La prima edizione del nuovo formato del Mondiale per Club svoltasi quest’anno ha avuto di positivo il fatto che parte del pubblico nostrano abbia smesso di sottovalutare e di snobbare le squadre del Nuovo Mondo, magari non facendo più spallucce e risolini di scherno. Il mondo del calcio sudamericano rappresenta una dimensione sommersa, sconosciuta ai più, considerata degna di essere guardata solamente quando ci sono i mondiali (e fino ad un certo punto), ma non è affatto così.
Con quest’articolo si intende scegliere i giocatori più rappresentativi del calcio sudamericano, dal 2000 ad oggi: insomma, quelli che si sono distinti per prestazioni, impatto, iconicità con i club sudamericani. Naturalmente ci sono esclusioni dolorose e importanti : da Romario che proprio nei primissimi anni del nuovo millennio vive un ultimo canto del cigno con il Vasco de Gama, a Martin Palermo che a cavallo dei ’90 e dei ’00 ha segnato tanto con la maglia del Boca, passando per il bomber Fred, per l’eterno Cano e per il mediano Fernandinho protagonista di due cicli con l’Atletico Paranaense (2005 e 2022). Il fatto che non sia scontato fare bene in Sudamerica è dimostrato da vecchie glorie del nostro calcio – dai crepuscolari Adriano a Ronaldo, fino ai Seedorf e ai Cavani – che in Sudamerica hanno incontrato più difficoltà del dovuto o comunque non sono riusciti a brillare come ai vecchi tempi. Dunque, bando alle ciance e procediamo con la lista, assolutamente opinabile e dipendente esclusivamente dal punto di vista dello scrivente.
15) Teofilo Gutierrez

È di questi il “colombiano più famoso d’Argentina”. Centravanti atipico per altezza e peso, con le bollicine e i guizzi di un diez, rapido nel saltare l’uomo e nell’attaccare la porta, Gutierrez ha fatto innamorare per un biennio i tifosi del River Plate, venendo anche eletto Calciatore Sudamericano dell’anno nel 2014. La sua carriera da giramondo lo ha portato in Messico, in Argentina, nella stessa Colombia, e anche in Europa (Sporting Lisbona e addirittura Trabzonspor, in Turchia). Le sue prestazioni sono state convincenti da fargli giocare un mondiale da titolare (Sudafrica 2014), accanto alla stella James Rodriguez.
14) Rodrigo Palacio

Conosciamo bene El Trenza soprattutto per i suoi trascorsi in casa nostra con le maglie di Genoa e Inter, ma se c’è un club al quale Palacio è più legato, quello è il Boca Juniors, dove approda nel 2005 dopo un anno di apprendistato al Banfield. Alla Bombonera è uno splendido secondo violino, dietro Sua Maestà Riquelme, piazzandosi sempre in alto nelle classifiche di rendimento e si toglie la soddisfazione di segnare in finale di Coppa Libertadores contro il Gremio del 2007 e anche nella finale di Yokohama contro il Diavolo.
13) Julian Alvarez

Per usare un gergo americanofilo, Julian Alvarez è stato il più grande rookie del Sudamerica dai tempi di Neymar. Centravanti tecnico, completo, in grado di fraseggiare con i compagni – non a caso Pep Guardiola lo volle alla sua corte – Julian Alvarez si è distinto al River Plate come straordinario uomo-gol, vincendo numerosi titoli in patria e nel continente. Dei quattro anni in biancorosso, il migliore è stato senza dubbio il terzo (2021), in cui ha vinto il campionato argentino da capocannoniere e si è aggiudicato il premio di “miglior giocatore sudamericano dell’anno”. Curiosità: è il giocatore ad aver segnato più reti (6) in un match singolo di Coppa Libertadores.
12) Rogerio Ceni

