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I 10 italiani con il miglior rendimento ai Mondiali

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Immagine di copertina: Buffon e Cannavaro si abbracciano

Un mondiale di calcio è un crocevia con la storia, è l’evento in cui le leggende vengono forgiate e ascendono al cielo degli immortali. È quella ciliegina che corona una carriera e la fa ricordare ai posteri. Non si può pensare a Diego Armando Maradona senza pensare a Messico 1986, non si può ricordare Pelé senza pensare ai mondiali del 1958 e del 1970, separare l’idea di Johann Cruijff dall’Arancia Meccanica che nel 1974 incantò il mondo e andò ad un passo dalla vittoria non è immaginabile.
Per combattere l’amarezza dovuta alla seconda assenza consecutiva dell’Italia al torneo più importante del mondo del calcio, abbiamo deciso di scegliere dieci azzurri tra coloro che nel corso della storia dei Mondiali si sono distinti per prestazioni, gol, giocate decisive. Non pretendiamo di essere oggettivi al cento per cento ed esaustivi, ci sono esclusioni eccellenti di nomi che legittimamente avrebbero potuto trovare posto in questa decina, ma che per dettagli abbiamo preferito escludere.
Per evitare contestazioni relative al piazzamento di tal giocatore più in alto o più in basso nella classifica – fare una classifica di merito tra giocatori con ruoli diversi è un non-senso  – abbiamo deciso di procedere in ordine esclusivamente cronologico.

Giovanni Ferrari e Giuseppe Meazza, una coppia di mezzali che ha fatto la fortuna del calcio italiano

Giovanni Ferrari

Centrocampista, 1907-1982

Grande protagonista della Juventus del Quinquennio di Carlo Carcano, e campione d’Italia anche con l’Ambrosiana-Inter e il Bologna (otto gli scudetti totali), Ferrari è l’unico azzurro, insieme a Meazza, a potersi fregiare del doppio titolo di campione del mondo conseguito con i galloni del titolare. Atletico, tatticamente intelligentissimo e in grado di vedere il gioco e l’azione prima degli altri, Ferrari viene reputato dal giornalista sportivo Carlo Felice Chiesa una delle più complete mezzali sinistre della storia. Reputato l’erede di Baloncieri nella scuola alessandrina, viene considerato una mezzala di qualità tecnica, che tesse il gioco e che lavora per la squadra senza protagonismi e orpelli superflui e al contempo capace di dare il proprio contributo anche in fase difensiva. Nel mondiale del 1934 giocò cinque partite su sei segnò due gol, di cui uno al mitico portiere spagnolo Zamora (la gara finì in pareggio, e si dovette ripetere). Nel 1938 incantò il mondo in coppia con Meazza a centrocampo a creare gioco e inventare calcio per le bocche di fuoco Piola e Colaussi, tanto da meritarsi la palma di migliore mezzala sinistra del torneo. 

Giuseppe Meazza

Attaccante, 1910-1979

Peppino Meazza è stato il divo calcistico degli anni Trenta, il migliore giocatore italiano del periodo anteguerra, la punta di diamante di un movimento calcistico che stava crescendo sempre di più in termini di popolarità, attaccamento, identità e sviluppo tattico – si pensi all’ebreo ungherese Arpad Weisz, che favorì in Italia la diffusione del Sistema inventato da Herbert Chapman. Lo chiamavano Il Balilla, rappresentava come tantissimi della sua generazione il perfetto binomio di “sportivo-fascista” dell’epoca del regime, dal quale ebbe tanto in termini di popolarità e al quale restituì altrettanto in termini di trionfi. Nel suo libro “Storia del Gol”, Mario Sconcerti lo fotografa con questa descrizione: «Era un tipo alla Messi. Il gol alla Meazza è riassumibile con tre dribbling e un tiro secco, preciso, quando ormai non c’era altro che il portiere». Dopo una doppietta alla Grecia nei preliminari, Meazza guidò gli Azzurri alla vittoria nei mondiali casalinghi del 1934, quando andò il gol contro gli Stati Uniti e soprattutto nella difficile sfida dei quarti contro la Spagna, dove segnò la rete decisiva. Quattro anni dopo, in occasione dei mondiali di Francia, giocò da centrocampista, ma riuscì comunque ad andare a segno e decidere la delicatissima semifinale contro il Brasile di Leonidas, l’altro grande fuoriclasse che si contendeva con Pepìn il ruolo di stella assoluta.

