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Le 10 squadre che hanno conquistato il Triplete

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Immagine di copertina: Messi, Iniesta e Xavi, simboli del grande Barcellona del 21° secolo

Lo chiamano Treble o Triplete. Parola diventata famosa negli ultimi anni, e che indica il successo nella stessa stagione di campionato nazionale, coppa nazionale e Coppa dei Campioni/Champions League. Il Manchester City del 2022-2023 è stata la decima formazione europea a riuscirci, la sesta negli ultimi 15 anni, contro le 4 volte delle prime 52 edizioni della Champions. È uno degli effetti del calcio di oggi, frutto delle scelte della Legge Bosman, con pochi ricchi sempre più ricchi e che possono acquistare i migliori giocatori allargando a dismisura le proprie rose e una distanza crescente rispetto alla maggioranza degli altri club, con l’appiattimento e abbattimento del “ceto medio”. Riflesso di una situazione economica globale che interessa la società e l’economica prima che lo sport, e di cui il calcio è solo l’ultimo ingranaggio. Riuscire a conquistare tutti e tre i trofei in una singola stagione è diventato così più agevole rispetto al passato: per altro si tenga presente che nel ‘900 il Triplete era stato raggiunto – a parte il Manchester United del 1999 – in due nazioni non così ricche di grande competitività interna come Scozia e Olanda.
Ma non è questa la sede per lanciarsi in discussioni di natura filosofica che già abbiamo affrontato su questo sito in altre occasioni (vedi ad esempio qui e qui).
In questo articolo vogliamo ripercorrere a grandi linee le stagioni dei dieci team che hanno portato a termine il Triplete. Che in due casi (Barcellona 2009 e Bayern Monaco 2020) si è poi trasformato nel corso dell’anno solare in Sextuplete, con la conquista di Supercoppa nazionale, Supercoppa europea e Mondiale per Club (l’ex Intercontinentale).

Celtic Glasgow 1966/1967

La prima formazione europea a conquistare il Triplete fu il Celtic Glasgow. La squadra allenata da Jock Stein si basava su un’intelaiatura di soli elementi nati nel raggio di 40 chilometri da Glasgow. E già da questo dato si capisce come fosse davvero un’altra epoca rispetto al calcio super globalizzato di oggi… Prima di Stein, arrivato dall’Hibernian, il Celtic era a digiuno di vittorie da dieci anni, con l’allenatore di Hamilton in panchina la squadra cambiò radicalmente passo diventando uno dei club di riferimento del calcio europeo degli anni ’60. E nel 1966-67 completò un’annata da favola, con un bilancio totale di 65 partite, di cui solo 4 sconfitte. Il campionato scozzese vide il successo dei biancoverdi con tre punti di margine sui Rangers e la stratosferica cifra di 111 gol realizzati, e nella coppa nazionale la squadra si impose in finale per 2-0 sull’Aberdeen. Il vero capolavoro fu la vittoria in Coppa dei Campioni: sfruttando un percorso non proibitivo, mettendo in fila nell’ordine Zurigo, Nantes, Vojvodina e Dukla Praga, il Celtic giunse all’ultimo atto a Lisbona contro la Grande Inter, favoritissima e capaci di due successi consecutivi nella competizione nel 1964 e 1965. I nerazzurri dovettero però fronteggiare l’assenza del faro Suarez, architetto della manovra. E dopo il vantaggio su rigore di Mazzola, l’undici di Helenio Herrera si spense, venendo travolto dalla formidabile carica agonistica degli scozzesi (leggi qui). Il Celtic si arrenderà poi nella finale Intercontinentale agli argentini del Racing Avellaneda (vedi qui per il resoconto del match decisivo). Squadra fisica, compatta, di grande forza agonistica, il Celtic aveva i suoi punti di forza nel centrale McNeill, nel terzino sinistro Gemmell, nel bomber Chalmers, nell’ala mancina Lennox e soprattutto in quella destra Jimmy Jinky Johnstone, imprendibile furetto dal dribbling ubriacante e dalle finte irresistibili.

