“Maradona vinceva le partite da solo”.
“Cristiano Ronaldo gioca le finali come se fossero amichevoli”.
Quante volte, in una discussione tra appassionati di calcio, si sono sentite determinate sentenze?
Affermazioni che risultano indubbiamente forti e che talvolta possono apparire esagerate, in quanto sono in evidente antitesi con lo spirito del gioco del calcio, che nasce come sport di squadra e nelle cui partite ruotano vari fattori che rendono pressoché impossibile pensare che il risultato sia determinato da un solo individuo. Ma sono anche frasi che vengono pronunciate, a volte perfino inconsciamente, per sottolineare la capacità dei grandi fuoriclasse epocali di cambiare il volto delle partite con una giocata risolutiva.
Eppure, i due esempi riportati, per quanto siano risultati decisivi nel corso delle loro carriere – nel caso di Maradona, il celeberrimo Mondiale del 1986, per quanto riguarda Cristiano Ronaldo la Champions League 2016-2017 – , non sembrano neanche avvicinarsi all’impatto devastante avuto da Pelé nelle finali internazionali.
Pelé può annoverare ben 13 gol e 6 assist in un totale di 8 finali internazionali tra Club (Santos) e Nazionale (Brasile), mettendo la firma in due finali Mondiali (1958 e 1970), due di Coppa Libertadores (1962 e 1963, per un totale di tre partite disputate, essendoci le sfide multiple) e due di Coppa Intercontinentale (sempre 1962 e 1963, e sempre tre sfide totali), tutte vinte!
Nei successivi paragrafi, ripercorreremo in ordine cronologico le tappe che hanno permesso a O Rei di consacrarsi come colui che probabilmente è stato il giocatore più decisivo della storia del calcio.
Svezia-Brasile 2-5, finale Mondiale 1958
“Un giorno vincerò il mondiale per te papà!”
È il 16 luglio 1950 e in Brasile si è consumata una delle più grandi tragedie sociali e sportive della storia del paese: in una giornata che doveva rappresentare il riscatto di una patria intera al cospetto dell’Argentina e dell’Uruguay con la vittoria del Mondiale disputato in casa, si è verificato il Maracanaço, a seguito di una rovinosa sconfitta che la Celeste di Schiaffino, Ghiggia e Varela ha inflitto alla Seleçao.
Il bilancio dei morti è a dir poco sconfortante, con 34 suicidi e 56 decessi per infarto, a cui si aggiunge un crescente odio razziale che già era preesistente sin dai tempi di Arthur Friedenreich negli anni ’20 e che ora sta fagocitando anche Barbosa, il portiere della Seleçao ormai condannato per decenni ad essere il capro espiatorio di un fallimento sportivo nonché sociale.
Un padre di famiglia è in lacrime, quando all’improvviso un ragazzino di 10 anni neanche compiuti cerca di consolarlo, promettendogli di vincere il Mondiale. Questo bambino si chiama Edson Arantes do Nascimento, e già ai tempi lo soprannominano Pelé. Nessuno però sa e immagina che proprio lui riscriverà per davvero la storia del calcio brasiliano.
Gli anni successivi al Maracanaço sono durissimi per il Brasile, che attraversa grandi cambiamenti: dopo due anni di inattività della nazionale, si decide di cambiare, per motivazioni scaramantiche, il colore della divisa, che passa dal bianco-azzurro al celebre verde-oro caratteristico della nazione.
Ora però è opportuno fare un brusco salto nel tempo di otto anni, fino ad arrivare all’appuntamento fatidico decisivo che consente di rialzare la testa per il Brasile, scacciarsi di dosso l’immagine che in Sud America la vede come un’eterna perdente e poter finalmente coronarsi del massimo alloro Mondiale. Il 29 giugno 1958 è dunque un appuntamento cruciale sia per i padroni di casa della Svezia sia per la nazionale verdeoro.
I primi sono arrivati fino in fondo grazie a una generazione di grandi campioni come Nils Liedholm, Gunnar Gren, Lennart Skoglund e Kurt Hamrin e dopo aver battuto l’URSS – che sarà campione d’Europa due anni più tardi – nei quarti di finale e la Germania Ovest detentrice del titolo mondiale.
Il Brasile, invece, dopo le difficoltà iniziali nei gironi dovute all’assenza del Pelé e di Garrincha – bocciati dallo psicologo di squadra, ma che Feola decise di schierare titolari nell’ultima partita dei gironi contro l’URSS – ha rialzato la china, superando un turno ostico ai quarti contro il Galles e la semifinale contro la Francia di Raymond Kopa – futuro Pallone d’Oro – e Just Fontaine – capocannoniere della competizione con 13 gol.
