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Titì Henry: velocità, estro e luoghi comuni da sfatare

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Immagine di copertina: Thierry Henry con la maglia iconica dell’Arsenal

O2 non è solamente la formula chimica dell’ossigeno molecolare. È anche il logo di un’importante società europea di telecomunicazioni, che noi calciofili associamo senza indugio all’Arsenal degli Invincibili di Arsene Wenger, che dominava il Regno Unito (e non solo) nei primi anni del nuovo millennio, proponendo un calcio sinfonico, corale e al contempo pratico ed efficace, che univa estro e bollicine monegasche ai muscoli della realtà britannica. Una squadra dall’anima multiforme, costituita da un insieme di elementi così eterogenei tra loro che la sua punta di diamante non poteva che essere un figlio delle degradate periferie parigine, con padre di Guadalupa e madre originaria dell’isola di Martinica, nelle Piccole Antille.

Thierry Henry è stato un simbolo per chi, come me, era bambino in quegli anni, e si stava affacciando al calcio d’Oltremanica: Internet c’era già, ma era ancora alle prime armi, le pay-tv non erano ancora così diffuse come lo sarebbero state tra qualche anno – c’era sempre l’amico privilegiato presso cui radunarsi la sera per vedere le partite in compagnia – YouTube era ancora in fasce. Così, uno dei miei primissimi ricordi di Titì era la copertina di un celebre videogioco, in cui figuravano Henry e, se la memoria non mi inganna ma potrei sbagliarmi, Ronaldinho e Del Piero. All’interno del videogioco erano diffuse delle clip in cui i giocatori si esibivano in prodezze tecniche e ricordo che rimasi estasiato da questo spilungone francese con i piedi di cotone, capace di spostare la palla da un piede all’altro con una velocità quasi “brasiliana”. E fu subito amore, lo misi “sotto osservazione”, cercando tutto il materiale su di lui – tra partite in tv, riviste di calcio, ecc. – e non lo mollai più.

Un giocatore così, estroso, agile, con un tiro secco, potente e preciso, capace di estrarre dal cilindro autentiche prodezze e dal dribbling veloce e funambolico nonostante una statura non certo piccola – parliamo di un metro e ottantotto circa – era amato da tutti, o almeno era quel che ho creduto per molti anni, quando il magico mondo dell’Internet mi diede la possibilità di interfacciarmi con altri appassionati di età e “retaggio” diverso dal mio. Con una certa sorpresa ho scoperto che Henry, a fronte di una nutrita comunità di ammiratori, nutre di uno stuolo di detrattori, piccolo ma neanche troppo. La finalità di questo articolo è provare alla manciata di critiche che ho sentito muovere al fuoriclasse francese nel corso degli anni, o almeno a contestualizzarle ed incanalarne in un’analisi ben precisa.

Il favoloso gol di Henry al Bernabeu contro il Real Madrid

1. Era un giocatore senza ruolo

Abbiamo parlato tante volte su questo sito di come in Italia la nostra concezione rigida e fissa dei ruoli ci porti a non capire – e nella peggiore delle ipotesi a non apprezzare – i giocatori difficilmente incasellabili. Siamo pur sempre il paese che si interrogava sul ruolo di Roberto Baggio (il famoso nove e mezzo) e che per un certo periodo ha ostracizzato ogni giocatore non collocabile nel famigerato 4-4-2 di impronta sacchiana.

Henry è stato sicuramente un attaccante atipico: Wenger ai tempi del Monaco, con Titì giovanissimo, lo schierava ala, ritenendo che il suo passo e la sua velocità nel dribbling potessero essere un’arma risolutiva. Anche Jean Tigana lo schierò diverse volte come attaccante esterno di un 4-3-3, e venne ricompensato con una semifinale di Champions nel 1998, in cui Henry fu vice-capocannoniere del torneo con 7 reti, meglio di lui solo Alessandro Del Piero con 10. Non furono poche tuttavia le volte in cui si ritrovò a fare coppia con l’amico David Trezeguet. All’Arsenal invece il suo ritrovato mentore lo pensò punta centrale, prima in coppia con Dennis Bergkamp, altro grande enigma del nostro calcio, poi dal 2005 fu pensato come “unica punta centrale”, che con i suoi dribbling e i suoi assist riusciva a creare spazi e servire le imbucate dei centrocampisti dei Gunners. Anche Guardiola al Barcellona lo pensò come attaccante esterno, detto che il calcio dell’allenatore catalano è tutt’altro che rigido sul piano della concezione dei ruoli e che la fluidità del calcio barcellonista poteva portare Henry anche a giocare in posizioni più centrali. In sintesi, la sua “atipicità” più che un problema è stata quasi sempre una soluzione ed un valore aggiunto. E per altri giocatori come Zlatan Ibrahimovic o il già citato Bergkamp il discorso può essere analogo.

2. Soffriva le difese italiane

Anche questa convinzione è frutto di un punto di vista parziale, che in questo caso si sostanzia nella fallimentare esperienza di Henry alla Juventus nel 1998/99. Era arrivato a Torino nel gennaio 1999, per tamponare la falla aperta dal grave infortunio occorso a Del Piero. Thierry trovò tuttavia un ambiente difficile – il ciclo Lippi si era concluso, i risultati stentavano ad arrivare e l’allenatore viareggino diede le sue dimissioni e fu sostituito da Carlo Ancelotti – e anche la collocazione tattica disegnata per lui dall’allenatore non diede i suoi frutti. Vige un luogo comune abbastanza ricorrente basato sul fatto che Henry con Ancelotti giocò solo da esterno sinistro di un centrocampo a cinque, quando in realtà provò diverse posizioni: dall’esterno sinistro di centrocampo di un 4-4-2, alla seconda punta classica, fino al famigerato 3-5-2 con il compito del “tornante”. Il bottino fu misero – 20 presenze e solo 3 gol – e la netta stroncatura sui quotidiani sportivi sul fatto che non fosse un giocatore con il senso del gol. Insomma, correva e basta. Sarebbe bastato aspettare la sua partenza per Highbury per ribaltare completamente i verdetti.

