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The wind that shakes the barley: i 10 calciatori irlandesi e nordirlandesi più grandi del dopoguerra

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La Regina è morta e noi le dedichiamo un omaggio che forse avrebbe gradito a metà, celebrando il calcio irlandese nella sua interezza, l’Irlanda nella sua interezza.
The Wind That Shakes The Barley è il titolo di un brano popolare ispirato da una poesia di Robert Dwyer Joyce della seconda metà dell’800, ed è divenuto con il tempo un inno all’indipendenza dell’isola e al sacrificio dei suoi giovani – se ne ricorderanno, tra gli altri, i Dead Can Dance e il noto regista Ken Loach. Nel nostro piccolo, noi citiamo l’orzo che si muove nel vento per evocare le gesta dei giocatori più talentuosi nati tra Belfast e Dublino, facendo uno strappo alla regola e alle norme del Regno Unito per omaggiare tutta l’Isola Verde.

1) George Best

Nome scontatissimo e per il quale non spendo troppe parole: se si parla di talento, inteso come “capacità di fare qualunque cosa con il pallone tra i piedi e di farla con naturalezza”, George Best non teme praticamente nessuno nella storia del calcio mondiale. Quando parlo di Best, oltre a evocare la bellezza stordente e l’originalità del suo modo di giocare, rimaste quasi senza pari, tengo sempre a precisare che Georgie era sì un giocatore di fantasia ma anche un atleta capace di muoversi su tutto il campo e di mettere all’occorrenza la gamba in fase difensiva, e che sicuramente ha chiuso la carriera in largo anticipo sulle previsioni, ma che dal 1964 al 1972 è comunque quasi sempre un giocatore di primo piano in Inghilterra e in diverse stagioni anche nel mondo. L’aneddotica spiccia quando si cita il fuoriclasse di Belfast ha stufato da tempo e quindi ve la risparmio, però mi pare doveroso ricordare che a Best hanno dedicato un aeroporto, a Belfast, e che questo ci dice qualcosa su ciò che il simbolo “pop” degli anni ’60 rappresenta tuttora per la sua gente.

2) Roy Keane

Alex Ferguson, che ha chiuso in rapporti con Roy in maniera non proprio amichevole (e del resto si parla di due caratteri non semplicissimi), nella sua autobiografia, dopo aver citato Cantona, Scholes, Giggs e Cristiano Ronaldo come i giocatori più talentuosi da lui allenati, celebra Keane come il líder maximo e irrinunciabile della sua carriera. Nel corso degli anni ’90, il roccioso e controverso centrocampista irlandese è l’anima dello United, e si consacra campione di dimensione planetaria dopo aver fatto intravedere le doti del grande giocatore già da ragazzino a Nottingham: le sue capacità di corsa e di pressing consentono a Ferguson di schierare formazioni votate all’attacco, e Keane non è solo un formidabile mediano, ma anche un giocatore universale – ho visto un City – United del 1993 e Roy Keane, per il modo di stare in campo, evoca addirittura le gesta di Matthäus. La partita più importante della sua carriera sui grandi palcoscenici arriva nella primavera del 1999 e si gioca al Delle Alpi: Keane è l’anima dello United che, chiuso in un angolo come un boxeur allo stremo dai due gol di vantaggio della Juventus, sconfigge il destino e si guadagna la finale di Barcellona.

3) Pat Jennings

Non conosco il campione di Newry bene come i suddetti fuoriclasse, ma posso dire che si tratta di uno dei portieri più spettacolari che abbia mai visto: plastico, dotato di riflessi degni di quelli dei grandissimi, agile, votato allo spettacolo e all’intervento plateale ma anche molto efficace, Pat è stato un fenomeno e anche uno dei giocatori più longevi di ogni epoca: debutta in nazionale nel 1964 e arriva a disputare anche in mondiali messicani del 1986, ed è uno dei pochissimi giocatori che possono vantare 1.000 presenze tra i professionisti. Il suo nome è legato soprattutto alla maglia del Tottenham, con cui disputa le stagioni migliori tra anni ’60 e ’70, vincendo diversi titoli tra cui una coppa UEFA e ricevendo per due volte il premio di giocatore dell’anno del campionato inglese (impresa proibitiva per i giocatori di movimento e ancora più ragguardevole per un portiere). Pat giocherà la seconda parte della carriera con la maglia degli acerrimi rivali dell’Arsenal, chiudendo la carriera (con la maglia di club) nel 1985.

