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Le 10 finali più straordinarie nella storia dei Mondiali

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Si dice che di solito le finali siano tirate e poco spettacolari. Che tendano a regalare poche emozioni, che prevalgano attendismo e paura di perdere, e questo porti le squadre e i protagonisti in campo siano spesso bloccati. Ma è forse più un luogo comune. Perché abbiamo già visto in un altro articolo quanto le finali di Coppa Campioni-Champions League possano essere avvincenti e cariche di adrenalina, pathos, intensità, grandi giocate. E lo stesso si può dire per l’ultimo atto della competizione regina del calcio, i Mondiali.
Abbiamo qui voluto mettere in fila le 10 finali più straordinarie della Coppa del mondo. Premettendo che è un gioco, come tutte le classifiche, i parametri presi in considerazione sono stati diversi: qualità del gioco e dei giocatori, adrenalina ed emozioni suscitate, intensità agonistica e impatto storico, andamento dell’incontro ed equilibrio tra le due contendenti.
Ecco la nostra top ten.

10) 1986: Argentina-Germania Ovest 3-2

Il 3-2 d Burruchaga

Nell’edizione passata alla storia per le straordinarie prestazioni di Diego Armando Maradona che trascinano la Selección alla vittoria del secondo mondiale della sua storia, un posto di rilievo non può che averlo la finale. I sudamericani giocano meglio, nonostante la preparazione maniacale della Germania Ovest, che decide di mettere Matthäus in marcatura su Maradona in modo tale da contenere le sue fiammate di genio e onnipotenza. Brown di testa e Valdano di piatto destro sembrano chiudere i conti, ma i tedeschi ritornano in partita con due gol di opportunismo e rapina di Kalle Rummenigge e Vöeller. Sarà ancora una volta il Diez a trovare il bandolo della matassa: un suo filtrante a centrocampo spalanca a Burruchaga l’autostrada della gloria, il numero 7 dopo uno scatto non sbaglia il diagonale davanti a Schumacher.

9) 1970: Brasile-Italia 4-1

Jairzinho esulta dopo la rete del 3-1

La finale di Messico 1970 è più a senso unico di molte altre, ma va celebrata per essere l’apoteosi del calcio tecnico, fantasioso e carnevalesco del Brasile. Mentre l’opinione pubblica italiana, come sarà poi da tradizione decenni dopo, si scervella e si arrovella nel dubbio se fosse meglio schierare titolare Sandro Mazzola, più atletico ed utile alla difesa, oppure Gianni Rivera, più bravo nell’impostazione e nella costruzione, Zagallo non esita a mettere ben cinque giocatori di fantasia e dai piedi fatati – Jairzinho, Gérson, Pelé, Rivelino, Tostão – più Clodoaldo dietro. Per usare le parole della sublime penna Gianni Brera, la nazionale azzurra «valorosa ma anche mediocre» dura un tempo, prima dei cadere sotto i colpi dei brasiliani «palleggiatori sicuri, a volte anche deliziosi». L’ascesa al cielo del dio Pelé, che sovrasta Burgnich in elevazione, è solo la prima fotografia di una serie di gemme, che vanno dalla prodezza balistica di Gérson, fino alla fucilata di Carlos Alberto, su assist a occhi chiusi di Pelé, dopo un’azione partita dallo straordinario “gioco delle ombre” di Clodoaldo, che tra finte e dribbling elude ben quattro azzurri, senza dimenticare la rete di Jairzinho in inserimento su dettatura di O Rei. Il gol di Boninsegna, tutto rapidità ed opportunismo, salva l’onore di un’Italia partecipante a una partita quasi senza storia, assuefatta dall’eroica Italia-Germania Ovest 4-3, che corona un torneo partito senza troppe aspettative. Se l’altura fiacca le prestazioni fisiche ed atletiche, i brasiliani trovano la soluzione all’enigma facendo correre in primis il pallone.