Entrambe le partite hanno avuto un minimo comune denominatore: le ha decise il ragazzino con la 10 sulle spalle, prima con un gol stupendo in palleggio dentro l’area di rigore e successivamente con una tripletta a dir poco devastante. Quel ragazzino ora si appresta a giocare la finale più importante della sua vita, memore di una promessa che otto anni prima aveva fatto nel giorno più nero del suo Paese.
Il ragazzino è un cocktail di atletismo, tecnica e compostezza tattica talmente ben riuscito da risultare la fusione di tre continenti dentro di sé (Europa, Sud America e Africa) ed è gia, a soli 17 anni e 249 giorni, il leader tecnico di una squadra a dir poco stellare, che annovera grandi campioni come Gilmar – riconosciuto uno dei migliori portieri della storia del calcio sudamericano -, la coppia di terzini Djalma e Nilton Santos, Didì e Zito a centrocampo e i fuochi d’artificio nel reparto offensivo, con l’ala poliomielitica quanto fenomenale Garrincha, l’altra ala Zagallo e il centravanti boa Vavà.
Il Brasile naviga in acque turbolenti, in quanto aleggia ancora lo spettro della tragedia del Maracanaço, che sembra prendere forma, per l’ennesima volta, nel momento in cui Liedholm segna il momentaneo vantaggio svedese al quarto minuto del primo tempo. Però qualcosa è cambiato nel Brasile, che non si scompone, si riassesta e parte all’assalto. E due accelerazioni brucianti di Garrincha consentono a Vavà di ribaltare la contesa con una doppietta.
E Pelé? Pelé sembra provenire da un altro pianeta e dopo aver propiziato il primo gol di Vavà si esibisce in un sinistro terrificante che rischia di ridurre in poltiglia il palo alla destra del portiere. Lo show di Pelé prosegue, fino a quando non decide di segnare uno dei gol più belli della storia dei Mondiali: è il minuto 55, quando Nilton Santos crossa verso il cuore dell’area di rigore svedese, dove è appostato Pelé, che effettua uno stop di petto a dir poco regale; in un attimo il ragazzino si trova braccato dai difensori svedesi, che sono disposti a tutto pur di fermarlo, ma lui con un controllo ancora più clamoroso scavalca il suo diretto marcatore con un sombrero per poi fare secco il portiere con un destro chirurgico e imparabile, per il 3 a 1 dei verde-oro.
La finale del campionato del mondo in Svezia consacra Pelé ai massimi livelli. A 17 anni quel ragazzino non solo disputa una finale da migliore in campo, ma riscrive la storia sociale del suo Paese, portando i neri e i mulatti – fino ad allora così bistrattati – in cima al mondo
Sono attimi in cui Pelé è ormai consacrato come O Rei, un giocatore regale che in quel momento non si era mai visto nell’intera storia dei Mondiali. Il Brasile è ormai conscio di avere con sé il miglior giocatore del mondo, al fianco del quale tutto è possibile, soprattutto riscrivere la storia sportiva e sociale di un intero Paese che finalmente giunge alla sua massima rivincita. Zagallo al minuto 68 porta il risultato sul 4 a 1, gol al quale risponde Simonsson accorciando le distanze a dieci minuti alla fine. E proprio quando la partita sembra finita, Pelé decide di archiviarla definitivamente, portandola ai migliori titoli di coda della storia del calcio sudamericano.
È il minuto 90, O Rei serve di tacco Zagallo sulla fascia sinistra e con una furia realizzativa impareggiabile vola verso la porta avversaria, insaccando con un colpo di testa a palombella il gol del definitivo 5 a 2 di fronte al quale, come affermerà in futuro Sigge Parling, non si potrà fare altro che applaudire. Quel gol racchiude la nuova essenza del calcio brasiliano, per uno stile che non perde di raffinatezza di fronte alla concretezza.
La partita è finita e Pelé è in lacrime: a 18 anni non ancora compiuti ha mantenuto la promessa fatta al padre nel momento più difficile della storia del Brasile, ha portato la sua patria sul tetto del Mondo, da massimo protagonista, trascinatore e dominatore del Dream Team di Feola, con 6 gol e 2 assist in 4 partite in tutta la competizione.