4) Danny Blanchflower

Superbo mediano e regista dotato di qualità in dosi industriali e abilissimo nel tackle, secondo – per molti conterranei – al solo concittadino di Belfast George Best per puro talento, tra i connazionali, Blanchflower è stato come Jennings una bandiera del Tottenham, con il quale ha vinto diversi titoli sia in Inghilterra che in Europa (la Coppa delle Coppe del 1963), consacrando gli Spurs tra le squadre più ammirate del Vecchio Continente. Blanchflower vive gli anni migliori della carriera a cavallo tra ’50 e ’60, quando sul piano individuale viene insignito per due volte della corona di calciatore dell’anno del campionato inglese e inserito per tre volte nella rosa dei candidati al pallone d’oro.

5) Johnny Giles

Talento grezzo dello United e poi uomo cardine del Dirty Leeds accanto allo scozzese Billy Bremner, il brevilineo Giles nel 2003 è stato premiato come miglior giocatore irlandese della seconda metà del secolo, e non senza valide ragioni: sul piano trettamente tecnico, Giles rimane probabilmente il campione più dotato mai nato nella Repubblica d’Irlanda; Johnny è stato prima un’ala tutta dribbling e veroniche allo United e poi il giocatore di trama e ordito del Leeds dei cattivi, con i quale ha scritto le pagine più belle della sua carriera, vincendo due campionati, due Coppe delle Fiere e una Coppa d’Inghilterra.
Avrebbe potuto arricchire il suo già eccellente palmarès con la Coppa dei Campioni, ma la sconfitta subita al Parco dei Principi dal Bayern nel 1975, al termine di una partita molto controversa sul piano arbitrale, chiude tra i mugugni e nel modo peggiore la sua eccezionale militanza nell’Inghilterra del nord e gli suggerisce di intraprendere la carriera di giocatore-manager. Ricordato come uno dei rigoristi più precisi di ogni epoca e così celebre e celebrato da meritarsi un coro personalizzato (cosa rara all’epoca), Giles non può che accomodarsi nelle posizioni nobili di questa graduatoria.

6) Liam Brady

Centrocampista intelligente e affidabile, fornito di un mancino affilato e di un senso della geometria con pochi eguali, Brady è stato uno dei grandi gentiluomini del calcio delle isole britanniche. Regista capace all’occorenza anche di mettere la gamba (come del resto prevede il canovaccio del calcio inglese dell’epoca), Brady è uno dei perni dell’Arsenal nel corso degli anni ’70, decennio durante il quale matura sino a consacrarsi come uno dei centrocampisti di maggior classe del calcio inglese, premiato anche come giocatore dell’anno al termine della stagione 1978/1979. Chiusa l’esperienza londinese, Brady è una sorta di pioniere in quanto è tra i primi giocatori britannici ad avventurarsi in Italia sin dai tempi di John Charles, e dimostra subito di potersi adattare a un calcio più complesso sul piano tattico e più votato alla difesa, tanto che vince da titolare due scudetti con la maglia della Juve prima di traslocare a Genova, quindi a Milano sponda nerazzurra e infine ad Ascoli. Particolarmente felice la sua parentesi blucerchiata. In nazionale gioca per quasi quindici anni, collezionando 72 partite e 9 gol.