Silvio Piola

Attaccante, 1913-1996

Centravanti dalle lunghe leve e dal fisico possente, forte nel tiro con entrambi i piedi, abile di testa e astuto nella lettura dell’azione, Piola è ancora oggi il miglior cannoniere della storia del campionato italiano, con 290 reti segnate. Se Meazza era il Divo, amante della vita mondana e delle belle donne, Piola era il suo opposto: taciturno, riservato, amava i cani, la caccia e la pesca, immerso nella natura e lontano dai riflettori. Incredibilmente escluso dal Mondiale ’34, conquistò la fiducia di Pozzo con una doppietta al temibile Wunderteam austriaco in un’amichevole a Vienna l’anno successivo. Meazza era infortunato, e il Commissario Tecnico italiano venne convinto a puntare sul centravanti della Lazio, che lo ricompensò nel migliore dei modi. Pozzo decise così di arretrare Pepìn a mezzala e dare la possibilità a Silvio Piola di giocare da centravanti titolare il mondiale in Francia e la scelta si rivelò vincente: siglò una rete nell’insidiosissima partita contro la Norvegia agli ottavi, una pesante doppietta nei quarti contro la Francia e altri due gol (la rete del vantaggio del 2-1 e la rete che chiuse l’incontro) nella finale contro l’Ungheria. Inutile ricordare che fu votato pressoché all’unanimità dai giornali italiani e stranieri come miglior centravanti del torneo.

Silvio Piola

Gaetano Scirea

Difensore, 1953-1989

Il campione gentiluomo, impeccabile e puntuale nell’anticipo, elegante come una mezzala. Oltre ad essere stato uno dei difensori più forti di sempre con la maglia della Juventus, forse il più forte di tutti, Scirea ha brillato anche ai mondiali con la maglia azzurra: nella frizzante Italia 1978, collezionò un filotto di prestazioni convincenti per impeccabilità in fase difensiva e capacità di proporsi in avanti e di manovrare azioni offensive: la Gazzetta dello Sport lo premiò con un 7,5 (migliore in campo insieme a Cabrini) nella sfida contro la Germania Ovest, con un 7 nella delicata sfida con l’Olanda, e altri due 7 contro l’Ungheria e la Francia di Platini. Il mondiale di Spagna 1982 fu l’apoteosi per Gaetano, che disputò grandissime prestazioni in serie fino al capolavoro della finale contro la Germania Ovest, alzando l’asticella nei momenti cruciali e dimostrandosi un autentico leader difensivo. Persino nel mondiale in Messico del 1986, dove gli Azzurri si avviarono ad un malinconico tramonto, Scirea riuscì ad essere uno tra i più positivi della sfortunata spedizione.

Paolo Rossi (li.) und Gaetano Scirea jubeln – Italien ist Weltmeister 1982 Paolo Rossi left and Gaetano Scirea cheer Italy is World Champion 1982

Paolo Rossi

Attaccante, 1956-2020

Centravanti rapido, astuto nella lettura dell’azione e dotato di una buona tecnica individuale, Pablito nacque ala, tant’è che in gioventù venne definito da Italo Allodi “il nuovo Garrincha” a causa della sua poco ricordata capacità funambolica con il pallone tra i piedi. Paolo Rossi è l’uomo-copertina della nazionale campione del mondo 1982, tant’è che a fine anno si aggiudicò il Pallone d’Oro proprio in virtù delle sue prestazioni mondiali. Pablito arrivò al mondiale di Spagna dopo anni di bufera, a causa della squalifica per calcio-scommesse del 1980, e con sole tre partite di campionato nelle gambe ed una condizione fisica deficitaria. La sua convocazione comportò poi l’esclusione di Roberto Pruzzo, capocannoniere in carica della Serie A. Le prime tre partite del mondiale contro Polonia, Perù (sostituito dopo la prima frazione di gioco) e Camerun videro un Rossi evanescente e fuori giri, ma nella delicata sfida contro il Brasile dei fenomeni Zico e Falcao quello che sembrava un brutto anatroccolo diventò il più bello dei cigni e per Pablito fu apoteosi e bagni di gloria: tripletta decisiva ai verdeoro, doppietta contro la Polonia in semifinale, e gol del vantaggio in finale. Altrettanto bene – anzi, secondo molti giocò addirittura meglio – fece in Argentina quattro anni prima: tre reti e prestazioni in cui brillò per centralità nel gioco, velocità negli scambi con i compagni (delizioso il suo duetto con Bettega nel gol-vittoria contro l’Argentina padrona di casa) ed efficacia nelle giocate.

