Quando si pensa all’Uruguay, si pensa soprattutto agli anni d’oro del calcio celeste, gli anni in cui la Generación Dorada dominava il mondo. I mitici anni ’20, ricchi di campioni straordinari come El Mago Héctor Scarone, il Messi dell’anteguerra, genio creativo e regista illuminato sul fronte offensivo; El Gran Mariscal José Nasazzi, capitano e condottiero, straordinario difensore, ruvido ma anche elegante; la Maravilla Negra José Leandro Andrade, freccia sulla corsia di destra, pendolino e stantuffo inesauribile. E poi ancora l’Artillero Pedro Petrone, sublime stoccatore, la mezzala Pedro Cea, sostanza e qualità sulla trequarti, il portiere saltimbanco Andrés Mazali. Giocatori che costituirono l’ossatura di una formazione che tra il 1924 e il 1930 si portò a casa 3 edizioni di Coppa América, 2 ori olimpici quando le Olimpiadi anche nel calcio erano tutto, il primo Campionato Mondiale della storia.
Quando si pensa all’Uruguay si pensa al Maracanaço, il trionfo annunciato del Brasile trasformatosi nella tragedia sportiva somma del popolo brasiliano e nel blitz uruguagio, griffato dal carisma maradoniano di Obdulio Varela, mediocentro di enorme temperamento e intelligenza tattica magistrale; dal genio del Pepe Juan Alberto Schiaffino, raffinata mente offensiva che fece grande anche il Milan; dall’imprendibile ala Alcides Ghiggia, autore del gol decisivo che zittì i 200mila del Maracanã già pronti a fare festa.
L’Uruguay più forte, con i giocatori più forti, è senza dubbio quello di quell’epoca là, prima che la televisione facesse capolino, prima che il fútbol varcasse le soglie della modernità.
Ma qui vogliamo parlarvi del tempo più recente, perché anche dalle fine anni ’50-primi anni ’60 la Celeste ha saputo offrire momenti di grande calcio, conquistando 5 volte la Coppa América (nel 1967, 1983, 1987, 1995 e 2011) e chiudendo due volte al quarto posto nei Mondiali (nel 1970 e nel 2010).
Perché l’Uruguay rimane sempre un “miracolo sportivo”, una nazione di poco più di 3 milioni di abitanti che riesce a produrre una quantità di calciatori invidiabili, una scuola che per organizzazione e produzione di talenti teme pochissimi confronti in relazione al ridotto bacino a cui può attingere. E lo dimostra anche l’attuale generazione, affidata alle abili mani del Loco Bielsa, che sta ottenendo risultati di prestigio sul fronte sudamericano e annovera giovani di sicura prospettiva, da Valverde a Ugarte, da Arajuo a De La Cruz, da Pellistri a Nuñez.
Ecco dunque la top ten dei calciatori uruguaiani degli ultimi 60 anni.
10) Edinson Cavani
Attaccante/centravanti, 1987
Attaccante potente e veloce, prima o seconda punta all’occorrenza, una forza della natura nelle giornate di vena, Edinson Cavani è stato uno dei migliori attaccanti visti in Italia negli ultimi 20 anni. Nel nostro campionato ha infiammato le piazze di Palermo e Napoli, laureandosi capo-cannoniere nella stagione 2012-2013. Si è poi trasferito in Francia, nell’ambizioso PSG, dove ha continuato a segnare con grande regolarità: 200 gol in 301 incontri in 7 stagioni. Negative le successive parentesi al Manchester United e al Valencia, anticamera del ritorno in Sudamerica al Boca Juniors. In nazionale ha viaggiato spesso a ondate. Il suo momento migliore è stato durante i Mondiali 2018: fino agli ottavi di finale compresi (quando una sua doppietta straordinaria estromise il Portogallo di Cristiano Ronaldo) era forse il miglior giocatore del torneo, ma un infortunio lo tolse di mezzo e gli impedì di scendere in campo nei quarti contro la Francia, che si conclusero con la sconfitta dell’Uruguay. Vanta comunque un lusinghiero bilancio realizzativo (secondo miglior marcatore di sempre dopo Suárez con 58 centri in 136 partite) e la Coppa América 2011.
