Recentemente il nostro Giuseppe Raspanti ha illustrato qui un suo personale – e coraggioso – ritratto di Roberto Baggio, giocatore oscillante tra vizi e virtù. Inutile dire che è stato un pezzo che ha sollevato molte discussioni, anche tra di noi di Game of Goals. Personalmente mi sento di dire che apprezzo il coraggio di mettere in discussione anche i miti e quelli che generalmente vengono considerati intoccabili e Baggio in Italia è amato come pochi.
Fatta questa premessa, trovo ingenerose alcune critiche che gli sono state rivolte nell’articolo in questione, una tra tutte: il rigore di Pasadena dimostra che Baggio non è un giocatore decisivo, quando è proprio grazie alle magie del Divin Codino che gli Azzurri passarono dall’essere in balia di un’arrembante Nigeria agli ottavi a giocarsi l’atto finale del mondiale americano. È proprio grazie alle giocate di Baggio, in quel momento il miglior giocatore europeo in circolazione, che la Juventus si porta a casa una coppa UEFA nel 1993 e getta le basi per il futuro ciclo di vittorie.
È proprio grazie a Roberto Baggio, che l’Inter nel 2000 strappa una qualificazione in Champions League all’ultimo respiro, contro “nemici esterni” (il temibile Parma) e “interni” (un allenatore che avrebbe fatto giocare persino i magazzinieri pur di non far giocare Baggio, con cui aveva un rapporto di guerra aperta). E questo, senza considerare le prestazioni deluxe con la Fiorentina ed i primi anni di Juventus, dove – da capocannoniere in Coppa delle Coppe 1991 – deve cedere il passo per dettagli al Barcellona di Cruijff (che si apprestava a prendersi le scene in Spagna ed in Europa) in semifinale, pur disputando una delle migliori partite della sua carriera e sorvolando anche sui mondiali 1990 e 1998, dove pur non partendo titolare incise sul gioco spesso e volentieri partendo dalla panchina.
Tuttavia non è di questo che voglio parlare, anche perché si tratta di fatti noti agli appassionati. Più settoriale e di nicchia, diciamo, è invece l’avventura di Roberto Baggio nelle Rondinelle, all’ombra del Cidneo. Nel tramonto della sua carriera, il Divin Codino fa sognare un’intera città, contribuendo sia a salvezze che sembravano impossibili, sia a piazzamenti e ad altezze in classifica che da queste parti (sono bresciano) sono rare come la cometa di Halley. La sua avventura in biancazzurro lo vede timbrare 46 reti in 101 presenze, senza tralasciare il fatto che si è spesso trattato di un Baggio “a mezzo servizio”, con lunghi stop e di conseguenza molte partite saltate: tanto per fare un esempio, nel 2001/02 colleziona solo 15 presenze stagionali, mettendo a segno ben 11 reti (c’è da impazzire al solo pensiero di cosa sarebbe potuto succedere con un Baggio a pieno regime per tutta la stagione)
In questo pezzo che vi proponiamo sono state raccolte dieci gemme del Baggio bresciano, che più di tutte hanno scandito la sua avventura nella città della Leonessa, che non a caso con il suo addio si è stabilizzata nella serie cadetta, malgrado estemporanee promozioni in serie A, purtroppo di brevissima durata.
Fiorentina-Brescia 2-2, 2001
In una partita in cui Manuel Rui Costa e Andrea Pirlo duellano in mezzo al campo a suon di lampi di genialità, il Divin Codino si prende il proscenio: un gol beffardo, toccando con la punta del piede il pallone controllato da Vanoli, ed un gol d’autore, con una pennellata da Raffaello all’incrocio dei pali fissano il risultato sul 2-2 contro la Viola, che segna con Enrico Chiesa e Nuno Gomes. Baggio gioca dopo due mesi d’assenza e segna le sue prime reti con la maglia delle Rondinelle. La Gazzetta dello Sport lo premia con un 8 in pagella e commenta: “[…]Un Baggio così cancella tante tristezze del calcio”.
