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La top 11 del Manchester United: da Peter Schmeichel a Ryan Giggs

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Proseguiamo l’avventura delle formazioni ideali di ogni epoca dei maggiori club europei. Dopo i blaugrana, viriamo l’attenzione verso la squadra più gloriosa d’Inghilterra, o forse, più correttamente, quella che meglio rappresenta la vocazione internazionale e al contempo profondamente nord britannica e scozzese del calcio dei sudditi di Sua Maestà, ovvero il Manchester United. Anche i Red Devils, così come i catalani, hanno avuto l’onore di mettere in campo decine di fuoriclasse, rendendo il mio lavoro particolarmente complesso e obbligandomi a scelte dolorose, ma ribadisco che: a) si tratta di un gioco, che inevitabilmente farà arricciare il naso a qualcuno; i sempre ben accetti suggerimenti non dovrebbero in ogni caso limitarsi a un nudo elenco dei candidati (a proposito, modo semplice di escludere…senza escludere), ma dovrebbero prevedere anche quale tra i titolari da noi selezionati andrebbe destinato alla panchina e/o direttamente alla tribuna (in sintesi, a mio modesto parere, ha poco senso lamentarsi dell’assenza di una marea di giocatori, benché tutti validi, se poi non si dice chi dovrebbe lasciar loro il posto in formazioni tanto selettive); b) l’esigenza di premiare la qualità mi porta in alcuni casi a sacrificare l’equilibrio, purché naturalmente si rispetti una logica di massima e i giocatori vengano schierati in posizioni che hanno dimostrato di saper ricoprire nel corso della loro militanza con il club.

Portiere: Peter Schmeichel

Qui voglio vedere chi ha il coraggio di alzare anche solo un sopracciglio: Peter Schmeichel è stato per lungo tempo l’erede più credibile di tale Lev Ivanovič Jašin, per struttura fisica, mole, capacità di presidiare l’intera area di rigore; dopo il danese, lo scettro di portiere/libero verrà raccolto solo da un certo Manuel Neuer, che toccherà e anzi sboccherà nuove vette di eccellenza, portando a compimento l’evoluzione del ruolo preconizzata dal fuoriclasse russo. Il fatto che Peter possa essere nominato nella stessa frase di questi due colossi (in ogni senso) la dice lunga sulle qualità del danese, portiere esplosivo e reattivo tra i pali, incontenibile nelle uscite, modernissimo nel dominio dell’area, dotato di una forza fisica impressionante (192 cm per circa 100 kg), carismatico come pochi. La rinascita dei Red Devils nel corso degli anni ’90 è legata a stretto giro alle prodezze del fuoriclasse danese, che nel corso del decennio ha collezionato anche riconoscimenti individuali, sia in Inghilterra che nelle manifestazioni continentali. Per dovere di cronaca, menziono anche il lungo Van Der Saar, una certezza a dispetto del brutto ricordo lasciato ai tifosi bianconeri, e Alex Stephney, che ha consacrato la propria carriera allo United tra anni ’60 e anni ’70, portando a casa da titolare inamovibile la prima Coppa dei Campioni della storia del club e del calcio inglese.

Terzino destro: Gary Neville

Diciannove anni di militanza (di cui una quindicina da titolare inamovibile) riassumono bene l’importanza di Gary Neville nella storia del club. Il laterale destro era un giocatore di sicuro affidamento, estremamente concreto, poco incline a certi svolazzi che fanno parte del bagaglio tecnico e culturale dei laterali sudamericani ma in grado di fornire un contributo importante in entrambe le fasi di gioco. Gary Neville è l’anello di congiunzione tra l’epopea di Mark Hughes e quella di Cristiano Ronaldo, e disputa con ogni probabilità le stagioni migliori a cavallo tra i millenni. Piccolo aneddoto: Alessandro Del Piero ha confessato di soffrire la rognosa marcatura del laterale di Bury come poche altre, a conferma delle qualità e della consistenza anche agonistica di Neville. Così come nel caso di Schmeichel, anche nella fattispecie non ho dovuto scervellarmi troppo per sceglierlo: il Manchester United nel ruolo non vanta una tradizione importante e il pur grande Johnny Carey (figura mitica che milita nel Manchester tra anni ’30 e primi anni ’50) era un terzino sistemista, come noto più vicino alla figura dell’odierno centrale in una difesa a tre.

Centrale difensivo: Bill Foulkes

Quando parliamo di difensori centrali la questione si fa più spinosa, perché il numero di candidati autorevoli diventa più significativo. Ritengo in ogni caso che una colonna portante della storia dei Red Devils come Bill Foulkes non possa essere esclusa: veste la maglia dei Diavoli Rossi per quasi un ventennio e contribuisce a mettere il club sulla mappa del calcio mondiale, sopravvivendo al disastro aereo di Monaco e alzando al cielo, un decennio più tardi, la Coppa dei Campioni che dà una sterzata all’intera storia del club. Memorabile, per tutti i tifosi del Manchester, è il gol che decide la semifinale del 1968 in casa del Real Madrid, prodezza tanto più ragguardevole alla luce della scarsa dimestichezza con il gol del poderoso difensore. Per dovere di cronaca, ho ritenuto di escludere Jaap Stam, altrettanto se non più meritevole di Foulkes sul piano tecnico, solo in ragione della sua breve militanza in maglia Red Devils.

