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Dalla Máquina al trionfo totale del 1986: le due top 11 della storia del River Plate

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Immagine di copertina: il trionfo nell’Intercontinentale 1986, un momento indimenticabile per tutti i tifosi del River Plate

Quando si parla del River Plate, è inevitabile partire dalla Máquina. Una squadra che cambiò per sempre il paradigma del calcio mondiale. Un ponte tra la razionalità e il metodo danubiani e la creatività e l’imprevedibilità sudamericane. La genesi della formazione che dal 1941 al 1947 vinse quattro campionati proponendo un calcio straordinario in cui tutti i giocatori si muovevano all’unisono, con un gioco corale degno del totaalvoetbal olandese degli anni ’70, affonda le radici nelle lezioni tattiche del tecnico ebreo-ungherese Imre Hirschl.

Un passato misterioso, giunto in Sudamerica per sfuggire al nazismo, iniziò ad allenare il Gimnasia La Plata, ottenendo un 7° e un 5° posto (dopo essere stato a lungo addirittura in testa al campionato), tanto da richiamare l’attenzione di Antonio Liberti, presidente del River Plate. Era il 1935, Hirschl giunse al River e gettò le basi della futura Máquina. Lanciò titolari i giovanissimi José Manuel Moreno e Adolfo Pedernera. Plasmò le menti di Renato Cesarini e José Minella, due colonne del River che sarebbero diventati poi i due allenatori dell’epoca d’oro della Máquina partendo proprio dalle lezioni filosofiche e tattiche dell’allenatore magiaro. Impostò la squadra con un modulo differente sia dal Metodo in voga nell’Europa continentale e latina sia dal Sistema di scuola britannica. Il modulo di Hirschl ricalcava il Metodo in difesa, con due terzini liberi da compiti di marcatura, due mediani laterali in spinta e un centromediano propulsore del gioco. Ma in attacco anticipava di fatto la M ungherese, con un centravanti arretrato e due mezzali avanzate.

Imre Hirschl

Cesarini e Minella completarono poi l’opera qualche anno dopo proponendo in attacco la Diagonal, con una mezzala arretrata, il centravanti fulcro della manovra e l’altra mezzala terminale offensivo. Così si muoveva la mitica delantera della Máquina: Moreno interno di regia sul centro-destra, Pedernera centravanti arretrato, Ángel Amadeo Labruna che di fatto era il vero puntero sul centro-sinistra. Ai loro lati, le ali: il raffinato Juan Carlos Muñoz sulla destra e l’imprendibile Félix Loustau sulla sinistra. Ma il modulo di gioco era in realtà un pretesto, uno specchietto per le allodole, perché quei cinque si muovevano ovunque, secondo i dettami del calcio totale danubiano portato da Hirschl e che in quegli anni avevano attecchito anche in Italia con il Grande Torino, in attesa che venissero poi ulteriormente perfezionate nei decenni seguenti da squadre come la Grande Ungheria degli anni ’50 e il ciclo d’oro di Ajax e Olanda degli anni ’70. Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau giocarono tutti assieme appena 18 volte, ma divennero ugualmente leggenda, icone della squadra che dominò la scena nazionale negli anni ’40, malgrado una fortissima concorrenza, e cambiò il calcio.

Non si può dunque stilare una top 11 del River senza partire da qui. È vero però che le nostre top 11 sono tutte di epoca moderna, partendo dal presupposto che un calciatore si può valutare abbastanza compiutamente solamente se lo si può visionare con i nostri occhi. La storia del River è però troppo ricca di giocatori di prima che la Libertadores nascesse e che la televisione facesse capolino. Per questo abbiamo deciso di scrivere questo cappello introduttivo sulla Máquina e proporre un undici anche dell’epoca pre-televisiva.

