alla pari con Diego.

Pelé portiere: 4 volte tra i pali e zero gol subiti…

Qualsiasi fuoriclasse arrivato dopo di lui ha dovuto confrontarsi con lui. E così continuerà ad essere per chi verrà domani. Pelé è sempre stato e sempre sarà un metro di paragone obbligato per tutti. E anche chi considera – legittimamente – migliore Maradona, Messi, Cristiano Ronaldo, Di Stéfano, Cruijff o altri, sa che Pelé è comunque un punto di riferimento obbligato per qualunque calciatore.

Quando emersero Cruijff e Zico furono ribattezzati “Pelé bianco”. Quando Maradona iniziò a incantare il mondo da minorenne iniziarono a sprecarsi i parallelismi con Pelé e la diarchia ci accompagna da allora. Quando Ronaldo il Fenomeno emerse, tutti a chiedersi «sarà il nuovo Pelé?». Con Messi e Cristiano Ronaldo il parallelismo è attuale e costante, fosse anche solo per il numero di gol. E Mbappé? Vinse il Mondiale a 19 anni in Russia e tutti a sottolineare il raffronto con Pelé, che lo conquistò in Svezia a 17 anni e rotti.
Pelé. Pelé. Pelé. Un nome che riecheggerà fino a quando il calcio avrà vita.

Accreditate correnti di pensiero di ogni parte del mondo – e tra di loro è impressionante il numero di argentini – pensa a Pelé come il numero uno.
Quando nel 1999 dieci riviste sportive internazionali di dieci nazioni diverse – Placar in Brasile, El Gráfico in Argentina, El Paìs in Uruguay, Voetbal in Olanda, Don Balon in Spagna, Guerin Sportivo in Italia, World Soccer in Inghilterra, Sport Bild in Germania, Onze Mondial in Francia, A Bola in Portogallo – stilarono le loro top ten dei calciatori del ‘900, vennero fuori – ovviamente – dieci classifiche diverse: ogni nazione rispecchia i gusti e le preferenze dei calciatori del proprio Paese, di chi si è visto di più sotto mano. Il solo punto in comune tra tutte e dieci le classifiche fu il primo posto di Pelé. Nessuno escluso. Persino El Gráfico, bibbia sportiva d’Argentina, mise O Rei davanti a tutti.

Forse non è caso che sia morto non molto tempo dopo Maradona. Evidentemente il dio del calcio aveva fretta di riunire tutti i grandi del ‘900, scomparsi nel giro di nemmeno 20 anni. Ha cominciato l’ungherese Ferenc Puskás, il 17 novembre 2006. Poi è toccato all’argentino Alfredo Di Stéfano, il 7 luglio 2014. All’olandese Johan Cruijff, il 24 marzo 2016. All’argentino Diego Armando Maradona, il 25 novembre 2020. E infine a Pelé, il 29 dicembre 2022.
Se n’è andato per ultimo perché nella vita e nella storia è stato il primo.

Pelé… veniva dal futuro

Le testimonianze

Ecco un blocco di testimonianze di addetti ai lavori su Pelé raccolte nel corso degli anni. Sono solo alcune delle miriadi ancora reperibili. Ma danno un'idea, più di tante parole, di cosa sia Pelé per il mondo del calcio.

MARCELLO LIPPI (allenatore italiano): Pelé faceva di tutto, non aveva imperfezioni.

NEVIO SCALA (allenatore italiano): Pelé è stato il giocatore che mi ha colpito di più. Sarà sempre il numero uno per me.

CESAR LUIS MENOTTI (allenatore argentino): il migliore di tutti è stato Pelé, che era una miscela di Di Stéfano, Maradona, Cruijff e Messi.

ALEX FERGUSON (allenatore inglese): il miglior giocatore che abbia mai visto? Pelé, Di Stefano, Maradona e Cruijff. In quest’ordine.

VUJADIN BOSKOV (allenatore jugoslavo): Pelé. Il più grande, inarrivabile. Non mi interessano le epoche diverse, il calcio che è cambiato, le tattiche. Pelé avrebbe giocato in qualsiasi periodo storico, e se fosse nato oggi sarebbe stato ancora il migliore perché, probabilmente, atleticamente più forte. Pelé sapeva fare tutto e lo faceva benissimo. Nonostante si stia parlando di un campione che ha iniziato a giocare alla fine degli anni Cinquanta, fisicamente era un piccolo superman. 1,75 per 72 kg, baricentro basso, cosce potentissime, uno stacco aereo impressionante, 11,2 secondi sui cento metri, una facilità di dribbling e di cambio di direzione incredibile, giocava indifferentemente col destro e col sinistro. Con lui il Brasile ha vinto 3 mondiali (’58, ’62, ’70), e il quarto in Inghilterra nel ’66 gli sfuggì solo perché pensarono bene di azzopparlo prima.

