Gli anni dell’anteguerra – o, meglio quelli tra le due guerre – offrono uno spaccato di sport e calcio interessante e sfaccettato poiché presentano una disciplina in piena evoluzione. Oltre a diventare professionistico in diversi paesi europei, il calcio è ora un fenomeno a tutti gli effetti internazionale. Nasce una versione ante litteram della Coppa Campioni e degli Europei, la Coppa Mitropa e la Coppa Internazionale e, soprattutto, hanno luogo le prime edizioni dei Mondiali che verranno disputate tanto in Sudamerica come in Europa. Sono anni nei quali gli amanti del pallone hanno modo di osservare le stelle del firmamento calcistico sfidarsi in un clima fortemente condizionato dalle precarie relazioni diplomatiche tra paesi in guerra solo pochi anni prima. Nel 1934 ad ospitare la seconda edizione della Coppa del Mondo, la prima organizzata in Europa, è l’Italia di Benito Mussolini. Si tratta di un’edizione il cui pronostico – che non verrà smentito – depone decisamente a favore delle formazioni europee dato che l’Uruguay, a causa della mancata partecipazione di diverse formazioni europee quattro anni prima, non si è presentato mentre l’Argentina arriva rimaneggiata e il Brasile per molti non è ancora competitivo. Ogni formazione europea ha il suo simbolo: l’Italia ha Giuseppe Meazza, detto il Balilla, stella dell’Ambrosiana nota per i suoi virtuosismi individuali, l’Ungheria ha György Gyurka Sárosi, un calciatore estremamente polivalente leader del principale club nazionale, il Ferencváros, e l’Austria ha Matthias Sindelar, che a Vienna molti riconoscono come il Mozart del calcio. L’Austria, per molti la grande favorita, uscirà sconfitta per 1-0 dall’Italia nella semifinale disputata a San Siro, un incontro scandito da polemiche che lasceranno non pochi strascichi durante gli anni anni a seguire. Ma nonostante quella mancata vittoria, dell’Austria si sarebbe parlato parecchio. Per il suo gioco innovativo, per Hugo Meisl, il suo tecnico nonché figura imprescindibile del calcio di quegli anni, per la tragica fine che l’Austria fece come nazione e, soprattutto, per Matthias Sindelar stesso. Matthias Sindelar non era stato di certo la prima icona del calcio biancorosso, dato che in Austria il calcio era sbocciato qualche decennio prima e le principali squadre della capitale avevano già iniziato ad osannare i propri beniamini. Il più grande fra tutti fu Josef ‘Pepi’ Uridil, soprannominato Der Tank, ovvero il Carro Armato, idolo dei tifosi del Rapid e figlio di immigrati boemi che si erano anni prima stanziati nella capitale austriaca.
Matthias Sindelar è stato indubbiamente uno dei principali calciatori europei degli anni tra le due guerre, lo dicono diverse testimonianze del tempo, i risultati ottenuti con la nazionale austriaca e, forse ancor di più, quelli raggiunti con l’Austria Vienna. In un’ipotetica corsa al Pallone d’Oro – premio che sarebbe nato molti anni più in là – Sindelar avrebbe senz’altro primeggiato in almeno un’occasione. Un personaggio su quale si è scritto molto ma sul quale una verità definitiva che metta tutti d’accordo non è ancora venuta a galla. Partiamo da quei pochi elementi che mettono tutti d’accordo: è stato un’icona del calcio viennese, un movimento che proprio in quegli anni assumeva una dimensione popolare fino a poco prima impensabile, è stato uno dei calciatori austriaci più vincenti di sempre – ha vinto due Coppe Mitropa con il suo club, l’Austria – ed è stato il simbolo indiscusso del Wunderteam di Hugo Meisl. A partir da questo momento, le cose si complicano leggermente. Vediamo perché….