Se c’è un portiere simbolo del calcio del Nuovo Mondo dal 2000 in poi, non c’è dubbio che si tratti del brasiliano Rogerio Ceni, il portiere-goleador, da 129 reti in carriera, nel solco della scuola di Chilavert. Rogerio Ceni ha vinto tutto ciò che poteva vincere con la maglia del San Paolo, anche se il capolavoro della carriera è stato senza dubbio l’Intercontinentale 2005, dove batte il Liverpool di Gerrard alzando la coppa da MVP della finale e miglior giocatore del torneo.
11) Thiago Silva

Sul difensore ex Milan, PSG e Chelsea sappiamo vita, morte, miracoli. Il suo stile preciso e roccioso, la sua classe, la sua lettura del gioco ed il suo perfetto senso tattico lo hanno reso uno dei migliori difensori sudamericani della storia, al livello di Elias Figueroa (e sul confronto tra i due si può discutere). Non possiamo però ignorare che prima del decollo definitivo con la maglia rossonera, Thiago Silva è stato diversi anni una sicurezza del Fluminense (squadra dove è cresciuto nelle giovanili), tanto da vincere la Bola de Prata nel 2007. Le sue prestazioni al mondiale per club di quest’anno con la maglia Tricolor, nonostante un’età anagrafica non più verde, mi hanno portato a riflettere sull’inclusione del giocatore in questa lista. Insomma, è vero che ha offerto il meglio da noi, ma è altrettanto vero che anche in patria si è saputo imporre. Le disavventure con il Porto e la Dinamo Mosca – con amari retrogusti di gravi infortuni e tubercolosi – all’alba della sua carriera, prima dell’inizio dell’avventura con il Flu tra i professionisti, sono solo un lontano ricordo.
10) Giorgian de Arrascaeta

Uruguaiano di origine, brasiliano per passione, è considerato attualmente il miglior “numero dieci” del calcio sudamericano. Regista di pura qualità, in grado di vedere il gioco prima degli altri, il suo passaggio dal Cruzeiro al Flamengo è decisivo per la conquista della Coppa Libertadores 2019, dove Giorgian de Arrascaeta è il trascinatore (successo bissato solo tre anni più tardi). La sua ricerca del colpo ad effetto, del virtuosismo estetico e della pennellata d’autore lo hanno candidato più volte al premio Puskas (miglior gol dell’anno) in compagnia di mostri sacri del nostro calcio. Gli occhi dei migliori club europei sono su di lui da tempo, ma finora all’Europa e alla musichetta della Champions League il nostro ha preferito la pesca.
9) Thiago Neves

Giocatore sconosciuto al pubblico europeo, per i brasiliani ha invece rappresentato il più classico dei giocatori “potrei ma non voglio”. Mancino elegante e potente, in grado di servire assist ai compagni e impostare il gioco, nonché dal tiro secco e preciso, Neves può vantare una Bola de Ouro nel 2007 con la maglia del Fluminense, quando si consacra come miglior giocatore del campionato brasiliano, nonché una pregevole tripletta della finale di ritorno della Coppa Libertadores dell’anno seguente, persa però ai rigori contro gli ecuadoriani del LDU Quito. Le sue deludenti avventure in Germania (Amburgo) e negli Emirati Arabi (Al-Hilal e Al Jazira) tratteggiano un giocatore inquieto e pigro, capace di dare il meglio nel suo continente, dove chiude malinconicamente la carriera.
8) Ganso

Qualcuno potrà valutare come forzata l’inserimento di Ganso in questa lista, perché in termini di continuità ad alti livelli ha avuto molto meno di altri, pur essendo un giocatore longevo, tuttora in attività con la maglia Tricolor del Fluminense. Eppure, quando si parla di “giocatori da calcio sudamericano”, sono ben pochi a rappresentare questo concetto più di quanto lo faccia Paulo Henrique Chagas de Lima (il suo nome vero). Giocatore espressione di un calcio complementare a quello barocco e infarcito di ghirigori del tipico brasiliano, Ganso era un minimalista: sfiorava il pallone, lo toccava con il fioretto, quel tanto che bastava per mandare fuori giri l’avversario o servire cioccolatini ai compagni. Se i malandri facevano l’amore con il pallone, toccandolo a più non posso, Ganso lo seduceva in maniera sfuggente e misteriosa. Trequartista di talento cristallino, ha avuto un momento all’inizio dello scorso decennio in cui gli addetti ai lavori giuravano che potesse essere meglio di Neymar, suo compagno di squadra del Santos. I gravi infortuni ci hanno restituito un giocatore ridimensionato, nonostante il talento non fosse in discussione.
7) Gabriel Barbosa “Gabigol”