Da destra: Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau. La linea offensiva della famigerata e leggendaria Máquina

La top 11 dell’epoca antica

Tra i pali ci va Amadeo Carrizo, recordman di presenze con la maglia biancorossa con 520 gettoni, al River dal 1945 al 1968, capace di conquistare ben 7 titoli nazionali.
In difesa abbiamo optato per tre colonne della Máquina. A destra, Norberto Yacono, 17 anni e 393 gettoni con i biancorossi, uno dei più grandi difensori argentini di tutti i tempi. Soprannominato il Piccolo Gigante, non molto alto però dotato di straordinario tempismo e senso della posizione, elemento duttile e dal grande rendimento, capace di giocare anche in mezzo alla difesa.
Al centro, Ricardo Alfredo Vaghi, 14 anni di River con 323 presenze, difensore roccioso e ruvido, dalla tipica garra argentina.
Sulla sinistra, José Ramos, El Tuerto (il guercio), 12 anni di River Plate, grande fisicità e spinta propulsiva.
In mezzo al campo un doppio pivote: José Minella, centromediano degli anni ’30, una sorta di Eusebio Castigliano argentino, stantuffo inesaurabile, con grandi doti di inserimento, da giovane impiegato con successo anche da mezzala, uno degli idoli giovanili di Alfredo Di Stéfano; e Néstor Pipo Rossi, architrave della Máquina e primo regista del gioco, un Luisito Monti meno potente ma più aggraziato nel tocco, uomo d’ordine capace di spezzare il gioco e rilanciarlo con eguale maestria.
Nella delantera offensiva, sulla destra c’è Carlos Peucelle, stella del River degli anni ’30, soprannominato El Primer Millonario per sottolineare il suo costosissimo (per i parametri del tempo) trasferimento dallo Sportivo Buenos Aires al River. Ala dal dribbling mortifero e dalla tecnica celestiale, ha segnato un’epoca.
In mezzo, impossibile non posizionare il trio magico della Máquina: El Charro José Manuel Moreno, genio creativo e sregolatezza, idolo assoluto dei tifosi, capace di qualsiasi prodezza tecnica e balistica, probabilmente il quarto miglior calciatore argentino di sempre dietro ai tre mostri sacri Di Stéfano, Maradona e Messi; Adolfo Pedernera, genio euclideo, intelligenza sopraffina, attaccante completo ed eccelso in ogni fondamentale del gioco; e Ángel Amadeo Labruna, miglior goleader nella storia del River Plate e del campionato argentino con 293 reti, potenza, tecnica e senso del gol.
Sulla sinistra, altro geniale interprete della Máquina, Félix Loustau, dribbling inafferrabile e cross al bacio, che Di Stéfano definì «un Gento più tecnico e più veloce» tanto per rendere l’idea di che considerazione avesse.
Impossibile non menzionare proprio Alfredo Di Stéfano, che però abbiamo escluso perché nel River è rimasto troppo poco, stesso principio adottato per El Cabezón Omar Enrique Sívori, mentre la Fiera Bernabé Ferreyra, centrattacco degli anni ’30 dalle disumane medie realizzative cede il passo di un’incollatura a Labruna come terminale.

La top 11 dell’epoca moderna

Portiere: Ubaldo Fillol

Ritenuto il miglior estremo difensore della storia albiceleste, almeno nel dopo Carrizo, El Pato Fillol nel corso della sua carriera ha indossato numerose maglie, sia in Europa che nel suo continente, ma rimane essenzialmente un simbolo del River Plate, la cui camiseta ha vestito per una decade. vincendo sette titoli nazionali e il premio di calciatore argentino dell’anno 1977, superando una nutrita e ambiziosa concorrenza. Noto per le sue abilità superiori sui calci di rigore, Fillol era un portiere spettacolare e capace di notevoli colpi di reni, e rispetto al collega e rivale Gatti era più “centrato” e meno incline alla follia. In patria, Ubaldo è ricordato anche come uno dei due/tre giocatori più decisivi del vittorioso mondiale del 1978. La batteria di portieri biancorossi è forse ancor più notevole di quella degli eterni rivali del Boca: la prima riserva del Pato è infatti Pumpido, chiamato a sostituire proprio Fillol con la maglia del River e diventato rapidamente uno dei pilastri della squadra in grado di vincere tutto a metà ann ’80, ivi comprese una Copa Libertadores trionfale e la Coppa Intercontinentale strappata ai rumeni della Steaua Bucarest a Tokyo nel dicembre del 1986. Sul piano tecnico si colloca almeno un gradino sotto i predetti, ma una citazione spetta anche a Roberto Bonano, un portiere “regolare”, affidabile e vincente, che con il River ha collezionato trofei nazionali e internazionali, guadagnandosi la nazionale, prima di una parentesi agrodolce in maglia blaugrana.