9) Fernando Morena
Centravanti, 1952
Miglior marcatore nella storia del Peñarol, con cui ha disputato 9 stagioni, e secondo miglior marcatore della Libertadores alle spalle di Alberto Spencer. Fernando Morena è stato uno degli attaccanti sudamericani più forti tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. Prima punta rapida e guizzante, spietato opportunista d’area, aveva una media-gol anni ’40 e ’50 in un’epoca in cui le difese facevano aggio sugli attacchi: nel campionato uruguagio ha segnato qualcosa come 203 reti in 196 incontri, con 7 titoli di capo-cannoniere. Le 36 realizzazioni del 1978 rimangono ancora oggi un record insuperato nella prima divisione uruguagia. Ha aggiunto ovviamente diversi titoli di squadra: 6 scudetti, una Coppa Libertadores e una Intercontinentale nel 1982. Con la nazionale ha totalizzato 22 gol e vinto la Coppa América 1983.
8) Diego Forlán
Attaccante/centravanti, 1979
Peccato che i tifosi dell’Inter lo abbiano visto solo a fine carriera, perché Diego Forlán – l’uomo che nella Coppa América 2011, prima di Cavani e Suárez, infranse il record di gol in nazionale del gigante Scarone – è stato un attaccante di alto profilo. Prima o seconda punta, longilineo e tecnico, giunge in Europa dall’Independiente al Manchester United nel 2002. Ma nello squadrone di Sir Alex Ferguson fatica a inserirsi, e due anni dopo fa le valigie e si trasferisce in Spagna. Qui, in un calcio che evidentemente esalta maggiormente le sue caratteristiche e in un ambiente più familiare, esplode: nel Villareal si laurea capo-cannoniere ed è tra i protagonisti della cavalcata in Champions League del 2005-2006, quando gli spagnoli vengono estromessi in semifinale dall’Arsenal. Nel 2007 va all’Atlético Madrid e continua a incendiare il campo: altro titolo di Pichichi e due importanti vittorie a livello di squadra: la Coppa UEFA 2010 e la Supercoppa Europea. In nazionale è la stella dell’Uruguay che nel Mondiale 2010 si inerpica fino alle semifinali, torneo che Forlan gioca alla grande, meritandosi il premio di miglior giocatore della Coppa del mondo. Nel 2011, il tridente con lui, Cavani e Suárez è il magico architrave che consente alla Celeste di tornare a vincere una Coppa América che mancava in bacheca dai tempi di Enzo Francescoli, dal 1995. Quando passa all’Inter nel 2011, con l’ingrato compito di sostituire Samuel Eto’o, ha già in realtà intrapreso la parabola discendente.
7) José Santamaria
Difensore centrale, 1929
È al limite della nostra rassegna, perché ha giocato a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, ma l’ho incluso perché di lui è possibile vedere già diverse partite intere in maglia Real Madrid. Con i blancos di Spagna, Santamaria – centrale di grande forza e temperamento, difficile da superare in uno contro uno – vince la bellezza di 4 Coppa dei Campioni e 5 campionati spagnoli. Era arrivato al Real dal Nacional Montevideo, dove aveva messo in bacheca 5 titoli e aggiunto una più che valida partecipazione al Mondiale 1954, con l’Uruguay battuto in semifinale e nei supplementari dalla Grande Ungheria (partita visionabile con ampia sintesi in rete). Naturalizzato spagnolo, ha giocato anche con la nazionale iberica agli sfortunati Mondiali 1962, conclusi dalla Spagna con una eliminazione al primo turno. Ha concluso la sua carriera nel 1966.
6) Hugo De León
Difensore centrale, 1958
Colosso difensivo degli anni ’80, centrale di grande fisicità e completezza, con piedi tutt’altro che disprezzabili e una enorme personalità. A 22 anni conquista la Libertadores nel Nacional Montevideo, poi passa al Grêmio di Porto Alegre, in Brasile, dove mette in bacheca un’altra Libertadores e ci aggiunge l’Intercontinentale. Rimane in Brasile, al Corinthians e al Santos, assaggia il calcio spagnolo nel Logroñés, poi rientra al Nacional e si porta a casa una nuova Intercontinentale. È uno dei grandi centrali difensivi del calcio sudamericano, oggi poco ricordato, la reincarnazione in chiave moderna del Caudillo José Nasazzi. Con la nazionale ha vinto il Mundialito 1980 e ha preso parte al Mondiale di Italia ’90, dove l’Uruguay è stato eliminato negli ottavi di finale dall’Italia padrona di casa.