Franco Baresi

Difensore, 1960

Storico capitano e leader difensivo rossonero, insieme a Gaetano Scirea è reputato il miglior libero italiano e uno dei difensori più forti di tutti i tempi. Giocatore che univa eleganza ed efficacia, puntuale nei tackle e preciso nella lettura dell’azione e nell’applicazione millimetrica dei meccanismi difensivi del Milan di Sacchi, Franco Baresi scrisse pagine memorabili anche con le sue prestazioni in azzurro. Campione del mondo senza mai scendere in campo nel 1982, entrò in rotta di collisione con Enzo Bearzot per divergenze tattiche finendo così per saltare il mondiale 1986. Azeglio Vicini lo rimise al centro del progetto per i mondiali casalinghi del 1990, e la scelta fu giusta: in una retroguardia in cui tutti offrirono un contributo molto alto, Baresi fu il più brillante di tutti. Ciò che però colloca il capitano azzurro in questo speciale elenco è la sua fantastica prestazione nella finale di Pasadena del 1994, giocata 25 dopo l’infortunio al menisco occorsogli durante la partita con la Norvegia ai gironi. Franco Baresi giocò molto probabilmente la partita della vita, tra anticipi, tackle, marcature ferree e coraggiosi slanci in avanti con il pallone tra i piedi come un condottiero che indica la via. Il rigore sbagliato nella lotteria finale, stremato dai crampi e dalla stanchezza, non toglie nulla ad una prestazione d’oro massiccio, tant’è che la Gazzetta dello Sport lo premiò con un bel 9.

Roberto Baggio e Franco Baresi delusi dalla finale di USA ’94

Roberto Baggio

Attaccante, 1967

Fuoriclasse con i piedi di velluto, dal dribbling sinuoso e avvolgente e la precisione chirurgica sotto rete nei suoi anni migliori, il Divin Codino gode dell’amore incondizionato degli italiani, nonostante abbia indossato maglie diverse nel corso dell’intera carriera, anche per le giocate e le magie regalate ai tifosi azzurri nel corso dei tre mondiali degli anni Novanta. Con Azeglio Vicini si guadagnò il posto da titolare solo nella terza partita contro la Cecoslovacchia, dove andò a rete con un gol quasi “maradoniano”, prendendo palla a centrocampo, triangolando con i compagni e stordendo i malcapitati cecoslovacchi a suon di dribbling e finte di corpo. Subentrò a gara in corso nella semifinale contro l’Argentina, e per poco non sfiorò il colpo grosso con una deliziosa punizione salvata in angolo da Goycochea, alimentando il più classico dei “what if”. Negli Stati Uniti quattro anni dopo visse probabilmente il punto più alto della sua carriera: similmente a Paolo Rossi, dopo un inizio stentato, fatto di prestazioni deludenti e incomprensioni con l’allenatore – celebre il suo gesto del dito sulla tempia rivolto a Sacchi in occasione della sua sostituzione durante Italia-Norvegia – si sbloccò agli sgoccioli degli ottavi con la Nigeria, trascinando di peso in finale a suon di giocate decisive e gol pesanti (5 in tre partite, tra Nigeria, Spagna e Bulgaria) una nazionale condannata meritatamente all’eliminazione. Giocò la finale di Pasadena al 30% della sua condizione fisica, a causa di un infortunio subito in semifinale, ma riuscì ugualmente a spaventare Taffarel con un paio di bei tiri da fuori. Il suo celeberrimo rigore calciato alto è l’epilogo amaro e ingiusto di un mondiale vissuto da protagonista assoluto, insieme a Romário. La bellezza del gioco e la malinconia che possiede il Codino nella sua intima essenza si manifestò anche ai mondiali di Francia, dove il CT Maldini lo costrinse a fare la riserva di un Del Piero chiaramente fuori condizione. Baggio salvò i suoi contro il Cile (assist e gol su rigore da lui stesso procurato, “Baggio evita un naufragio”, titolò la Rosea), e segnò contro l’Austria subentrando ad Alex. L’immagine del suo mondiale fu soprattutto quel tiro al volo di classe infinita, che uscì di venti centimetri, lasciando di pietra un esterrefatto Barthez, nel più classico degli sliding doors nei quarti di finale contro la Francia futura regina.