Venendo tuttavia al caso specifico, basterebbe citare la doppietta ai nerazzurri in un Inter-Arsenal 1-5, la tripletta contro la Roma nel 2002/03, i gol contro la Juventus tra il 1998, 2002 e 2006 per dimostrare che non erano le difese italiane il problema. Aggiungo anche le due finali della Francia contro la nostra nazionale, nel 2000 e nel 2006: Henry è stato sempre pericoloso con la palla tra i piedi, la velocità, la progressione ed il dribbling crearono parecchi grattacapi alla nostra retroguardia, che faticò notevolmente ad arginare Titì.

Per quanto non sia in discussione che per un attaccante il banco di prova del nostro campionato ai quei tempi fosse l’esame di laurea, proprio per l’altissima preparazione tattica della nostra scuola calcistica, reputo fuori luogo pensare che l’affermarsi presso i nostri lidi fosse l’unico valore che conta per individuare la grandezza di un giocatore: Bergkamp, Rivaldo, Rush, Socrates e soprattutto Stoichkov meritano ben altro trattamento e riconoscimento rispetto a quello che talvolta il pubblico medio gli attribuisce, qualunque fossero le cause di prestazioni non all’altezza nel cortile di casa nostra.

Henry e Ancelotti: della serie “Non ci siamo capiti”.

3. Si esaltava solamente nelle praterie della Premier League

Altra considerazione che si aggancia con quella riportata nel punto precedente, pronunciata non senza un filo di snobismo. Riassumere ciò che è stato Henry per l’Arsenal sarebbe un lavoro lungo e probabilmente inutile. Fortunatamente, oltre ai video, ai giornali, alle fredde statistiche nude e crude, c’è una gigantesca statua fuori dall’Emirates Stadium, che arriva dove non possono arrivare le parole.

La grandezza di Henry si estende oltre i mari della Gran Bretagna: oltre alla già ricordata Champions League da rookie nel 1998, non va dimenticate le ottime annate del 2001/02 e 2002/03 concluse con 7 gol ciascuna – erano anni in cui l’Arsenal non riusciva ancora ad imporsi come candidata alla vittoria – e soprattutto la Champions League 2006, in cui fu l’autentico trascinatore della squadra verso la finale di Parigi, con prestazioni deluxe soprattutto contro Juventus e Real Madrid – il Bernabeu dovette inchinarsi al capitano dei Gunners. In finale gli episodi non girarono propriamente a suo favore, sbagliò un’occasione chiara, ma sarebbe ingeneroso demolire un giocatore che, anche al mondiale tedesco, fu probabilmente il miglior francese con uno Zidane in stato di grazia. La butto lì, pur sapendo di non avere mai la controprova: se i rigori conclusivi a Berlino avessero avuto disgraziatamente un esito diverso, non sarebbe stato blasfemo premiare Titì con il pallone d’oro per quanto mostrato durante l’anno.

4. Non eccelleva nel colpo di testa

Questo è vero, nonostante l’altezza Henry non faceva del gioco aereo la sua caratteristica migliore, e con questo? Non lo era nemmeno Zlatan Ibrahimovic, eppure mi sembrerebbe folle discutere la caratura di un giocatore che per parecchi anni ha avuto un rendimento nei campionati dove giocava pari – o comunque molto vicino – a quello che avevano Messi e Cristiano Ronaldo nella Liga con Barcellona e Real Madrid (od anche in Premier League, in caso del portoghese). Allo stesso modo, mi sento di collocare Henry nella cerchia dei primi giocatori al mondo nel periodo che va dall’inizio del nuovo millennio fino al mondiale di Berlino. Nel 2001 il pallone d’oro venne vinto da Michael Owen per la sua straordinaria stagione con il Liverpool ed il suo filotto di coppe, ma personalmente non ritengo Henry inferiore all’inglese quell’anno e non lo ritengo nemmeno inferiore al Ronaldo 2001/02 – che ha beneficiato del mondiale – o a Pavel Nedved dell’anno seguente, almeno come caratura ed impatto sulle partite, a prescindere dai successi raggiunti dalla squadra.

In chiusura, se mi si chiedesse dove collocare Henry nella classifica dei migliori calciatori francesi di tutti i tempi, ritengo che, allo stato attuale, l’unico giocatore davvero fuori portata per lui sia stato “Le Roi” Michel Platini. Non potendo giudicare Fontaine e Kopa, e collocarlo in una precisa graduatoria all time per l’eccessiva lontananza con la nostra era, rimangono Zidane e Mbappé. Al netto della diversità dei ruoli, Zizou potrebbe essere ritenuto superiore per la sua centralità nella manovra e nella costruzione di una squadra, nonché per la sua pesantezza in tante partite cruciali (a cui tempo fa dedicai un articolo), mentre Kylian è nel pieno della carriera e con due grandi Mondiali da protagonista alle spalle – i suoi trenta minuti di fuoco nella finale dei Mondiali in Qatar hanno pochi rivali al mondo per impatto e peso – e diverse annate in cui ha fatto il vuoto in Francia e diverse grandi prestazioni in Champions a cui è mancato il centesimo per fare il milione probabilmente a fine carriera sarà davanti ad Henry. Tutti gli altri – da Cantona a Giresse, passando per Vieira, Tigana, Papin, Benzema – non li vedo superiori, anzi.

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