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Le 5 migliori squadre europee anno per anno dal 1955 al 1960

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Inauguriamo oggi una nuova rubrica, confidando possa incontrare l’interesse dei nostri lettori, una rubrica in cui cercheremo di esplorare la storia del calcio europeo selezionando per ogni stagione le cinque squadre migliori – o le cinque squadre capaci, in ogni caso, di lasciare un segno più profondo, visto che non è sempre agevole stabilire quale sia la squadra “migliore”, anche nel calcio di oggi, figuriamoci in quello molto meno globalizzato di alcuni decenni or sono.

Siamo consapevoli della natura discrezionale delle nostre scelte e precisiamo quindi che la rubrica non ha alcuna pretesa di verità oggettiva – del resto, chi potrebbe averne? – e ha più che altro lo scopo di stimolare un dibattito, di ricordare ai lettori (e a monte a noi stessi) di formazioni che con il tempo hanno abbandonato il proscenio e sono diventate delle sparring partner nel panorama europeo, ma che nei loro anni migliori hanno saputo diventare protagoniste (qualche nome? Anderlecht, Dinamo Kiev, Leeds United, o magari anche il Parma o il Nottingham Forest).

Vogliamo evitare di mettere troppa carne al fuoco e quindi ragioniamo in quinquenni, il primo dei quali coincide – per comodità nostra, fornendo le coppe europee un elemento di giudizio imprescindibile – con gli anni d’oro del Grande Real, la squadra che domina la seconda metà degli anni ’50 e che si dimostra subito a proprio agio, come nessun’altra, quando si tratta di competere per la Coppa dalle grandi orecchie.

1955-1956

Chi altro poteva prendersi la corona? Il Real Madrid inizia ad associare l’aggettivo Grande al proprio nome al termine della stagione 1955/1956, la stagione che segna un punto di non ritorno nell’evoluzione football del Vecchio Continente, perché si chiude con l’assegnazione della prima Coppa dei Campioni, coppa ideata da Gabriel Hanot e che come sappiamo si svolge nel rispetto di una formula molto diversa da quella attuale, perché vi partecipano solo le squadre che hanno vinto il titolo nazionale, e il torneo prevede solo la fase a eliminazione diretta, con tutto il suo fascino crudele e spietato. Il Real Madrid ha messo sotto contratto il giocatore destinato a ridefinirne il genoma (Don Alfredo Di Stéfano) nel 1953 e ha avviato così la propria inarrestabile ascesa verso il vertice del calcio mondiale. Nella Liga, il Real soffre qualche scivolone di troppo e chiude al terzo posto, ma l’Europa è già il suo giardino di casa: eliminati non senza qualche patema Partizan di Belgrado e Milan (un’altra squadra che in Europa sente subito aria di casa), i Blancos in finale, al termine di una partita che verrà tramandata ai posteri come bellissima, hanno ragione dei francesi dello Stade de Reims con un 4-3 pirotecnico.

La squadra francese, guidata dal Napoleone del calcio Raymond Kopa, si accomoda nella nostra cinquina: in campionato molla le redini presto, finendo lontana dal vertice, e concentra le energie in coppa, riuscendo a superare di slancio tutti gli avversari fino alla combattuta ed equilibrata finale persa sul filo di lana. Il fuoriclasse Raymond e una serie di comprimari di lusso fanno dello Stade, ancora oggi, una delle poche vere grandissime del calcio transalpino.

La Fiorentina del “giochista” Bernardini, innamorato dei piedi buoni, domina il nostro campionato sulle ali del fuoriclasse Julinho e della miglior difesa d’Europa – Bernardini è in realtà un allenatore molto più prudente di quanto non si sarebbe poi raccontato, tanto che la sua è per distacco la miglior difesa d’Italia e probabilmente del mondo intero. La Viola lascia le briciole alla concorrenza (il Milan, secondo, termina a 12 punti di distacco, che sarebbero stati 23 con le regole attuali) ed esprime forse il calcio più efficace d’Europa.