Un successo al quale se ne seguiranno altri quattro nella storia del Brasile e che getta le basi per il rinascimento verdeoro, che da cenerentola eterna perdente del calcio sudamericano si appresta a diventare una potenza mondiale, in grado di superare i propri limiti e consapevole dei traguardi prestigiosi che può raggiungere nei decenni che lo aspettano.
Santos-Penarol 3-0, finale Coppa Libertadores 1962
Bela Guttmann non ha bisogno di presentazioni, specialmente nel 1962, quando lascia il Benfica bi-campione d’Europa in seguito a pesanti divergenze con la dirigenza lusitana che lo porteranno a maledire il club che lui stesso, in tre anni, aveva portato alla gloria internazionale.
Il tecnico magiaro si è rivelato di fatto come uno dei più longevi, vincenti e rivoluzionari che si siano mai visti fino a quel momento e oltretutto i successi del Brasile bi-campione del mondo hanno la sua firma, in quanto fu proprio lui, durante le sue avventure in Sud America, a collaudare il 4-2-4 tramite il quale sarebbero stati edificati i successi verdeoro a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60.
Guttmann sa di avere una chance ghiotta per diventare un unicum nella storia del calcio: dopo il trionfo in Coppa dei Campioni ai danni del Real Madrid di Di Stéfano e Puskás, potrebbe diventare il primo – e di fatto unico – allenatore della storia in grado di vincere la Coppa dalle grandi orecchie e la Coppa Libertadores nello stesso anno solare. Si presenta quindi al Penarol, disponendo di una rosa a dir poco stellare che nel 1960 e nel 1961 ha dominato la Coppa Libertadores, che l’ha sconfitto nella precedente Coppa Intercontinentale e che annovera grandi fuoriclasse come Pedro Rocha – uno dei migliori fantasisti degli anni ’60 -, Juan Joya – uno dei migliori esterni offensivi del Sud America – e, soprattutto, Alberto Spencer, di fatto uno dei migliori centravanti della storia del calcio, nonché uno dei più forti colpitori di testa di sempre.
La finale di Coppa Libertadores viene disputata tra Santos e Penarol, le due massime corrazzate sudamericane, che si spartiscono una partita a testa: all’andata i brasiliani la spuntano per 2 a 1 grazie alla doppietta di Coutinho, al ritorno è il Penarol ad avere la meglio grazie a una risposta altrettanto rabbiosa di Spencer. Il Santos è una squadra sensazionale, può annoverare tra le sue file giocatori del calibro di Mauro Ramos – capitano del Brasile che qualche settimana prima ha vinto il Mondiale in Cile -, Gilmar e Zito, oltre che Coutinho e Pepé, due autentici campioni che però non possono trovare spazio in una nazionale che attinge ad algide vette con Garrincha e Zagallo sulle fasce.
Manca però lui, il 10, Pelé, che è reduce da un infortunio ai Mondiali che gli ha impedito di fatto di essere protagonista nel secondo successo iridato del Brasile. In quel momento Pelé è all’apice della sua carriera, in un perfetto mix tra l’esplosività fisica che ha espresso quattro anni prima in Svezia e la maturità calcistica che esprimerà otto anni dopo in Messico e lo ha già dimostrato polverizzando il Botafogo di Garrincha, Didì e Nilton Santos con un sonoro 5 a 0 nella finale di Taca Brazil. Il Santos, di conseguenza, risente della sua assenza e senza di lui non può mettere in cassaforte il risultato contro il Penarol.
Pelé ritorna il 30 agosto 1962, carico come non mai per trascinare il suo Santos al suo primo successo continentale. Bela Guttmann ne è consapevole e con una grande maestria tattica cerca in tutti i modi di fermarlo: innanzitutto ordina al centrocampo di intercettare tutti le linee di passaggio per Pelé, per non parlare delle strenue marcature finalizzate ad impedirgli in qualsiasi modo di avere la prima iniziativa. Guttmann è conscio di chi sta per affrontare ed è anche lo stesso allenatore che qualche mese prima ha sconfitto due Leggende del calibro di Di Stefano e Puskàs.
Il piano è perfetto, ma l’avversario che il Penarol sta affrontando in quel momento non è un Pelé qualsiasi: il fuoriclasse brasiliano sfodera una prestazione a dir poco immensa, ribaltando la scacchiera del tecnico magiaro, che impotente assiste alla sua disfatta. Finte, controfinte, aperture e capovolgimenti di fronte continui, dribbling ubriacanti concretizzano lo sconfinato campionario tecnico del Re, che sigla due gol folgoranti, il primo con un destro terrificante dalla distanza, il secondo con un sinistro a tu per tu col portiere su palla inattiva. Sono i due gol che firmano il 3 a 0 globale del Santos sul Penarol, dopo l’autogol di Omar Caetano.
