Il “Triplete” degli emiri: chi più forte tra Manchester City 2023 e PSG 2025?

Condividi articolo:

Giuseppe Raspanti

«Se si affrontassero… vincerebbe il City 1-0»

Senza voler fare un’analisi approfondita e dettagliata, che lascio a colleghi più esperti e attenti, mi sembra di poter dire che tre sono gli elementi oggettivi che accostano, permettendo un diretto confronto, il Manchester City del 2023 e il PSG del 2025. Essi sono il Triplete vinto appunto da entrambe, il fatto di avere tutt’e due affrontato e battuto l’Inter in finale di Champions, mentre il terzo è la circostanza che sia gli inglesi, tuttora, che i francesi siano guidati da tecnici di chiara cultura spagnola e di impronta catalana.

Sul primo fattore, credo non ci sia possibilità di paragone per ciò che riguarda il peso dell’impresa. Vincere un campionato competitivo, sia pur da favorita, in Inghilterra è infatti molto difficile che in Francia, dove la squadra parigina, per risorse economiche e quindi agonistiche, domina da anni e con netto divario la scena nazionale. Il City di allora, pur avendo dopo anni modificato un assetto tattico collaudato, o forse proprio per questo, inserendo un vero centravanti di sfondamento come Haaland, dominò la stagione dalla A alla Z, arrivando tra l’altro all’atto conclusivo, la finale di Champions di Istanbul, ovviamente da netta favorita.

Il PSG, di converso, ha giocato quest’anno per la prima volta dopo anni privo della sua stella assoluta Kylian Mbappé. Una rivoluzione nella manovra, nella struttura del gioco che ha richiesto tempo e, se in campionato il divario di cui si parlava non ha concesso tremori, in Europa il cammino dei francesi all’inizio è stato davvero balbettante e, a causa anche della nuova formula della Champions, il proseguimento del cammino di Donnarumma e soci pareva a un certo punto veramente appeso a un filo. Molto curioso è il fatto che gli uomini di Luis Enrique si siano tirati fuori da una buca esiziale e profonda proprio riemergendo al cospetto del City, anch’esso irriconoscibile rispetto ai fasti passati, in una gara dove erano sotto 0-2.

Alla luce di questa analisi, dal momento che il discorso sulla Coppa nazionale poggerebbe sui medesimi fattori, il ‘punto del Triplete’ lo assegno agli inglesi.
Diverso e più complesso il discorso sul paragone tra finali giocate contro lo stesso avversario, l’Inter. Se raffrontiamo i due punteggi, 1-0 e 5-0, sembrerebbe proprio che il piatto francese della bilancia sia nettamente il più pesante. Un piatto reso ancor più ponderoso dal fatto che il pronostico delle vigilie, mentre dava come possibile una goleada dei Citizen contro i poveri nerazzurri, riteneva logico un incontro molto equilibrato tra gli stessi milanesi e i parigini di Doué.

Punto quindi al PSG? 1-1 e palla al centro? Nemmeno per sogno! C’è un elemento che va considerato e che rischia di ribaltare l’esito di questo secondo raffronto. L’Inter infatti a Istambul due anni fa si batté, con la giusta umiltà ma anche con la necessaria determinazione, mentre a Monaco di Baviera non è proprio scesa in campo. Consentendo a Vitinha e compagni di giocare un’ottima gara, ma senza incontrare praticamente resistenza. L’Inter, chi scrive lo sa bene, difficilmente non riesce a escogitare contromisure e invece sabato 31 maggio si è arresa subito a un gioco sì efficace, ma non certo incontrastabile.

I motivi di questo atteggiamento remissivo? Ne ho in mente diversi, tutti plausibili e alcuni poco nobili, ma non sono qui per trattare dei nerazzurri ma di due squadre formidabili come Mancity e PSG. Il VAR, quindi, dopo lunga consultazione, annulla il gol del pareggio francese, ma non assegna il secondo punto. Si resta sull’1-0 per il City.