Se però dovessi votare quella che reputo la seconda squadra d’Europa nel 1955/1956, l’unica in grado di rivaleggiare davvero con il Grande Real sul piano tecnico, opterei per la banda di ragazzini impertinenti di Matt Busby, quella la cui ascesa è destinata a trasformarsi in tragedia nel febbraio del 1958. Il giovanissimo Manchester United porta a casa il quarto titolo inglese e lo fa in grande stile, surclassando gli acerrimi rivali del Woverhampton (che prendono 11 punti di distacco, che oggi sarebbero 16), dominando l’area avversaria con i suoi imberbi campioni (Viollet e Taylor) e la propria metacampo con il colosso Duncan Edwards, l’insuperabile frangiflutti in grado a vent’anni di mettere in soggezione anche i compagni e gli avversari più quotati.

Da ultimo, un nome che sarà difficile rivedere nelle stagioni e decadi successive, ovvero quello del Budapest Honvéd Football Club, che nell’autunno del 1955 è il grande favorito della neonata Coppa dei Campioni: le stelle della Grande Ungheria, uscite malconce da Berna, hanno dominato il campionato nazionale, all’epoca tra più complicati sul piano tecnico, e hanno il mirino puntato sull’Europa Occidentale. La stagione 55/56 invero inizia come era finita quella precedente, con la squadra del colonnello Puskás e degli altri campioni che conferma l’egemonia imposta sul calcio nazionale e che sfida il Bilbao in Europa, subendo una sconfitta inattesa per 3-2, ribaltabile tuttavia nel catino di Budapest. Purtroppo, prima che si possa giocare la gara di ritorno i carrarmati sovietici deviano il corso della storia (quella con la S maiuscola), lasciando sgomenti milioni di fedelissimi del socialismo reale, e la Honvéd si ritrova invischiata in vicende più grandi di lei, che le suggeriscono di disputare la gara di ritorno all’estero, in condizioni anche psicologiche molto difficili. La sfortuna ci mette lo zampino anche in campo (la partita di ritorno si gioca all’Heysel), perché gli ungheresi sono ridotti in dieci in un periodo in cui non esistono i cambi e la gara termina con un rocambolesco 3-3. La superba qualità degli interpreti e la malasorte che ha impedito loro di giocarsi davvero la prima edizione della Coppa mi suggerisce in ogni caso di regalare un posticino al leggendario squadrone ungherese.

1956-1957

Difficile anche in questo caso scegliere qualcun altro: il Real Madrid nel 1956-1957 torna a dettare legge anche in Spagna, superando con margine il Siviglia e un Barcellona tecnicamente superlativo, e in Europa prima dominano il Nizza, quindi superano in quella che molti reputano la finale anticipata i Busby Babies, infine si prendono per la seconda volta il trofeo più prestigioso d’Europa, in casa, al termine di una partita difficile e spigolosa contro la Viola. Al factotum Don Alfredo i Blancos hanno aggiunto il sapiente magistero di Napoleone (Kopa) e la cifra tecnica della squadra è divenuta tale da rendere quasi “ingiocabile” (uso questo brutto neologismo) la squadra.

La Fiorentina si guadagna una seconda menzione nel gotha perché in campionato cede il passo a un Milan più fresco e continuo, concludendo comunque al secondo posto, ma in Europa, contro ogni previsione, visto anche il momento difficile del calcio italiano, raggiunge la finale, che perde tra roventi polemiche contro il più navigato Real. La Fiorentina si affida agli arabeschi di Julinho (“Un’ala piò arrivare a Julinho“) e a una difesa che in Europa non ha paragoni: nell’epoca del Sistema puro e delle goleade, la squadra di Bernardini spesso si impone con uno striminzito 1-0 e impedisce agli altri di sviluppare il loro gioco.

Il Manchester United rimane la squadra che, per valori tecnici, è in grado di dare del tu ai grandi di Spagna: nella First Division gli avversari sono relegati al ruolo di comprimari e in Europa solo i Blancos, al termine di due sfide molto equilibrate, hanno la meglio sui Red Devils. Il futuro sembra dalla loro parte, anche alla luce dell’età media dei giocatori, ma come sappiamo li attende un tragico destino. Alcune prestazioni della stagione 56/57, come l’inverosimile 10-0 rifilato all’Anderlecht in Coppa Campioni, inducono in ogni caso molti giornalisti del tempo a individuare già nella squadra inglese la più bella ed efficace del Vecchio Continente.