Juventus-Brescia 1-1, 2001
La Vecchia Signora guidata da Carlo Ancelotti viene stoppata dal Brescia di Mazzone al Delle Alpi e perde due punti preziosissimi nella corsa scudetto contro la Roma. Del Piero e Baggio sono i più ispirati, ma vengono fermati dal palo e dal portiere avversario, mentre in mezzo Zidane regala magie. I padroni di casa vanno in vantaggio con Zambrotta, ma la scena se la prende il Divin Codino sul finale della partita: Pirlo illumina dalle retrovie, Baggio fa un aggancio irreale al volo attirando su di sé un ipnotizzato Van der Sar e deposita in rete a porta sguarnita, fissando il punteggio sull’1-1. Il Divin Codino infligge un terribile dispiacere alla squadra di club con cui ha toccato le massime vette di genio calcistico. Alla fine dell’anno, il Brescia si piazzerà ottavo e andrà a giocarsi l’Intertoto, che perderà solamente in finale con il PSG per la regola del gol in trasferta (0-0 a Parigi, 1-1 a Brescia con gol del Codino, purtroppo inutile).
Brescia-Atalanta 3-3, 2001
Per un bresciano, essere prossimo al diciannovesimo compleanno nel settembre del 2001 è stato un privilegio, nel mio caso un privilegio corroborato da un abbonamento pluriennale alle Rondinelle e quindi dalla possibilità di assistere in diretta a un infuocato derby lombardo con l’Atalanta, il derby tramandato ai posteri dalla folle corsa di Carletto Mazzone verso la curva atalantina, rea di averlo insultato per tutti i novanta minuti, un gesto preceduto da una promessa a sua volta immortalata dalle telecamere («Se famo tre a tre vengo sotto la curva»). Il derby del settembre 2001 vive ancora, sugli spalti e nelle immediate vicinanze del Rigamonti, il clima teso e incline alla violenza del calcio italiano degli anni ’90, e infatti raggiungere la gradinata è impresa meno semplice del previsto perché più che a Brescia pare di essere in un Paese del Medioriente sul quale incombe una guerra. La gara è pura adrenalina: Roberto sblocca la partita con un tocco morbido di sinistro propiziato da un traversone di Petruzzi, e il Rigamonti esplode di gioia, ma la festa dura poco, perché l’Atalanta rimonta e, summa iniuria, l’apostata Cristiano Doni esulta a braccia larghe in mezzo al campo, in segno di sfida. Il 3-1 di Comandini pare chiudere ogni discorso e costringe i tifosi di casa a un intervallo mogio e pieno di rimorso. Come sappiamo tutti, nel finale, dopo quasi mezz’ora di agonia in cui qualcuno, dagli spalti, si azzarda persino a bestemmiare in chiesa e attacca Baggio, reo di non aver toccato palla nella ripresa, ecco che Roberto inventa due magie per le quali i tifosi biancoazzurri gli sono tuttora grati, due colpi che sarebbero stati sufficienti a premiarlo con un monumento in Piazza della Loggia, e il 3-3 finale, che si materializza a tempo abbondantemente scaduto, fa tremare le tribune del Rigamonti e regala a un tifoso quasi diciannovenne uno dei pomeriggi più memorabili della sua vita.
Brescia-Fiorentina 3-0, 2002
Anche qui, chi scrive (Buffoli) ha avuto il privilegio di esserci. La stagione 2001/2002 più tribolata della precedente, per i biancoazzurri, anche perché Roberto si è rotto per l’ennesima volta, e a 35 anni pare davvero aver perso l’ultimo treno. E invece, dimostrando ancora una volta una resilienza (termine oggi di moda ma usato spesso a sproposito) non comune, Baggio risorge dalle ceneri e torna in campo contro la Fiorentina nella Primavera del 2002, mentre nei suoi occhi brillano le luci dell’estremo Oriente e di una promessa di Trapattoni che sarà, come noto, tradita. Il Brescia nonostante il vantaggio sta faticando, ed è proprio Roberto che, dopo aver ricevuto la fascia di capitano da Guardiola e dopo la standing ovation del Rigamonti, chiude la partita, ancora una volta, e con una gamba sola, e 35 primavere sul groppone, e allora è inevitabile che al diciannovenne di cui sopra scenda una lacrimuccia. Tre minuti di orologio e con un gesto astuto Baggio fa esplodere tutta Brescia, e come se non bastasse si ripete con un tap in pochi istanti più tardi.