Ajax Amsterdam 1971/1972

Se nel 1973 l’Ajax esprime forse il gioco più brillante del suo ciclo, l’apogeo sul piano dell’efficacia e della continuità gli ajacidi lo toccano nel corso della stagione precedente, che non a caso collima con il secondo treble della storia del calcio europeo, a cinque anni di distanza da quello del Celtic. Gli olandesi di Cruijff, Neeskens e Krol, guidati dalla mano sapiente e “leggera” di Kovacs, che allenta la presa delle rigide regole imposte da Michels, hanno la meglio sugli acerrimi rivali del Feyenoord in Eredivisie e con un margine notevole, quindi superano in maniera chiara tutti gli avversari in Coppa dei Campioni, non ultima l’Inter (vedi qui il resoconto della finale), e vincono anche la Coppa di Olanda battendo il Den Haag. Cruijff è il leader, il regista e anche il cannoniere di una squadra che gira a meraviglia e che lascia le briciole alle contendenti, portando a termine una stagione cannibalesca e spettacolare.

PSV Eindhoven 1987/1988

Nulla fa presagire che il PSV nella stagione 1987/1988 possa agguantare il Triplete. Durante l’estate 1987 la società di Eindhven ha ceduto gli attaccanti René van der Gijp al Neuchatel Xamax e Jurrie Koolhof al Groningen, il centrocampista Michel Valke all’Olympique Lione, e soprattutto la stella Ruud Gullit, che è passato al Milan per 13,5 miliardi e sarà proclamato Pallone d’Oro da lì a pochi mesi. In entrata i centrocampisti Soren Lerby dal Monaco e Anton Janssen dal Fortuna Sittard non sembrano bastare per rinforzare la competitività continentale dei tulipani. Invece il PSV tiene un ritmo indiavolato in patria, dove stacca l’Ajax di 9 punti e chiude con 117 reti fatti e sole due sconfitte, mentre in Coppa d’Olanda piega il Roda in rimonta 3-2 ai supplementari nell’atto conclusivo. In Europa riesce nell’impresa di mettere le mani sul trofeo più ambito dopo aver pareggiato tutte le ultime cinque partite. Ma la regola dei gol in trasferta premia il PSV sia nei quarti contro il Bordeaux sia in semifinale contro il Real Madrid. E in finale, al termine di uno dei match più noiosi e meno spumeggianti che si ricordino, batte ai rigori 6-5 il Benfica (leggi qui). Il PSV verrà poi sconfitto nella Supercoppa europea dal Malines e nell’Intercontinentale, ai rigori, dal Nacional Montevideo (leggi qui).

Manchester United 1998/1999

Nel 1999, dopo un decennio di costante crescita e di dominio sugli umidi e difficili campi d’Oltremanica, la banda di Sir Alex Ferguson giunge a piena maturazione e conquista il primo treble della storia del calcio inglese, impresa tanto più ragguardevole se si considera l’elevatissimo numero di partite e competizioni in cui gli inglesi, storicamente, si affaticano nel corso della stagione. Lo United del 1999 regala un calcio spettacolare che si colloca a metà strada tra la scuola britannica canonica e il passing game scozzese, mostrando anche qualche inclinazione “totalitaria”, ma soprattutto è una squadra che già il meglio quando si trova messa all’angolo come un pugile in affanno: la clamorose e roboanti rimonte inflitte a Juventus e Bayern in Champions League si affiancano al successo ottenuto ai tempi supplementari contro l’Arsenal di Wenger in Coppa d’Inghilterra e alla Premier League strappata sempre ai londinesi con le unghie e con i denti, all’ultima giornata. Forse ci sono state versioni migliori dei Red Devils, ma nessuna ha saputo azzannare la storia come quella del 1999. Tra i singoli si ricorda l’inedita coppia del gol ColeYorke e il super centrocampo formato da Beckham, Scholes, Keane e Giggs.