JOHAN CRUIJFF (attaccante olandese): Pelé è stato l’unico giocatore che ha superato i confini della logica.

MICHEL PLATINI (centrocampista francese): c’è il Pelé uomo e il Pelé calciatore. Vedere giocare il Pelé calciatore è come vedere giocare Dio.

ALFREDO DI STÉFANO (attaccante argentino): il miglior giocatore di sempre? Pelé. Messi e Cristiano Ronaldo sono entrambi grandi giocatori con qualità straordinarie, ma Pelé era meglio.

FRANZ BECKENBAUER (difensore tedesco): Pelé è il più grande giocatore di tutti i tempi. Tutti gli altri – Diego Maradona, Johan Cruyff, Michel Platini – sotto sotto di lui. Non c’è nessuno che si può confrontare con Pelé.

FERENC PUSKÁS (attaccante ungherese): il più grande giocatore della storia è stato Alfredo Di Stefano. Ma mi rifiuto di classificare Pelé come un calciatore. Lui era qualcos’altro.

EUSÉBIO (attaccante portoghese): Pelé ha giocato in un’epoca che aveva tanti grandi giocatori e in quel calcio lui si staccava una spanna sopra agli altri. È stato un giocatore completo in ogni suo aspetto.

BOBBY CHARLTON (centrocampista inglese): a volte mi sento come se il calcio sia stato inventato da questo magico calciatore.

GIANNI RIVERA (centrocampista italiano): c’era qualcuno che era ancora meglio di Messi e questo qualcuno è Pelé. Usava entrambi i piedi. Era pericoloso con il destro come con il sinistro. Era formidabile di testa e creava un sacco di occasioni per i compagni. È stato il più grande di tutti.

GIGI RIVA (attaccante italiano): ci sono stati i Cruijff, i Maradona, i Ronaldo e i Messi. Prima di tutti però c’è stato un certo Pelé, che affrontava praticamente gli avversari da solo. Se non ci fosse stato lui, non avremmo mai sentito parlare degli altri, perché tutto quello che hanno fatto l’hanno visto fare prima a Pelé. Qualsiasi tipo di giocata.

MARIO CORSO (centrocampista italiano): Pelé è stato il più grande giocatore di tutti i tempi. Inimitabile. Fortissimo di piede e di testa. Classe e fisico. Corsa e resistenza. Sostanza e fantasia. Che roba, ragazzi. A quei tempi capitava di incontrarlo in amichevole perché Inter e Santos erano il massimo e in tanti pagavano il biglietto per vederle. Lo incrociai anche con la Nazionale. Pelé aveva molta simpatia per me, avevamo un buon rapporto, era simpatico, sempre sorridente. Della mia epoca, il più grande calciatore con cui mi sia confrontato. E non credete a chi dice che avrebbe fatto male in Europa: uno così fa bene ovunque.

JUST FONTAINE (attaccante francese): quando vidi Pelé giocare mi venne voglia di appendere le scarpette al chiodo.

SANDOR KOCSIS (attaccante ungherese): un giocatore come Pelé nasce una volta ogni mille anni. È stato fortunato ad avere come compagni giocatori come Pagão, Coutinho, Zito, Pepe. Ma la verità è che senza di lui il Santos e il Brasile non sarebbero mai diventati ciò che sono diventati.

ERIC CANTONA (attaccante francese): ai miei occhi un artista è colui che dà lucentezza ad una stanza buia. Non sono mai riuscito a trovare una differenza tra il passaggio che Pelé ha fatto a Carlos Alberto nella finale del 1970 e la poesia del giovane Rimbaud. In ognuna di queste manifestazioni umane c’è quel tocco di bellezza che le rende eterne.

TEOFILO CUBILLAS (centrocampista peruviano): l’ho affrontato diverse volte in campo e credo che non ci sarà mai più nessuno come lui.

BOBBY MOORE (difensore inglese): Pelé è stato il più completo giocatore che abbia mai visto. Due ottimi piedi. Incredibile nel gioco aereo. Veloce. Potente. Avrebbe potuto battere tutti con le sue abilità, avrebbe potuto correre più veloce di tutti. Sebbene non fosse molto alto, sembrava un gigante quando era in campo. Perfettamente bilanciato e con una visione di gioco irraggiungibile. Fu il più grande perché poteva fare qualsiasi cosa. Ricordo l’allenatore del Brasile, Saldanha. Un giornalista brasiliano gli chiese chi fosse il miglior portiere della sua squadra. Rispose: Pelé. Lui poteva giocare in qualsiasi posizione.

