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Ho visto Maradona

È stato un genio senza tempo, il cui nome e le cui imprese riecheggeranno per sempre. Ma alcuni aspetti della sua carriera sono stati anche un po' mitizzati? Ecco la mia analisi su Diego Armando Maradona

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A qualche settimana dalla sua morte, abbiamo voluto omaggiare anche noi Diego Armando Maradona. Lo abbiamo fatto in un modo un po’ diverso. Ponendo delle domande sulla sua carriera e fornendo le risposte. Naturalmente i “vero” e i “falso” che troverete sono frutto di valutazioni soggettive e personali, come sempre quando si parla di calcio. Mi sono concentrato solo sul calciatore e su ciò che ha fatto con un pallone tra i piedi. Non ho mai fatto riferimenti all’uomo perché non ritengo sia compito degli appassionati di calcio soppesare pregi, difetti e limiti fuori dal rettangolo di gioco.

Maradona è il simbolo del calcio

VERO (MA COME E CON PELÉ)

L’enfasi che ha generato la notizia della sua morte in tutto il mondo, non solo a Napoli, ha confermato il fatto che Diego Armando Maradona da Lanús è stato un calciatore unico nel suo genere. Un genio maledetto, un rivoluzionario del gioco (ma non sul campo come un Cruijff, fuori dal campo per il suo modo di essere e il suo modo di fare) le cui imprese riecheggeranno per sempre. La sua morte è stata celebrata in ogni angolo del pianeta. Il suo nome è stato ricordato ovunque, con miriadi di testimonianze, amore e affetto mostrato non solo dagli addetti ai lavori. Nel rugby, disciplina cugina ma per certi versi rivale del calcio, la Nuova Zelanda è arrivata addirittura a omaggiare gli avversari dell’Argentina con una maglia numero 10 (“tutta nera”, in perfetto stile All Blacks) e con la scritta Maradona sulla schiena.
Quale altro calciatore potrebbe ricevere simili omaggi o è stato ugualmente un simbolo del gioco fuori dal rettangolo verde? Pelé e basta.
Con alcune differenze. La prima è che Maradona è percepito più come un’icona del popolo, mentre Pelé è stato più legato alle istituzioni (anche non è del tutto esatto far passare il messaggio che Pelé non fosse “dalla parte della gente”).
La seconda differenza è che Maradona è degli anni ’80, lo abbiamo vissuto in Italia, è temporalmente più vicino a noi.
Chi ha vissuto di più Pelé oggi ha 60 anni e oltre e naviga molto meno sui social. Pelé poi non è venuto in Europa ed è stato meno televisivo.

Maradona e Pelé, rivali… ma in fondo anche amici.
Entrambi in maniera diversa dei rivoluzionari.
Entrambi le icone massime del calcio
[www.vanityfair.it]

Ma ciò che rappresenta O Rei per il calcio fuori dal campo, sul piano simbolico, è ugualmente qualcosa di unico. Si racconta (probabilmente è una leggenda, ma dà l’idea dell’importanza del personaggio) che abbia addirittura fatto fermare una guerra in Africa, tra Nigeria e Biafra: i due Paesi firmarono una tregua pur di vederlo all’opera con un pallone tra i piedi.
Era spesso in giro per il mondo perché tutti volevano ammirare “il nero con la maglia bianca”, lui e il Santos.
È stato il primo atleta nero a firmare contratti pubblicitari milionari, dalla Pepsi Cola alla Puma.
È stato ambasciatore dell’ONU, dell’UNESCO, dell’OMS, dell’UNICEF.
È stato ministro dello sport in Brasile.
È stato ricevuto da capi di Stato e ovunque giocava c’era la ressa per vederlo, per poterlo toccare come fosse una divinità, per farsi una foto (all’epoca non erano ancora di moda i selfie) con lui.
Non ha mai alzato la voce contro il potere, questo no, non era nel suo stile. Ma bastava la sua immagine di atleta nero in cima al mondo per dimostrare – in un’epoca come gli anni ’60 che erano ancora densi di pregiudizi, in Brasile, negli Stati Uniti, ovunque – che i neri potessero farcela e potessero arrivare in cima alla scala del potere in un mondo dominato dai bianchi.
Anche Pelé a suo modo è stato un rivoluzionario. Non con le parole, ma con la forza dell’immagine. Barack Obama, primo presidente di colore nella storia degli Stati Uniti, ha parlato di Pelé come un modello a cui lui e tanti afro-americani da giovani si sono ispirati. In modo diverso da Maradona, ma entrambi sono stati dei rivoluzionari del calcio, le uniche due icone capaci di andare oltre il rettangolo verde.

Maradona aveva una genialità unica

VERO

Se mettessimo tutti gli assi che conosciamo nella storia del gioco e li facessimo palleggiare in un metro quadrato, l’ultimo che farebbe cadere la palla sarebbe Diego Armando Maradona. Il suo controllo del pallone era qualcosa di non spiegabile. Come se avesse la sensibilità delle mani al posto dei piedi. Ma Maradona non era solo questo. Era fantasia, era estro, era imprevedibilità, era una pennellata di artista. Gli ho visto fare dei gol, degli assist e delle giocate contro le leggi della fisica. Come genio puro, come controllo di palla e come carisma (lo vedremo tra poco) era il numero uno.

Alcuni degli assist più belli di Diego: una genialità unica

Maradona aveva un carisma inarrivabile

VERO

Per me, la sua dote più luminosa. Aveva una capacità quasi mistica di saper trascinare i compagni. Che infatti gli hanno sempre voluto bene, anche nelle difficoltà. Diego ha sempre pensato alla squadra, mai a se stesso. Ed è estremamente difficile trovare un compagno che parli male di lui. Aveva una leadership inclusiva.
Altri sono stati leader supremi, come Cruijff, Beckenbauer o Di Stéfano, ma ho la sensazione che la loro leadership fosse più esclusiva.
Cruijff aveva un carattere non facile da gestire, era un padre padrone, lasciò l’Ajax in polemica dopo che la squadra scelse Keizer come capitano, in nazionale tentò di imporre la sua volontà con le buone e le cattive.
Beckenbauer favorì il blocco Bayern in nazionale e ne fece le spese il rivale Netzer, stella del Borussia MG, il cui posto in regia venne preso da Overath.
Di Stéfano fece in modo di liberarsi del brasiliano Didi pure campione del mondo (il cui rendimento in maglia Real non fu affatto negativo come alcuni credono; è che Didi non riuscì ad amalgamarsi con Di Stéfano) e qualche anno dopo di Kopa, pare inviso alla Saeta Rubia dopo il Pallone d’oro del 1958 che venne assegnato al francese. Forse per ripicca – chissà – quando poi a Kopa chiesero di indicare i due migliori giocatori del mondo rispose: «Pelé e Puskás» ignorando l’asso argentino.
A proposito di Puskás, il “Colonnello” per non rischiare di subire la stessa sorte evidentemente, nella prima stagione al Real cedette a Don Alfredo un gol facile permettendogli di vincere la classifica dei marcatori della Liga. E in questo modo astuto si guadagnò la stima del numero 9 merengue.