Laterale destro: Hernán Díaz

Con 422 presenze e 19 reti messe a referto nel corso di una decade abbondante e vincente, il valoroso terzino destro Hernán Díaz, saltuariamente chiamato a coprire la fascia di competenza anche in nazionale (vanta quattro presenze in Coppa America e due a USA 1994), è probabilmente il meglio che la squadra rioplatense possa offrire sul lato destro della difesa. L’alternativa più credibile al terzino classe 1970 è José Luis Pavoni, altro laterale destro di caratura internazionale, titolare della squadra che fa incetta di trofei tra anni ’70 e ’80 e anche della nazionale argentina nella Coppa America del 1975. Tecnicamente più dotato della media e valido anche in fase di contenimento, Pavoni ha vestito la maglia biancorossa in 138 occasioni.

Difensore centrale: Daniel Passarella

El Claudillo, già inserito nella formazione ideale della Viola, è uno dei nomi di questa rosa sui quali è vietato fiatare, evha bisogno di poche presentazioni: centrale fisicamente fortissimo, nonostante la statura non eccezionale, ruvido, carsmatico e animato dalla cattiveria agonistica dei leader, ma anche tecnicamnte eccelso e letale sui calci piazzati, Passarella è il difensore più forte mai nato in Argentina e ha regalato ai tifosi del River il meglio del suo vasto repertorio. Destano ancora oggi stupore i suoi 24 gol in 35 partite nella stagione 1976 (nel complesso, Daniel mette a referto la cifra incredibile di 94 reti solo in maglia biancorossa), apogeo realizzativo inavvicinabile per ogni difensore. Nonostante si vedano alcune asprezze che forse in altri paesi sarebbero state sanzionate con maggiore severità, il suo contributo al titolo mondiale del 1978 è essenziale, e il quarto posto finale nella classifica del pallone d’oro sudamericano non è probabilmente adeguato a celebrare la grandezza del suo torneo.
La sua militanza in biancorosso è stata meno longeva di quella del Claudillo, ma a nostro parere anche il lungo Nelson Gutiérrez, classico centrale uruguagio (siamo in orbita Godìn) ha il diritto di reclamare un posto in formazione: titolare inamovibile del Peñarol, con cui vince sei titoli nazionali, e della Celeste, con cui porta a casa da titolare due Coppe America, Nelson si esalta anche e soprattutto nel corso della triennale parentesi argentina, quando si conferma uno dei massimi centrali del Sudamerica, un giocatore spigoloso e abilissimo nel gioco aereo, nonché un vincente e il pilastro della squadra del 1986, ritenuta dai tifosi argentini una delle migliori di sempre. Più che positiva, e non era scontato, anche la sua esperienza nel campionato italiano: i tifosi del Verona, nel corso della stagone 89/90, si sono innamorati del coriaceo centrale sudamericano.

Difensore centrale: Oscar Ruggeri

Il centrale di chiarissime origini italiane (tanto che chi scrive è un suo lontano parente) vanta ancora oggi la nomea di campione di levatura internazionale e di eroe dei due mondi, anzi potremmo dire dei tre mondi, perché è una leggenda sia del Boca che del River, e ha dimostrato di essere un grande giocatore anche nel Vecchio Continente. Colonna del River del 1986, centrale agguerrito ma pulito e tecnicamente validissimo, come si conviene a un giocatore che arriva da quella parte del mondo, Ruggeri è stato inserito per due volte nella formazione ideale del Sudamerica e nel 1991 ha anche conquistato anche un inatteso e meritato pallone d’oro. Viene naturale associare il suo nominativo a quello del Racing Club, ma Roberto Perfumo (altro giocatore evidentemente di origine italiana, se Ruggeri è lombardo, lui è piemontese), largamente ritenuto uno dei centrali argentini più dotati e completi, è stato anche il partner di Passarella nel grande River degli anni ’70: El Mariscal è stato un grande campione, tanto “spietato” in marcatura quanto elegante nelle fasi di ripartenza, grazie a un piede sensibile e a una discreta visione di gioco. Per lui, in maglia River si contano 110 presenze e 4 reti. Notevole e di spessore anche la sua militanza decennale in maglia albiceleste.

