Immagine di copertina: Mario Beretta, tecnico della Figc [www.figc.it]
Ha iniziato ad allenare quando l’Italia è diventata campione del mondo, ovvero nel 1982. Da allora Mario Beretta ha girato tantissime piazze, in Italia ma anche in Grecia, con un’esperienza al PAOK Salonicco. Si è misurato in Serie C, in Serie B e nel 2004 è arrivato in Serie A, per guidare il Chievo Verona. Anticamera del passaggio al Parma, quando nella stagione 2005-2006 riuscì addirittura, complici i fatti di Calciopoli, a portare gli emiliani in Coppa UEFA. Sempre in A ha allenato anche il Siena.
Un’esperienza ricca e variegata, con Beretta che nella seconda parte della proprie carriera si è occupato di giovani e di settore giovanile, responsabile prima del vivaio del Cagliari e poi coordinatore di quello del Milan. Sino alla federazione: oggi, infatti, Beretta è docente di tecnica e tattica calcistica alla Scuola di Coverciano.
Negli ultimi giorni Beretta è stato ospite dell’associazione Piccolo Fiore, che opera all’interno della Domus Laetitiae, struttura che segue persone con disabilità, e abbina lo sport ai valori del volontariato e della solidarietà. Il Piccolo Fiore organizza sovente serate con nomi illustri del panorama calcistico e sportivo nazionale.

Mister Mario Beretta, iniziamo dalla Nazionale italiana: dopo il deludente Europeo 2024, la squadra di Luciano Spalletti sta affrontando un positivo cammino nella Nations League. È presto per dire che l'Italia ha cambiato passo, ma qualche miglioramento sembra esserci...
In Italia purtroppo ci esaltiamo subito e ci deprimiamo subito. Non abbiamo molte vie di mezzo, molto equilibrio nei giudizi. Spalletti sta svolgendo un ottimo lavoro, ha lanciato giocatori nuovi e continuerà a farlo. Bisogna dargli tempo. All’Europeo certe cose non hanno funzionato per il verso giusto, ma il lavoro del tecnico sul medio-lungo periodo sta cominciando a dare maggiori frutti.
La difesa e il centrocampo appaiono reparti ben assemblati e riforniti, qualche preoccupazione in più lo desta l’attacco: da anni l’Italia non riesce a proporre dei fuoriclasse nei ruoli di centravanti e fantasista. Come mai?
È vero, in avanti fatichiamo, ma qualcosa si sta muovendo. Retegui è in crescita, come Lucca ed Esposito nell’Under 21. Capire come mai non emergano più grandi fuoriclasse offensivi è complicato. I talenti nascono, ma li si può anche far crescere, con interventi mirati. Quando ero allenatore nei settori giovanili di Milan e Cagliari, ad esempio, avevo dei tecnici specifici per i diversi ruoli: le qualità degli attaccanti si possono anche allenare e far progredire.
Le difficoltà della nazionale sono figlie anche del fatto che di giocatori italiani nei nostri club ve ne sono pochi, a partire dai top team. È perché emerge poco dai vivai o perché le prime squadre non hanno la pazienza e il coraggio di credere nei propri ragazzi, come ci disse in una diretta mister Gianni De Biasi?
La situazione non è così drammatica. Il Milan ha disputato la finale della Youth League lo scorso anno, l’Italia Under 17 ha vinto gli Europei e l’Under 21 si è appena qualificata alla fase finale. I giovani ci sono, ma è chiaro che bisogna farli giocare. Sappiamo che non ci sono più gli oratori, il calcio da strada, come un tempo. Ma non possiamo farci nulla. Dobbiamo adeguarci alle epoche. Gli allenatori delle giovanili stanno provando a riproporre quei modelli nelle società, però ci vanno lavoro e tempo.
All’estero però i ragazzi vengano lanciati ancora minorenni ad alto livello. L’Italia è un Paese tradizionalmente “per vecchi” e mostra spesso poco coraggio di fronte a scelte giovani e di novità. Pensa che questo si rifletta anche nello sport, nel calcio?
Sento dire che Yamal a 17 anni gioca nel Barcellona e vince l’Europeo, mentre Camarda è ancora nelle giovanili del Milan (anche se ha esordito in Champions pochi giorni fa). Non possiamo fare questi paragoni. Bisogna considerare i contesti, i momenti, le differenti personalità, il fatto che siamo di fronte a due Paesi diversi. E non è tanto che noi siamo un Paese “per vecchi”. Più che altro non siamo un Paese sportivo. Per anni l’insegnamento della ginnastica alle elementari era affidata alle maestre. Si fanno due ore di educazione fisica alla settimana nelle medie inferiori e superiori: dove vogliamo andare? Lo sport è unicamente demandato alle società, ai privati. La scuola fa pochissimo. Non siamo una nazione che investe nello sport, c’è poco da fare.