Diego e Passarella. Due leader veri [www.stylo24.it]

A onor del vero, bisogna aggiungere che Maradona – a differenza di tutti gli altri grandi – non si è mai confrontato con un numero elevato di campionissimi, avendo giocato in squadre meno forti (da qui deriva il suo palmares meno ricco rispetto agli altri fenomeni). Quindi non ci sono certezze su come Diego avrebbe reagito di fronte alle rivendicazioni del Netzer o del Didi di turno.
Esiste però il caso-Passarella, con cui El Pibe ebbe un pesante screzio prima del Mondiale 1986. Maradona divenne il leader designato della squadra, Passarella saltò la competizione, ma il motivo furono pesanti problemi intestinali: né Diego né il ct Carlos Bilardo avrebbero mai rinunciato – nonostante non lo amassero – alla classe difensiva del Caudillo, reduce per altro da una stagione mostruosa in serie A alla Fiorentina con 11 reti realizzate.
Il carisma di Diego è stato realmente qualcosa che ha permesso ai compagni di elevarsi oltre il loro livello abituale. Talmente influente che l’unico suo degno erede in maglia argentina, capace di parlare lo stesso linguaggio tecnico – Leo Messi – nelle partite in nazionale sembra quasi schiacciato dal fardello della maglia numero 10. Un peso enorme, conseguenza dell’inarrivabile carisma dell’illustre predecessore.

Maradona è stato il calciatore più decisivo di sempre

FALSO

Falso, se per decisivo si intende come la vedo io: ovvero giocatore da momenti decisivi, da finali.
Maradona ne ha giocate 13 nella sua carriera a livello nazionale e internazionale: due finali di Coppa del mondo, quattro partite di Coppa Italia, due di Coppa di Spagna, una Supercoppa italiana, due di Coppa UEFA e due della Coppa della Liga. Ha segnato solo tre gol, due nella Coppa della Liga contro il Real (competizione minore che durò una manciata di anni) e uno nella finale di Coppa UEFA 1989 contro lo Stoccarda su calcio di rigore.
Pelé ha segnato 13 reti in 8 finali internazionali (l’unico per me a essere migliore in campo in due finali mondiali) e sommandole alle finali di andata e ritorno della Taça Brasil (campionato brasiliano ante litteram) il computo totale sale a 29 reti in 24 partite.
I numeri in questo caso non mentono: il giocatore in più nelle finali, nei momenti decisivi, è Pelé.
Altri giocatori molto decisivi nelle finali, analizzando i numeri e guardando ove possibile le partite, sono stati Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskás, Marco van Basten e Gerd Müller.

Il Mondiale 1986 è stato il più dominante di un singolo nella storia della competizione

VERO (MA CON E COME EUSEBIO NEL 1966)

Diego in Messico ha toccato il punto più alto della sua carriera. Ha giocato tutte partite straordinarie, con una media voto altissima (trovate i giudizi su questo sito scorrendo qui: https://gameofgoals.it/category/viste-per-voi/mondiali/mondiale-1986) e regalando magie e prodezze che non verranno mai dimenticate. Nessun altro nella storia dei Mondiali ha giocato una competizione a un simile livello. Anche se forse un competitor c’è. La differenza è che non ha vinto, si è fermato in semifinale. Parlo di Eusebio al Mondiale ’66, che oltre a segnare 9 reti disputò una serie di partite spaventose, su tutti il quarto di finale contro la Corea del Nord vinto praticamente da solo.

Maradona nel Mondiale 1986 ha vinto da solo

FALSO

L’Argentina del 1986 non era uno squadrone. Ma non è stata la sola nazionale che non era uno squadrone a vincere i Mondiali. Vedi la Germania Ovest del 1954, il Brasile del 1994, ma anche l’Uruguay del 1950. La verità è che una nazionale scarsa non vince i Mondiali. L’Argentina del 1986 aveva alcuni giocatori di livello internazionale: da Batista – che era l’architrave dell’Argentinos Juniors campione sudamericano e capace di portare la Juventus di Platini ai rigori nell’Intercontinentale 1985 – al troppo spesso sottostimato Burruchaga; da Valdano del Real Madrid alla coppia difensiva Brown-Ruggeri, che non saranno stati Passarella e Perfumo, ma erano due elementi di valore. Senza contare Giusti o Enrique. Nell’Argentina del 1986 5 titolari su 11 avevano vinto la Libertadores tra il 1984 e il 1986 e 6 su 11 l’intercontinentale. In un’epoca in cui il calcio sudamericano era ancora di alto livello. Gente pugnace, tosta, con mentalità vincente.Il ct Carlos Bilardo, affidandosi al buon senso e all’esperienza resultadista (era stato uno dei simboli dell’Estudiantes di fine anni ’60 di Zubeldia) aveva costruito un gruppo solido, compatto, organizzato, in funzione della stella Diego.
È chiaro che Maradona fece la differenza e trascinò la squadra al titolo. Ma vincere da solo è un concetto diverso. Nessuno in uno sport di squadra vince da solo. L’Argentina del 1986 era una formazione da quarti di finale. Se ha saputo andare oltre, è grazie a Diego, e siamo d’accordo. Ma non esageriamo dall’altra parte pensando che abbia vinto con l’Ecuador (con tutto il rispetto per l’Ecuador). Ritengo che serva equilibrio nei giudizi.

Tutti i gol e gli assist del Pibe nel 1986

Nel Mondiale 1986 l’Argentina non ha affrontato grandi avversarie

VERO

Il Mondiale del 1986 è stato un Mondiale di buon livello, con alcune partite eccezionali come Francia-Brasile, ma non è stato uno dei Mondiali più straordinari.
L’Argentina non ha incontrato sul proprio cammino chissà quali grandi corazzate. Ha eliminato negli ottavi un Uruguay normale; nei quarti un’Inghilterra discreta ma non di più; in semifinale un Belgio solido e coriaceo, ma non di certo uno squadrone. L’avversario più difficile è stata la Germania Ovest in finale: compagine arcigna, ben organizzata come nella filosofia tedesca, con alcuni ottimi nomi, ma a mio avviso non matura per vincere il titolo (tanto è vero che ha faticato moltissimo ad arrivare in finale, perdendo dalla Danimarca e pareggiando con l’Uruguay nel girone; eliminando di misura il Marocco negli ottavi e il Messico solo ai rigori nei quarti). Già solo la squadra di quattro anni più tardi che vinse il Mondiale in Italia la vedo onestamente superiore.
Senza contare che pure dall’altra parte del tabellone il Brasile e l’Italia erano in declino e persino la Francia (forse la rivale sulla carta più forte) era già un po’ calante rispetto alle versioni del 1982 e 1984.