Centrale difensivo: Rio Ferdinand

Rio è stato a lungo in ballottaggio dentro la mia testa con il gemello Nemanja Vidić e ho risolto il dilemma valorizzando la continuità e la longevità del britannico con la maglia dei Red Devils. Il lungagnone Rio era la colonna portante della squadra di Alex Ferguson, e ha saputo alzare l’asticella del proprio rendimento soprattutto negli anni gloriosi a cavallo tra i primi due decenni del nuovo millennio, quando il Manchester United collezionava titoli e incuteva soggezione sui maggiori palcoscenici internazionali. Abilissimo nel gioco areo e nell’anticipo, impeccabile sotto il profilo della continuità, Rio Ferdinand credo possa aspirare alla palma riservata al miglior difensore della storia dei Diavoli Rossi. Il gemello serbo è in ogni caso un giocatore di analoga statura sul piano tecnico e quindi, come anticipato, la sua esclusione dipende solo dai dettagli. Altri nomi, sinceramente, mi hanno creato meno problemi: i pur valorosi Steve Bruce e Gary Pallister mi sembrano giocatori di una caratura inferiore rispetto ai citati e più in generale srotolando la mappa dei centrali difensivi schierati dallo United mi risulta difficile individuare qualcuno che possa scalzare Ferdinand.

Terzino sinistro: Tony Dunne

La batteria dei laterali sinistri del Manchester United è piuttosto ricca e a forte trazione irlandese, con la significativa eccezione di Patrice Evra. Il francese ha attraversato con i galloni del titolare la gloriosa epopea i cui vessilliferi erano soprattutto Cristiano Ronaldo e Wayne Rooney, e credo sia un giocatore di spessore tecnico e atletico del tutto paragonabile a quello di Tony Dunne, ma ho preferito quest’ultimo per la sua lunga militanza a Manchester; lo stesso discorso vale per il suo successore Denis Irwin, una sorta di Doppelgänger di Dunne sotto ogni profilo e titolare inamovibile della squadra nel corso degli anni ’90, nonché colui che ha consentito a Eric Cantona di confezionare l’assist più bello e geniale della sua carriera. In sintesi, ho scelto Dunne essenzialmente per il suo valore iconico, perché ha contribuito alla rinascita del del calcio irlandese nel corso degli anni ’60 e ha saputo garantire un rendimento costante, senza fronzoli, asciutto e votato alla pura concretezza.

Mezzala destra: Robert Charlton

Non credo servano spiegazioni: Robert Charlton è semplicemente il giocatore più importante della storia dei Red Devils, e potrebbe figurare sia tra i centrocampisti (ruolo nel quale la sua eccezionale completezza ha trovato modo di esaltarsi nel corso delle fasi centrale e matura della carriera) che tra le punte (memorabile il record di gol della stagione 1958/1959). Robert Charlton ha traghettato la formazione di Manchester dalla tragica epoca dei Busby Babies (conclusasi come noto con la tragedia di Monaco, cui Charlton sopravvisse per miracolo) ai successi internazionali di fine anni ’60, ergendosi una spanna sopra i compagni grazie al numero incalcolabile di frecce che aveva al suo arco, frecce che l’hanno reso un giocatore universale quasi alla stregua dei Di Stefano, Cruijff e Lothar Matthäus (fuoriclasse di cui Robert può essere considerato forse il precursore). Quello di Charlton è un nome talmente ingombrante che mi riesce difficile anche solo ipotizzare delle alternative credibili.

Centromediano: Roy Keane

Qui l’aria inizia a rarefarsi e i contendenti affilano le armi. Lasciare in panchina un piccolo e inesauribile mastino come Nosferatu (Stiles) non è stato facile, ma ritengo che Roy Keane fosse dotato di un frasario tecnico più articolato di quello di Stiles, e che abbia personificato ancora meglio del piccolo inglese l’animo indomito dei Red Devils. Keane ha vissuto da protagonista il primo, lungo ciclo di Ferguson, imponendosi come leader a tutto campo, sia con le maniere forti che con la qualità. Il Manchester gli deve una fetta importante del treble e soprattutto della Champions conquistata nel 1999, perché senza l’apporto di Roy difficilmente avrebbe rimontato i due gol di svantaggio subiti nei primi minuti di gara al Delle Alpi, andando a vincere di autorità nello stadio dei bianconeri. La sua personalità spigolosa e poco incline ai compromessi gli ha reso a volte la vita difficile (in Inghilterra esiste una vasta letteratura sul suo rapporto con un altro “duro” come Patrick Vieira), ma nulla toglie al suo contributo cardinale alla storia del club. Oltre ai citato Stiles, meritevoli di una menzione, quali panchinari di lusso, sono: un altro giocatore di temperamento e di ottime qualità come Paul Ince; il tuttofare Nick Butt; un giocatore versatile e tatticamente fondamentale come lo scozzese Darren Fletcher (che conferma la vocazione panbritannica dello United, la cui scuola è strettamente imparentata con quella delle Highlands); un mediano di qualità come Michael Carrick nonché, da ultimo, una figura dai contorni mitologici come quella di Duncan Edwards, che senza la prematura scomparsa avrebbe scalzato con ogni probabilità ogni avversario nel ruolo e secondo gli esperti non solo nella storia del Manchester (come noto, Robert Charlton ritiene Duncan Edwards, che ha lasciato questo mondo a 21 anni, l’unico calciatore in grado di metterlo in soggezione).