Il Penarol è stato annichilito in maniera completa da Pelé, che ha appena trascinato il suo Santos al suo primo storico trionfo nella Copa Libertadores e Bela Guttmann, il più grande tecnico mondiale dell’epoca, non ha potuto niente contro un giocatore che non può essere fermato in alcun modo.
Benfica-Santos 2-5, finale Coppa Intercontinentale 1962
Arrivai con la speranza di fermare un grande giocatore, ma mi resi conto di essere stato battuto da qualcuno che non era nato nel nostro stesso pianeta.
Costa Pereira, portiere del Benfica
Quando a dire queste parole è il portiere del Benfica, una delle squadre più forti degli anni ’60, oltretutto guidata da una leggenda del calcio portoghese – e non solo – come Eusébio, si può intuire anche solo in parte ciò che Pelé è stato in grado di fare nella finale di Coppa Intercontinentale, per una doppia finale che, purtroppo per noi, non è accessibile in versione integrale in nessuna piattaforma.
Ci restano dunque le sintesi dell’andata – in cui Pelé segna due gol nel 3 a 2 con cui il Santos regola il Benfica – e del ritorno, ed è proprio su quest’ultima gara che sarà necessario focalizzarsi, basandoci su ciò che si ha a disposizione di quei 4 minuti e 56 secondi visionabili su YouTube, un minutaggio purtroppo esiguo ma che non può che far fugare una sensazione di dominanza come mai più probabilmente veduta nell’intera storia pallonara.
Pelé parte subito in quarta e su un cross dalla sinistra si avventa come un falco, in spaccata, segnando il primo gol dell’incontro al minuto 15. Ed è solo l’inizio. Appena dieci minuti dopo, il Re si inventa un gol di una bellezza impensabile: riceve palla dalla sinistra, con una finta di corpo mette a sedere il difensore che sta alla sua sinistra e col primo controllo parte ad una velocità supersonica verso il cuore dell’area di rigore.
Non si ha neanche il tempo di poter realizzare ciò che Pelé ha appena concepito che improvvisamente Pelé sterza, lasciando sul posto due difensori al limite dell’area di rigore, per poi entrare in area di rigore, apparentemente sbilanciato, e calciare un sinistro terrificante alla sinistra di un Costa Pereira pietrificato da un’entità che non sembra essere di questo pianeta.
E quando tutto ciò sembra essere abbastanza per i comuni mortali, al terzo minuto del secondo tempo Pelé piazza un’altra giocata fuori dal Mondo, dribblando in un fazzoletto, ad una velocità disumana, tre difensori del Benfica sulla fascia destra e servendo a Coutinho la palla del 3 a 0. Pelé è ormai inarrestabile e si concede persino il lusso di farsi beffe di Eusebio con un tunnel a dir poco ubriacante. Già, quello stesso Eusebio che qualche mese prima ha sconfitto il Real Madrid di Puskás e Di Stéfano!
È in quel frangente che tra gli spettatori del da Luz inizia a diffondersi la sensazione che quella sera il Re non possa essere fermato nemmeno da un’invasione aliena. Ed infatti al minuto 64 parte palla al piede verso l’area di rigore e arriva a tu per tu con Costa Pereira dopo aver superato 4-5 avversari. L’estremo difensore portoghese ce la mette tutta per fermarlo, ma Pelé non esita mezzo secondo per ribattere a rete.
Il Santos in questo momento è sul 4 a 0 contro i bi-campioni d’Europa del Benfica, con Pelé che ha messo a segno 3 gol e 1 assist, vincendo in maniera netta e di fatto incontestabile il confronto contro Eusebio, una leggenda in ascesa ma che quella sera non può fare altro che assistere impotente alla sua disfatta. La partita finisce 5 a 2 per il Santos, che per la prima volta nella sua storia ottiene il massimo alloro mondiale, trionfando nettamente nella Coppa Intercontinentale.
Peter Lorenzo, capo sport della BBC, non esiterà mezzo secondo a definirla come la migliore prestazione individuale mai fatta da un giocatore di calcio. Per noi sarà sempre impossibile verificarlo nella sua pienezza, ma di fronte a certi filmati ci è lecito credere che una prestazione del genere, nell’intera storia del calcio, probabilmente non si sia mai vista.