Quando si dice che Pelé ha vinto tre Mondiali, ma a differenza di Diego lo ha fatto in squadre imbottite di campionissimi, si dice una cosa verissima.
Però è anche vero che Pelé ha vinto in contesti di maggior competitività.

Nel Mondiale ’58 i brasiliani eliminarono in semifinale una delle nazionali francesi più forti della storia (al netto dell’infortunio di Jonquet, miglior difensore della squadra). L’attacco – formato da Wisnieski, Kopa, Fontaine, Piantoni e Vincent – è stata la più forte prima linea nella storia della Francia, superiore di gran lunga ai reparti offensivi di quelli delle future squadre campioni d’Europa e del mondo di Michel Platini e Zinedine Zidane.
La Svezia, affrontata in finale, è stata la miglior Svezia mai vista ai Mondiali. Questo senza contare che era la nazionale padrona di casa. Senza contare che sul Brasile gravavano pressioni enormi sul piano politico e sportivo, con i verdeoro fino a quel momento considerati l’eterna bella incompiuta del calcio mondiale. E senza contare anche che quel Brasile rimane in tutto il XX secolo l’unica nazionale ad aver vinto un Mondiale fuori dal proprio continente.

Quanto al Mondiale del 1970 il Brasile era una corazzata. Forse, per certi versi, la più straordinaria nazionale di sempre. Ma quello è stato probabilmente anche il Mondiale più straordinario della storia.
La Germania Ovest aveva già cominciato a gettare le basi del suo ciclo d’oro (titolo europeo nel ’72, titolo mondiale nel ’74, finale europea nel ’76), con giocatori del calibro di Beckenbauer, Gerd Müller, Seeler, Overath, Schnellinger.
L’Italia era all’apice di uno dei due migliori cicli del dopoguerra (l’altro sarebbe stato quello che avrebbe portato gli azzurri al titolo iridato nel 1982). Reduce dal trionfo europeo nel 1968, la nazionale di Valcareggi poteva contare su elementi come Riva, Rivera, Mazzola, Boninsegna, Domenghini, Burgnich, Facchetti, Albertosi. Senza dimenticare un certo Zoff che fremeva in panchina.
L’Inghilterra era la migliore di sempre, quella del ciclo d’oro 1966-1970, campione del mondo in carica, con punte di diamante che rispondevano ai nomi di Bobby Charlton, Moore, Hurst, Banks, Ball, Peters.
L’Uruguay era il miglior Uruguay dai tempi di Varela e Schiaffino: nel 1967 aveva vinto la Coppa América. Giocatori come Mazurkiewicz e Cubilla erano fuoriclasse autentici. Altri elementi come Ancheta, Matosas, Mujica e Caetano erano colonne di Peñarol e Nacional che in quegli anni erano ai vertici del calcio sudamericano e vincevano Libertadores e Intercontinentali. E prima del Mondiale si era fatto male Rocha, probabilmente la vera stella del gruppo. Negli ultimi 50 anni l’Uruguay non è più stato così forte come in quel triennio 1967-1970.
E volendo, c’era pure il miglior Perù di tutti i tempi, con Cubillas e Chumpitaz, gruppo che nel 1975 avrebbe vinto la Coppa América, prima e unica volta nella sua storia.

Il Mondiale 1986 vede Diego brillare a un livello clamoroso. È stato per me il Mondiale più dominante giocato da un singolo nella storia: solo Eusebio nel 1966 regge il paragone. Però bisogna sempre analizzare il contesto e ritengo che l’Argentina del 1986 abbia vinto in un panorama qualitativo buono, ma non eccezionale.

Maradona nel Mondiale 1982 ha deluso

FALSO

I “falsi miti” non si sedimentano mai solo da un lato. Ritengo ci siano alcuni aspetti in cui Diego viene mitizzato, altri in cui viene sottovalutato. Uno di questi è il Mondiale 1982. Ha giocato con la miglior Argentina della sua carriera, come nomi anche superiore a quella del 1994: una rosa formata dai campioni del 1978 con l’aggiunta di Diego e Díaz. Sulla carta uno squadrone. A differenza del Mondiale 1986, però, il Mondiale 1982 aveva squadre superiori e così un’Argentina fortissima è stata costretta ad arrendersi di fronte a due corazzate: il Brasile e l’Italia. Senza contare le divisioni interne che hanno attanagliato il cammino del gruppo.
Ma Diego? Diego è stato uno dei meno colpevoli della sconfitta e il migliore dei suoi con Passarella. Ha giocato male la prima partita con il Belgio, in cui l’Albiceleste fu sorpresa dall’organizzazione degli avversari. Con l’Ungheria ha poi disputato una delle partite più belle della storia, oggi quasi dimenticata (provocazione, ma fino a un certo punto: questo capita forse perché ai tempi Diego non giocava ancora in Italia?). Si ricorda di Diego la partita meravigliosa con l’Inghilterra per quel gol sontuoso, quando in realtà – al di là di quell’azione da capogiro – la sua prestazione sul campo non fu così esaltante, toccò anzi pochi palloni. Se uno studia o visiona Maradona superficialmente, è raro ci si ricordi di cosa ha fatto contro l’Ungheria al Mondiale 1982, nel secondo tempo in particolare. Una delle prestazioni più clamorose nella storia del calcio. Brasile e Italia? Arriviamo.