Le verità
Oltre a quanto premesso appare conclamato che Sindelar fosse un centravanti estremamente atipico. Se diversi club del tempo privilegiavano un attaccante strutturato, forte di testa e capace di fare a sportellate con i difensori, altri, vuoi per scelta o per necessità virtù, schieravano un attaccante abbastanza diverso. Matthias Sindelar, come viene fedelmente descritto, faceva senz’altro parte di questa seconda schiera. Era un centravanti noto per la sua tecnica, dribbling e capacità di mandare in porta i compagni. Come riportano in molti, è stato con tutta probabilità uno dei primi falsi nueve nella storia del calcio europeo. L’italiano Meazza era un altro centravanti atipico, ma rispetto a Matthias Sindelar spiccava per una maggiore velocità, virtuosismi più accentuati ma meno propensione al gioco con i compagni. Ed è altrettanto certo che dal 1938, anno che segnò l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, Sindelar rifiutò sempre le convocazioni del tecnico tedesco Sepp Herberger. I taccuini dell’allenatore parlano chiaro: Herberger intendeva mantenere – come avrebbe poi fatto – il Sistema, ovvero il modulo 3-2-5 utilizzato dalla nazionale tedesca, ma riteneva fondamentale la presenza di Matthias Sindelar al centro dell’attacco. Solo dopo l’ennesimo rifiuto di quest’ultimo – ora 35enne ma ancora in buona forma nonostante alcuni acciacchi – l’allenatore dovette rivedere i suoi piani. Il perché delle insistenze di Herberger, tuttavia, lo vedremo tra poco.
Matthias Sindelar era a tutti gli effetti un campione: questo è un altro punto sul quale gli storici del calcio sembrano convenire all’unanimità. Esiste un ristretto novero di campionissimi a livello europeo e mondiale che hanno segnato la storia del calcio tanto quanto lui: i già nominati Meazza e Sarosi, lo spagnolo Zamora, l’uruguagio Scarone e pochi altri. I riconoscimenti che il calciatore ricevette arrivarono da ogni dove: dai giornali austriaci, dalle testate internazionali e dagli attenti osservatori che si ritrovavano nelle coffee house per discorrere di pallone. Intellettuali come Fredrich Torberg e Alfred Polgar avrebbero sprecato paragoni con campioni del passato ed interpreti di altre discipline per decantarne le gesta.
Le mezze verità
Conosciamo Matthias Sindelar come il volto più rappresentativo del Wunderteam, ovvero la nazionale austriaca degli anni ’30 che a partire da una vittoria netta contro la nazionale scozzese venne ribattezzata ‘La Squadra delle Meraviglie’. Era in corso la seconda edizione della Coppa Internazionale e a partire da quel momento Cartavelina – questo il soprannome con il quale sarebbe passato alla storia – sarebbe comparso regolarmente nell’undici titolare della propria nazionale, avrebbe segnato in ogni singola occasione e condotto i suoi alla vittoria dell’agognato trofeo, che vuoi per la concorrenza dell’Italia o per le vicissitudini storiche che si abbatteranno sul mondo pochi anni più tardi risulterà essere l’unico titolo vinto dagli austriaci.
Ciò che invece è stato meno discusso è l’impatto che Sindelar ha avuto con i Die Veilchen, ovvero i Violetti, soprannome dato all”Austria Vienna in virtù della sua divisa da gioco. Il campionato austriaco, che in concreto era un campionato al 100% viennese, aveva una peculiarità rispetto a quello ungherese ma soprattutto a quello cecoslovacco: era conteso da 4-5 squadre tutte con ottime carte in regola di far loro il titolo. Sindelar approda all’Austria – Austria e Rapid, tutt’ora, a Vienna stanno per Austria Vienna e Rapid Vienna – l’anno in cui i Violetti vincono il loro primo campionato al quale seguirà una seconda vittoria due anni dopo. Cartavelina, però, non è protagonista in nessuna delle due vittorie essendo chiuso da altre stelle, prime tra tutte gli ungheresi Alfred Schaffer e Kalman Konrad. Tuttavia l’anno del secondo scudetto il giocatore da un importante contributo in Coppa d’Austria, mettendo a segno quattro reti. Seguiranno anni nei quali l’Austria Vienna non sarà la formazione di punta della capitale ma, grazie ai suoi successi nella Coppa d’Austria, staccherà il biglietto per la neonata Coppa Mitropa, la massima vetrina per club europei in quegli anni, una sorta di Coppa Campioni disputata tra le due guerre.