Laterale sinistro: Alberto Tarantini

L’esplosivo e combattivo laterale di Ezeiza è stato un campione sia in maglia gialloblu che in maglia biancorossa, e se nel Boca Marzolini gli ha sottratto il posto da titolare, nel River questo gli spetta di diritto, benché la sua militanza in biancorosso sia stata relativamente breve (quattro stagioni complete, tra 1980 e 1983). Corridore infaticabile, ruvido in marcatura ed efficace nelle ripartenze, con una facilità di corsa che ricorda quella di Zambrotta, Tarantini è ancora oggi annoverato tra i massimi laterali argentini della storia. Il giramondo Juan Pablo Sorín gli tiene il posto in panchina: le non sempre felici esperienze europee nulla tolgono al suo quadriennio a Buenos Aires e alla sua lunga militanza in maglia argentina. Juan Pablo era un difensore eccentrico, più abile negli inserimenti e nella costruzione della manovra che come marcatore, e questo gli ha forse reso indigesto un calcio più organizzato e rigoroso come il nostro, ma resta un ottimo giocatore.

Mezzala destra: Ermindo Onega

Valgono per l’artista El Ronco Ermindo Onega, sublime e dal tragico e prematuro destino, le stesse parole che spenderemo per Alonso: anche Onega è un mito in Argentina e un giocatore di nicchia in Italia. Mezzala tecnicamente fortissima, geniale nell’assist e molto efficace anche sotto porta, Onega è stato il giocatore chiave del River degli anni ’60 e una colonna della nazionale argentina in ricostruzione durante quel periodo. Con 99 reti in 222 partite, deve accomodarsi tra i titolari: lo preferiamo di poco a Juan José López, altro veterano dei biancorossi, altra mezzala di classe superiore, che vede poco la maglia della nazionale ma che con il River vince di tutto nel corso degli anni ’70, disputando 473 partite, impreziosite da 76 reti, alcune delle quali pesantissime e segnate in Coppa Libertadores.

Centrocampista centrale: Reinaldo Merlo

Gli argentini, quando si tratta di soprannomi, non sono secondi a nessuno, e Mostaza Merlo – soprannominato così, ovvero senape, per i capelli rossi – ribadisce che la fantasia dei suoi connazionali in materia è infinita. Trascurato dalla nazionale, con cui gioca solo tre partite, Merlo è invece un giocatore essenziale della storia moderna del River, come documentano le sue 499 partite e quindici anni da titolare. Un mediano nell’accezione di Ligabue, quasi alla stregua di Gattuso nel Milan di Ancelotti, Merlo è stato il faticatore di una squadra di artisti, si è messo al servizio di Alonso e di Juan López per consentire ai due centrocampisti di sfruttare al meglio le proprie doti tecniche e ha vinto tutto da assoluto protagonista. Il suo degno erede si chiama Américo Gallego, altro piccolo e insuperabile soldato del centrocampo, mediano eccellente che al contrario di Merlo diventa una colonna anche dell’albiceleste, vincendo da titoloare il mondiale del 1978.

Mezzala sinistra: Norberto Alonso

Centrocampista mancino raffinatissimo, dotato di grande visione di gioco, abilità quasi iniestiana nella gestione della palla nello stretto e di un senso del gol da bomber vero, Alonso detto Beto è uno dei giocatori chiave della storia del River e quasi la conferma vivente dell’importanza della prospettiva, anche continentale, nella formulazione di un giudizio: in Argentina il Beto è considerato uno dei massimi centrocampisti della storia, con Bochini, Ardiles e forse Verón il massimo che il paese sudamericano abbia offerto nel ruolo dagli anni ’50 in avanti, mentre in Europa siamo quasi a livello carneade o illustre sconosciuto. Con 139 reti in 374 partite e un numero infinito di trofei vinti da protagonista, Norberto è un nome imprescindibile di questa formazione. El Negro Héctor Enrique è un autorevole candidato al ruolo di titolare e un posto in panchina gli spetta di diritto: uomo chiave del River per un decennio di successi, mezzala completa che recupera palloni a iosa e sa fare male anche negli inserimenti (celebre, tra i suoi tifosi, un gol segnato al Boca nel 1990 dopo una lunga galoppata), Enrique è stato un titolare inamovibile della nazionale trascinata dal genio di Maradona in Messico, nel 1986, e forse anche per questo non gode di grandissima considerazione in Italia, mentre in Argentina è annoverato tra i grandi centrocampisti della storia del paese.