Gentile ha annullato Maradona

FALSO

Un altro falso mito. Probabilmente quello che penalizza di più Maradona. Ma siamo sempre lì: l’idea che Gentile lo abbia cancellato dal campo si è radicata tanto nell’immaginario collettivo perché il Pibe non era ancora arrivato da noi? Intendiamoci: il difensore azzurro lo ha senza dubbio limitato. Ma è falso dire che lo abbia annullato. Maradona in quella partita colpì un palo con una punizione meravigliosa e mise in mostra alcuni numeri raffinatissimi. Gentile lo fermò molto spesso con durissimi falli perché non riusciva a contenerlo. Sicuramente Diego non ha giocato una partita ottima, ma sufficiente a mio avviso sì.
E contro il Brasile Maradona è stato nuovamente uno dei più attivi. È chiaro che ha perso il duello con Zico, perché l’altro ha segnato un gol, ha fornito un assist e ha partecipato all’azione di un’altra rete. Ma Diego, dopo un primo tempo anonimo, nella ripresa ha messo a ferro e fuoco la difesa brasiliana con giocate straordinarie. Peccato per quell’espulsione finale su Batista per un intervento scomposto e gratuito, che non ha solo macchiato una prestazione sino a quel momento senz’altro sufficiente, ma ha fatto passare l’immagine che il suo Mondiale sia stato deludente, quando secondo me non è vero.

Gentile e Maradona
[www.pinterest.it]

Maradona nel Mondiale 1990 ha giocato bene

FALSO

Se il suo Mondiale 1982 è sottovalutato, il suo Mondiale 1990 da alcuni viene sovrastimato.
Va bene, la componente carismatica – quella non gli è mai mancata e come ho scritto prima penso sia stata la sua qualità più grande. Ma come prestazioni sul campo era distante anni luce dal miglior Maradona. Lampo accecante con il Brasile, benino con Unione Sovietica e Italia, malissimo con Camerun e Jugoslavia, malino in finale.
Fisicamente non era al meglio. D’accordo. Ma un conto sono lesioni che non consentono di giocare. Un altro condizioni fisiche deficitarie, ma che dopo infiltrazioni o trattamenti consentono comunque di presentarsi regolarmente sul terreno di gioco. In questo caso, pur tenendo conto del contesto, io cerco di valutare sempre la prestazione sul campo.
Baggio è sceso in campo nella finale di Usa ’94 in condizioni decisamente deficitarie e probabilmente peggiore di Maradona nel ’90, eppure sul campo la sua prestazione per me è stata sufficiente (se non fosse per il rigore sbagliato).
Van Basten ha giocato la finale di Coppa dei Campioni ’93 in uno stato fisico senz’altro peggiore di quello di Maradona nel 1990, alla luce anche del fatto che veniva da mesi di inattività e quella fu la sua ultima apparizione in carriera. Eppure ha disputato a mio avviso un match stoico, da 6,5 pieno.
Puskás nella finale del Mondiale ’54 aveva una caviglia fuori uso e aveva saltato quarti e semifinali (a differenza di Diego nel 1990). Eppure ha disputato una partita eccellente, il migliore dell’Ungheria nonostante la sconfitta, da 7 pieno.
Maradona al contrario di questi ha giocato tutte le partite di Italia ’90 e ritengo che il suo Mondiale globalmente non possa valere più di 6 (per vedere tutti i voti cliccare qui)
Dire che ha brillato poco per colpa della caviglia o del fatto che non stesse bene a mio avviso è un po’ una giustificazione.
Se uno gioca sette partite su sette e ogni singolo minuto di ogni incontro va valutato per ciò ha fatto, senza tanti alibi. Questa è la mia idea.

Diego ammonito nella finale del 1990 contro la Germania: per il Pibe un Mondiale non esaltante, distanti anni luce da quello di quattro anni prima
[https://argentina.as.com]

Maradona nel Mondiale 1994 senza la squalifica avrebbe vinto

BOH

A questa domanda non si può rispondere. Alcuni fatti sono certi: lui arrivò in forma strepitosa a quel Mondiale come non gli capitava da tempo. Dopo l’addio al Napoli nel 1991 era dato da tutti come finito, invece tre anni più tardi si ripresentò sulla scena tirato a lucido. Quell’Argentina era un’ottima nazionale, nel 1991 e nel 1993 senza Diego aveva vinto due volte la Coppa América e pareva davvero pronta per prendersi il trono mondiale. Diego, con il suo carisma tracimante, fu l’ulteriore benzina che consentì alla squadra di salire l’ultimo gradino. Nell’esordio con la Grecia l’Argentina diede spettacolo e Diego segnò un grandissimo gol. Sempre Diego fu protagonista del 2-1 alla Nigeria con un’altra prova maiuscola. Sorteggiato all’antidoping venne poi trovato positivo all’efedrina e squalificato. Senza di lui e il suo carisma l’Argentina si sfaldò: perse dalla Bulgaria 2-0 e negli ottavi dalla Romania 3-2.
Che l’Argentina con Diego sarebbe stata una delle squadre da battere, è vero.
Ma che avrebbe sicuramente vinto non si può sapere. Eravamo appena al girone.
La storia del calcio è piena di sorprese, la storia dei Mondiali pure. Chi dopo le prime partite pensava che l’Ungheria del ’54, l’Olanda del ’74, il Brasile del 1982 non avrebbero vinto agevolmente il Mondiale?
Con i se e i ma non si fa mai la storia.

Maradona in Coppa América è stato sufficiente, ma non straordinario

VERO

Parlando di nazionale, non ci resta che dare uno sguardo veloce alla Coppa América. Diego ne ha giocate tre.
Nel 1979 a 19 anni ha disputato due partite contro Brasile e Bolivia segnando un gol. L’Argentina è arrivata ultima, per Diego una competizione ordinaria, senza infamia e senza lode.
Nel 1987 l’Argentina ha organizzato la competizione in casa. Era la favorita, reduce dal titolo mondiale dell’anno precedente. Diego ha giocato un’ottima competizione, il migliore dei suoi con il Perù, devastante con l’Ecuador (soprattutto nel secondo tempo), ma non mi ha convinto del tutto nella semifinale con l’Uruguay. Ha messo in mostra alcune grandi giocate, ma gli è mancato il quid in più per caricarsi realmente la squadra sulle spalle nel momento decisivo. L’Argentina padrona di casa e più forte dell’Uruguay ha clamorosamente perso ed è uscita.
Poco brillante infine la sua Coppa América del 1989, con l’Argentina eliminata nel secondo girone.
In sostanza: in Coppa América Diego è stato globalmente sufficiente, ma non sicuramente al livello delle migliori performances mostrate ai Mondiali.

Maradona ha “creato” l’Argentina

FALSO. MA È VERO CHE DOPO DI LUI (COME TUTTI I GRANDI FUORICLASSE)…

Mario Kempes, eroe mondiale dell’Argentina nel 1978
[http://www.storiedisport.it]

L’Argentina aveva già vinto il titolo 8 anni prima. Diego non ha “creato” calcisticamente il suo Paese. Casomai, è il peso della sua eredità che si fa sentire. Il peso di quella maglia numero 10. E in generale il peso del suo personaggio.
In questo però i grandi fenomeni si assomigliano più o meno tutti. Intorno lasciano terra bruciata.

