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Shaggy – Steve McManaman, l’incubo di Alex Ferguson

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«Ferguson era terrorizzato da McManaman. Voleva eliminarlo, e così avrebbe eliminato il Liverpool. Voglio dire, aveva menzionato Alan Shearer e altri importanti giocatori avversari nei colloqui di squadra, ma mai con paura. Tuttavia, McManaman lo ha sempre fatto sudare».

Peter Schmeichel

La generazione inglese che matura a cavallo tra anni ’80 e ’90 mi ricorda un po’ quella azzurra, mutatis mutandis. Esattamente come noi, anche gli inglesi possono leccarsi i baffi per la quantità non comune di talento che riescono a mettere in campo, e direi già a partire dal 1986, ma per qualche motivo non riescono mai a vincere un grande torneo internazionale. E se il nostro rapporto con i rigori è stato melodrammatico fino a quando il Cielo Sopra Berlino (i cinefili apprezzeranno) non ha deciso di sorriderci, i sudditi di Sua Maestà non hanno mai davvero fatto pace con la lotteria più crudele del mondo dello sport.

Riassumendo: nel 1986, ci pensa un piccoletto grassottello che scomoda Dio e che fa piangere i cronisti uruguagi; nel 1990, ci pensano gli undici metri dei tedeschi da cui scaturiranno le profezie malevole di Sir Gary Lineker; nel 1992, gira male tutto ciò che può girare male, mentre nel 1988 tale Marcello Van Basten si sveglia dal letargo e decide che è giunta l’ora di prendere in mano il pennello. Nel 1996, football starebbe coming home ma i tedeschi non sono d’accordo e alla fine vincono sempre loro, ancora una volta ai rigori, e due anni più tardi la storia si ripete, dopo una sfida infinita e bellissima con gli eterni rivali d’oltreoceano.

E così, la generazione dei più o meno belli e dannati, quella che a un certo punto frequenta più le sedi degli alcolisti anonimi che i campi di allenamento (citofonare a Gazza e a Paul Merson), o che sceglie la tranquillità della provincia perché non ama troppo correre e sacrificarsi (chiedere a Sir Matthew Le Tissier), non trova mai la quadra né il modo di riscattarsi, esattamente come era accaduto alla generazione precedente, quella delle facce pulite di Sir Gary e di Glenn Hoddle, o del talento sopraffino e anche muscolare di John Barnes.

In questa legione di talenti cui spesso manca la lira per completare il milione, ce n’è uno che però la lira, alla fine, se l’è presa senza troppi dubbi, e che nel suo paese è anche diventato una star (una sorta di Beckham in piccolo), tanto da guadagnarsi prima il soprannome di Shaggy, per la somiglianza del suo fisico smilzo a quello dell’omonimo personaggio di Scooby-Doo, e poi anche quello di Spice Boy (perché anche in lui c’era la scintilla della follia che ha rovinato molti compagni, benché meno dannosa, tanto che in campo era un lord). Nel contesto degli estrosi d’Oltremanica, in quello che è periodo forse più affascinante per la loro scuola, spicca per efficacia e anche titoli vinti da protagonista, benché in Spagna, Steve McManaman.

Facciamo un passo indietro: Stevie, liverpooliano doc, dopo la trafila delle giovanili passa in prima squadra nel 1988, a sedici anni, e nel 1990 debutta in First Division, con un fisico magrissimo che sembra improponibile nel calcio inglese dell’epoca. Steve però fa spallucce, scende in campo e dimostra subito di avere anche tutti gli attributi del grande atleta: corre come un mediano, non ha paura di mettere la gamba, ha due piedi delicati e quando Barnes si rompe, all’inizio della stagione 91/92, Steve si prende i galloni del titolare e comincia a far parlare di sé tutta la Gran Bretagna, e non solo perché disputa 51 gare (al tempo, i calendari del calcio british rasentavano la follia) e segna 11 gol, ma anche per l’assist spettacolare con cui contribuisce a decidere la finale di FA Cup.

Nel corso della stagione 1992/1993, il paese si divide – quando si parla di ali – tra Steve e la giovanissima stella del Manchester United Ryan Giggs: i due giocatori si assomigliano per il fisico longilineo, la corsa infinita e persino per le movenze, e sono due eccellenti uomini assist. Le prime stagioni non vedono Steve brillare sempre con continuità, e il giovane talento soffre in modo particolare una rissa verbale e non solo con il veterano Grobbelaar, che gli mette praticamente le mani addosso dopo un suo errore.