Trequartista: Enzo Francescoli

Nel River, esattamente come nel Boca, la Diez è una maglia particolare, e merita di essere indossata da giocatori di classe mondiale. Al Mudo Riquelme gialloblu risponde un altro grande campione, il Principe Francescoli, attaccante e rifinitore tra i più dotati della sua epoca e probabilmente di tutta la storia del calcio sudamericano. In maglia River, Enzo ha vissuto due lunghe e gloriose epopee: la prima negli anni ’80, quando era uno dei primissimi giocatori del pianeta, un centravanti o “nove e mezzo” sui generis, capace di segnare come se non ci fosse un domani, di vincere il pallone d’oro sudamericano e per due volta la corona di numero uno del calcio argentino; la seconda negli anni ’90, quando ha fatto da chioccia ai giovani campioni emergenti e ha vinto la Coppa Libertadores del 1996, portandosi a casa, nel frattempo, il secondo pallone d’oro della carriera. Destro morbido, grandi doti di corsa e visione di gioco da dieci classico, Francescoli può ambire al titolo di massimo giocatore della storia biancorossa dagli anni ’60 in avanti, e ha fatto innamorare pure i tifosi marsigliesi (Zidane ha chiamato il figlio Enzo in suo onore) e cagliaritani, al contrario del secondo nome in lista, quello di Ariel Ortega, talentuoso Burrito che eccelle nel dribblig e in rifinitura e che a Buenos Aires vive l’apice della carriera negli anni ’90 e anche nei primi anni duemila, quando fa ritorno in Argentina dopo una parentesi italiana più ombre che luci. Nella rosa della nazionale in tre mondiali, Ariel è stato un grande giocatore e uno dei nomi cruciali della storia del River.

Attaccante: Daniel Onega

Come il fratello centrocampista, Daniel Onega è uno dei simboli del River degli anni ’60, e con la maglia biancorossa ha segnato 87 reti in 207 partite, vincendo anche il titolo di capocannoniere della Libertadores del 1966, quando il River raggiunge la finale e la perde. Il grintoso e potente Leopoldo Luque, protagonista anche del mondiale del 1978, è un altro nome significativo nella storia del River, con la cui maglia ha disputato 176 partite e messo a segno 75 reti, nella seconda metà degli anni ’70, imponendosi come centravanti/attaccante mobile e molto efficace. La sua versione migliore abbiamo avuto la fortuna di ammirarla in Italia, ma Hernán Crespo si è preso di forza le luci della ribalta anche da ragazzino, al River, quando ha cominciato a fare ciò che gli sarebbe riuscito benissimo anche in Serie A (segnare a raffica) ed è stato l’uomo decisivo per la Libertadores vinta dai suoi nel 1996, giusto un attimo prima del suo trasloco a Parma. Per Valdanito, con i biancorossi si contano 36 reti in 79 partite. Ancora, l’attaccante uruguaiano Antonio Alzamendi, uomo gol del grande River degli anni ’80, due volte inserito nella squadra ideale del continente e vincitore del pallone d’oro nel 1986, merita a sua volta una citazione, avendo regalato al River la Coppa Libertadores del 1986, la prima della sua storia.

Attaccante: Oscar Más

Ala sinistra e punta di grandissima tecnica, piccola, veloce e combattiva, Oscar è ancora oggi ritenuto uno dei massimi giocatori del River dagli anni ’60 in avanti. Nel corso delle due lunghe carriere vissute con il River, inframezzate da una buona stagione al Real Madrid, Oscar ha collezionato quasi 400 partite e quasi 200 gol (con un titolo di capocannoniere della Libertadores), conquistandosi anche la nazionale – in albiceleste, gioca un mondiale e una Coppa America da titolare, e colleziona 10 reti in 37 partite. Il posto da titolare è suo, e lo tallona El Conejo Saviola, piccola e minuta seconda punta che al River si afferma come un giocatore degno della nazionale e che farà abbastanza bene anche al Barcellona e poi al Benfica, dimostrandosi un giocatore di caratura internazionale.

Articolo a cura di FRANCESCO BUFFOLI e NICCOLÒ MELLO

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