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Josef Bican, oltre ai gol

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Josef Bican è storicamente conosciuto come il più grande realizzatore della storia del calcio. Sebbene non vi sia una totale certezza sui numeri – qualcuno parla di più di 1000 gol mentre qualcun altro, come l’ex compagno del Rapid Vienna Franz Binder, si spinse addrittura all’improbabile cifra di 5000 -, quel che è certo è che Bican è stato un attaccante straordinario capace di andare in gol in ogni modo e la cui media realizzativa a fine carriera risulta tutt’ora un miraggio per chiunque. Nei soli incontri di campionato Bican andò in rete 518 voltre in 341 partite, il che significa una media di 1,5 gol ad incontro. Numeri inauditi, che in parte – ma solo in parte – possono essere giustificati da un fatto: a partire dalla fine del 1936 Josef Bican, al tempo 23enne, lasciò il campionato austriaco – era nato a Vienna da genitori boemi – per approdare in quello cecoslovacco. Qui si sarebbe stabilito come una delle principali leggende nella storia dello Slavia Praga.

Star, rivista cecoslovacca del tempo, dedica una copertina a Josef Bican

In Cecoslovacchia il campionato era di fatto un duopolio: Slavia Praga e Sparta Praga facevano man bassa di qualsiasi titolo ci fosse da vincere a livello locale, senza contare il fatto che a livello internazionale erano due delle squadre più in vista del panorama europeo. Non ci sono dubbi sul fatto che questa corsa a due favorì e certamente amplificò i numeri strabilianti dell’attaccante e di altri grandi realizzatori del periodo. Bican avrebbe concluso la propria carriera laureandosi per ben 10 volte capocannoniere del campionato cecoslovacco – che, di fatto, così come capitava in altre nazioni mitteleuropee, si disputava interamente o quasi nella capitale – e mettendo in bacheca ben sei scudetti. La parabola di Bican a Praga, però, racconta solo parte della verità.

Difatti, prima di fare il suo approdo alla corte dello Slavia, il centravanti si era laureato capocannoniere anche in Austria: al termine della stagione 1934 aveva siglato la bellezza di 29 gol che gli erano valsi la convocazione in una delle nazionali più forti e temute del momento, il Wunderteam austriaco. E in Austria il campionato non era di certo paragonabile a quello cecoslovacco: qui le contendenti per il titolo erano 4 – Austria Vienna, Rapid Vienna, Admira e First Vienna -, e gli sgambetti delle piccole alle grandi erano decisamente più frequenti di quanto non accadesse a Praga. Non solo: quando nel 1938 lo Slavia divenne campione d’Europa – vinse la Mitropa – Bican si laureò capocannoniere. Non è tutt’ora chiaro se le realizzazioni messe a segno dall’attaccante siano state 9 o 10, dato che una delle segnature fu da alcuni giornali attributa ad un autogol di un difensore avversario.

Bican e compagni prima della semifinale Italia-Austria. Gli austriaci esibiscono il saluto fascista

E a ben vedere, anche volendo avallare la tesi secondo la quale gli anni in Cecoslovacchia abbiano fortemente giovato alla sua media realizzativa, è giusto sottolineare come Bican non sarebbe stato l’unico giocatore a godere di tale scenario. Due campioni contemporanei come Messi e Cristiano Ronaldo, due giocatori che più di chiunque altro si sono divisi la platea prima locale – spagnola – e poi internazionale hanno avuto la possibilità di competere in un campionato dove Barcelona e Real Madrid hanno per anni fatto carne trita dei propri avversari. Così come quando nell’autunno del 1936 lo Slavia mise a segno il colpo Bican, un colpo di mercato non così usuale per i tempi e decisamente non alla portata di chiunque, i Galacticos e i Blaugrana hanno costruito la loro fortuna anche su investimenti inavvicinabili per qualsiasi altro club della Liga. Risultato? Tra il 2005 e il 2020 in soltanto un’occasione il titolo è andato ad una contendende, ovvero l’Atletico di Simeone nel 2014. Sono stati 15 anni nei quali Messi e Ronaldo, complici anche i punteggi faraonici che Real e Barça hanno inflitto ai loro avversari, hanno rimpiguato il loro bottino personale in termini di gol avvicinandosi al record – o presunto record – dello stesso Bican.

Un altro falso mito che per anni ha accompagnato l’attaccante di origine boema sarebbe quello di essere fondamentalmente una macchina da gol e poco altro. Un centravanti dall’indubbio fiuto del gol del quale, però, per qualche ragione non si sono mai sottolineate a dovere alcune qualità. Su questo discorso è doverosa una piccola analisi: se scorriamo la lista dei più grandi marcatori di tutti i tempi notiamo la presenza di calciatori estremamente poliedrici, capaci di andare in gol in ogni maniera e nella maggior parte di casi di giostrare su una superificie di campo che va ben oltre l’area di rigore avversaria. Nessuno, giustamente, ha mai definito Pelé, Puskás, Romario o gli stessi Messi e Cristiano Ronaldo come killer d’area o opportunisti, per quanto il loro repertorio includesse anche l’abilità nel concretizzare situazioni ravvicinate. Le cifre di cui parliamo sono difatti figlie di un altro fattore, ovvero la capacità di questi campioni di andare in rete in quasi tutti i modi.