Nella stagione 1993/1994, tuttavia, Souness lascia la panchina dei Reds sulla quale si siede Roy Evans, e questo consente a McManaman di sbocciare definitivamente: Evans non lo relega sulla fascia ma gli garantisce piena e totale libertà di movimento, e così Steve si trasforma in un centrocampista universale, facendo collezione di premi quale man of the match e diventando uno dei giocatori più ammirati del suo paese. Nel 1995, dopo una prestazione eccezionale nella Football League Final, Steve riceve i complimenti di un ammirato Stanley Matthews, che lo incorona come suo erede, e si prende il posto da titolare in nazionale. I Reds, nonostante uno Stevie in costante crescita e oramai star conclamata, faticano a trovare continuità, anche perché si appoggiano quasi totalmente sull’ala e sull’attaccante Robbie Fowler, tanto che Bryan Robson dichiara alla stampa “In Premier lo sappiamo tutti, se fermi McManaman fermi il Liverpool“.

Proprio tra 1995 e 1996 nasce l’ossessione di Sir Alex per l’ala dei Reds, che disturba le sue notti prima della finale di FA Cup del 1996, quella decisa da King Eric Cantona con un colpo di genio; e sempre tra 1995 e 1996 Steve si guadagna il soprannome di Spice Boy, insieme a Fowler e ad altri compagni, anche perché diventa una star da rotocalco. Parte della stampa lo accusa di non essere sempre concreto e di segnare poco, ma la verità è che McManaman è un grande uomo squadra, un fenomeno del dribbling e un superbo uomo assist, tanto da metterne in saccoccia una ventina, nelle stagioni migliori.

Le ultime due stagioni sulle sponde del Mersey vedono Steve al centro di dispute contrattuali e distratto da rumours di mercato: pare che lo voglia il Barcellona, e anche diverse big della serie A si interessano a lui, si vocifera addirittura della Juventus, ma non se ne fa nulla.

La sua avventura a Liverpool finisce con una stagione in chiaroscuro, quella del 98/99, ma anche con una prestazione finale memorabile e la standing ovation di Anfield Road.

Prima di raccontare la sua felice parentesi a Madrid, voglio tornare sul capitolo nazionale, perché Euro 1996 è il torneo di Steve: l’ala ha 24 anni, è reduce da una super-stagione e la nazionale si aggrappa, tra gli altri, anche sul suo estro e alla sua corsa inesauribile. Nel girone, Steve è con ogni probabilità il giocatore più brillante della nazionale: gioca come un veterano, a tutto campo, e con il redivivo Gazza e l’ispirato Shearer sembra l’uomo in grado di riportare la sua nazionale al titolo. Come sappiamo saranno i tedeschi a prevalere, ma con le sue prestazioni brillanti McMamaman ha catturato non solo l’attenzione delle big europee, ma anche l’ammirazione di Pelé.

«Si tratta di uno dei giocatori che mi hanno impressionato di più. Ha grande energia, grandi qualità ed è una minaccia costante per le difese avversarie. Non ha paura di giocare uno contro uno e io amo questa dote in un giocatore, così come la amano i tifosi».

Pelé, a proposito di McManaman

Alcuni screzi con Hoddle lo privano di Francia 1998, ma Steve trova il modo di riscattarsi a Madrid, dimostrando di poter essere un uomo importante anche nel club più titolato del mondo. Se inizialmente l’ala gioca da titolare a sprazzi, facendo in ogni caso saltare sulle sedie i palati finissimi del Bernabeu, nella seconda parte dell’anno diventa un perno della squadra e si esalta soprattutto in Champions, quando si prende due corone di man of the match e in finale inventa anche un gol splendido con un colpo di biliardo; al termine della partita, Ferguson dice che Steve è stato con margine il migliore in campo, anche più di Redondo e Raúl.

Nel 2000, il Real si svena per Figo e questo fa vacillare le sicurezze dell’inglese, che teme di perdere il posto, ma così non sarà: McMamaman, dopo due mesi da riserva, torna infatti titolare e rimane un tassello importante della squadra, inventa diverse giocate determinanti e si prende la soddisfazione di vincere la Liga. Nel 2002, la storia si ripete: Steve è messo in discussione ma gioca comunque ventitré gare e segna anche in semifinale di Champions, in casa del Barcellona.

La sua carriera si chiude con due malinconiche e brutte stagioni al City, ma il repentino crepuscolo toglie poco a uno dei giocatori più bravi e forse sottovalutati della sua epoca.

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