Boca Juniors-Santos 1-2, finale Coppa Libertadores 1963
Il Santos è campione del Brasile, del Sud America e del mondo in carica, nell’annata precedente ha sbaragliato la concorrenza ed ora si appresta a tentare il bis. Pelé è in una forma smagliante, e lo si può notare da amichevoli prestigiose che gioca a livelli celestiali come Amburgo vs Santos 3-3, così come nell’ennesimo trionfo – il terzo consecutivo – nella Taça Brazil.
A confermare ulteriormente questo stato di forma memorabile in cui si trova O Rei è la doppia semifinale di Coppa Libertadores contro il Botafogo: Pelé distrugge i sogni di gloria del i bianconeri nella partita di ritorno, replicando all’1 a 1 dell’andata con una tripletta a dir poco spaziale propiziata da dei gol d’elevatissima fattura.
Il Boca Juniors non ha le stesse qualità della rosa del Santos ma può fare affidamento sulla tattica resultatista, uno stile di gioco diffusosi in Argentina dopo il disastroso Mondiale ’58. Uno stile molto maschio, difensivista e ai limiti della regolarità negli interventi. Inoltre il Boca dispone di un’arma offensiva a dir poco devastante, ovvero il centravanti José Sanfilippo, molto prestante atleticamente e dotato di risorse talmente ampie dal punto di vista realizzativo da consentirgli di andare ben oltre i suoi limiti tecnici. Non è un caso che alla fine della competizione si laurei capocannoniere con 7 gol.
E infatti nell’andata, disputata in Brasile, Sanfilippo è il migliore in campo e pur essendo isolato nel reparto offensivo mette in costante apprensione la retroguardia del Santos, che subisce due gol frutto del suo grandissimo opportunismo. Eppure, il Boca Juniors non riesce a fare suo il primo turno, in quanto il Santos segna tre gol, figli della sapiente regia di Pelé, che abbassa il suo raggio d’azione per togliere i riferimenti ai difensori centrali, i quali non riescono a prendere le opportune contromisure per fermare le ficcanti iniziative individuali di Coutinho e Pepe. Santos vs Boca Juniors finisce dunque 3 a 2 per i brasiliani, con una doppietta per parte per Coutinho e Sanfilippo e con il gol di Lima sempre per i padroni di casa.
Nella gara di ritorno disputata alla Bombonera le cose non si mettono bene per il Santos: dopo appena due minuti dall’inizio della ripresa, i brasiliani si ritrovano sotto, quando Sanfilippo, sfruttando a suo favore una mischia furibonda creatasi all’interno dell’area avversaria, insacca. Il Santos reagisce, guidato dal suo leader, che nonostante il gioco crudele e spietato dei difensori argentini non rinuncia alla battaglia. Tre minuti dopo il vantaggio argentino è lui a piazzare la giocata risolutiva, attira su di sé l’attenzione dei difensore nei pressi dell’area di rigore avversaria e apre un’autostrada che Coutinho che firma il pareggio.
La Bombanera è una bolgia infernale, ma Pelé non la teme e nonostante gli interventi duri proseguano per larga parte della ripresa lui non perde di lucidità e prosegue con il suo solito campionario di giocate tra le più ampie della storia finché, al minuto 37 della ripresa, non riceve palla da Coutinho al limite dell’area. Pelé si accentra, punta in uno-contro-uno Orlando, ma sembra mancare lo spazio per tentare un’iniziativa individuale. Ma il Re con un gioco di gambe a dir poco impensabile salta nettamente il connazionale con un tunnel e spara un destro incrociato che lascia di sasso il portiere avversario. Il suo è un gol di una bellezza unica, l’ennesima perla segnata nelle finali internazionali, un gol che solo lui, in quel momento, poteva concepire.
La sua esultanza è rabbiosa, decisa e determinata, con un pugno alzato al cielo che in quel momento irradia la Bombonera, teatro dell’ennesima prestazione monumentale di O Rei, che bissa il successo dell’annata precedente e si aggiudica il secondo successo in Coppa Libertadores, alla sua seconda partecipazione.
Milan-Santos 4-2, finale Coppa Intercontinentale 1963
La presenza di Pelé fu costretta dal contratto tra Federazioni perché c’era l’obbligo che lui scendesse in campo. Purtroppo Pelé subì, prima di questa gara, un infortunio con la sua Nazionale e aveva la caviglia ingessata. Gli tolsero il gesso per giocare quei minuti e scese in campo solo per onorare il contratto con il Brasile, se non avesse giocato perdevano soldi e dei contratti. Giocò una ventina di minuti, è questa la verità. Voglio aggiungere una cosa: successivamente quando andammo con il Milan a fare la partita di qualificazione alla Supercoppa Mondiale a San Paolo e a Rio devo dire che fu Pelé a far uscire me dal campo perché mi dribblò da tutte le parti.