Brescia-Bologna 3-0, 2002
“Dio esiste e ha il codino”, recita uno striscione in Curva Nord, e la trionfale vittoria sul Bologna, che regala al Brescia la matematica salvezza, è anche una delle prestazioni più brillanti del Roberto redivivo della Primavera del 2002. La partita viene sbloccata a inizio ripresa da un gesto tecnico splendido di Bachini, e poi, come di consueto, ci pensa Baggio, che sbaglia un rigore ma rimedia subito, e delizia la platea con un paio di sortilegi e invenzioni spettacolari. La dedica finale a Vittorio Mero chiude come meglio non potrebbe una domenica memorabile per tutti i tifosi del Brescia.
Piacenza-Brescia 1-4, 2003
La Gazzetta dello Sport del giorno seguente è asciutta e senza giri di parole: “Baggio disegna calcio”. Eh, sì, perché nella serata del primo febbraio 2003, il Codino è come al solito tra i protagonisti delle Rondinelle, che espugnano Piacenza, che a fine stagione scenderà nella serie cadetta. Non basta una rovesciata del mitico Dario Hubner per pareggiare il vantaggio dei bresciani scaturito dal destro da fuori di Appiah. Baggio sale in cattedra con un’incredibile destro al volo dopo un pallone spiovente da centrocampo, per poi servire un pallone al miele per un giovane Luca Toni che incrocia con il sinistro nell’angolo basso. Il gol di Tare è la ciliegina di una torta gustosissima, cucinata ancora una volta dal fuoriclasse di Caldogno.
Brescia-Atalanta 3-0, 2003
Il mitico 3-3 dell’anno precedente è rimasto nella memoria di tutti gli italiani, ma il 3-0 casalingo sugli odiati cugini bergamaschi è, se possibile, custodito ancora più gelosamente nei cuori biancazzurri. In un pomeriggio perfetto ad alto tasso di godimento, i ragazzi di Mazzone dominano un’Atalanta mai in partita e rimasta in inferiorità numerica: Baggio rifinisce due volte per Appiah e Petruzzi, ma il capolavoro della giornata è quello stupendo pallonetto dal limite dell’area, che scende lento e morbido nella porta atalantina. Chi era allo stadio quel giorno ricorda quel momento come un’esperienza quasi mistica: un surreale silenzio in un istante di tempo sospeso, mentre il pallone fluttuava nell’aria, prima del boato che sembrava provenire dalle viscere della terra.
Brescia-Siena 4-2, 2004
La stagione 2003/2004 vede un Baggio in grande condizione, che rischia di più e pare spremersi in campo come faceva dieci anni prima, probabilmente perché è consapevole del fatto che il ritiro è a un passo e che quindi non deve più essere prudente né risparmiarsi. Nella partita contro il Siena, tutta la squadra recita alla grande, ma è sempre il Divin Codino a volteggiare a un’altezza diversa da quella degli altri: l’assolo palla al piede che favorisce il gol di Mauri è una giocata da cineteca e da Baggio ventisettenne, Il 2-0 porta direttamente la sua firma ed è una delle sue giocate chiave, il colpo da biliardo, morbido ma inesorabile, che sorprende la difesa avversaria. Convinto di aver già portato a casa la partita, il Brescia allenta la presa e il Siena la riprende, grazie a uno splendido diagonale del vecchio Flo. Deve rimediare ancora il Codino, che con una tranquillità sbalorditiva infila l’ennesimo colpo di biliardo, dopo un controllo di palla da fenomeno, e porta i suoi sul 3-2. Come se non bastasse, nel finale Roberto salta gli avversari come birilli e scodella il cross del 4-2. Anche in questo caso, chi scrive c’era e ricorda una prestazione da tuttocampista, tra le migliori della seconda parte della carriera del fuoriclasse vicentino.
