Immagine di copertina: Lampard e Ballack, compagni al Chelsea
La saga delle grandi stagioni quasi dimenticate si arricchisce con 4 campionissimi del Nuovo Millennio, protagonisti di annate pazzesche e mai celebrate a sufficienza dai media. In questo caso, prenderemo in esame una coppia giocatori capaci di nobilitare il ruolo del centrocampista box to box, e due dei centravanti più feroci che il calcio sudamericano abbia mai prodotto, seppur entrambi ben lontani dai propri anni migliori.
Michael Ballack 2001/02 e Frank Lampard 2009/10
Nonostante la sua sfavillante carriera lo abbia reso un vero e proprio volto del calcio tedesco, Michael Ballack non è proprio quello che si potrebbe definire un enfant prodige. Quando debutta nella Nazionale tedesca ha infatti già quasi 23 anni, e ci impiegherà ancora un paio d’anni prima di consacrarsi anche a livello continentale. A farlo sbocciare definitivamente in tutto il proprio splendore è infatti Klaus Toppmöller, divenuto il tecnico del Bayer Leverkusen nell’estate del 2001. Il nuovo allenatore riesce a ricostruire in primis psicologicamente il povero Ballack, che con un autogol all’ultima giornata aveva impedito alle Aspirine di mettere le mani sul primo Meisterschale della propria storia nella stagione precedente.
Sotto la sapiente guida di Toppmöller, Der Kleine Kaiser (“Il piccolo imperatore”) diventa il perno insostituibile di una squadra muscolare ma estremamente votata all’attacco, che ne esalta le doti di incursore. Per la prima volta in carriera, il venticinquenne Ballack inizia a trovare la porta con continuità, e neanche il suo preannunciato trasferimento al Bayern Monaco disturba l’ascesa di un Leverkusen giunto a un passo da uno storico Triplete, poi sfumato crudelmente tappa dopo tappa. Il triste epilogo del celeberrimo Bayer Neverkusen (uno dei soprannomi giornalistici più sadici mai coniati) non toglie però nulla alla grandezza di Ballack, che da centrocampista puro chiude la stagione da capocannoniere dei suoi con ben 23 reti complessive.
Anche nella Mannschaft si erge a grande protagonista, trascinando la Germania ai Mondiali 2002 fin dal playoff autunnale contro l’Ucraina, per poi proseguire l’opera una volta giunto in Giappone e Corea del Sud. Con Kahn tra i pali, e Ballack a fare praticamente tutto il resto (tra cui i gol decisivi ai quarti e in semifinale), i tedeschi si arrendono soltanto nell’ultimo atto nella notte della rinascita di Ronaldo. Una notte a cui Ballack, squalificato per somma di ammonizione, non poté prendere parte.
Le monumentali prestazioni del centrocampista teutonico gli valsero il 5° posto nella classifica del Pallone d’Oro del 2002; 8 anni più tardi, tuttavia, un suo illustre collega, e futuro compagno di squadra al Chelsea, non avrebbe ottenuto lo stesso riconoscimento mediatico, al termine di una stagione altrettanto positiva. La deludente e controversa spedizione dell’Inghilterra ai Mondiali sudafricani è l’unica ragione possibile per l’assenza di Frank Lampard dal novero dei migliori giocatori al mondo nel 2010, l’annata più prolifica di una carriera all’insegna della doppia cifra (traguardo raggiunto per ben 12 stagioni).
A differenza del Ballack 2001/02, alla prima vera stagione ad altissimi livelli, Lampard nel 2009 ha già 31 anni, e viaggia su altezze siderali da almeno mezzo decennio, in cui non sono mancate tuttavia enormi delusioni europee. Il Chelsea è infatti reduce dalla finale di Champions League persa ai rigori contro l’odiato Manchester United nel 2008, seguita da un’eliminazione ancor più bruciante contro il neonato Barcellona di Guardiola nella semifinale dell’anno dopo. La spina dorsale della squadra, che oltre a Lampard è composta da Terry e Drogba, non è più esattamente di primo pelo, e dalle parti di Stamford Bridge in molti temono che i loro anni migliori siano ormai alle spalle.
A ricaricare le batterie dei senatori ci pensa Carlo Ancelotti, arrivato a Londra dopo quasi 8 anni al Milan, e capace di vincere immediatamente il primo Double della storia del Chelsea. Nei trionfi in campionato ed FA Cup dei Blues, Lampard ha un ruolo da primattore: egli non si limita a orchestrare le letali manovre verticali di una squadra da 103 gol in Premier League (record infranto solo dal Manchester City nel 2018), ma si occupa in più occasioni di completare l’opera in prima persona. Super Frankie chiude infatti con 27 gol complessivi l’ultima stagione che lo vede avere medie realizzative da attaccante, prima di arretrare fisiologicamente il proprio raggio d’azione.