5) Luis Cubilla
Ala destra, 1940-2013
Tecnica da capogiro, carattere non semplice e un palmares di tutto rispetto, El Negro è stato uno dei giocatori sudamericani più forti e ammirati degli anni ’60 e primi ’70. Debutta a 18 anni in prima squadra nel Peñarol e diventa subito un faro della formazione che vince 2 Libertadores e una Intercontinentale. Passa quindi in Spagna, al Barcellona, secondo uruguaiano a giocare in blaugrana dopo Héctor Scarone, ma l’ambientamento in Catalogna non è semplicissimo. Torna in Sudamerica, in Argentina, al River Plate e diventa una stella di prima grandezza: in una squadra fortissima, che può contare su elementi come i fratelli Ermindo e Daniel Onega, Oscar Más, Jorge Solari, Luis Artime, il connazionale Roberto Matosas e il brasiliano Delém, Cubilla porta la blanca roja a conquistare il campionato e a sfiorare la vittoria nella Libertadores 1966, al termine di una finale meravigliosa contro il Peñarol (la partita di spareggio, terminata 4-2 per gli uruguagi, è una delle partite più belle che io abbia mai visto). Nel 1969 torna in patria, nel Nacional Montevideo, dove rivince il campionato e la Coppa Libertadores nel 1971, prima di chiudere in Cile. In nazionale mette insieme 38 presenze ed è uno dei capisaldi della squadra dove brillano anche Rocha e Mazurkiewicz, e che vince la Coppa América 1967 e chiude quarta a Messico ’70 (è suo il gol del momentaneo 1-0 nella semifinale contro il Brasile, prima della rimonta verdeoro). Molto buona anche la sua parentesi da allenatore, soprattutto in Paraguay all’Olimpia Asunción, dove vince 9 titoli nazionali, 2 Libertadores e una Intercontinentale.
4) Ladislao Mazurkiewicz
Portiere, 1945-2013
Da Mazali a Maspoli, fino a Ladislao Mazurkiewicz. Sono i tre portieri simbolo dell’Uruguay e lui è l’unico visionabile. Riflessi straordinari, maestro del piazzamento, parate spettacolari, è stato uno degli estremi difensori più completi del calcio sudamericano e mondiale. Cresce nel Racing di Montevideo, poi passa al grande Peñarol e in breve guadagna i galloni da titolare. C’è la sua firma sia sulla Libertadores 1966 sia sull’Intercontinentale dello stesso anno, vinta contro il Real Madrid. Nei due anni successivi stabilisce due volte il record del minor numero di gol subiti in campionato (addirittura 5 nel 1968) conquistando due volte il titolo (saranno 4 in tutta la sua esperienza con gli aurinegros). Dopo sette stagioni a Montevideo passa in Brasile, nell’Atlético Mineiro e inizia quindi a girovagare in tutto il Sudamerica, tra Colombia e Cile, portando ovunque il suo impeccabile stile. Con la nazionale vince la Coppa América 1967 e prende parte ai Mondiali 1970, chiudendo quarto. Resta celebre per la finta subita da Pelé, nel non-gol forse più famoso della storia, nel corso della semifinale vinta 3-1 dal Brasile.
3) Enzo Francescoli
Centrocampista offensivo, 1961
Uno dei numeri 10 più iconici e raffinati degli anni ’80 e primi anni ’90. Trequartista di passo e classe, regale negli assist e nelle battute a rete, abbina corsa, fisico e tecnica. Un giocatore completo. Cresciuto nel Montevideo Wanderers, nel 1983 passa al River Plate e si consacra, diventando un vero e proprio idolo dei tifosi. Con la blanca roja, Francescoli conquista un campionato argentino, viene proclamato miglior giocatore del campionato e si porta a casa un Pallone d’oro sudamericano. Si trasferisce in Europa e continua a incantare, nell’Rc Paris e nell’Olympique Marsiglia, con un altro premio di miglior calciatore e un titolo nazionale a corredo. Dopo quattro stagioni in serie A (tre al Cagliari e una al Torino), torna al River e ritrova l’antico splendore: è uno dei leader della squadra che conquista la Coppa Libertadores e contende alla Juventus lo scettro dell’Intercontinentale a Tokyo. Ottimo il suo rendimento anche in nazionale, con 3 Coppe América vinte e due premi di miglior giocatore. Il francese Zinédine Zidane lo ha avuto come idolo e in suo onore ha ribattezzato il figlio Enzo.
