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Johan Neeskens: sulla tolda, per sempre

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Immagine di copertina: Hohan Neeskens e di spalle l’amico Johan Cruijff: un duo magico alla guida di Ajax e Olanda

Tutte le favole più appassionanti, sia quelle che ci addormentavano sia quelle che ci svegliavano, iniziavano con “C’era una volta…”, è risaputo. Anche stavolta, in una sera uggiosa che più non si può, potrei cominciare allo stesso modo, ma con la differenza che starei per raccontare una storia vera, favolosa fin che si vuole, ma vera.

C’era una volta, esattamente 50 anni fa, la squadra più bella del mondo e che non aveva bisogno, per averne conferma, di specchi benevoli o compiacenti e di qualche intruglio che imbrogliasse percezioni e giudizi. L’Olanda dei primi anni ’70 era talmente bella, nuova e leggera di pensiero che il sentimento avverso che faceva a pugni con l’ammirazione non poteva che essere l’invidia. Come quando da bambini vediamo un giocattolo magnifico nelle mani di un amichetto.

Lui ci diventa subito antipatico e quell’oggetto, più che averlo o rubarglielo, desideriamo distruggerlo. Credo che quella squadra Orange, diretta da Rinus Michels, abbia subito per anni le stesse controverse attenzioni e che, l’ho già scritto in questo magazine, abbia incontrato quella stessa fine. Ingiusta e immeritata quanto roboante e foriera di molteplici conseguenze sociali e culturali anche molto al di là del mondo del pallone e di tutto lo sport.

Neeskens nella finale del Mondiale 1978 che l’Olanda perse contro l’Argentina

Perché parlarne ancora, oggi? Perché l’equipaggio glorioso di quella avventura, quella ciurma irriverente e fantasiosa, ha perso quest’oggi, improvvisamente e come sempre ingiustamente, un altro dei suoi membri, uno dei più autorevoli. Se ne è andato Johan Neeskens, il regista folle e inarrivabile di quella squadra, il poeta nudo sulla tolda di quella barcarola che navigava in acque altrui e proibite, mentre Johan Cruijff, amico inseparabile, suonava il violino sprezzante della tempesta e degli scogli. Ufficialmente, come riportano tutte le wikipedia del sapere appunto ufficiale, Neeskens è stato un ‘meraviglioso regista’ ma sappiamo o abbiamo imparato che le definizioni dei ruoli di quei giocatori olandesi sono la cosa più approssimativa che si possa immaginare.

Neeskens era regista sì, ma anche mediano, mezzala, stopper e centravanti. Era un giocatore di calcio totale, il guardaspalle di Cruijff, che correva di sbieco come uno slalomista, mentre idealmente l’altro gli faceva da contrappeso, proprio come fossero su una barca. E la stessa assistenza la offriva a tutti gli altri di quella formazione che so ancora a memoria e che sarebbe da recitare prima delle lezioni a Coverciano come omaggio agli Dei del Pallone e a tutti quelli che più che amare il calcio, hanno permesso agli altri di amarlo e capirlo.

Con l’abbandono di Neeskens, sono già sei le defezioni, i voli di questi uccelli luminosi da quel filo accogliente che vibra come una corda di chitarra pizzicata dal destino. Quel filo che diventa a ogni partenza insopportabilmente più leggero. Fuor di metafora, nessuno di quei grandi campioni pareva e pare attrezzato per una vita longeva, conseguenza forse dell’irresistibile attrattiva poco salubre dei costumi di quell’epoca rivoluzionaria per poco e molto consumistica per tutto il resto dei modi e dei tempi.

Da poche ore, quelli che pensano che l’aldilà pulluli di campi da calcio e chissà cos’altro, potranno immaginare Neeskens duettare con Cruijff e Suurbier, con Hulshoff e Rensenbink e tirare pallate a Jongbloed tra una birra e l’altra sotto gli occhi severi ma divertiti di Rinus Michels. Sì, perché parafrasando Agatha Christie e i suoi “Undici piccoli, grandi olandesi”, oggi ne rimangono solo cinque (Rijsbergen, Haan, Krol, Rep e Van Hanegem).

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