Barcellona 2008/2009

Inizia una nuova era al Barcellona nell’estate 2008: la dirigenza blaugrana dà infatti il benservito a Frank Rijkaard, che aveva condotto la squadra alla conquista della Champions League nel 2006, e promuove allenatore dalle giovanili l’ex centrocampista Josep Guardiola. Nessuno può immaginare che quel cambio avrà gli effetti di un tornado sulla storia del gioco, con Guardiola che lo plasmerà in lungo e in largo portando il suo Barça a un ciclo straordinario e vette di onnipotenza inesplorate. A partire già da quella prima stagione, in cui il Barcellona disintegra ogni avversario possibile, come confermano le cifre: 158 gol segnate in 62 partite. La rivoluzione di Guardiola è immediata: a casa stelle come Lilian Thuram, Gianluca Zambrotta, Deco e soprattutto Ronaldinho, si punta forte sui talenti della Masia. In campionato il Barcellona lascia il Real Madrid secondo a 9 lunghezze e dopo averlo letteralmente demolito negli scontri diretti: 2-0 in casa e addirittura 6-2 al Bernabeu. Il dominio azulgrana si estende alla Coppa del Re, conquistata dopo un 4-1 in finale all’Athletic Bilbao. E infine, la Champions League: cammino pressoché perfetto fino alla semifinale, quando la squadra soffre moltissimo e rischia l’eliminazione con il Chelsea. La gara di ritorno a Stamford Bridge in particolare, dopo lo 0-0 del Camp Nou, vede la squadra di Guardiola andare in svantaggio complice un gol di Essien e subire a lungo il forcing dei londinesi. L’arbitro svedese Ovrebo non concede un paio di rigori al Chelsea, e il Barcellona sembra sul punto di capitolare, quando una magia di Iniesta vale il pareggio e il pass per la finale di Roma. L’avversario nell’ultimo atto è il Manchester United campione in carica, una corazzata che allinea Cristiano Ronaldo, Tévez, Rooney, Giggs, Scholes. Ma dopo una decina di minuti favorevoli agli inglesi, il Barça prende in mano le redini dell’incontro e domina, chiudendo con un 2-0 firmato Eto’o e Messi. L’argentino da astro nascente si consacra stella del firmamento internazionale, con un totale di 38 reti (23 in campionato, 6 in Coppa del Re, 9 in Champions). Il camerunese è più di una valida spalla con 36 gol totali (30 in campionato e 6 in Champions). Immensi anche i due geni del centrocampo, Xavi (per me mvp a Roma) e Iniesta. Sotto ai livelli dell’Arsenal e già un po’ decadente, ma pur sempre prezioso, il francese Henry, il terzo violino dell’attacco. In difesa giganteggia soprattutto Puyol, altro prodotto della cantera. È la nascita dello stile Barcellona e del modello tiki-taka di Guardiola, possesso palla e dominio sistematico del campo ovunque. Conquistato il Triplete, il Barcellona estenderà ulteriormente il suo dominio nella stagione seguente e sarà la prima squadra a conquistare 6 trofei in un anno, aggiungendo Supercoppa spagnola, Supercoppa europea e Mondiale per Club.