8) 1938: Italia-Ungheria 4-2

Piola in spaccata

L’Italia dell’Alpino Vittorio Pozzo bissa il titolo mondiale conquistato nel mondiale casalingo quattro anni prima e si conferma sul tetto del mondo. L’anima italiana, improntata al pragmatismo e alla solidità tanto da essere la migliore difesa del torneo, sovrasta lo stile ungherese, votato all’eleganza ed al vezzo ma ugualmente efficace (miglior attacco del torneo). Meazza e Ferrari incantano con una maestosa regia e padronanza dei tempi di gioco, Colaussi e Piola siglano una doppietta a testa, rendendo inutili i gol di Titkos e Sárosi. Nonostante l’ostilità politica del pubblico francese per l’Italia e per il fascismo, a Meazza che alza al cielo la coppa Rimet viene tributato un lungo e meritato applauso.

7) 1974: Germania Ovest-Olanda 2-1

La finale mondiale dell’Olympiastadion di Monaco di Baviera rappresenta il meglio che il calcio europeo può offrire in quegli anni: l’anima profondamente bavarese della Germania Ovest, rappresentata da un maestoso Franz Beckenbauer e dal cecchino Gerd Müller, che con il Bayern avevano appena cominciato il loro dominio continentale affronta l’Arancia Meccanica, rappresentazione “nazionale” e apoteosi di quei principi di gioco rivoluzionari che permettono all’Ajax di dominare l’Europa fino all’anno prima. Come abilmente narrato dalla penna del nostro Giuseppe Raspanti qui, è una partita che per certi versi aveva persino risvolti politico-ideologici, un urto tra due mondi: la fierezza quasi aristocratico-borghese e conservatrice teutonica contro l’ “eversione sessantottina” olandese, che ribalta l’idea di ruoli fissi e gerarchie. La partita vive all’insegna di un grande equilibrio tra due squadre con valori più o meno equivalenti: l’assolo iniziale di Johann Cruijff – forse l’unico della partita, Vogts gli prese le misure – e il rigore trasformato da Neeskens sembrano preludere a una marcia trionfale, ma i teutonici rispondono con il rigore del maoista Breitner. La manovra Orange è meno avvolgente rispetto alle partite precedenti e la Germania Ovest trova il vantaggio con una grandissima girata di Gerd Müller pochi minuti prima dell’intervallo. Il forcing olandese nella ripresa non è incisivo come dovrebbe, la Germania Ovest rimane in vantaggio fino alla fine. Dopo il trionfale Europeo del 1972, la Germania Ovest alza la sua seconda coppa del mondo.

6) 1966: Inghilterra-Germania Ovest 4-2 dts

Il gol discusso di Hurst del 2-1

Il gol-non gol (era gol…) di Hurst. Ma non solo. Inghilterra-Germania Ovest è una finale grandiosa, emozionante, giocata a viso aperto. E l’Inghilterra merita di vincere sul campo, al di là dell’episodio controverso, per la mole di gioco e di occasioni prodotte. Più che le due stelle Charlton e il giovanissimo Beckenbauer, autori di una ottima partita ma senza squilli particolari, a recitare la parte del leone sono altri giocatori. Su tutti, nelle file inglesi, l’ala destra Alan Ball, come prestazione in sé il migliore in campo, una miccia costantemente accesa lungo l’out; il poderoso centravanti Hurst, tre gol segnati pesanti come macigni, e il favoloso libero e capitano Bobby Moore, che oltre a salvare un’azione temibilissima in uno contro uno contro Emmerich, timbra due assist al bacio. La Germania Ovest prova a scappare via con Haller, ma viene ripresa e recuperata. All’ultimo minuto il pareggio di Weber che protrae la sfida ai supplementari. Dove gli inglesi si dimostrano più tosti, decisi e desiderosi di vincere.

