Secondo autorevoli correnti di pensiero è stato il miglior giocatore italiano dell’epoca televisiva. Ma Gianni Rivera è stato un giocatore cha ha diviso, prima ancora di unire, l’opinione pubblica italiana. Non sono pochi quelli che da noi lo ritengono, parafrasando il giornalista Gianni Brera (suo accanito critico, che lo soprannominò Abatino) «un grande giocatore a metà» e gli rimproverano scarso vigore atletico e poca propensione al sacrificio tattico. Probabilmente però solo in un Paese come il nostro, da sempre figlio dei campanilismi eccessivi, si può arrivare a criticare un fuoriclasse del genere.
Perché Gianni Rivera, nato ad Alessandria il 18 agosto 1943, è stato il numero 10 attorno al quale è stata ricostruita l’Italia calcistica del riscatto dopo la tragedia di Superga. Quando ha mosso i primi passi in serie A, 15enne baciato da un talento e una grazia calcistica con pochi epigoni, in lontananza era possibile udire ancora l’eco dello schianto dell’aereo che falciò il Grande Torino, simbolo di rinascita dagli orrori della guerra.
Gli anni ’50 – tra naturalizzazioni di oriundi che non diedero gli effetti sperati (nonostante tra loro ci fossero fior di campioni, da Schiaffino a Sívori, da Montuori a Maschio) e cocenti delusioni mondiali (eliminati dalla Svizzera al primo turno nel 1954; nemmeno qualificati nel 1958) – sono stati sicuramente tra i punti più bassi nella storia del movimento azzurro. Fu solo tra la fine del decennio e l’inizio del successivo che si affacciò una nuova nidiata di giovani assi: i portieri Enrico Albertosi e Dino Zoff; i difensori Tarcisio Burgnich, Armando Picchi, Giacinto Facchetti, Cesare Maldini, Roberto Rosato, Pierluigi Cera, Sandro Salvadore; i centrocampisti Giancarlo De Sisti, Antonio Juliano e Giacomo Bulgarelli; le ali Angelo Domenghini e Gigi Meroni; gli attaccanti Alessandro Mazzola, Gigi RIva, Roberto Boninsegna, Pierino Prati. Su tutti loro, si stagliava la luce abbagliante di Rivera, anche se non sempre fu capito, compreso e apprezzato nel modo dovuto. Fosse nato fuori dai confini italiani, chissà…
Aveva esordito bimbetto nell’Alessandria, passò al Milan non ancora maggiorenne e sotto la guida del maestro e mentore Nereo Rocco, che per lui aveva una vera venerazione, divenne in breve una stella del firmamento nazionale e internazionale. La sua illuminata regia, i suoi assist deliziosi, i suoi lanci a lunga gittata – strumenti indispensabili per aprire il gioco ed esaltare le fondamentali ripartenze del Catenaccio in salsa italiana – furono la base su cui il Milan costruì la vittoria dello scudetto 1962. Rivera aveva appena 19 anni, ma era già il perno fisso della squadra – come testimoniano anche i 10 gol realizzati – e l’anno seguente mise lo zampino in entrambe le reti di José Altafini che diedero ai rossoneri la prima Coppa dei Campioni della loro storia e di una squadra italiana (vedi qui il resoconto).
Il secondo posto al Pallone d’oro, alle spalle del russo Lev Jašin, segnò la sua consacrazione. Negli anni seguenti Rivera continuò a irradiare la scena e nella “Milano da bere“, paradigma dell’Italia del boom economico, emersero le rivalità a distanza con gli emblemi dell’altra formidabile formazione cittadina: la Grande Inter. Rocco contro Herrera, due modi diversi di intendere e apprendere il Catenaccio; e poi sul campo Rivera contro Suárez, e ancora più Rivera contro Sandrino Mazzola, di un anno più vecchio, centravanti da giovane e mezzala negli anni della maturità. Rivera e Mazzola divennero due simboli, e in nazionale non ci fu mai modo di farli coesistere.
Secondo Brera, erano entrambi «due grandi mezzi giocatori», perché le qualità e i limiti dell’uno finivano dove incominciavano i limiti e le qualità dell’altro: più aggraziato nel tocco e bravo a servire gli attaccanti, Rivera; più propenso alla copertura e portato alle doti podistiche, Mazzola. Nacque la staffetta, che il ct Valcareggi nel Mondiale 1970 ufficializzò dopo i quarti di finale contro il Messico (qui il resoconto): un tempo a testa. Nell’occasione Rivera si rivelò più decisivo (e non di poco): entrò sul punteggio di 1-1 e in coppia con Gigi Riva spinse l’Italia al 4-1 finale; nella mitica semifinale con la Germania Ovest (leggi qui) fu l’uomo in più dei tempi supplementari: assist a Burgnich per il 2-2; avviò l’azione di RIva del 3-2; segnò il definitivo 4-3. Rimasero inspiegabili quei 6 miseri minuti concessi nella finale contro il Brasile (leggi qui), anche se chi scrive pensa sarebbe cambiato poco, perché con o senza Rivera, i verdeoro erano semplicemente di un’altra dimensione.