Il Milan telecomandato dal genio della semplicità e della lucidità Schiaffino e dal vecchio leone Liedholm, reinventato libero sui generis alla soglia dei quarant’anni, vince di slancio la serie A e merita a mio parere una citazione.

Da ultimo, mi tolgo uno sfizio e spendo due parole per la Dinamo Mosca: lontano dai riflettori dell’Occidente, il campionato dell’URSS è una fucina di talenti e di grandi squadre, il vivaio della nazionale che si prenderà l’Europa giusto tre anni dopo, e la sua squadra leader si affida a tale Lev Jašin in porta e al talento di Aleksej Mamykin in attacco, e lascia le briciole agli agguerriti avversari. Il Ragno Nero, che già aveva sbalordito il mondo alle Olimpiadi del 1956, diventa leggenda e disputa, secondo quanto è possibile ricostruire oggi, una stagione avveniristica, risultando decisivo per il trionfale cammino dei suoi.

1957-1958

Il rischio di risultare monotoni c’è, ma mi risulta difficile evitarlo, se parliamo della seconda metà degli anni ’50: il Real Madrid, nel 1958, è ancora più maturo ed efficace di quello ammirato nelle tre stagioni precedenti: in campionato vince il derby, sulle ali di un Di Stéfano immarcabile anche sotto porta, e in Europa è una macchina da calcio e da gol senza eguali.

Esaltato dal Sistema puro, che trasforma le partite in duelli individuali, il Real demolisce tutti gli avversari sino alla finale, quando affronta il vecchio ma agguerrito Milan di Pepe e del Barone, che gli fa sudare sette camicie e si arrende solo ai supplementari. Inevitabile quindi anche omaggiare i rossoneri, che liquidano ogni avversario in goleada, o quasi, superano lo United distrutto dalla tragedia di Monaco (chissà come sarebbe andata, contro i veri Red Devils) e in finale disputano una partita magistrale, perdendo per il classico dettaglio che favorisce i Blancos (una costante della competizione).

Dopo una stagione difficile, in cui ha faticato a trovare la quadra, lo Stade de Reims si riprende la Division 1, trascinato da un giovane bomber destinato a far parlare di sé il mondo intero in Svezia, durante l’estate, il giovane Just Fontaine, campione circondato da altre colonne della nazionale (Piantoni e Jonquet su tutti). Lo Stade vince anche la Coppa di Francia e si presenta ai nastri di partenza della stagione 58/59 come una delle squadre più dotate e spettacolari d’Europa.

L’approdo a Torino del piccolo, diabolico Sivori e del gigante buono Charles dà il via a una nuova epopea della Juventus: guidati dal Boniperti più ispirato dalla carriera, che si inventa regista e disputa la stagione della vita, i bianconeri dominano la serie A, staccando la solita, agguerrita Fiorentina e il Padova di Rocco, autore di uno dei tanti miracoli della sua carriera.

Da ultimo, due parole vanno spese per l’ultima grande nobile decaduta del tempo, che non ho ancora avuto modo di celebrare: il Wolverhamtpon, complice la tragedia di Monaco, si prende la First Division lasciando la concorrenza a distanze notevoli: la mano sicura del regolarista Billy Wright guida ed esalta i suoi più giovani frombolieri e consacra nuovamente il club delle West Midlands come uno dei migliori d’Europa.

1958-1959

Il Barcellona di Luisìto, Kubala e di alcuni reduci della Grande Ungheria si prende la Spagna, staccando in maniera abbastanza netta il Real delle stelle ed esibendo, a detta di coloro che c’erano, il calcio più bello d’Europa. Se aggiungiamo tra 1958 e 1960 il Barcellona porta sulle Ramblas due Coppe delle Fiere, possiamo giustificare l’interruzione dell’egemonia madrilena sull’Europa.