Inter 2009/2010

L’anno successivo al Barcellona un’altra squadra riesce nell’impresa di completare il Triplete. Ed è la prima volta in Italia. Il merito è dell’Inter di José Mourinho, che dopo aver vinto Coppa UEFA e Champions League alla guida del Porto nel 2004 e aver avviato un importante ciclo di successi al Chelsea, arriva sulla panchina nerazzurra nell’estate 2008. Al primo anno “si limita” a conquistare lo scudetto, proseguendo nella striscia di vittorie di Roberto Mancini, poi piazza il suo capolavoro. L’estate 2009 vede l’Inter vendere al Barcellona Zlatan Ibrahimovic in cambio di Samuel Eto’o e un ricco conguaglio economico: molti credono che l’affare lo abbiano fatto gli spagnoli, ma si sbaglieranno di grosso, perché mentre Ibra in Catalogna non si ambienterà, Eto’o diventerà un caposaldo dell’Inter mourinhiana. Anche se la parte del leone spetterà al Principe Diego Milito: l’attaccante argentino, proveniente dal Genoa, disputa la sua miglior stagione in carriera timbrando 30 gol totali (22 in serie A, 2 in Coppa Italia e 6 in Champions League) e risultando decisivo in tutte le partite decisive. Fondamentale per il conseguimento del triplete anche lo straordinario rendimento dell’olandese Wesley Sneijder, scartato dal Real e rivelatosi un numero 10 capace in quella stagione di illuminare la scena in modo clamoroso. Ma è tutta l’Inter che alza decisamente il livello del proprio gioco, dal portiere saltimbanco Julio Cesar al duo difensivo LucioSamuel, dalla freccia Maicon a un centrocampo di grande solidità e compatezza dove brillano capitan Zanetti e il metronomo Cambiasso. La squadra di Mourinho conquista la serie A in volata sulla Roma di Claudio Ranieri dopo un lungo testa a testa. Sempre contro la Roma vince la Coppa Italia, con una zampata di Milito. E in Champions, passati anche con un pizzico di fortuna i gironi, l’Inter sale di colpi nella fase finale: elimina con merito il Chelsea negli ottavi, il Cska Mosca nei quarti e poi confeziona il vero capolavoro in semifinale. Contro il favorito Barcellona, l’Inter gioca una partita di andata strepitosa a San Siro imponendosi 3-1 e resistendo poi in 10 contro 11 per l’ingiusto rosso a Thiago Motta nel ventre del Camp Nou. In finale il Bayern non è ancora la corazzata di qualche anno dopo e si sfalda sotto i colpi di Milito, che regala al popolo interista una gioia attesa 45 anni.

Bayern Monaco 2012/2013

Le cocenti sconfitte della stagione 2011/2012 sono benzina rovesciata sul fuoco del riscatto bavarese, benzina che consente alla squadra guidata da Heynckes di portare a termine una delle stagioni più incredibili e dominanti di ogni epoca. Dopo alcuni mesi buoni ma non tracendentali, il Bayern a inizio 2013 sembra montare la marmitta truccata e demolisce tutta la concorrenza: il derby di Germania viene vinto in scioltezza in casa e con qualche affanno in Champions League; in Europa, il Bayern dispone di Juventus e Barcellona come se fossero squadre di rango inferiore, e dulcis in fundo ha ragione di una agguerrito Stoccarda per 3-2 in Coppa di Germania. Poche squadre hanno eguagliato o anche solo avvicinato l’idea di onnipotenza collettiva del Bayern del 2013, il suo strapotere agonistico, la sua capacità di mettere al muro ogni avversario schiacciandolo con un effiace gegenpressing. Robben e Ribéry sono le due punte di diamante di una formazione ricca di campioni, solidissima, straripante sul piano fisico e validissima su quello tecnico, nonché in grado, per qualche mese, di sembrare invincibile.

Barcellona 2014/2015

Le considerazioni appena spese per i bavaresi valgono anche per i catalani due anni dopo, ancorché il dominio si fondi su armi diverse. Dopo un inizio stagione balbettante, in cui si vocifera di un Luis Enrique da licenziare, le stelle si allineano, la condizione fisica migliora e con lei l’affiatamento di squadra, e davanti si assiste forse al più grande spettacolo latinoamericano dell’era moderna: Messi gioca il miglior calcio della sua carriera e colleziona numeri che sembrano provernire dall’epoca del Sistema, Luis Alberto Suárez dimentica le difficoltà di ambientamento e colleziona gol decisivi, Neymar è il pifferaio magico, l’uomo che manda all’aria i piani e che mette a referto 7 gol nelle ultime 5 partite di Champions: un tridente da 122 gol totali (58 Messi, 39 Neymar e 25 Suárez). Il resto è storia: il Barcellona surclassa tutta la concorrenza in Europa, supera e domina un grandissimo Real in casa e si regala anche la Coppa del Re, grazie a un gol di Messi da consegnare ai posteri.