Brescia-Ancona 5-2, 2004
Grande festa al Rigamonti: l’Ancona del 2003/2004 è uno sparring partner, in serie A, e un Brescia tranquillo ne fa quello che vuole. Roberto gioca leggero e può dare sfogo al suo talento superiore: una conclusione al volo dal limite e un pallonetto delicato sono le due grosse e preziose ciliegie su una torta ricca di altre giocate, spunti e assist. Partita eccellente e giocata tutta con una disinvoltura impressionante, nonostante i 37 anni.
Brescia-Lazio 2-1, 2004
È la partita del commiato: il Rigamonti si prepara a salutare il Divin Codino dopo quattro anni straordinari e festeggia la salvezza. La Lazio di Mancini a caccia dell’Europa è sfortunata e colpisce due pali, ma il Brescia passa nel finale e come al solito la firma è di Baggio: prima, un delizioso tocco d’artista con l’esterno destro dalla linea di fondo che serve Mauri per l’1-0, poi il dribbling secco e lo splendido sinistro ad incrociare per il raddoppio. Gol numero 205, ma soprattutto un regalo alle Rondinelle che sa di eternità.
Articolo a cura di TOMMASO CIUTI e FRANCESCO BUFFOLI
Nota a margine
Ciò che rende Baggio unico (in Italia)
Considero Roberto Baggio il più grande talento italiano del secondo dopoguerra con Gianni Rivera. È vero che Baggio è criticabile su alcuni punti come ha evidenziato Giuseppe Raspanti nel suo pezzo, da una certa anarchia tattica al fatto che non sempre è riuscito a diventare l’uomo intorno a cui una grande squadra di club è diventata una squadra di club vincente (alla Juventus lo è stato, ma in parte).
Però ci sono degli aspetti che rendono Baggio un giocatore unico nella storia del nostro calcio, perlomeno in epoca moderna.
Quanti calciatori nella storia avrebbero saputo recuperare da una serie di infortuni gravissimi ancora in giovanissima età e raggiungere il livello mostrato da Baggio in termini di qualità, resa e prestazioni tra il 1990 e il 1994, in particolare nel biennio 1993-1994? Baggio ha saputo incantare le platee di mezzo mondo e consacrarsi come uno dei calciatori italiani più forti di sempre, con ginocchia di cristallo e problemi fisici costanti: cosa sarebbe stato il Baggio sano?
Nessun altro calciatore italiano, poi, ha avuto il rendimento di Baggio in tre Mondiali consecutivi. Forse solo Cannavaro, in un ruolo diverso e meno impattante (evitare un gol resta più facile che segnarlo). È vero che Baggio non è forse mai stato il giocatore cardine di un grande club per lungo tempo, ma è stato il fulcro della nazionale e il giocatore a cui ogni italiano si aggrappava per sognare in grande per circa un decennio. Così è stato al Mondiale di Italia ’90 quando si rivelò agli occhi del mondo. Così è stato a USA ’94 quando le sue magie spinsero gli azzurri all’ultimo atto (e la prestazione in finale, giocata da infortunato, non fu per altro così negativa da parte del Divin Codino). Così è stato a Francia ’98, quando Baggio giocò decisamente bene e meritava ampiamente il posto da titolare al posto di un evanescente Del Piero.
Quanti altri calciatori italiani post anni ’50-’60 sono stati quindi considerati “il miglior calciatore al mondo” (non uno dei, ma IL MIGLIORE) per un biennio? A memoria, solo Baggio: nel 1993 “da solo” e nel 1994 in tandem con Romário.
Tutto questo tralasciando l’aspetto basilare, ossia valutare cosa il Divin Codino fosse in grado di fare con un pallone tra i piedi.
Ultimo aspetto, quello iconico: Baggio è diventato un giocatore amato e noto ovunque, un simbolo dell’Italia anche per chi non segue il calcio, in ogni parte del mondo. Un privilegio che spetta a pochissimi altri calciatori azzurri di epoca televisiva (in parte Rivera, Riva, Totti e Del Piero, sicuramente Paolo Rossi, in un ruolo differente e con modalità diverse Zoff, Baresi, Maldini e Buffon). Nessuno di loro però ha probabilmente raggiunto lo status di popolarità e di riconoscibilità globale di Baggio.
NICCOLÒ MELLO