Non si assegna neppure il terzo punto, per rispetto delle peculiarità di Pep Guardiola e di Luis Enrique, due figure meravigliose di forza umana trasferita nelle idee tecniche, nelle trovate tattiche. Borioso l’uno quanto umile l’altro, hanno storie e dettagli che mi impediscono di metterli in file. Li tengo di fianco.
Alla luce di tutte ‘ste chiacchiere, il Manchester City 2023 batte il PSG 2025 1-0.

Francesco Buffoli

«Il City aveva qualche individualità in più»

Il Manchester City del 2022-2023 ha portato a compimento, come meglio non avrebbe potuto, l’idea di calcio trapiantata da Pep Guardiola nell’Inghilterra del nord alcuni anni prima. Dopo numerosi successi in campionato e alcuni scivoloni in Champions, e dopo aver rinnovato la sintassi del cruijffismo come nessun altro nel corso del decennio precedente (con la splendida, diafana eccezione dell’Ajax 2018-19), nel 2022-23 il Manchester City risulta forse un filo meno appagante sul piano estetico, nel corso dell’anno, rispetto a quello arioso del 2021-22, ma diventa implacabile: le lezioni di calcio con cui regola l’Arsenal negli scontri diretti in Premier, e poi soprattutto il Bayern e il Real Madrid in Champions, sono probabilmente gli apici (anche estetici, in questo caso), in termini di onnipotenza, della Manchester blu.

Il PSG del 2024-25 non ha affrontato avversari della stessa caratura in patria e neanche lungo il cammino europeo, Liverpool escluso, ed è stato una squadra più umorale, in grado, tuttavia, nelle giornate di vena, di espressioni di calcio altissime e di un’efficacia difficilmente pronosticabile a inizio stagione, visto anche il trasloco di Mbappé a Madrid, che sembrava chiudere con il broncio e con un velo di amarezza l’epopea degli sceicchi nella capitale francese.

Non è andata così: i parigini hanno trovato, soprattutto, appunto, nelle giornate in cui l’ispirazione li guidava, un’alchimia invidiabile. La finale, in tal senso, rappresenta la gustosissima ciliegia sulla torta, e sotto questo profilo i parigini sono stati molto più esaltanti del Manchester City boccheggiante di Istanbul, perché a Monaco, poche sere fa, una squadra ha surclassato l’altra sotto ogni profilo: tecnico, mentale, in termini di intensità, di concentrazione, di efficacia nel fraseggio, nel recupero palla e anche in difesa.

Nel complesso, resto dell’idea che la squadra di Pep abbia avuto qualcosa di più in termini collettivi e anche in alcune individualità, ma che il PSG sia stato a sua volta in grado di rileggere in chiave moderna i concetti posti alla base del calcio dello stesso City (oltre che di altre realtà spettacolari e dominanti degli ultimi anni) e di farlo quando nessuno se lo aspettava più.

Non è un caso, sotto questo profilo, che Guardiola e Luis Enrique siano figli della medesima scuola, anche se in Italia ancora si alzano barricate quando si sentono recitare le idee che ispirano la loro visione del football.

Erling Haaland [Reuters]

Marcello Brescia

«Psg più fluido, spettacolare e giovane»

Al di là delle simpatie personali verso dei progetti sportivi figli di una moralità decisamente dubbia, sarebbe ridicolo non celebrare due compagini capaci di scrivere un pezzo di storia, diventando rispettivamente la decima e l’undicesima formazione a completare il Triplete.

Certo, fare il Grande Slam in Inghilterra, specie nella tonnara che è la Premier League odierna, è indubbiamente un’impresa sportiva dal coefficiente di difficoltà più alto, poco ma sicuro. Eppure, nonostante il Manchester City 2022-23 sia probabilmente una squadra superiore al Paris Saint-Germain 2024-25, il mio gusto soggettivo mi fa propendere maggiormente per i parigini, per una serie di motivi.