Radamel Falcao 2016/17 e Luis Suárez 2020/21
Un’ideale serie televisiva sulla carriera calcistica di Radamel Falcao non potrebbe che aprirsi con un’inquadratura sullo Stade de Gerland di Lione, il pomeriggio del 22 gennaio 2014. Nella gelida cornice di un sedicesimo di finale della Coppa di Francia con appena 8000 spettatori paganti, il destino di uno dei più maestosi centravanti della propria generazione subisce un brusco cambio di direzione. Falcao, punta di diamante del Monaco, viene infatti azzoppato dall’anonimo difensore di un’altrettanto anonima squadra dilettantistica (il Monts d’Or Azergues), che con un intervento senza senso ne provoca la rottura del legamento crociato.
Il calvario dell’attaccante colombiano, costretto tra l’altro a saltare il Mondiale in Brasile (dove era atteso come stella di prima grandezza), si protrae per altri due anni, trascorsi in prestito al Manchester United prima e al Chelsea poi. La condizione fisica però stenta a decollare, i gol non arrivano, e la concorrenza difficile da scalzare fa il resto. Nel 2016 dunque, El Tigre ormai trentenne sembra un innocuo micetto, e fa ritorno al Monaco, intravedendo il tramonto della propria carriera ad alti livelli.
Tuttavia, con l’aiuto di un allenatore preparatissimo come il portoghese Leonardo Jardim, e coadiuvato da una truppa dall’età media di appena 25 anni, Falcao torna inaspettatamente a ruggire, sia in Ligue 1 che in Europa. Il Monaco 2016/17 diventa un gioiellino ammirato in tutto il continente per il proprio gioco ultra-diretto ed estremamente produttivo, con futuri campioni come Fabinho, Bernardo Silva e soprattutto un Kylian Mbappé ancora adolescente ad interpretare lo spartito alla perfezione.
In questo contesto, anche un Falcao ridimensionato riesce ugualmente a fare la differenza; il fenomeno di Santa Marta non è più l’immarcabile belva dei tempi di Porto e Atletico Madrid, ma pur avendo perso mobilità, l’istinto predatorio negli ultimi 16 metri è rimasto abbondantemente intatto. A testimoniarlo, ecco 30 gol stagionali, efficacemente divisi tra campionato (21, fondamentali per guidare il Monaco a un titolo mai così meritato), e Champions League (7, con cui affonda squadre come Manchester City e Borussia Dortmund, lungo la strada di un’impronosticabile semifinale europea).
Il miglior Falcao rimane tuttavia quello ammirato a Madrid tra il 2011 e il 2013, in cui divenne uno dei tanti sudamericani ad aver nobilitato l’attacco dei Colchoneros negli ultimi 20 anni: Forlán, Agüero, per l’appunto Falcao, Diego Costa (naturalizzato spagnolo, ma brasiliano di costituzione), fino ad arrivare a Luis Suárez. Se quella di Radamel è una storia di resurrezione, quella consumata dal Pistolero nel 2020/21 è invece una vera e propria vendetta.
Neanche un curriculum da quasi 500 reti in carriera riesce infatti a convincere il neoallenatore del Barcellona, Ronald Koeman, a puntare su Suárez, scaricato alquanto sbrigativamente dai blaugrana nell’estate del 2020. Ben altri progetti ha il Cholo Simeone, che arruola il trentatreenne uruguaiano a prezzo di saldo, e lo tira a lucido in vista di un campionato che, con un Barça versione-polveriera, e un Real Madrid meno scintillante del solito, sembra più che mai a portata di mano.
Il Pistolero, dal canto suo, ci mette ben poco a mostrare a tutti di avere ancora diverse cartucce da sparare, seppur ridotte in pillole di spietata essenzialità; Suárez infatti, non regala più così tanti colpi a effetto come negli anni di semi-onnipotenza trascorsi tra Liverpool e Barcellona, centellinandoli e ricorrendovi soltanto nei momenti di maggior bisogno. La mentalità vincente di Lucho è inoltre fondamentale in uno spogliatoio ormai orfano dei propri leader storici (Gabi, Godín, Juanfran), protagonisti nell’Atletico Madrid di metà anni ’10.
Con un Suárez dichiaratamente in missione per tagliare l’ultimo traguardo della propria eccezionale carriera dunque, l’Atleti si aggiudica la Liga all’ultima giornata. A spostare gli equilibri hanno indubbiamente contribuito i 21 gol del bomber uruguagio, pesanti come macigni per le sorti della banda di Simeone, che nel bel mezzo dei festeggiamenti avrà probabilmente sghignazzato ripensando al regalo fattogli da Koeman e dal Barcellona qualche mese prima.