2) Luis Suárez
Centravanti, 1987
È il miglior marcatore all time della Celeste, un primato realizzativo che ha strappato a Forlan e Cavani e che per 81 anni, dal 1930 al 2011, era appartenuto al Mago Héctor Scarone. Tecnica, fiuto del gol e intelligenza tattica, Luis Suárez è stato uno dei simboli nel ruolo di centravanti nel XXI Secolo con il polacco Robert Lewandowski e il francese Karim Benzema. Cresciuto nel Nacional Montevideo, rivelatosi in Europa all’Ajax, nel 2011 passa al Liverpool, sfiorando un clamoroso titolo di Premier con i Reds nel 2013-2014. Una stagione mostruosa di Suárez, con 31 reti in 33 incontri, gli vale la chiamata del Barcellona. In blaugrana l’uruguagio dà vita a un tridente delle meraviglie con Messi e Neymar, portando a casa al primo squillo il Triplete 2014-2015 (campionato spagnolo, coppa nazionale e Champions League). Nelle stagioni successive Il Pistolero non placa la sua sete di gol: chiuderà la sua esperienza in Catalogna con un bottino globale di 198 centri in 283 partite. Passa all’Atletico Madrid e trascina i Colchoneros con 21 reti alla conquista della Liga. È l’ultimo acuto prima dell’inevitabile declino. Grandioso anche il suo impatto in nazionale: vince la Coppa América 2011 da miglior giocatore e mette la sua firma sull’ultimo ciclo d’oro del calcio celeste, con il 4° posto al Mondiale 2010 e i quarti di finale al Mondiale 2018.
1) Pedro Rocha
Centrocampista offensivo, 1942-2013
In Europa non è molto conosciuto, ma in Sudamerica e in Uruguay è ritenuto un fenomeno. Per intenderci, e per restare a fuoriclasse che hanno brillato nel vecchio continente in quel periodo, siamo sullo stesso livello di Ladislao Kubala, Raymond Kopa, Luis Suárez, Gianni Rivera, Omar Sívori. Mezzala di classe superiore, mescola visione di gioco, grandi capacità realizzative e personalità da leader. Più attaccante in giovane età, con il tempo arretra e agisce da interno. Lui è il mente – il bomber ecuadoregno Alberto Spencer è il braccio armato – del favoloso Peñarol degli anni ’60, probabilmente la più forte formazione sudamericana del decennio, capace di vincere 3 volte la Coppa Libertadores (con due finali perse) e 2 l’Intercontinentali, oltre a otto titoli nazionali. Trasferitosi al San Paolo, in Brasile, nel 1970, rimane sette stagioni diventando un idolo dei tifosi e incantando le platee del Brasileirão. E aggiungendo al suo ricco palmares un campionato brasiliano e una finale di Libertadores persa, oltre a un titolo di capocannoniere in entrambe le competizioni. Naturalmente è anche la stella della nazionale: eliminato nei quarti di finale del Mondiale ’66 dalla Germania Ovest dopo una competizione fin lì giocata ottimamente da Rocha, l’anno seguente guida l’Uruguay alla vittoria in Coppa América, segnando la rete decisiva e venendo proclamato miglior giocatore della manifestazione. Nel Mondiale ’70 è annunciato ancora come il faro della squadra, ma un infortunio lo toglie di mezzo all’ultimo: l’Uruguay arriva ugualmente fino in semifinale, superato da un Brasile di un altro pianeta. Anche con Rocha in campo probabilmente sarebbe cambiato poco, ma sicuramente la Celeste avrebbe avuto qualche chance in più…
Menzioni d’onore
Tanti avrebbero meritato di entrare in questa lista, ma come sempre occorre fare delle scelte. Proviamo allora ad aggiungere alcune menzioni d’onore. Per i difensori Roberto Matosas, Ricardo Pavoni, Julio Montero, Nelson Gutiérrez, Pablo Montero, Diego Godin e José Giménez; i centrocampisti Néstor Gonçalves, Víctor Espárrago e Pablo Bengoechea, gli attaccanti José Sacía, Antonio Alzamendi, Rubén Sosa, Carlos Alberto Aguilera e Álvaro Recoba.
In particolare, Gutiérrez (perno difensivo in coppia con Ruggeri del più grande River Plate della storia, quello che vinse tutto nel 1986), Godin (colosso dell’Atlético Madrid del Cholo Simeone con cui ha vinto 1 Liga, 2 Europa League e sfiorato 2 vittorie in Champions), Sacía (esterno destro e all’occorrenza interno, altro meraviglioso interprete del grande Peñarol degli anni ’60), e Sosa (stoccatore principe di Lazio e Inter negli anni ’90, con 2 Coppe América in nazionale a supporto), li ho tenuti in ballottaggio fino all’ultimo con Cavani per la decima piazza.