Fabio Cannavaro

Difensore, 1973

Piccolo di statura, ma con una forza nelle gambe e un senso dell’anticipo che gli permetteva di annullare attaccanti più alti di lui anche di trenta centimetri (chiedere a Tore Andre Flo), il difensore napoletano disputò ai mondiali le gare più belle della sua carriera: dopo un inizio turbolento ai mondiali 1998 contro il Cile in cui venne uccellato due volte da Salas, le prestazioni di Cannavaro ebbero un climax ascendente, fino ai quarti di finale contro la Francia, dove fu il migliore in campo tra i 22, rimediando un 8 in pagella e diversi punti di sutura al viso dopo una gomitata di Guivarc’h. Anche in Corea e Giappone rispose presente, ma saltò la gara contro la Corea del Sud a causa di una squalifica. Del mondiale tedesco invece, sappiamo già tutto, e per non essere ripetitivi vi rimandiamo al pezzo del nostro Gabriele Gilli.

Gianluigi Buffon

Portiere, 1978

Reputato uno dei migliori portieri di sempre, Gigi Buffon offrì prestazioni maiuscole anche con la maglia della nazionale: dopo avere assistito ai mondiali francesi dalla panchina, Gigi giocò da titolare il mondiale nippo-coreano, risultando uno dei più positivi nella sfortunata spedizione azzurra in Estremo Oriente: parò un rigore ad Ahn, nella tormentata sfida contro i padroni di casa, ma non bastò ad evitare la prematura eliminazione. Germania 2006 fu però il suo momento di gloria: subì due sole reti in tutto il torneo (una su rigore, l’altra su autogol), e soprattutto fu chiamato ad interventi decisivi in ogni partita, senza mai scendere sotto al sette. Non essere riuscito a parare nessun rigore in finale rappresentò forse una piccola “macchia” di un cammino quasi perfetto, ma non c’è dubbio che il suo torneo fu uno dei migliori di sempre nella storia dei mondiali per quanto concerne i portieri.

Andrea Pirlo

Centrocampista, 1979

Nelle graduatorie “di merito” del mondiale di Germania 2006, dopo Cannavaro e Buffon il più bravo è stato lui. Andrea Pirlo giocò un mondiale da padrone del centrocampo, con la consueta classe, intelligenza e magistrale visione di gioco, aprendo le danze con un fantastico destro da fuori al debutto contro il Ghana e piazzando assist e giocate decisive, la più famosa tra tutte è la fantastica intuizione per Fabio Grosso in semifinale, che ci spalancò le porte per Berlino. La FIFA lo premiò Man of the Match per 3 partite su 7 (Ghana, Germania, Francia). Nel 2010 in Sudafrica giocò solo la mezzora finale con la Slovacchia, ma tanto bastò per cambiare volto alla squadra azzurra, fino a quel momento anemica, priva di ordine e di idee. L’ultima grande sinfonia del Maestro fu suonata ad Italia-Inghilterra del mondiale brasiliano del 2014: Pirlo giocò una partita da grandissimo protagonista, guadagnandosi gli elogi della stampa internazionale, e sfiorando il gol con un calcio di punizione dei suoi.

12 giugno 2006, ai Mondiali di Germania contro il Ghana. (MICHAEL URBAN/AFP/Getty Images)

Menzioni d’onore

Meritevole di menzione in questa classifica è anche Dino Zoff, straordinario portierone che difese la porta azzurra in tre mondiali, tra cui ovviamente quello del 1982 (iconica la sua parata su Oscar contro il Brasile). Non dimentichiamo nemmeno Claudio Gentile, che si mise in mostra con buone prestazioni in Argentina nel 1978 e venne inserito nella formazione ideale quattro anni dopo in Spagna (ricorderete tutti le marcature asfissianti su Zico e Maradona). L’”eroe per caso” di Italia 90 Totò Schillaci e Christian Vieri (miglior marcature azzurro ai mondiali insieme a Baggio e Rossi) completano il quadro e vanno certamente menzionati.

Tutte le finali vincenti dell’Italia ai Mondiali

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