Restò però un amaro dato di fatto: solo in Italia si poteva mettere in discussione ed escludere dai titolari della nazionale il Pallone d’Oro europeo in carica. Colui che due anni prima aveva guidato il Milan alla storica accoppiata campionato-Coppa delle Coppe (e dopo aver eliminato squadre importanti, dal Bayern di Franz Beckenbauer in semifinale – in una sfida diretta tra Gianni e il Kaiser di alto livello – all’Amburgo del bomber Uwe Seeler in finale). E che l’anno precedente era salito di un ulteriore gradino, consegnando ai rossoneri la seconda Coppa dei Campioni, al termine di una meravigliosa finale contro l’Ajax dell’astro nascente Johan Cruijff. Partita dove Rivera dipinse calcio (leggi qui) in un tridente da sogno con Prati e l’italo-brasiliano Sormani. Partita che fu determinante per assegnargli, appunto, il Pallone d’Oro, primo italiano a vincerlo.
Spesso decisivo nei momenti importanti, Rivera allungò il suo palmares con la conquista della Coppa Intercontinentale, dove il suo Milan sbriciolò il calcio aggressivo e intimidatorio dell’Estudiantes (leggi qui e qui) tre volte campione Libertadores. E anche in quel caso il suo contributo fu determinante, come lo fu nella Coppa delle Coppe 1973, 1-0 al Leeds. Un’altra stagione sontuosa del numero 10 milanista, arricchita dal suo unico titolo di capo-cannoniere della serie A, con 17 gol, un inedito per lui che preferiva tendenzialmente l’assist alla gioia della marcatura personale. Lo scudetto, il terzo della sua carriera, gli sfuggì all’ultima giornata, complice la fatal-Verona con il Milan sconfitto inopinatamente 5-3 quando il traguardo era in vista. Ma Rivera non si scompose e contribuì ancora da par suo al tricolore del 1979, il decimo nella storia del club, quello della prima stella, in quella che a 36 anni fu la sua ultima stagione da professionista.
In nazionale vinse l’Europeo 1968, giocando da titolare la semifinale contro l’URSS vinta dopo il lancio della monetina e assistendo da spettatore alle due finali contro la Jugoslavia. Il feeling con la maglia azzurra non sbocciò mai del tutto, e non poche furono le delusioni, con le precoci eliminazioni dei Mondiali 1962, 1966 e 1974 a farla da padrone. Eppure, ad esempio, nel 1966, anno dell’incredibile uscita nel girone contro i carneadi della Corea del Nord (leggi qui il resoconto), Rivera fu uno dei pochi della spedizione italiana a salvarsi. Lui, Bulgarelli e pochi altri.
Amato e detestato, divisivo come poi sarebbe successo una ventina di anni più tardi all’unico altro giocatore italiano capace di pareggiarne la bravura e la fama in epoca televisiva (il Divin Codino Roberto Baggio), mai banale nelle dichiarazioni e mai incline ai compromessi – né durante la sua carriera, quando si interrogava sul sistema-calcio nel suo complesso, né dopo, con l’ingresso in politica nelle file della DC, area di centro-sinistra – Rivera ha segnato uno spartiacque nel calcio italiano. È stato il calciatore simbolo dell’epoca del boom, unendo di fatto due decenni, e regalando perle sul campo che chi le ha viste difficilmente le dimenticherà. E anche le nuove generazioni, che pure non lo hanno ammirato dal vivo ma possono rivederlo grazie ai moderni mezzi messi a disposizione dalla tecnologia (di Rivera sono disponibili in rete numerose partite; vedere qui per un resoconto), sanno chi è stato e cosa ha rappresentato: un genio della pelota che solo in un Paese come l’Italia è stato messo così tanto in discussione.
CHI È GIANNI RIVERA Nato il 18 agosto 1943 ad Alessandria |
CARRIERA NEI CLUB Squadre di appartenenza Alessandria (1958-1960), Milan (1960-1979) Presenze e reti 684 presenze, 170 gol Trofei vinti 3 campionati italiani, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Pallone d’Oro |
CARRIERA IN NAZIONALE Presenze e reti 60 presenze, 14 gol Trofei vinti 1 Campionato Europeo |