TARCISIO BURGNICH (difensore italiano): prima della finale del Mondiale ’70, mi sono detto: «Forza, Pelé è fatto di carne e ossa, come il resto di tutti noi». Due ore più tardi ho capito che mi sbagliavo.

COSTA PEREIRA (portiere portoghese): arrivai con la speranza di poter fermare un grande giocatore, ma alla fine mi resi conto di essere stato battuto da qualcuno che non era nato nel nostro stesso pianeta.

ROGELIO DOMINGUEZ (portiere argentino): la differenza tra Di Stéfano e Pelé è che Di Stéfano conosceva tutto, mentre Pelé inventava tutto.

HUGO GATTI (portiere argentino): Pelé era una pantera vestita di bianco. Ho giocato con lui. Bastava che entrasse a pochi minuti dalla fine e poteva cambiare una partita. Per me, il migliore di sempre è stato Pelé, poi Alfredo Di Stéfano e Maradona. Apprezzo Diego, lui è stato un grande giocatore. Ma Pelé era di un altro pianeta.

OSVALDO ARDILES (centrocampista argentino): Pelé aveva davvero tutto: un grande fiuto del gol, era un grande uomo assist, forte di testa, rapido, usava entrambi i piedi. Era il calciatore perfetto. Molte parole sono state scritte su Pelé, ma il suo record parla da solo: più di 1.000 gol e tre vittorie in Coppa del Mondo. Ha anche giocato in un momento in cui gli attaccanti non erano protetti dagli arbitri quanto lo sono oggi.

ZICO (attaccante brasiliano): questo dibattito sul giocatore del secolo è assurdo perché c’e una sola risposta possibile: Pelé. Il più grande giocatore di tutti i tempi.

FALCÃO (centrocampista brasiliano): Pelé. Nessuno è stato come lui. Un dato solo basterebbe a sancirne la supremazia: 1.300 reti segnate in carriera. Provate a pensare a 1.300 gol diversi! Ma Pelé merita il primo posto anche per ciò che ha rappresentato non solo per i brasiliani ma nel mondo intero. Un nome, un simbolo, un sinonimo di grandezza e di valori. Pelé non è stato solo la faccia bella del Brasile e il più importante ambasciatore del nostro paese, ma anche un simbolo mondiale. Per anni e anni dovunque è andato ha radunato folle entusiaste e ammirate. Si è battuto per valori importanti, raccogliendo fondi contro la fame nel mondo e i problemi dei bambini, ha ricoperto cariche che ne hanno evidenziato le qualità umane.

TOSTÃO (attaccante brasiliano): Pelé è stato il più grande. Solo un mix delle qualità di Messi e Cristiano Ronaldo potrebbe pareggiare ciò che era Pelé.

MARIO ZAGALLO (centrocampista brasiliano): Pelé ha rappresentato tutto quello che di bello c’è su un campo di calcio.

BRIAN GLANVILLE (critico e giornalista inglese): Messi? È un grande giocatore, è già ora uno dei primi dieci di tutti i tempi, ma il migliore resta Pelé, davanti a Di Stefano, Maradona, Cruijff e Puskás.

GIANNI BRERA (critico e giornalista italiano): Pelé vede il gioco suo e dei compagni: lascia duettare in affondo chi assume l’iniziativa dell’attacco e, scattando a fior d’erba, arriva a concludere. Mettete tutti gli assi che conoscete in negativo, poneteli uno sull’altro: stampate: esce una faccia nera, non cafra: un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti: è Pelé. Ma ce ne vogliono molti, di assi che conoscete, per fare quel mostro di coordinazione, velocità, potenza, ritmo, sincronismo, scioltezza e precisione.

GIANNI MURA (critico e giornalista italiano): Pelé è sempre stato nero e mai nessuno si è permesso di fare il verso delle scimmie, quando giocava lui, né di trattarlo male per il colore che aveva e che ha. Nel 1977 l’Onu gli ha conferito il titolo di Cittadino del mondo. Pelé è stato e continua a essere il calcio.

EDUARDO GALEANO (scrittore uruguaiano): noi che abbiamo avuto la fortuna di vederlo giocare, abbiamo ricevuto un regalo di rara bellezza: momenti a tal punto degni dell’immortalità, che ci consentono di credere che l’immortalità esiste.

RONALD REAGAN (presidente degli Stati Uniti): buongiorno, sono Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti d’America. Lei non c’è bisogno che si presenti: tutto il mondo sa chi è Pelé.

ANDY WARHOL (artista americano): Pelé è uno dei pochi uomini che hanno smentito la mia teoria: i quindici minuti di celebrità, per lui valgono quindici secoli.

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