5) 1958: Svezia-Brasile 2-5

La meravigliosa perla del 17enne Pelé, il gol più bello in una finale mondiale

Sulla carta, due grandi squadre e una finale potenzialmente equilibrata. Perché la Svezia può schierare elementi di classe internazionale come il veterano Gren, l’immarcescibile Liedholm, il furetto Hamrin, il genio Skoglund, un terminale più che affidabile come Simonsson. Ma il Brasile, dopo aver demolito la Francia in semifinale, si ripete con identico punteggio: 5-2. Quasi un solletico l’1-0 di Liedholm, perché poi i verdeoro dominano. Con un Garrincha sontuoso all’ala, il chirurgico Vavá, il tuttofare Zagallo, l’onnipresente Didi. E soprattutto con O Rei Pelé, autore di due gol e giocate meravigliose: la prima rete, quella del 3-1, è ancora oggi la più bella mai segnata in una finale di Coppa del mondo, pallonetto a un difensore in area e folgore all’angolo senza che la palla tocchi terra. Una perla che apre il regno di un calciatore magnifico, bellissimo, eterno. Quella vittoria, nel segno dei giocatori neri e mulatti, rappresenta anche il riscatto sociale di una nazione per tanto tempo costretta a ingoiare la polvere e incapace di trovare un’identità e uno spirito unitari.

4) 1930: Uruguay-Argentina 4-2

Il definitivo 4-2 di Castro

È la prima finale e – da quanto si legge, poiché la partita non è visionabile – è anche una delle più avvincenti. Lo riportano le cronache del tempo, in Italia soprattutto quella di Ivo Fiorentini, corrispondente da Montevideo del Littoriale, giornale antesignano del Corriere dello Sport. Si sfidano quelle che sono davvero le due migliori nazionali al mondo senza discussioni. È un match di grande tensione, tanto che l’arbitro dell’incontro – il belga Johan Langenus – pretende un’assicurazione sulla vita e un piroscafo pronto a prelevarlo subito al termine del match. Sulle tribune del Centenario si calcola ci siano quasi 100mila persone, ma moltissime altre sono accalcate fuori dallo stadio cercando di capire l’andamento del match dagli altoparlanti. L’Uruguay padrone di casa due anni prima si era laureato campione olimpico dopo aver sconfitto in finale proprio l’Argentina grazie a un gol splendido del Mago Scarone. Ma al Mondiale pare un po’ calante, mentre l’Argentina è più matura e forte rispetto ad Amsterdam 1928. L’equilibrio della vigilia è confermato in campo: gli argentini chiudono il primo tempo avanti 2-1, poi la Celeste rimonta imponendosi 4-2 dopo alcune giocate straordinarie, come l’assist in rovesciata di Scarone per Cea in occasione del 3-2. L’ultima rete viene realizzata dal Divino Monco Héctor Castro, che a 13 anni aveva perso una mano schiacciata in una fresa. Dopo aver elogiato l’andamento del match, definito in più punti «equilibrato» e con «azioni rapidissime» Fiorentini conclude il suo articolo così: «I vincitori sono gli uruguayani già due volte campioni olimpici, i vinti sono gli argentini, loro eterni rivali, ed egualmente degni di fregiarsi dell’ambito trofeo».

3) 1954: Germania Ovest-Ungheria 3-2

Il favoloso Turek contro l’Ungheria

La più finale più incredibile, quella dall’esito più inatteso. La Grande Ungheria, imbattuta da oltre 4 anni, grande favorita della competizione, si schianta più contro i suoi demeriti che contro la reale forza della Germania Ovest. Che è una nazionale più che valida (e d’altra parte una squadra scarsa non può vincere un Mondiale), ma non è minimamente paragonabile all’Aranycsapat, la squadra d’oro che era stata in grado di vincere le Olimpiadi del 1952 e di impartire una doppia solenne lezioni ai presunti maestri inglesi, dando il là al calcio moderno. Al Mondiale svizzero l’Ungheria, dopo aver triturato proprio i tedeschi occidentali nel girone, elimina dopo severe battaglie Brasile e Uruguay. Arriva all’ultimo atto un po’ scarica e con la stella Puskás al rientro dopo l’infortunio subito nel match con la Germania Ovest. Pur non al meglio il Colonnello disputa una grande partita. L’Ungheria sale sul 2-0 dopo pochi minuti, ma non riesce a fare il vuoto. La Germania Ovest, su un campo reso viscido dalla pioggia, resiste. Rimonta fino al 2-2, si affida alla vena straordinaria del portiere Toni Turek, che si era salvato per miracolo al fronte russo durante la Seconda guerra mondiale e che quel giorno para di tutto (il radiocronista tedesco Zimmermann lo definisce «un dio del gioco del calcio») e a sei minuti dal termine Rahn confeziona l’incredibile sorpasso. Sempre Zimmermann alla radio di Stato al termine della finale commenta: «Signori, benché vi sembri incredibile, la Germania è campione del mondo».