Dopo Pelé il Brasile ha dovuto aspettare 24 anni per tornare a vincere un Mondiale e lo ha fatto con uno stile diverso, più europeo e razionale, di quello dell’epoca di O Rei. Dopo il 1986 l’Argentina sta ancora aspettando. In Qatar saranno passati 36 anni. Ma se estendiamo il campo: cosa sta facendo il Real Madrid in Champions senza Cristiano Ronaldo? Cosa sarà il Barcellona una volta che Messi si sarà ritirato o se ne andrà? Quanto ha aspettato per poter tornare a essere competitiva la Francia sia dopo l’era Platini sia dopo l’era Zidane? Eccetera.

Maradona ha “creato” il Napoli

VERO (MA COME TUTTI I GRANDI FUORICLASSE)

Prima dell’arrivo di Maradona, il Napoli non aveva vinto nulla. Al massimo aveva ottenuto qualche buon piazzamento. Nei sette anni di Diego ha vinto 2 scudetti (prima squadra del Sud a riuscirci, se contiamo la Sardegna come Italia insulare), una Coppa UEFA, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana. Dopo l’addio di Diego, non ha di nuovo vinto nulla per anni.
Ma è un’impresa davvero così unica?
Secondo me no. Tutti i grandi fenomeni (vedi punto sopra) hanno la capacità di elevare un progetto o una squadra e quando appunto se ne vanno rischiano di lasciare macerie. Ciò non significa che vincano da soli (vedi punti sotto), ma che sicuramente incidano in un modo unico su quel contesto a livello tecnico e mentale.
Ciò che ha fatto Maradona a Napoli non è molto diverso da ciò che ha fatto Platini alla Juventus a livello europeo.
Prima dell’era Platini, la Juventus in 22 anni di coppe internazionali aveva vinto una coppa UEFA. Nel quinquennio di Platini ha vinto una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, una Coppa dei Campioni (più una finale persa) e un’Intercontinentale. Dopo l’addio di Platini è passato circa un decennio prima che ritrovasse una certa competitività.
Cos’era il Brasile prima dell’era Pelé e cosa è stato dopo? Il Santos?
Cos’era il Real Madrid prima di Di Stéfano (non vinceva una Liga da 21 anni!, mentre con Don Alfredo ne ha vinte 8 in 11 anni… Senza dimenticare le 5 Coppe dei Campioni consecutive) e cosa è diventato dopo, rimanendo tutt’oggi – grazie alle basi gettate in quel periodo – il club di calcio per antonomasia a livello europeo e mondiale?
Cos’era l’Ajax prima di Cruijff, cosa aveva vinto prima di Cruijff, cosa ha vinto con Cruijff e quale è stata l’eredità del Papero, un club con una filosofia chiara e oggi riconoscibile in tutto il mondo?
Insomma: ciò che ha fatto Maradona a Napoli è qualcosa di straordinario, ma che attiene a tutti i grandi fenomeni epocali.

Maradona a Napoli ha vinto da solo

FALSO

Il Napoli 1988/1989 che vinse la Coppa UEFA. Una grande squadra [www.wikipedia.it]

Nella prima stagione di Diego, quando per altro le sue prestazioni furono eccellenti (forse individualmente le migliori in Italia), la squadra non era granché. E infatti finì ottava, fuori dall’Europa. Lui da solo, per quanto formidabile, non bastava.
Man mano che le stagioni passavano, anche cavalcando l’onda dell’arrivo di Diego, la squadra si arricchì sempre più di ottimi o grandi giocatori. Nell’anno del primo scudetto, stagione 1986-87, il Napoli poteva contare su nazionali italiani come Fernando De Napoli e Salvatore Bagni, su un ex nazionale come Bruno Giordano, su futuri nazionali come Andrea Carnevale e Ciro Ferrara, quest’ultimo soprattutto destinato a una carriera ad alti livelli. C’erano anche giocatori di ottimo livello come Francesco Romano, decisivo per lo scudetto, e Alessandro Renica. Il centrocampo De Napoli-Romano-Bagni era probabilmente il migliore del campionato.
Nel corso delle annate successive il Napoli proseguì nella sua campagna di rafforzamento: arrivarono l’attaccante brasiliano Careca, un fuoriclasse a tutto tondo, in quegli anni secondo solo (e neppure di tantissimo) a Marco van Basten nel ruolo di centravanti; il centrocampista Alemão, altro grandissimo giocatore, oggi persino sottostimato; altri nazionali azzurri come Massimo Crippa e Giovanni Francini, comprimari di valore come Luca Fusi, Giancarlo Corradini e Marco Baroni.
Tra l’estate 1986 e l’estate 1990 ritengo che il Napoli abbia avuto una grandissima squadra, seconda in serie A solamente all’inarrivabile Milan di Sacchi e degli olandesi.
Nella stagione 1989-90, quella del secondo scudetto, la squadra senza Diego infilò una striscia di tre vittorie e un pareggio nelle prime quattro giornate volando in testa alla classifica.
Nella Coppa UEFA 1989, pur con un Maradona non al meglio e capace di disputare una partita “alla Maradona” solo nella semifinale di ritorno contro il Bayern Monaco in Germania, il Napoli vinse ugualmente perché era una formazione forte.
La presenza di Maradona fu la miccia che consentì di scalare l’ultimo gradino. Ma il Napoli non era solo Maradona.

Vincere lo scudetto in una provinciale è un’impresa senza eguali

FALSO

Non parlo di altre epoche. Parliamo di quella di Diego, gli anni ’80. Due anni prima, nel 1984-1985, vinse lo scudetto il Verona e il Torino finì secondo. Nel campionato 1990-91 la Sampdoria sarebbe arrivata allo scudetto. Squadre che non erano le solite grandi, Juventus, Milan e Inter. In quegli anni l’equilibrio regnava sovrano e non era così raro assistere a successi di formazioni che non appartenevano all’élite abituale del campionato. In sette stagioni, tra il 1984-95 e il 1990-91, lo scudetto venne vinto da sei squadre diverse.

Il Napoli si inserì in quel contesto. C’erano due stranieri per squadra e spesso anche le piccole potevano ingaggiare calciatori eccezionali, da Zico all’Udinese a Júnior che passò dal Torino al Pescara. Non erano così poche come oggi ai nastri di partenza le formazioni che alla vigilia di una stagione potevano sognare di conquistare il tricolore. La bravura del Napoli rispetto alle altre fu la capacità di saper crescere con un progetto vero, consolidandolo negli anni: Diego fu la miccia, ma come abbiamo detto, non il solo carburante.

