Doveva essere una finale equilibrata. Così almeno dicevano quasi tutti gli addetti ai lavori della vigilia. Una finale tra due squadre per certi versi simili, con una difesa globalmente solida e una capacità di colpire in vari modi, senza i picchi prestazionali offensivi di un Barcellona ma anche senza le sue defaillances difensive.
E invece l’equilibrio non si è visto. Perché in campo c’è stata solo una squadra: il PSG. Che ha stravinto persino al di là di quanto non dica il punteggio finale (5-0) firmando il più ampio scarto mai registrato in una finale di Champions League: con 4 reti di margine avevano vinto il Real Madrid contro l’Eintracht Francoforte nel 1960 (7-3, leggi qui), il Milan contro lo Steaua Bucarest nel 1989 (4-0, leggi qui) e sempre il Milan contro il Barcellona nel 1994 (4-0, leggi qui).
Sin dal fischio iniziale di Kovacs, il PSG ha cominciato ad aggredire l’Inter con un’avvolgente manovra a tutto campo che ha tolto respiro ai nerazzurri già a partire dai rinvii di Sommer. La scarsa condizione atletica di una squadra, quella di Inzaghi, arrivata con il fiato corto dopo una stagione estenuante si è vista tutta in questa finale, contro un PSG, che al di là delle doti straordinarie di palleggio e della qualità del gioco, ha mostrato più brillantezza e serenità mentale.
La sconfitta per l’Inter è pesantissima, ma questo non deve cancellare un’annata comunque nel complesso positiva per i nerazzurri: è vero la bacheca è amaramente vuota, ma la squadra è andata vicina a tutti e tre gli obiettivi stagionali – Champions, campionato e Coppa Italia – regalando alcune gioie indimenticabili ai propri tifosi, come la splendida doppia semifinale contro il Barcellona.
È mancato il guizzo, è mancato lo sprint nell’ultimo decisivo chilometro. Ma il calcio non si misura solo in base ai risultati, anche se i risultati – chiaramente – sono fondamentali per definire un progetto.
Veniamo al PSG, ora: una squadra diventata Squadra con la S maiuscola nel momento decisivo della stagione, con la fase finale della Champions e quelle due partite contro il super Liverpool in cui i parigini avrebbero meritato di vincere sia all’andata sia al ritorno. Lì, personalmente, ho capito che questo PSG poteva davvero farcela. Senza più stelle come Messi, Neymar e Mbappé, ma con una chimica collettiva mai vista in passato, plasmato meravigliosamente da un allenatore a volte un poco sottostimato che risponde al nome di Luis Enrique.
Lui, più di tutti e prima di tutti, è da intendersi a mio parere come il vero artefice del trionfo del PSG. Seconda Champions League in bacheca e secondo Triplete della carriera (come solo Pep Guardiola), a dieci anni di distanza dal primo, al Barcellona, nel 2015.
Ebbe meriti anche in quel caso, Lucho. Ma quella era una squadra di marziani e con un Marziano. Qui invece i suoi meriti sono ancora di più, perché il PSG è un insieme di grandissimi giocatori, ma senza una stella assoluta. Quanti meriti ha avuto Lucho, per esempio, nella trasformazione e valorizzazione di Dembelé, che da ala inconcludente e oggetto misterioso a Barcellona è diventato un centravanti atipico, generoso, letale, bravo anche quando non segna? Quanti meriti ha avuto nel costruire un centrocampo straordinario, con Vitinha regista totale e architrave del gioco? Quanti meriti ha avuto nel trovare un assetto difensivo convincente e solido?
Una vittoria che porta la sua firma, indelebile. Un uomo che ha sofferto molto (chi non ricorda la perdita della sua piccola Xana nel 2019, a soli 9 anni, per un tumore?), ma che dalle difficoltà ha saputo riemergere più forte, con un grande spirito dentro, quello stesso contagioso spirito che ha saputo trasmettere a chi gli sta intorno. Una splendida storia di rinascita, la sua. E una splendida storia, la vittoria di questo PSG. Che riporta il calcio francese dei club sul tetto più alto d’Europa, 32 anni dopo la prima e unica volta, quando l’Olympique Marsiglia superò il Milan 1-0 (leggi qui). Anche in quel caso – corsi e ricorsi storici – la finale per altro venne giocata a Monaco di Baviera…

Il tabellino
PSG-INTER 5-0
Marcatori: pt 12′ Hakimi, 20′ Doué; st 18′ Doué, 28′ Kvaratskhelia, 41′ Mayulu.