Le gesta di Matthias Sindelar su questo palcoscenico non sono molto note: trattandosi di una passerella che coinvolgeva i club e non le nazionali, probabilmente, le cronache delle Coppa Mitropa, che riguardavano nella maggior parte dei casi formazioni oggi terminate nell’oblio – alcune anche defunte – non ebbero grande risalto. Tuttavia, al tempo, la manifestazione riscuoteva un entusiasmo fuori dal comune, un qualcosa di totalmente nuovo in quegli anni. I principali stadi di Vienna, Budapest, Praga e delle città dell’Italia settentrionale si popolavano quasi sempre nonostante la competizione avesse solitamente luogo nei giorni più caldi d’estate. Ebbene Matthias Sindelar, la cui formazione si classificava anno dopo anno fuori dalle prime posizioni del campionato, trascinò in ben due occasioni i suoi alla vittoria del massimo titolo europeo, nel 1933 – ai danni dell’Ambrosiana di Giuseppe Meazza – e nel 1936, anno nel quale il calciatore, forse, fu meno determinante a livello individuale ma prese per mano e condusse i suoi alla vittoria grazie ad una squadra ricca di talenti emergenti. Un’attenta analisi del calciatore mi ha oltretutto portato ad una considerazione: la miglior edizione della Mitropa Sindelar la disputò nel 1937, nonostante la corsa dei Violetti si interruppe in semifinale. Quell’anno, diversamente da altre edizioni, la manifestazione era iniziata dagli ottavi e Matthias Sindelar aveva segnato tra andata e ritorno in ogni incontro disputato. Nonostante alcuni acciacchi di cui il calciatore era stato vittima negli anni precedenti e una carta d’identità che iniziava a pesare – ora Sindelar era 34enne – le sue prestazioni rimanevano a livelli assolutamente eccellenti. L’Austria sconfisse il due volte campione Bologna prima e l’Ujpest poi, prima di arenarsi contro il Ferencvaros di Gyorgy Sarosi che di lì a poco avrebbe alzato la Coppa. Il giocatore non sembrava dare segnali di cedimento ma non avrebbe avuto altre occasioni di imporsi a livello internazionale, né con il proprio club, né con la propria nazionale: nel marzo dell’anno successivo l’Austria fu annessa alla Germania ed il calcio austriaco, di fatto, venne spazzato via: si trasformò in una sorta di torneo regionale amatoriale il cui vincitore avrebbe preso parte al campionato del Reich. Da questo momento in avanti, inizia una storia nella storia, quella che vorrebbe Matthias Sindelar come uno dei principali simboli di resistenza di un’Austria che ora, come nazione, ha cessato di esistere.
Possiamo esordire dicendo che certamente Matthias Sindelar non era un nazista. Come osservato in precedenza rifiutò sempre la convocazione del ct tedesco e privatamente si sussurrava che nutrisse inclinazioni socialdemocratiche. Tuttavia va ricordato che con l’avvento dell’Anschluss, che tra le altre cose segnava il ritorno al calcio amatoriale, Sindelar acquistò l’Annahof, una caffetteria arianizzata a spese di Leopold Drill, un cittadino ebreo di lì a poco deportato a Theresienstadt obbligato a cedere il locale ad una cifra irrisoria. E quando la caffetteria fu inaugurata, diversi rappresentanti del partito nazionalsocialista vennero invitati. Sembra che Matthias Sindelar, che al contrario di alcuni suoi compagni non aveva mai esternato simpatie verso il regime di Adolf Hitler, subito dopo l’invasione tedesca avesse deciso di far buon viso a cattivo gioco ed adattarsi alla situazione. Tra le varie firme che comparvero il giorno del referendum su un giornale locale a supporto del SI, c’era anche la sua. Capiamoci: ribellarsi al regime di Adolf Hitler non era facile per nessuno, tanto meno per un volto celebre come quello di Cartavelina. Ad ogni modo sembrerebbe che il calciatore, contrariamente ad esempio al tecnico della nazionale tedesca Herberger, non abbia mai avuto la tessera del partito e sicuramente anni dopo la sua morte l’Annahof – che mesi dopo la sua apertura era stato rinominato Cafe Sindelar – venne arianizzato e le sorelle espropriate della gestione. La motivazione data era chiara: la poca collaborazione dell’ex giocatore nel sostenere la causa nazionalsocialista e le sue simpatie ebraiche. E’ noto, difatti, che Sindelar, cresciuto in una formazione per molti rappresentatrice della borghesia ebraica cittadina, fosse molto legato al presidente Emanuel Schwarz, e che il giorno che quest’ultimo dovette lasciare il proprio incarico Sindelar gli scrisse una bellissima lettera per salutarlo.