Giovanni Trapattoni
Questa citazione del Trap – uno dei migliori allenatori della storia del calcio italiano – rende l’idea di quanto si sia diffuso facilmente in Italia il luogo comune secondo il quale Pelé sarebbe stato fermato dal mediano rossonero in occasione di un Italia-Brasile 3-0 del 1963. Quest’amichevole è tra le più illustri del calcio italiano degli anni ’60, dato che mette in prima pagina le giocate di un giovane Sandro Mazzola e vede Pelé scendere in campo forzatamente per ragioni di sponsor, nonostante sia in condizioni fisiche a dir poco pessime. E infatti dopo appena 26 minuti è costretto a uscire prematuramente dal campo senza aver avuto la possibilità di giocare al meglio.
Cos’è successo invece al Trap quando ha affrontato Pelé in forma? È stato incenerito, molto semplicemente, e a dimostrarlo è la doppietta a San Siro con cui O Rei tiene aperta la contesa tra il Milan di Rivera e Altafini e il suo Santos, nell’andata della finale di Coppa Intercontinentale del 1963. Il primo gol soprattutto meriterebbe un discorso a parte, in quanto con una serpentina diabolica Pelé annichilisce la difesa del Milan, per poi freddare Ghezzi in un duello che non può perdere in alcun modo. Sigla poi il gol del 2 a 4 su rigore, in una partita in cui il Santos viene sconfitto da un grandissimo Milan, ma nella quale lui figura tra i migliori in campo, sfiorando addirittura una marcatura prodigiosa in acrobazia.
Però Pelé si infortuna di nuovo, e il Santos, in seguito ad un 4 a 2 macchiato da un arbitraggio contestato dai milanisti, ottiene la possibilità di giocarsi la “bella” che viene poi vinta di misura per 1 a 0. Il Santos si aggiudica quindi senza Pelé la sua seconda Coppa Intercontinentale, facendo per la seconda volta consecutiva la doppietta internazionale (Coppa Libertadores + Coppa Intercontinentale).
E il Re? Per lui parlano 7 gol in 3 partite disputate nella Coppa Intercontinentale, che lo rendono il massimo cannoniere della competizione, uno score a dir poco mostruoso.
Brasile-Italia 4-1, finale Mondiale 1970
Prima della partita mi dissi: forza Tarcisio, Pelé è fatto di carne ed ossa come tutti noi. Due ore più tardi ho capito che mi sbagliavo.
Tarcisio Burgnich
Tarcisio Burgnich è uno dei baluardi della difesa della Grande Inter di Herrera, un pilastro inamovibile della nazionale italiana della spedizione messicana del 1970, uno dei difensori centrali – oltre che terzini destri – più forti della storia del calcio italiano, nonché uno degli eroi della celeberrima Partita del Secolo contro la Germania Ovest. Partita che dopo 120 minuti carichi di agonismo ha regalato all’Italia una finale Mondiale che mancava dal 1938, dai tempi di maggior successo della storia azzurra.
Eppure anche lui, come è successo a Bela Guttmann, Costa Pereira e Giovanni Trapattoni, si deve inginocchiare al cospetto di Pelé, in quello che è il capitolo finale, perfetto e definitivo del percorso che l’ha reso il giocatore più decisivo della storia del calcio.
Pelé è voglioso di riscatto, quattro anni dopo il Mondiale inglese del 1966 che l’aveva visto sconfitto senza possibilità di replica a causa degli infortuni gravi rimediati contro la Bulgaria e contro il Portogallo di Eusébio, in un’edizione che ha visto una Seleçao irriconoscibile uscire ai gironi e mostrare gli evidenti segnali di una necessità immediata di attuare un ricambio generazionale.
Quattro anni dopo, il Brasile si presenta ai Mondiali messicani con una nuova generazione di campioni, tra i quali figurano Carlos Alberto – uno dei migliori terzini destri della storia del calcio -, Clodoaldo – l’erede di Zito come frangiflutti della Seleçao – e, soprattutto, quei celeberrimi cinque Numeri Dieci là davanti a regalare spettacolo: Gérson – uno dei migliori registi di sempre; Jairzinho – un’ala prestante atleticamente e tecnicamente, pur non disponendo della classe di Garrincha;, Rivelino – riconosciuto come uno dei migliori mancini della storia; Tostão – un centravanti boa della manovra di questo Dream Team; e, ovviamente, Edson Arantes do Nascimento, O Rei, conosciuto dai più come Pelé.