Viviamo oggigiorno nell’epoca del meme, dell’ilarità del mondo social che suscita una scena strana e paradossale. Possiamo dire che la versione di Gabigol vista in Italia sia un meme: arrivato con grandi aspettative all’Inter non ne ha azzeccata una, provocando più lazzi e sberleffi che altro. Dall’altra parte del mondo invece Gabriel Barbosa è stato il contrario: uomo-gol nei momenti pesanti, ha segnato in tre finali diverse di Libertadores (doppietta decisiva in rimonta contro il River Plate nel 2019, gol rivelatosi poi inutile nel 2021 contro il Palmeiras, gol decisivo nel 2022 contro l’Atletico Paranaense), è stato il miglior giocatore sudamericano del 2019, nonché bomber principe di Santos, Flamengo e oggi Cruzeiro. Lontano dalla magrezza e dalla leggerezza dei grandi esteti brasiliani, ha la potenza atletica da giocatore europeo, un sinistro assassino e discrete qualità anche da rifinitore. Azzardando un paragone, è un incrocio tra Rivaldo e Adriano.
6) Robinho

Leggenda narra che Pelé lo vide giocare quando aveva dodici anni e se innamorò subito. «È come me». Il controllo della palla, il dribbling sgusciante, la velocità di Robinho è davvero essenza brasiliana. Al Santos, da giovane, gioca relativamente poco, ma lascia un segno indelebile: vince da autentico crack i campionati brasiliani, specialmente nel 2004, duellando con un certo Carlos Tevez su chi fosse il miglior giocatore del Sudamerica. Arriva la chiamata dalla Casa Blanca e Robinho tornerà al Santos per ben tre volte, in avventure più o meno fugaci (2010, 2014, 2020), oltre ad una brillante avventura con la maglia dell’Atletico Miniero nel 2016.
5) Ronaldinho

Se per l’appassionato eurocentrico, Ronaldinho finisce di regalare magie a fine 2010 con l’addio al Milan, il cultore del calcio sudamericano sa benissimo che la carriera del Gaucho ha una gustosa appendice in Sudamerica. Se il ritorno in patria con la maglia rubronegra del Flamengo è sicuramente soddisfacente – in un anno e mezzo segna 28 gol e contribuisce in maniera determinante alla vittoria del campionato carioca – è con l’Atletico Mineiro che Ronaldinho si gioca la carta più bella: il suo impatto nel gioco degli Alvinegri è un inno di bellezza e di qualità: ben 13 assist nel Brasileirao (miglior assist-man) gli garantiscono la chiave per la partecipazione alla Coppa Libertadores della stagione seguente, che vince da protagonista, consacrandosi anche qui come miglior rifinitore della competizione (8 assist). A fine 2013 viene meritatamente premiato come miglior giocatore sudamericano dell’anno, prima di volare in Messico.
4) Juan Sebastian Veron

Dopo gli anni in Europa, la Brujita Juan Sebastian Veron torna in Argentina, in un club che è stato letteralmente la sua famiglia, l’Estudiantes, dove ha debuttato nel 1995 da calciatore professionista e soprattutto dove il padre Juan Ramon si era distinto come centrocampista negli anni ‘60, con sprazzi anche nei ‘70 e negli ‘80. Il compagno “laziale” Diego Simeone gli consegna le chiavi del centrocampo nel 2006 ed è la svolta: arriveranno i successi in patria, ma soprattutto arriverà il trionfo in Coppa Libertadores nel 2009 sotto la guida di Sabella, con la finale vinta per 2-1 contro il Cruzeiro (0-0 all’andata) in cui Veron disputa una prestazione strepitosa. L’eccellente visione di gioco, le qualità balistiche e la personalità da leader lo consacrano per ben due anni di fila (2008 e 2009) come giocatore sudamericano dell’anno.
3) Carlos Tevez