Il Real Madrid in ogni caso, arricchito dal Colonello Puskas, fatica per un po’ a trovare la quadratura, ma in Europa, nel suo giardino di casa, pur soffrendo molto (penso allo scorbutico derby madrileno della semifinale) si porta a casa per il quarto anno consecutivo il trofeo. Don Alfredo non sente il peso degli anni e la sua banda, in giornata, è ancora in grado di mettersi in tasca tutti gli avversari.

Il giovane e arrembante Stade de Reims vola sulle ali del miglior cannoniere puro del Vecchio Continente, reduce da un mondiale superlativo, ovvero Just Fontaine, che trascina i suoi alla seconda finale di Coppa dei Campioni, persa questa volta senza troppe recriminazioni, e al quinto titolo nazionale, sempre da capocannoniere. Lo Stade regala l’ossatura anche alla nazionale francese, una delle migliori di sempre.

La cinquina annovera, ancora una volta, il Wolverhamtpon, che si conferma la squadra migliore d’Inghilterra e una delle più efficaci e solide d’Europa. La First Divison è quasi una formalità per i giocatori guidati dal vecchio Billy Wright, che lasciano il risorto United a distanza di sicurezza.

Rivitalizzato dal giovane fuoriclasse Altafini e dal leader della difesa Cesare Maldini, il Milan dei vecchi leoni supera la Fiorentina in campionato e si riprende la corona di squadra campione d’Italia. Il suo cammino imperioso e privo di sbavature, che esalta la concretezza di un gioco anche tecnicamente spettacolare, gli vale un posto nella nostra cinquina.

1959-1960

Il Real Madrid del mejor fútbol de la historia si riprende il primo posto d’autorità: nonostante la carta d’identità cominci a fare i capricci, i madrileni sono ancora la formazione da battere, e i suoi due fenomeni insegnano calcio. In particolare, Ferenc Puskás segna come se avesse dieci anni di meno ed è sempre decisivo, anche nelle due trionfali semifinali (là dove il Barcellona nulla può davanti allo strapotere dei rivali) e nella leggendaria finale.

Il Barcellona cede il passo in Europa ma si prende la rivincita nella Liga: Kubala non mostra segni di cedimento e si ricicla superbo regista a tutto campo, mentre l’architetto Luis Suárez Miramontes è il mediano infaticabile e il giocatore universale, la risposta catalana a Don Alfredo (che professerà sempre grande ammirazione per lui, così come ovviamente per Ladislao) e il pallone d’oro. Il Barcellona vince anche la Coppa delle Fiere e raggiunge la semifinale della Coppa dei Campioni, pagando probabilmente il logorio sui tre fronti nel finale di stagione nella competizione più importante, ma confermandosi formazione di caratura planetaria.

La Juventus di Boniperti, Sivori e Charles, superata la burrasca (l’umiliante lezione subita in Europa dagli austriaci del Wiener Sportklub), si aggrappa alle trovate bizzarre del suo Vizio (come l’aveva soprannominato l’avvocato Agnelli), il satanasso argentino che fa impazzire tutta Europa e che si dimostra uno dei pochi giocatori, forse l’unico in Italia, in grado di rivaleggiare con Pelé e gli altri fenomeni del football planetario, e vince in maniera autorevole la serie A. Omar gioca da pallone d’oro e la sua Juventus, solida, concreta ma anche magica (Omar era un piccolo, demoniaco stregone) è una delle squadre più belle e forti della stagione 59/60.

Perde il titolo sul filo di lana, a causa di alcune partite buttate nel finale, ma il Wolverhampton del regolarista Wright e del goleador Jimmy Murray rimane la squadra più forte del Regno Unito e una delle migliori d’Europa.

Il quinto posto un discorso che riguarda due delle sorprese della stagione: i tedeschi dell’Eintracht Francoforte, reduci dall’inatteso successo in Oberliga, raggiungono la finale di Coppa dei Campioni, dove subiscono però una lezione di calcio dal Grande Real, mentre in Portogallo si inizia a parlare di un collettivo che gira a meraviglia, condotto per mano da un centrocampista che per mezzi tecnici e atletici sembra arrivare dal futuro (Coluna) e che tutti chiamano O Monstro Sagrado. Quel collettivo si chiama Benfica e ne sentiremo parlare nelle stagioni successive.

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