Il Verona campione d’Italia nel 1984/1985
[http://www.storiedisport.it]

Maradona è il più forte straniero mai venuto in Italia

VERO

Non ce ne vogliano Scarone (che arrivò da noi bollito), Nordahl, Schiaffino, Sívori, Zico, Platini, Matthäus, van Basten, Zidane, Ronaldo e Cristiano Ronaldo. Ma Diego Armando Maradona sta sopra – di poco o di un po’, a seconda di chi si parli – a tutti loro. Questo dando un occhio a tutta la sua carriera e in particolare al valore del giocatore che era prima di arrivare in Europa e al suo inarrivabile Mondiale ’86.

Maradona è lo straniero che ha fatto meglio in Italia

FALSO

Maradona e Platini [https://internapoli.it]

Ritengo che per valutare un calciatore non sia indispensabile vederlo palleggiare tutti i giorni o vedere tutte le partite, anche le amichevoli estive o le gare di poco conto in campionato. Altrimenti quasi nessuno potrebbe fornire valutazioni sul calcio. Per capire l’impatto avuto da Messi al Barcellona o da Cristiano Ronaldo al Real penso sia assolutamente sufficiente visionarli in un numero adeguato di incontri. Soprattutto se si tratta di big match e grandi momenti, quando il fuoriclasse deve marcare maggiormente la differenza.
Porterò solo un esempio, ma che vale per tutti: perché si ritiene il 2017 di Cristiano Ronaldo immenso? Mica perché ha segnato tre reti al Getafe o un gol di tacco con l’Espanyol. Ma perché in quell’edizione di Champions League segnò 10 reti nelle ultime 5 partite, per giunta a portieri del calibro di Buffon, Neuer e Oblak. E disputò una finale straordinaria (senz’altro la più dominante finale da lui giocata in carriera) contro la Juventus, condendola con un’altra doppietta. È chiaro che non basta vedere un giocatore solo nelle finali o nelle grandi occasioni. Ma che le finali o le grandi occasioni siano quelle che spostano di più i giudizi, questo sì. La storia è fatta soprattutto dai grandi eventi.

Il Maradona degli anni napoletani l’ho visionato in lungo e in largo. L’ho visto nelle partite europee, dalla Coppa UEFA vinta nel 1989 alle edizioni 1987 e 1990, fino alle esperienze nella Coppa Campioni 1988 e 1991. L’ho visto in tutti i big match possibili di quegli anni contro Milan, Inter, Juventus, Roma, Sampdoria. Mi sono concesso persino delle gare con Fiorentina, Udinese, Verona. L’ho visto in quasi tutte le finali disputate.

L’impressione che ne ho ricavato è quella di un giocatore capace di accendersi con lampi accecanti ma spesso isolati, in capo a prestazioni non sempre così continue nell’arco di una partita. Certo, ci sono stati momenti più brillanti, ma in generale la sua energia e la sua vitalità nei 90 minuti sono andate a mio parere calando con il passare degli anni.
Soprattutto non era assolutamente paragonabile al Maradona che ho visto prima di arrivare a Napoli (ma ci arriveremo in seguito). Il calo fisico con il passare delle stagioni è inevitabile per tutti. Lo è stato soprattutto per lui, come si leggerà nel punto sotto. Sicuramente la durezza delle difese della serie A lo ha limitato, ma non basta per spiegare una certa mancanza di continuità prestazionale, anche perché il suo modo di giocare era sempre lo stesso, in patria come in Europa, in spazi chiusi come quando trovava maggiore campo.

Come valore del giocatore, come rendimento, come impatto nel nostro calcio, ritengo che Maradona a Napoli non abbia fatto meglio – per esempio – di un Platini in maglia Juventus. Parlo sempre di prestazioni, che per me rimangono l’aspetto primario per valutare un calciatore, più dei successi o delle sconfitte, perché quelle sono figlie anche del contesto: a calcio si gioca in 11, si vince in 11, si perde in 11.

Anzi. Michel in Europa mi ha impressionato molto più di Diego, che non ha mai incantato in maglia azzurra sul suolo europeo. Sono pochi i momenti in cui ha giocato davvero in modo straordinario: il primo tempo del ritorno dei sedicesimi di finali contro il Lokomotiv Lipsia (2-0) nel 1988-89; la semifinale di ritorno contro il Bayern Monaco in Germania (2-2) sempre nel 1988-89; l’andata del primo turno contro i modesti ungheresi dell’Ujpest Dozsa nella Coppa dei Campioni 1990-91.
Per il resto, la Coppa UEFA vincente del 1988-89 lo ha visto giocare in generale a un livello discreto ma non di più (media voto di poco superiore al 6,5). E nelle altre occasioni non ha brillato moltissimo, subendo con il suo Napoli eliminazioni spesso pesanti: dal Tolosa nel primo turno della Coppa UEFA 1986-87 alla sonora sconfitta rimediata sempre in UEFA dal Werder Brema nel 1989-90, fino alle due uscite in Coppa dei Campioni contro il Real Madrid nel primo turno del 1987-88 e contro lo Spartak Mosca nel secondo turno nel 1990-91.

Non dimentichiamo poi che Maradona arrivò in un Napoli in crescita e che anno dopo anno si è rinforzato. Platini arrivò in una Juventus in declino: i campioni del 1982 erano chi più chi meno tutti in parabola discendente. A stretto giro di posta, Zoff venne sostituito da Tacconi, Gentile da Favero, Bettega da Briaschi, Tardelli da Manfredonia e così via. E si torna poi al discorso che se il Napoli prima di Diego era zero e dopo è entrato nella cartina geografica del mondo, Platini ha avuto il medesimo effetto sulla Juventus a livello internazionale.

Il Napoli clamorosamente eliminato dal Tolosa nella Coppa UEFA 1986/1987. Il rigore decisivo viene sbagliato proprio da Maradona. Il suo rendimento in maglia azzurra, in Europa in particolare, non è mai stato brillantissimo

Il più forte calciatore straniero mai venuto in Italia è Maradona. Ma non è stato secondo me il calciatore straniero che ha offerto le prestazioni migliori e offerto il miglior rendimento in Italia. Tra i giocatori visionabili, un Platini (ma anche un van Basten al Milan) non hanno fatto peggio di lui, soprattutto sul suolo europeo

La droga ha penalizzato Maradona

VERO

Si dice che Maradona abbia conosciuto la droga a Barcellona. La cocaina. Una drammatica scelta di vita. Non una sostanza dopante per migliorare le proprie prestazioni. Al contrario. Una sostanza che ritengo abbia penalizzato molto Diego sul campo, e in maniera crescente, stagione dopo stagione. Quando arriva a Napoli è ancora fisicamente in ottime condizioni, ma man mano che passa il tempo il suo rendimento ne risente. Meno scatti, meno energia, meno continuità, più pause. Non penso sia stato un calo solamente fisiologico, dovuto all’età. C’è stato dell’altro.