2) 1950: Brasile-Uruguay 1-2

Il gol decisivo di Ghiggia

La finale più famosa e iconica… non è nemmeno una finale. Perché quello che è passato alla storia come Maracanaço, l’incredibile sconfitta del Brasile padrone di casa a un passo dalla consacrazione iridata contro l’Uruguay di Varela e Schiaffino, è in realtà l’ultimo incontro di un girone conclusivo a quattro squadre. Che il destino ha voluto trasformare nell’incontro decisivo per l’assegnazione del titolo. Il Brasile ci arriva forte di due vittorie contro Spagna e Svezia, mentre l’Uruguay aveva pareggiato con gli spagnoli e sconfitto a fatica gli svedesi. Ai brasiliani basta un pareggio per laurearsi campioni. Ma è contemplata solo la vittoria, anzi il trionfo, per celebrare degnamente la costruzione di un impianto da 200mila posti a cui aveva contribuito un’intera comunità. La folla spinge il Brasile, desideroso di dare spettacolo, all’1-0, segnato da Friaça all’inizio della ripresa. La squadra di casa, pur in vantaggio, continua a pigiare il piede sull’acceleratore, convinta di divorare gli avversari. Ma si espone al fatale contropiede uruguagio, abilmente orchestrato dal condottiero Varela, leader carismatico della Celeste. Schiaffino pareggia con un destro in corsa e a una decina di minuti dal termine accade l’imponderabile: l’ala destra Ghiggia si invola sulla fascia e scocca un tiro beffardo che si infila tra il portiere Barbosa e il palo. Il Brasile, attonito, non sa più riemergere e l’Uruguay festeggia il secondo titolo mondiale dopo quello del 1930. La sconfitta diventa lutto nazionale, riapre ferite sepolte e spinge i brasiliani sul baratro: ne sarebbero usciti con fatica solo otto anni più tardi, nei Mondiali di Svezia.

1) 2022: Argentina-Francia 7-5 dcr

Tutti i tocchi di Messi, migliore in campo

Il primo posto del podio non può che andare alla finale di Qatar 2022. Già le premesse hanno il sentore di un qualcosa di storico e difficilmente ripetibile: una squadra a un passo da uno storico bis mondiale – un unicum nel dopoguerra – l’altra che cerca una gioia lontana 36 anni, il migliore giocatore di questa epoca che si gioca la sua ultima carta contro colui che probabilmente prenderà il suo posto sul trono del Numero Uno in circolazione. La partita è un romanzo infinito, una matrioska che contiene ne contiene altre, con cambi di scenario e ribaltamenti di prospettiva che quasi stordiscono il pubblico. Per la prima ora è un monologo argentino, che con il suo calcio di garra sudamericana condito da scambi, palleggi e verticalizzazioni da tecnica latina legittima un 2-0 che sta pure stretto. La sostituzione di un celestiale Ángel Di María con Acuña è il preludio ad un abbassamento di giri del motore, che fa scatenare l’uragano Kylian Mbappé: freddissimo sul rigore che accorcia le distanze, letale pochi minuti dopo sul destro al volo che trafigge Emiliano Martinez e condanna al purgatorio il popolo biancoceleste, poco prima della fine dei tempi regolamentari. Lionel Messi suggella la sua partita infinita con il tapin del 3-2, Mbappé è nuovamente glaciale dal dischetto e dà l’impressione di poterla vincere da solo con un’accelerazione delle sue. Lautaro Martinez spreca diverse occasioni, Dibu invece ferma Rabiot e salva allo scadere su Kolo Muani. Ai rigori, la buona sorte premia la Selección, che sfata una lunghissima maledizione e ritorna sul tetto del mondo.

Articolo a firma di NICCOLÒ MELLO e TOMMASO CIUTI

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