Pelé non dispone più dell’esplosività atletica che aveva mostrato negli anni migliori, ma si presenta in Messico in grandi condizioni psico-fisiche, potendo usufruire di una maturità calcistica al suo massimo splendore, una virtù che riesce ad esprimere a tal punto da confermarsi, per l’ennesima volta, il Deus Ex Machina di una squadra a dir poco stellare che in quel momento necessita di un Re Sole per essere guidata.
Pelé delizia il Mondo intero con giocate e prestazioni eccezionali disseminate in tutte e cinque le partite della manifestazione iridata che portano alla finale: sfiora un gol impensabile dal cerchio di centrocampo contro la Cecoslovacchia, in un match che viene risolto da una sua performance eccezionale; costringe Banks alla celeberrima Parata del Secolo contro l’Inghilterra detentrice del precedente titolo mondiale, nella stessa partita in cui risolve la pratica con un assist delizioso per Jairzinho; timbra una doppietta alla Romania; si inventa un assist di tacco impensabile contro il Perù di Cubillas, in una partita che l’ha visto come massimo regista offensivo dei verde-oro; ed infine vi è l’esecuzione di quella finta maestosa ai danni Ladislao Mazurkiewicz – uno dei migliori portieri sudamericani di sempre – che per poco non porta ad uno dei gol più belli della storia dei Mondiali.
Pelé arriva dunque alla finale Mondiale, disputata in Città del Messico il 21 giugno 1970, con un bottino da 3 gol e 3 assist in 5 partite durante il corso del Mondiale, pronto ad affrontare la sfida ad alti livelli. Di fronte al Brasile di Zagallo c’è l’Italia di Valcareggi, che annovera gran parte dell’ossatura del Cagliari campione d’Italia, disponendo di Albertosi, Cera, Domenghini e, soprattutto, Gigi Riva (uno degli attaccanti più forti della storia del calcio italiano), oltre che altri campioni come Mazzola, Burgnich e Facchetti (autentici totem di quella che fu la Grande Inter degli anni ’60) e del Pallone d’Oro europeo dell’annata passata, Gianni Rivera, colui che si divide il posto in nazionale con Mazzola in una celeberrima staffetta.
Chi vince potrà sollevare al cielo la Coppa Rimet definitiva, un privilegio riservato solo a chi ha conquistato tre titoli mondiali, in una situazione che vede Italia e Brasile con due allori. La grande finale inizia e al minuto 18 avviene già un qualcosa che sta per riscrivere, per l’ennesima volta, la storia del calcio: Rivelino crossa dalla sinistra uno spiovente altissimo verso il palo alla sinistra di Albertosi, Burgnich ha di fronte a sé il Re, continua a ripetere a se stesso, sin dall’inizio della partita, che Pelé è fatto di carne e di ossa come lui e che può avere anche solo una mezza chance di fermarlo; salta dunque speranzoso di potercela fare, ma Pelé sale in cielo, con un’aerodinamicità fuori dal normale, e impatta violentemente di testa, incenerendo il suo diretto marcatore e infilando l’angolo alla destra di Albertosi.
Il Brasile è in vantaggio e sogna l’ennesimo successo al Mondiale, ma l’Italia reagisce e trova il pari, grazie a un malinteso tra Clodoaldo e la difesa verdeoro, un errore da matita blu che consente a Boninsegna di segnare un gol in quel momento pesantissimo. Il Brasile deve rifare tutto da zero, guidata dall’estro e dal suo Leader con la 10, che nei minuti finali si vede annullato un secondo gol in seguito al fischio di chiusura del primo tempo, arrivato anticipatamente rispetto agli sviluppi dell’azione.
Pelé è stato l’uomo per eccellenza delle finali internazionali con 13 gol e 6 assist in 8 partite. Mai nessuno come lui.
Pelé è semplicemente inarrestabile: è ormai dotato di una grandissima sapienza calcistica e con degli strappi “palla al piede” mette in serissima difficoltà la retroguardia italiana, con le stesse movenze con le quali ha messo in affanno l’Uruguay in semifinale, in una partita in cui aveva sfiorato un potenziale “Gol del secolo” ante-litteram, sedici anni prima di Maradona. Il Brasile si riversa in avanti, dispone di risorse tecniche, tattiche e atletiche superiori rispetto all’Italia e ritrova il vantaggio grazie al sinistro fulmineo di Gerson al minuto 66.