7) Paul McGrath

La Perla Nera di Inchicore, Big Paul è uno dei primi mulatti (mezzo irlandese e mezzo nigeriano) ad aver indossato la maglia della nazionale dell’Eire, e rimane con ogni probabilità il miglior difensore irlandese del dopoguerra. Statuario centrale di 184 cm, fortissimo fisicamente, Paul è stato il perno difensivo prima dello United (“Un uomo le cui abilità difensive sono comparabili a quelle dei migliori difensori del mondo”, secondo Ferguson) e poi dell’Aston Villa, nonché per oltre un decennio il leader della miglior Irlanda della storia, quella capace di far soffrire la nazionale azzurra in ben due occasioni, uscendone vincitrice a New York nel 1994, con un McGrath in assoluto stato di grazia che cancella dal campo un certo Roberto Baggio e oscura i fuoriclasse della difesa azzurra. Candidato per quattro volte al pallone d’oro, l’unico giocatore a essere premiato sia come numero uno del calcio dell’Isola Verde che come numero uno del calcio inglese, McGrath è un pezzo di storia dello sport del suo paese.

8) Robbie Keane

La sua brevissima e incolore parentesi interista non tragga in inganno: Robbie Keane è e rimane uno dei talenti più cristallini della storia del calcio irlandese, un normolineo dotato di un’esplosività eccezionale, una seconda punta capace di adattarsi a qualsiasi posizione nel reparto offensivo e un bomber seriale che ha scritto pagine memorabili soprattutto con la maglia della nazionale. Idolo incontrastato dei tifosi degli Spurs, ai quali regala le stagioni più belle della carriera all’inizio del nuovo millennio, Keane è stato soprattutto l’uomo-chiave della nazionale per una vita, e ha confezionato i cioccolatini più gustosi ai mondiali di Corea e Giappone, quando si è reso protagonista di alcune prestazioni da consegnare agli annali, tra le quali spicca l’ottavo di finale perso solo ai rigori contro una Spagna tecnicamente di gran lunga superiore. Con 68 reti, rimane il miglior cannoniere della storia del calcio irlandese, e la sua lunga parentesi a Los Angeles chiude in gloria una carriera eccezionale.

9) Patrick Bonner

Icona del Celtic e della nazionale per quasi un ventennio, portiere-armadio dotato però di riflessi eccezionali (rivedo in lui qualcosa di Schmeichel), Bonner non può mancare in un discorso serio relativo ai maggiori campioni irlandesi, e non solo perché a Glasgow ha vinto tutto per anni, ma anche perché è forse l’uomo-chiave dei due tornei mondiali più gloriosi per la storia della Repubblica d’Irlanda, Italia 1990 e USA 1994: in patria si parla ancora oggi con venerazione della sua prestazione contro la Romania nel mondiale italiano, quando è decisivo alla lotteria dei rigori. Nel 1989 si guadagna una onorevole diciassettesima posizione nella graduatoria del pallone d’oro, e in quegli anni è diffusa la convinzione che Bonner valga i migliori portieri in circolazione.

10) John Aldridge

Poderoso centravanti di origini inglesi ma naturalizzato irlandese, Aldridge merita a mio parere di accomodarsi tra i massimi campioni che hanno vestito la maglia verde. Giocatore completo, Alrdige ha due piedi più che discreti, è rapido nelle ripartenze e ottimo nel gioco aereo. Approdato a Liverpool nella seconda metà degli anni ’80, dopo le brillanti performance con l’Oxford United, si guadagna i galloni del titolare e sostituisce più che degnamente il grande Ian Rush, mettendo a referto 63 gol in due sole stagioni complete. Più che positiva, e non era affatto scontato che lo fosse, anche l’esperienza in Spagna con la Real Sociedad. In nazionale disputa 69 gare e segna 19 reti, giocando da titolare il mondiale italiano del 1990.

Menzioni d’onore

Meritano una menzione d’onore Roy Houghton, l’esplosivo Damien Duff, Mr. Regular Denis Irwin, Mr. Regular 2.0 Tony Dunne, l’attaccante Peter McParland, Norman Whiteside soprattutto il grande attaccante di manovra del Liverpool Steve Heighway, che è stato in ballottaggio con Aldridge fino all’ultimo e che potrebbe naturalmente figurare in graduatoria. Johnny Carey viene escluso solo perché, pur avendo giocato anche nel dopoguerra, di fatto è difficilissimo da giudicare.

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