Maradona “è nato” nel 1984, con il trasferimento al Napoli

FALSO

Se il Maradona di Napoli è un giocatore che ritengo un po’ mitizzato parlando di prestazioni e valore del campo, quello precedente, soprattutto negli anni in cui militava in Argentina prima del 1982, è un giocatore sottostimato.
Chissà come mai, dopo decine di partite visionate, il Maradona di Napoli non è mai riuscito davvero a esaltarmi se non in rare occasioni, mentre mi sono bastate pochissime gare del Maradona del periodo 1977-1982 per farmi sobbalzare dalla sedia.
Quel Maradona era un giocatore veramente imprendibile. Scatti, corse, dribbling in ogni zona del campo, magie costanti spalmate a profusione nell’arco dei 90 minuti. Che il “Maradona argentino” fosse la sua versione più forte (accanto a quella del Mondiale ’86, naturalmente) è confermato anche da diversi ex compagni, da Hugo Gatti a Fillol.

Tra i grandissimi è il giocatore più giovane ad aver esordito in nazionale, a 16 anni e 4 mesi. Capocannoniere del Torneo di Apertura del 1978 con 22 reti, Menotti lo depennò all’ultimo dalla lista dei convocati per il Mondiale del 1978. Kempes a parte, Diego a nemmeno 18 anni era già il più forte calciatore del Paese. Meritava non solo di essere convocato per quel Mondiale, ma di scendere in campo da titolare. D’altronde, Feola nel 1958 non si fece tanti problemi a chiamare il 17enne Pelé e dargli addirittura una maglia nell’undici iniziale ricavandone dividendi unici. Nel 1979 e nel 1980 Maradona vinse due Palloni d’oro sudamericani battendo campioni che rispondevano ai nomi di Zico e Falcão. Nel 1980 disputò un’amichevole contro l’Inghilterra a Wembley da fantascienza. In quei due anni (1979 e 1980 appunto) ritengo fosse già il miglior calciatore del mondo. Poi arrivò Zico per un anno e mezzo. Poi iniziò il triennio d’oro (1983-1985) di Platini.

Argentinos Jrs-Boca 5-3: un esempio di cosa era Maradona in Argentina… Un fenomeno a mio avviso superiore a quello visto a Napoli

Maradona fino al 1990 nell’immaginario collettivo è stato il miglior calciatore del mondo

VERO

Nel Mondiale 1986 Diego si è ripreso lo scettro. Lo ha mantenuto fino al 1990. Ma mentre nel 1986 e nel 1987 era realmente il miglior giocatore del mondo sul campo, dopo ritengo che il considerarlo il numero uno fosse più una sorta di atto dovuto. Spiego meglio: nell’immaginario collettivo era ancora il migliore del pianeta. Ma come ho già scritto le sue prestazioni sul campo sono state via via sempre meno continue e brillanti. Avessero dovuto assegnare un ipotetico Pallone d’Oro (premio che in teoria indica il migliore di una singola annata), Diego secondo me non lo avrebbe vinto né nel 1988 né nel 1989 né nel 1990.
Pelé stesso ha vissuto un percorso simile. Dopo il 1966 anche il brasiliano ha perso smalto e brillantezza. Nel 1966, 1967, 1968 e 1969 Pelé non è mai stato sul campo il migliore del mondo e nemmeno lui dunque avrebbe meritato in quelle annate la vittoria di un eventuale Pallone d’Oro.
Però, un po’ come Diego, nell’immaginario collettivo O Rei era percepito come il numero uno anche nella seconda metà degli anni ’60: nessun altro sarebbe stato celebrato come lui al millesimo gol segnato in carriera nel 1969, nessun altro avrebbe potuto fermare – leggenda o meno – una guerra in Africa nel 1967.
Quello di essere ritenuti i migliori di un periodo, indipendentemente dalle loro prestazioni, è un destino che accomuna bene o male tutti i fenomeni epocali. Messi e Cristiano Ronaldo sono sempre visti come i numeri uno, anche se in tanti anni – 2010, 2013, 2014, 2018, 2019 e 2020 – ci sono stati giocatori che sul campo hanno fatto meglio di loro.

La differenza tra Maradona e Pelé in questo caso è che il brasiliano a 30 anni seppe tornare a un livello di brillantezza eccellente e non in un’occasione qualsiasi, ma nel Mondiale del 1970 in Messico, dove pareva aver riavviato la macchina del tempo e giocò leggero come una piuma e scattante come ai tempi d’oro. Diego questa opportunità non l’ha avuta. Impossibile dire se poteva essere Usa ’94. Io credo, come ho detto prima, che Maradona non abbia pagato solo un calo fisiologico dovuto all’età (tutti a 30 anni sono meno performanti fisicamente che a 22-23), ma anche a fattori esterni (il discorso della droga, oltre che di ripetuti infortuni) e dunque il suo calo sia stato maggiormente evidente.

La parabola di Diego non è poi tanto diversa da quella di Ronaldo il Fenomeno, che dopo il 1998 è stato di fatto un altro giocatore rispetto al marziano del biennio precedente. Maradona però aveva un piede sinistro senza eguali, dunque anche se non fisicamente al meglio gli bastavano un paio di pennellate (un gol su punizione, un assist da cineteca, un lampo nel breve) per fare ugualmente la differenza. Le qualità di Ronaldo invece erano più fisiche e atletiche, quindi una volta che quelle si sono ridimensionate dopo il 1998, la sua discesa è stata più netta.