PSG: Donnarumma; Hakimi, Pacho, Marquinhos, Nuno Mendes (st 32′ L. Hernández); João Neves (st 39′ Zaïre-Emery), Vitinha, Fabián Ruiz (st 39′ Mayulu); Doué (st 21′ Barcola), Dembélé, Kvaratskhelia (st 39′ Ramos). All.: Luis Enrique.
Inter: Sommer; Pavard (st 8′ Bisseck, st 16′ Darmian), Acerbi, Bastoni; Dumfries, Barella, Çalhanoglu (st 27′ Asllani), Mkhitaryan (st 16′ Carlos Augusto), Dimarco (st 8′ Zalewski); Lautaro, Thuram. All.: S. Inzaghi.
Le pagelle
PSG
IL MIGLIORE VITINHA 8,5
Al 12° di gioco inaugura la sua serata magica vedendo un corridoio tra le maglie della difesa interista e dando il là al primo gol francese. Un colpo di genio alla Messi. Poi prende la bacchetta del comando e, con la sua qualità superiore e la sua limpida visione di gioco, irride i centrocampisti nerazzurri e fa girare la sua squadra come un orologio perfetto. Sbaglia il primo pallone al quarto d’ora della ripresa e la gente quasi si sorprende. Pochi minuti più tardi, dopo uno scambio straordinario con Dembelé, serve a Doué il cioccolatino del tris. Non contento, nel finale avvia pure l’azione del pokerissimo. Regale.
Doué 8,5: altro mvp-bis in coabitazione con Vitinha. Luis Enrique lo preferisce ancora a Barcola e il 2005 – che non avrà il talento di Yamal ma fa comunque impressione – ripaga la fiducia con gli interessi. Suo l’assist per l’1-0 di Hakimi, suo il gol del 2-0 con deviazione sfortunata di Dimarco, suo il 3-0 con una rasoiata sul primo palo che non dà scampo a Sommer. Immarcabile.
Hakimi 8: la sfida a distanza tra lui e Dumfries – il terzino destro interista di ieri e quello di oggi, nonché i due interpreti del ruolo forse oggi migliori del pianeta – era uno dei temi più intriganti dell’incontro. A vincere, anzi a stravincere, è il marocchino del PSG. Non solo per il gol facile, in tapin, che apre le danze. Ma anche per la capacità di difendere e spingere ai mille all’ora e di arare chiunque transiti dalle sue parti.
Dembelé 7,5: spara sulla traversa da pochi passi il possibile tris già nel primo tempo, ma anche se non trova il gol gioca per la squadra in un modo straordinario. Il tacco che apre per Vitinha e innesca l’azione del 3-0 è un gioiello. Sua anche l’apertura per Doué in occasione del 2-0 e il lancio per Kvaratshkelia che sigilla il poker. Totalmente trasfomato negli ultimi due anni dalla cura Luis Enrique.
Kvaratskhelia 7: si divora un paio di reti. E anche se corre ovunque, tamponando in difesa e ripartendo a tutta velocità in fase offensiva, non appare lucidissimo al momento del dunque. Ma partecipa anche lui alla festa con il punto esclamativo del 4-0. Giocatore che quando si accende crea sempre pericoli.
Donnarumma 6,5: per una sera è spettatore non pagante. Qualche brividino (ma ino, ino) in uscita e una grande parata su Thuram nella ripresa, come a ribadire che oggi, tra i pali, come lui non c’è nessuno…
INTER
IL MIGLIORE THURAM 5,5
Difficilissimo trovare un migliore nell’Inter. Premio lui come il “meno peggio” perché sono sue le uniche due occasioni nerazzurre: un colpo di testa terminato a lato di un soffio nel primo tempo e un tiro disinnescato da Donnarumma nella ripresa. Almeno, ci ha provato…
Acerbi 5: era stato l’eroe nella notte di San Siro contro il Barcellona, qui va in tilt su tutta la linea, non trovando il centravanti fisico da marcare con il quale spesso va a nozze e sbandando paurosamente contro i tagli e i duetti palla a terra dei parigini.
Lautaro 5: capitano e uomo simbolo dei nerazzurri, ma anche per lui non è aria. La difesa del PSG lo limita come e quando vuole. Chiude una stagione meno brillante di quella passata.
Calhanoglu 4,5: del faro del centrocampo interista nemmeno l’ombra. Sbaglia ogni scelta, Vitinha lo porta letteralmente a scuola e gli fa rivedere il pallone dopo il 90°.
Dimarco 4: peggiore in assoluto. Fuori posizione nel gol dell’1-0, si gira quando Doué sta per calciare sul 2-0 ed è un errore che costa il 2-0. Il giovane francesino del 2005 lo fa a fette. Esce dopo 8 minuti della ripresa.