Il Brasile dilaga, con Pelé che mostra un repertorio tecnico che si stacca nettamente su qualsiasi altro giocatore presente in campo, con aperture millimetriche e passaggi al conta giro regala spettacolo, fino a quando una sua sponda di testa a dir poco chirurgica non permette a Jairzinho, al minuto 71, di segnare il gol del 3 a 1. Ma la ciliegina sulla torta della seconda finale giocata da migliore in campo – dopo quella del 1958 – non può che essere l’azione che porta al gol del 4 a 1: al minuto 86, il Brasile fa un lungo fraseggio nei pressi della fascia sinistra, finché Clodoaldo non serve in profondità Jairzinho; l’esterno verdeoro, che già ha fatto impazzire nei minuti precedenti il povero Facchetti, parte improvvisamente fino a servire Pelé. Il Re ferma la palla e in quel momento, mentre Tostão gli segnala l’incursione imperiosa di Carlos Alberto, si ha come la sensazione che il tempo si fermi a contemplare il suo servizio chirurgico per l’accorrente capitano della Seleçao che con un colpo di collo d’esterno destro stende per la quarta volta Albertosi.
Il fischio finale arriva qualche minuto dopo, portando Pelé alla vittoria del terzo Mondiale, il suo secondo da dominatore assoluto della manifestazione dopo quello del 1958. Un titolo che riporta Pelé sul trono del mondo, a distanza di quattro anni dalla cocente e sfortunata disfatta in Inghilterra. Un Mondiale che rappresenta il perfetto capitolo finale del percorso che ha permesso al Re di essere riconoscibile come il più grande giocatore dell’intera storia dei Mondiali, con 12 gol e 8 assist in 14 partite, al fronte di un bottino di prestazioni davvero stellari.
Di conseguenza, non c’è molto da discutere, dopo il Mondiale messicano: nessuno è stato Pelé nella storia dei Mondiali.
Conclusione
Abbiamo dunque concluso il nostro percorso, ricco di tappe che hanno consentito a O Rei di consacrarsi quale giocatore più decisivo della storia del calcio, con un bottino che, com’è stato detto nell’introduzione, ammonta a 13 gol e 6 assist in 8 partite, dati a dir poco esorbitanti, in quanto gli hanno permesso di entrare nel vivo di 19 gol sui 27 segnati dalle sue squadre – Brasile e Santos – nelle varie finali alle quali lui ha preso parte, con una percentuale di coinvolgimento, tra gol e assist, che si aggira intorno al 70%.
Inoltre, un dato ulteriormente interessante è la sua capacità di essere dominante specialmente contro le squadre europee, avendo messo al referto 10 gol e 4 assist in 5 partite, mettendo lo zampino in 14 dei 19 gol segnati dalle sue squadre contro Svezia e Italia (Mondiali del 1958 e del 1970), Benfica (Coppa Intercontinentale del 1962 e del 1963), con una percentuale di coinvolgimento nelle marcature di squadra che sfiora il 75%!
Tali statistiche si “sgonfiano” – si fa per dire… – contro i club sudamericani del Penarol e del Boca Juniors, contro i quali Pelé ha messo a segno “solo” 3 gol e 2 assist in 3 partite complessive, vedendosi coinvolto in 5 gol sugli 8 complessivi segnati dal Santos nelle finali di Coppa Libertadores, entrando nel vivo del 62,5 % delle marcature.
Appare curioso questo dislivello realizzativo tra le sfide contro le squadre europee e quelle contro i club sudamericani, ma ciò risulta anche un’opportunità per sottolineare il livello elevatissimo del calcio sudamericano dell’epoca e della capacità disarmante di Pelé di non avere scrupoli contro le formazioni europee, con una media di due gol a partita! Un dato che, si spera, possa un giorno distruggere il falso mito della presunta lacuna della carriera di Pelé rappresentata dal suo mancato approdo in Europa.
Dunque non si può fare altro che concludere, alla luce di tali statistiche e delle prestazioni appena raccontate, che Pelé sia stato il giocatore più decisivo della storia del calcio, un mix di onnipotenza tecnica, fisica, atletica e prestazionale che non solo gli hanno permesso di vincere le finali, ma anche di dominarle come nessuno mai aveva fatto nell’intera storia del gioco.