Ronaldo e Maradona: l’evoluzione della loro carriera per certi versi è accomunabile?
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Maradona ha giocato nell’epoca più difficile per i calciatori offensivi

VERO

Il duro pane degli anni ’80. Decennio che fa seguito alla rivoluzione culturale olandese e porta nel mondo l’idea di un calcio chiuso, tattico, difensivo, collettivo. Le squadre inglesi tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 dominarono la scena internazionale in Europa puntando su un gioco solido, robusto, con non molti guizzi e il singolo piegato alle esigenze del collettivo. Il consolidamento del libero, l’avvento del 5-3-2 che venne istituzionalizzato anche in Paesi che non fossero di natura difensiva come l’Italia o l’Uruguay. Persino il Brasile e l’Inghilterra, nazioni allergiche al difensivismo e abituate a giocare all’attacco, si presentarono a Italia ’90, competizione che chiuse il decennio, con il libero staccato: lesa maestà alla loro vocazione storica. Raddoppi sistematici, linee di centrocampo piene di mediani difensivi, strategia, poche occasioni da rete. Maradona ha giocato in questo contesto. Non era il calcio degli anni ’60, più bello e fanciullesco, fatto di costanti duelli individuali. Non è il calcio degli ultimi anni, con il potere tornato in mano agli attaccanti; difese spesso ballerine che nel nome della difesa a zona concedono praterie; difensori che salvo rare eccezioni non sono minimamente paragonabili sul piano del valore individuale a quelli di un tempo.

Solo Maradona ha subito falli violenti e interventi proditori

FALSO

Il fatto che Diego abbia giocato nel contesto più complicato per i calciatori di fantasia e di talento non significa però che solo in quell’epoca i difensori – per dirla in gergo – “picchiassero come fabbri”. Fino a quando il calcio era votato alle feroci marcature ad personam e fino a quando le telecamere a 10mila angolazioni non sono entrate sul campo riprendendo ogni aspetto del gioco – e generando di conseguenza campagne di stampa per tutelare le caviglie degli atleti e gridare allo scandalo al primo intervento duro – i calciatori offensivi erano oggetto delle attenzioni dei difensori in modo molto più subdolo e agonisticamente cattivo di quanto non avvenga ai giorni nostri.

Il fallo di Goikoetchea su Diego. Il Pibe nel corso della sua carriera ha subito numerosi interventi proditori.
Ma ovviamente non è stato l’unico
[www.ilnapolista.it]

Maradona ha subito falli cattivissimi. Uno su tutti, quello del 1983 di Andoni Goikoetchea. Secondo alcune voci gli avrebbe fatto perdere il 30 per cento della mobilità alla caviglia sinistra. In realtà Diego disse: «Grazie a Oliva (il dottor Ruben Oliva, ndr), che aveva capito come una delle chiavi del mio gioco fosse la mobilità alle caviglie, ero intatto». Lo stesso Oliva, al Corriere della Sera, ha raccontato: «Per rimetterlo in piedi, ho usato qualsiasi cosa vedessi attorno a me, non solo la classica palestra. Ma la cosa più importante di tutte, il merito più grande, era tutto suo e della volontà che ci ha messo lui».

Ripeto però che gli interventi oltre il lecito sono stati subiti a pioggia da tutti i più grandi a partire dalla notte dei tempi: da Meazza e Sindelar (anche se nel loro caso ci sono solo racconti e non testimonianze video) a Pelé, che perse un Mondiale e mezzo per le botte ricevute. E quando si trovava a giocare in Argentina, nazione negli anni ’60 ammorbata dalla cultura resultadista (tradotto: cinismo e risultato a qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo), O Rei veniva picchiato regolarmente. Gli capitò persino in una finale di Coppa Libertadores, quando i difensori del Boca arrivarono a strappargli i pantaloncini. Lo stesso trattamento venne riservato in Argentina anche ad altri campioni europei come Best, Charlton e Rivera, che in quel periodo disputarono la Coppa Intercontinentale e uscirono con le ossa rotte.
Dagli anni ’90 sicuramente è stato sempre meno così e i calciatori di oggi da questo punto di vista sono molto più tutelati.

Chi vota Maradona è di sinistra, chi vota Pelé è di destra

FALSO

Questa idea – in maniera più o meno latente – torna sempre. Maradona è l’uomo del popolo, che aveva tatuato sul braccio Che Guevara, che ha stretto amicizia con Fidel Castro e Chavez, che detestava Bush. Pelé è l’uomo dei colletti bianchi, legato al potere, alle istituzioni. Una visione per certi versi senz’altro vera, anche se come abbiamo visto un po’ eccessiva e sminuente nei confronti di O Rei, che a suo modo è stato pure lui un rivoluzionario (vedi punto 1).
L’aspetto fondamentale però è che si stanno valutando due calciatori. Uno può essere comunista e pensare che il più grande sia Pelé. Uno può essere fascista e ritenere Maradona il numero uno. La politica con il giudizio del campo non c’entra nulla. E non dovrebbe mai essere un parametro di valutazione. Allora chi sceglie Di Stéfano è un democristiano perché non vuole schierarsi né con l’uno né con l’altro? Per cortesia…

Conclusione

Maradona è un genio assoluto del gioco del calcio. Con le sue gesta, le sue giocate e le sue imprese ha fatto innamorare migliaia di bambini e appassionati in tutto il mondo. Si è identificato con gli umori della gente comune e per questo è stato amatissimo ovunque. Maradona era ritenuto il miglior calciatore al mondo per ciò che faceva sul campo, indipendentemente dal fatto che vincesse o meno, e già in giovane età: un atto di fiducia straordinario.
È stato il più grande calciatore della storia? Non è importante rispondere a questa domanda. Anche perché tendenzialmente ognuno si lega di più al calcio che ha vissuto in diretta. Molti di quelli che ritengono Diego il migliore sono i 40enni e i 50enni, gente che è cresciuta negli anni ’80 e ha dunque vissuto in pieno l’epoca del Pibe non solo sul piano tecnico, ma anche delle emozioni e del trasporto che ha saputo suscitare. Chi è cresciuto ai tempi di Pelé, voterà in maggioranza Pelé. Chi è cresciuto ai tempi di Di Stéfano, sarà pro-Di Stefano. E così via. Quando a Peppin Meazza chiesero chi fosse il giocatore più forte da lui veduto rispose “Hector Scarone”, che era stato suo grande idolo in gioventù. Non c’è mai una risposta univoca o una verità quando si fanno paragoni tra epoche differenti.
L’obiettivo di questo articolo non era attribuire posizioni o stabilire certezze. Ognuno ha il suo metodo di approccio e la propria idea. Ognuno può scegliere a cosa dare più peso e quanto sia importante analizzare la storia del calcio in profondità.
L’obiettivo di questo articolo era solo fornire una visuale il più completa possibile su un calciatore che ha marchiato indelebilmente la storia del gioco e il cui nome continuerà a essere oggetto di discussioni fino a quando il calcio avrà vita.

Maradona gioca a calcio felice da bambino. Perché ricordarlo con un pallone e basta – parafrasando il giornalista Adalberto Bortolotti – è l’omaggio che il mondo gli deve

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