Le bugie
Sindelar era fidanzato con Camilla Castagnola. Eccetto il nome, della Castagnola non si sa molto. Per anni si è creduto che la Castagnola fosse un’infermiera ebrea italiana che il calciatore aveva conosciuto nel 1934 durante la Coppa del Mondo. In realtà la Castagnola era viennese, nata nella capitale austriaca con il nome di Camilla Durspect e solo anni dopo aveva acquisito il cognome Castagnola in seguito al suo matrimonio con un immigrato italiano. In più, non era ebrea come si è spesso detto e i due si erano conosciuto verso la fine del 1938, più o meno in concomitanza con l’ultima partita di Sindelar con la maglia dell’Austria Vienna. In quel periodo la Castagnola gestiva un ristorante.
Si è detto molto anche circa il famoso Anschlussspiel, la partita della connessione. Secondo svariate fonti Sindelar si sarebbe rifiutato di esibire il saluto nazista prima dell’inizio della gara il che gli avrebbe procurato dei guai nei mesi a venire. Ma non vi sono riscontri né testimonianze a riguardo, anzi, il giocatore fu intervistato dopo la partita e le sue dichiarazioni furono tutto sommato distese, e nessun giornale segnalò comportamenti inattesi o rivoltosi da parte di nessuno dei ventidue in campo. Sindelar giocò nel complesso una buona partita, sbagliò alcune occasioni ma poi mise a segno la rete del vantaggio dopo un palo colpito da Franz Binder. Il gol fu spesso descritto come una perla dalla lunga distanza ma in realtà, e a testimoniarlo ci sono alcune ricostruzioni del giorno seguente, Sindelar insaccò dall’interno dell’area di rigore. Avrebbe si esultato nei pressi della tribuna dove sedevano alcuni commilitoni nazionalsocialisti, ma lo avrebbe fatto in quanto poco più su assistevano all’incontro pochi e sparuti sostenitori austriaci.
Un altro argomento oggetto di discussione fu la sua morte: Matthias Sindelar e Camilla Castagnola furono trovati morti la mattina del 23 gennaio del 1939. Si fecero – e si continuano a fare – illazioni di ogni tipo: qualcuno parlò di suicidio, qualcuno di un attentato perpetrato o ordinato da membri del partito nazionalsocialista che mesi prima non avevano gradito i comportamenti sul campo dell’attaccante e qualcun altro ancora di morte per cause accidentali. La prima teoria sembra essere smentita da alcuni antefatti: Sindelar, solamente il giorno precedente alla sua morte, aveva firmato un contratto per diventare direttore dei lavori che si sarebbero tenuti presso lo stadio di Vienna. Thomas Kozich, vicesindaco al tempo, lo descriveva come di ottimo umore ed il calciatore stesso si era definito orgoglioso di aver ricevuto tale incarico. Non solo: la notte precedente alla sua morte il giocatore aveva trascorso alcune ore con amici e dirigenti dell’Austria presso il Cafe Weidinger. Si era bevuto e giocato d’azzardo in un clima, come raccontò Egon Ulbrich, ex membro dell’Austria e presente in quell’occasione, assolutamente rilassato e gioviale. Poi Sindelar sarebbe tornato presso il domicilio della Castagnola, sito sulla Annagasse. Anche la pista relativa all’attentato sembrerebbe non reggere: i presunti comportamenti scorretti del giocatore – che, come abbiamo analizzato, erano appunto presunti e nulla più – erano avvenuti mesi prima e l’aver declinato la convocazione ai Mondiali non sembrano ragioni sufficienti a provocare una simile reazione, con il rischio gratuito per i vertici del partito, oltretutto, di inimicarsi l’intera popolazione locale. Rimane in piedi l’ipotesi della morte per cause accidentali, che appare essere decisamente quella più accreditata: tre giorni dopo il ritrovamento dei cadaveri, difatti, fu condotta un’autopsia sui corpi che evidenziò un’intossicazione per inalazione di monossido di carbonio.