Essere un argentino ed al contempo essere un idolo delle folle in Brasile non è propriamente qualcosa di ordinario. Carlos Tevez, detto l’Apache, però ce l’ha fatta. Forza fisica, dinamismo, velocità e tiro secco, la sua qualità, unita ad una “garra” tipicamente argentina, lo ha reso un idolo totale per i tifosi del Corithians, dove arriva a peso d’oro nel 2005, dopo aver fatto le fortune del Boca Juniors ed essere stato il degno erede di Riquelme nei gialloblu della Bombonera: i suoi trionfi da protagonista – Coppa Libertadores, Coppa Intercontinentale, campionato argentino di Apertura e campionato Brasileiro (l’odierno Brasileirao, per intenderci) lo collocano nell’olimpo dei giocatori del Nuovo Mondo: per tre anni consecutivi è stato premiato come calciatore sudamericano dell’anno (dal 2003 al 2005), nonché Bola de Ouro nel suo anno con la maglia della squadra bianconera di San Paolo.
2) Neymar

Se da una parte la sua seconda avventura in Sudamerica è tutt’ora in corso, dopo anni di stop tra infortuni, Arabia Saudita ed una costante sensazione di malinconia crepuscolare di fine carriera, dall’altra parte è noto che O’Ney – chiamato così in omaggio al più grande di tutti – in Sudamerica abbia letteralmente fatto il vuoto, prima di andare a misurarsi con il calcio europeo. Giocatore tecnicamente fuori concorso per tutti, tanto da essere escluso nella corsa per la Bola de Prata per manifesta superiorità (onore toccato solo ad un certo Edson Arantes do Nascimiento), Neymar vince tra le altre cose tre campionati paulisti ed una Copa Libertadores nel 2011, raggiungendo uno status toccato a pochissimi nel Nuovo Mondo. La sua prestazione in Santos-Flamengo 4-5 del 28 luglio 2011, dove si è misurato con Ronaldinho, è un dono agli esteti e agli amanti del futbol bailado di tutto il mondo. Possiamo discutere i suoi comportamenti plateali e la vita non certo irreprensibile fuori dal campo, possiamo discutere sulle dimensioni della sua incompiutezza e sui suoi innumerevoli infortuni, ma non possiamo certo discuterne la qualità.
1) Juan Romàn Riquelme

El Mudo Juan Roman Riquelme ha rappresentato l’essenza dell’artista sudamericano, alla Bombonera il suo nome è sacro ed il suo Diez è la cosa più sacra e preziosa che si possa concepire. Fuoriclasse dal passo lento ma dalla visione di gioco totale e dall’assist prelibato, giocatore quasi anacronistico per questa epoca, Riquelme è stato senza dubbio l’uomo simbolo dell’ultimo squadrone sudamericano in grado di segnare la storia del calcio mondiale, mi riferisco al Boca Juniors di inizio millennio. Indimenticabile la sua prestazione contro il Real Madrid nella coppa Intercontinentale del 2000, così come i suoi trionfi in Libertadores nel 2000 e nel 2001, dove è man of the match nella finale contro i messicani del Cruz Azul. Dopo la sua avventura in Europa, trionfa nuovamente in Libertadores, sempre con il suo Diez giallo-blu sulla schiena, nel 2007: nelle due finali contro il Gremio segna tre gol e si consacra per l’ennesima volta come giocatore-simbolo non solo del torneo, ma di quel calcio sudamericano, intriso di fascino, magie impossibili e meraviglie estetiche ai limiti del surrealismo, degne dei racconti di Jorge Luis Borges.