Bican, sebbene non vi siano filmati a supporto, apparteneva certamente a questa categoria. A dircelo sono diverse testimonianze del tempo – tra le quali quella del suo ex allenatore Hugo Meisl – e ancor di più alcune cronache delle partite dello Slavia. Le cronache mettono in luce una velocità non comune per i tempi – qualcuno disse che Bican corresse i centro metri in 10.8 secondi mentre Hugo Meisl sostenne che l’attaccante vincesse ogni singola gara di corsa coi compagni di nazionale – un gran colpo di testa, una tecnica nettamente superiore alla media ed una miriade di realizzazioni figlie di conclusioni da fuori area. A titolo esemplificativo citiamo la rotonda vittoria, che di fatto coincise con la sconfitta più sonante nella storia dell’Inter, dello Slavia contro l’Ambrosiana nel 1938. Nell’incontro di andata disputato a Praga e terminato 9-0 per i padroni di casa Bican andò in rete 4 volte, la prima con una bordata da fuori area, la seconda e la terza con due assoli personali tra le maglie della difesa italiana e la quarta dopo aver intercettato un retropassaggio del difensore nerazzurro Buonocore. L’attaccante biancorosso non faceva eccezione: era anch’essi un fuoriclasse in grado di segnare in ogni maniera e di risultare decisivo su qualsiasi palcoscenico, tant’è vero che ha timbrato il cartellino in qualsiasi competizione abbia mai disputato.

Quando c’è qualcosa da vincere, lui è sempre in prima fila

Hugo Meisl su Josef Bican
Hugo Meisl, storico allenatore del Wunderteam con una predilezione per Bican

A volerlo trovare un vuoto nella carriera del calciatore, sebbene imputabile alla sfortuna, c’è: il fatto di non aver inciso particolarmente a livello di nazionale. Ma anche in questo caso, però, è necessaria una piccola digressione visto che Bican non ebbe modo di lasciare il segno nel Wunderteam a causa della sua precoce dipartita. Ha giocato si un Mondiale con Sindelar e compagni, ma giovanissimo – aveva solo 21 anni – e fuori ruolo. E poi, in più di un’occasione, la possibilità di fare la differenza difendendo i colori di una nazione è sfumata. Nel 1936 com’è detto Bican si trasferì a Praga e poco dopo avviò l’iter per l’ottenimento della cittadinanza cecoslovacca. Sarebbe stata il passpartout per prendere parte alla Coppa del Mondo del 1938, ma sulla strada del calciatore si presentò più di un ostacolo. Il primo fu l’Anschluss: nel marzo del 1938 l’Austria venne annessa al Terzo Reich e Bican, che avrebbe potuto richiedere il passaporto tedesco e far così parte della Germania, si rifiutò, in parte per la propria aberrazione nei confronti del nazionalsocialismo ed in parte poiché confidava che il processo per l’ottenimento del passaporto cecoslovacco fosse oramai agli sgoccioli. Ma si sbagliava di grosso: iniziò un calvario burocratico che si sarebbe risolto solamente verso la fine del 1938. Così il giocatore, che in quella fase si trovava nel fiore degli anni ed aveva trionfalmente concluso il campionato con uno scudetto in bacheca e 22 gol all’attivo, non poté prendere parte ai Mondiali con la sua nazionale adottiva. E poco dopo la rassegna iridata, quando lo Slavia iniziò il proprio cammino verso il trionfo nella Coppa Mitropa, in ben due occasioni l’attaccante si trovò davanti a un problema non di poco conto: come raggiungere l’Italia per giocare contro Ambrosiana e Genova considerando che al tempo le squadre viaggiavano in treno e che lungo il cammino per l’Italia la compagine biancorossa poteva venire fermata dalla Wehrmacht? In tal caso le camicie brune avrebbero potuto prelevare l’attaccante dal convoglio e riportato a Vienna. A quel punto Bican si sarebbe trovato di fronte ad un bivio: o l’addio al calcio o la necessità di combinarlo con una professione remunerata, dal momento che il Reich aveva imposto il ritorno al calcio amatoriale. Per scongiurare qualsiasi scenario di questo tipo, i dirigenti dello Slavia mossero mari e monti e riuscirono a corrompere autorità pubbliche, enti e consolati. Bican riuscì così a raggiungere l’Italia in due occasioni via nave, imbarcandosi su un traghetto a Spalato. Una volta approdato nello Stivale si sarebbe ricongiunto ai vecchi compagni.

Un’immagine della Battaglia di Bordeaux, così fu definira la violenta sfida dei Mondiali del 1938 tra Brasile e Cecoslovacchia. La Cecoslovacchia, che fino a qualche tempo prima contava d poter schierare Bican, fu eliminata nel replay

Ma i nazisti non tardarono ad arrivare anche in Cecoslovacchia ed il Paese, trasformatosi nel Protettorato di Boemia e Moravia, dette vita ad una propria nazionale. Bican ovviamente ne faceva parte ma disputò una sola partita, realizzando tre gol in un’amichevole proprio contro la Germania. Quell’exploit lo rese l’unico giocatore della storia ad andare a segno con ben tre nazionali diverse. Poi intervenne la guerra, e nonostante Bican avrebbe giocato – e segnato – regolarmente anche durante gli anni del conflitto qualsiasi manifestazione internazionale venne sospesa. Nel dopoguerra disputò alcuni incontri con la riformata nazionale cecoslovacca ma si trattò perloppiù di amichevoli. La sua carriera, almeno a livello internazionale, era giunta al capolinea. Fu proprio la sua aberrrazione nei confronti dei regimi a scongiurare il suo arrivo in Italia: nel secondo dopo guerra la Juventus si era messa sulle sue tracce ma il giocatore, certo che il Comunismo avrebbe preso il potere in Italia, rifiutò. Per tutta risposta arrivò in Cecoslovacchia e per questa ragione il suo amato club, lo Slavia, fu rinominato Dynamo Praga, club nel quale il prolifico attaccante dette il là anche alla propria carriera di allenatore.

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