Pur essendo entrambe le squadre figlie del “juego de posiciòn” spagnolo (e non potrebbe essere altrimenti, vedendo chi sono i due allenatori), a mio avviso la creatura di Luis Enrique si è rivelata ancor più fluida e spettacolare di quella di Guardiola, a partire dall’interpretazione difensiva.

Due anni fa infatti, Pep entra in una fase un po’ più prudente della sua carriera, adottando una soluzione che farà rapidamente scuola (chi segue l’Arsenal di Arteta saprà già di cosa sto parlando): verso metà stagione, la retroguardia dei Citizens cambia definitivamente forma, rinunciando ai terzini per lasciar posto a 4 difensori centrali su 4, ossia Akanji, Ruben Dias, Akè e Stones. Proprio quest’ultimo diventa un meccanismo chiave del City primaverile, che lo vede alzarsi ripetutamente all’altezza di Rodri per fornire superiorità numerica in fase di costruzione, fornendo dunque un’ulteriore fonte di gioco ad una macchina ormai oliata nei minimi dettagli.

L’assenza dei terzini sarebbe invece inconcepibile nel più arioso PSG di Luis Enrique, che con Nuno Mendes a sinistra e Hakimi a destra ha messo a ferro e fuoco le corsie esterne di tutta Europa; l’ex laterale dell’Inter in particolare, è entrato in ben 21 reti stagionali tra gol e assist, dimostrando di sapersi muovere con disinvoltura anche lontano dalla propria amata linea laterale. Lo stesso discorso vale per Dembelé, la cui valorizzazione nel ruolo di falso 9 dà un’ulteriore misura del lavoro certosino e artigianale del tecnico asturiano, capace di trasformare un funambolo fumoso e incompiuto in un pretendente più che credibile al Pallone d’oro (con buona pace di Mbappé). La scelta di rinunciare a un centravanti di ruolo ha dunque reso praticamente illeggibili le scorribande orchestrate dal sopracitato Dembelé, e coadiuvate da Kvaratskhelia, Barcola e Doué, presosi con autorità il posto da titolare nel corso della stagione.

Dinamiche ben diverse da quelle di un Manchester City che invece, smentendo molti cliché guardioliani, si è dotato della miglior prima punta in circolazione per puntare al bersaglio grosso, dopo due anni trascorsi ad alternare le incursioni De Bruyne e Gundogan in area di rigore. Ecco, diciamo che le 52 reti stagionali di Erling Haaland in quel magico 2022-23 (molte delle quali partite dai piedi di uno dei KDB più ispirati di sempre) sono state un boost non da poco per una squadra partita con una missione ben precisa, e arrivata fino in fondo senza mai staccare il piede dall’acceleratore, coronando un ciclo aperto longevo e pieno di successi.

Proprio per questo motivo, sempre per gusto personale, ho apprezzato il percorso più “umano” di un PSG molto più giovane (25,3 anni di età media, 3 in meno dell’11 titolare del City a Istanbul) e scopertosi adulto a stagione in corso. Basti pensare che i francesi, in Champions, stavano rischiando di rimanere bloccati nelle secche autunnali della League Phase, trovando definitivamente la quadra soltanto tra dicembre e gennaio.

Decisiva per strappare la qualificazione fu proprio la vittoria ai danni del Manchester City al Parco dei Principi, con Kovacic, De Bruyne e Bernardo Silva costretti ad abdicare in favore di Vitinha, Joao Neves e Fabian Ruiz, vero punto di forza del PSG; parliamo probabilmente di uno dei centrocampi meglio assortiti dell’ultimo decennio per palleggio, intensità e conoscenza del gioco, come ha avuto modo di scoprire a sue spese anche l’Inter nella finalissima di Monaco, in uno degli ultimi atti più scioccanti che il calcio europeo ricordi.

Dembelé [Imago/Abacapress]

Seguici

Altre storie di Goals