Bayern Monaco 2019/2020

In estate hanno lasciato le stelle Arjen Robben e Franck Ribery. E a novembre l’allenatore Niko Kovac viene esonerato dopo una serie di risultati altalenanti. La stagione del Bayern Monaco 2019-2020 non parte sicuramente sotto i migliori auspici. Ma poi, la svolta: in panchina si siede Hans-Dieter Flick, uomo razionale e pragmatico, che però cerca di esaltare le caratteristiche dei suoi attraverso un gioco offensivo e manovrato, come è nella nuova filosofia del Bayern da qualche anno. La squadra all’improvviso decolla: in campionato vince le ultime tre partite del girone di andata e al ritorno le vince tutte tranne uno 0-0 interno con il Lipsia, chiudendo la Bundesliga a +13 sul Borussia Dortmund e un bottino di 100 gol fatti. In Coppa di Germania il Bayern conquista il trofeo dopo un netto 4-2 al Bayer Leverkusen. In Champions League mette in fila tutti gli avversari ottenendo punteggi roboanti, come un 7-2 al Tottenham e un 6-0 alla Stella Rossa. Dopo aver demolito negli ottavi il Chelsea, scoppia nel mondo la pandemia COVID-19 che obbliga a rinviare la disputa della fase finale della Champions d’estate, nella sede unica di Lisbona. Nei quarti i bavaresi triturano quel che resta del Barcellona per 8-2, poi asfaltano 3-0 in semifinale la rivelazione Lione e in finale se la vedono con gli altri francesi del PSG. Al termine di una gara combattuta, il Bayern prevale 1-0 grazie a un gol di Coman. Come il Barcellona del 2009, la squadra tedesca arriverà a vincere 6 trofei, abbinando nella stagione seguente Supercoppa di Germania, Supercoppa europea e Mondiale per Club. L’annata d’oro del Bayern consacra il terzino assaltatore Davies, il jolly Kimmich, il sopraffino regista Thiago Alcantara, gli esterni tutto pepe Coman e Gnabry, l’eterno Thomas Muller, ma soprattutto il bomber Robert Lewandowski (ingiustamente privato di un meritatissimo Pallone d’oro che nel 2020 non viene assegnato) e riporta in auge il meraviglioso portiere Manuel Neuer, il grande protagonista nella finale vinta contro i parigini.

Manchester City 2002/2023

Meno ricco di fuoriclasse rispetto a molte delle altre formazioni presenti in lista, il Manchester City vanta comunque una rosa molto ricca e dispone quindi di un ampio ventaglio di soluzioni. Se la finale viene vinta dopo qualche grosso spavento inatteso, anche per merito di un’Inter sul pezzo e intelligente nell’interpretare la partita (leggi qui), i successi conquistati contro Bayern e Real Madrid sono esibizioni trionfali che evocano le gesta delle grandissime squadre del passato, come abbiamo provato a ipotizzare in un pezzo. In Premier, un Arsenal spettacolare ma ancora un po’ fragile è stato rimontato dalla classe e dai campioni del City, e la Coppa, vinta grazie a una grandissima doppietta di Gundogan, ha chiuso il cerchio di una stagione perfetta. Per Guardiola, si tratta non solo del momento del riscatto dopo numerose delusioni europee, ma anche del secondo treble della sua ancora giovane carriera. Uomini simbolo della stagione il bomber Erling Håland e il factotum del centrocampo Kevin De Bruyne.

In collaborazione con FRANCESCO BUFFOLI

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