Conclusioni
Matthias Sindelar si è affermato come uno tra i più forti calciatori del suo tempo – e, molto probabilmente, come il giocatore austriaco più forte di sempre – tanto con la nazionale come con il suo club, l’Austria Vienna. Nonostante nel 1939, anno in cui morirà, il calciatore era ancora in perfetta forma è difficile pensare che la sua carriera sarebbe andata avanti ancora a lungo. Aveva pur sempre 36 anni ed i problemi al ginocchio erano tutt’altro che risolti, anzi. Tuttavia, e qui, in parte, ci stiamo divertendo a riscrivere la storia, se l’Anschluss non fosse mai intervenuto Matthias Sindelar avrebbe avuto un’altra chance di competere per la Coppa del Mondo, di riscattare la cocente delusione di quattro anni prima patita in Italia. L’Austria si sarebbe presentata ai nastri di partenza con un allenatore diverso – Meisl era morto nel 1937 ed in almeno qualche occasione era sembrato propendere per altri giocatori – che difficilmente avrebbe potuto prescindere da Cartavelina. Così come il giocatore sarebbe stato indispensabile per il tedesco Herberger, lo sarebbe probabilmente anche stato per un tecnico austriaco. L’Austria, una volta ancora, avrebbe potuto contendere la rassegna iridata all’Italia e all’emergente Ungheria di Sarosi. La nazionale biancorossa era stata in grado negli anni di produrre talenti in quantità industriale: solamente in avanti avrebbe potuto contare su Sindelar, appunto, su Josef Bican, il massimo cannoniere della storia del calcio, che il giorno in cui iniziò il Mondiale del 1938 sarebbe stato ancora in possesso del passaporto austriaco e Franz Binder, altro storico cannoniere del calcio tra le due guerre e stella del Rapid. Senza contare campioni vecchi e nuovi come Zischek, Sesta e Jerusalem.
Una nota a margine la merita un’analisi relativa alla carriera del giocatore, atipica per un talento di quel livello. Sindelar, rispetto alla stragrande maggioranza di atleti del suo calibro, ha avuto un’evoluzione ed una maturazione piuttosto lenta: come abbiamo potuto vedere, il giocatore sboccia definitivamente nel 1931, l’anno della sua consacrazione, all’età di 28 anni. Tra i 28 ed i 35 anni vive gli anni migliori della sua carriera, anni costellati da successi ed elogi di ogni sorta. Ma com’è possibile che un giocatore come Sindelar non sia balzato agli onori delle cronache prima? Meazza e Sarosi, per citare i suoi alter ego più vicini, si sono imposti alle attenzioni del pubblico locale ed internazionale già attorno ai 20 anni. Le spiegazioni possono essere due: una tecnica e l’altra caratteriale. Quella tecnica ci riporta a quanto detto in precedenza, ovvero alla caratteristiche inedite del giocatore. Un centravanti sui generis che di certo non poteva contare su un fisico possente come altri attaccanti della sua generazione. A corroborare questa ipotesi ci sarebbero, ad esempio, le tante esclusioni di Matthias Sindelar in favore di un attaccante come Fritz Gschweidl, un vero e proprio granatiere il cui talento, però, non era paragonabile a quello di Cartavelina. Quella caratteriale invece poggia sul modo di essere del giocatore, da sempre descritto come riservato e taciturno, certamente non amante dei microfoni e dei riflettori. L’unico campionissimo che ci viene in mente con una parabola simile è Zinedine Zidane, la cui notorietà ha avuto decisamente un picco a partire dal 1998, anno nel quale Zidane mette la sua firma sulla vittoria del Mondiale ed entra di diritto nell’Olimpo dei grandi. Prima di quell’exploit, tuttavia, va ricordato come Zidane non fosse considerato una delle stelle più brillanti a livello internazionale: nel 1996 aveva giocato un Europeo deludente e poi, nella stagione 1997-98, pur vincendo uno scudetto con la Juventus, il volto più rappresentativo del club torinese era per molti Alessandro del Piero. In questo Zidane e Sindelar si somigliano: due talenti incredibili che per diverse ragioni sono germogliati con un certo ritardo.