Mezzala sinistra: Paul Scholes

Non amo troppo la dossografia, ma in alcuni casi ricorrervi può essere efficace:
«Paul Scholes è probabilmente il giocatore più forte della storia della Premier League» (Thierry Henry);
«L’avversario più difficile che ho affrontato» (Zidane);
«Negli ultimi 15/20 anni il centrocampista più forte e completo è stato Scholes» (Xavi);
«Come ci si sente a essere il miglior centrocampista della mia generazione? Chiedetelo a Paul Scholes» (Zidane 2.0).
Direi che tanto basta per incoronare il piccolo centrocampista di origini irlandesi (simbolo del riscatto della Manchester operaia, della Manchester degli immigrati) come un fuoriclasse terribilmente sottovalutato: la vastità e completezza del suo repertorio, la sua capacità di segnare gol che pesano tonnellate (anche di testa, a dispetto dei 168 cm di altezza), la superba continuità di rendimento (paradossalmente, un boomerang: non è infatti facilissimo individuare la stagione migliore di Scholes, anche se io propendo per il folgorante 2002/2003), la longevità lo rendono un nome irrinunciabile nella formazione all time dei Red Devils, di cui veste la maglia per quasi vent’anni ricoprendo sempre il ruolo di pedina irrinunciabile. Diffido sempre delle equazioni semplicistiche e riduttive, ma non reputo del tutto casuale la coincidenza tra il ritiro di Paul e il declino dello United. L’unico avversario all’altezza di Scholes a mio parere si chiama Bryan Robson, a sua volta simbolo dei Red Devils e centrocampista dal repertorio sterminato, ma onestamente non ho esitato troppo nel preferirgli il piccolo Paul.

Attaccante destro: George Best

Ci siamo: lucidate le armi e trasformatemi nel bersaglio dei vostri strali al veleno. George Best e non Cristiano Ronaldo? Premesso che, naturalmente, sto focalizzando l’attenzione solo sulla carriera in maglia Red Devils, perché complessivamente non possono esistere dubbi (troppo il divario in favore del portoghese), alla fine ho risolto il dilemma trasferendo il fuoriclasse portoghese al centro dell’attacco, ruolo che ha rivestito con successo con più frequenza altrove. Chiedo perdono per la mia vena democristiana, ma credo che escludere uno tra George e Cristiano, anche sul piano iconico, fosse un delitto.
Sulla fascia destra quindi voto per il fuoriclasse nord irlandese, simbolo anche culturale di un’epoca euforica che continua a ossessionare il presente perché il presente ha fatto di tutto per delegittimarla ed esorcizzarla, ma questo è un altro discorso; un personaggio pensabile quasi solo nella Gran Bretagna degli anni ’60, accostato ai Beatles ma innamorato della musica dei Doors del suo “gemello” Jim Morrison. Un genio che sollevava il mondo facendo leva su dribbling ripetuti e irriverenti, gol astuti, un complesso gioco di finte e controfinte; forse non il giocatore più continuo né essenziale, in quello United, ma di certo il più spettacolare. Il pallone d’oro del 1968 è l’apogeo di una carriera che (benché molto meno breve di quanto si creda, Best è sulla cresta dell’onda dal 1964/1965) purtroppo deraglierà presto, affossata da una condotta di vita avversa alle regole del professionismo e destinata a uno stanco e triste epilogo sotto il sole della California. Ciò premesso, porgo le mie scuse a un campione come David Beckham, che viene escluso per causa di forza maggiore (ubi maior minor cessat) ma che rimane uno dei giocatori più iconici e dotati della storia dell’intero calcio inglese, grazie a un destro dalle doti divinatorie, all’intelligenza tattica e a capacità balistiche irripetibili (il Michelangelo del cross dal fondo e su palla inattiva).

Attaccante centrale: Cristiano Ronaldo

Sì, sono d’accordo: Cristiano Ronaldo non è un vero e proprio attaccante centrale, ma ha saputo ricoprire il ruolo con profitto in numerose occasioni, quando si è travestito (anche a Manchester) da centravanti atipico e universale. Credo sia pleonastico spiegare perché Cristiano non può mancare: le stagioni che disputa tra 2006 e 2009 sulle sponde del fiume Irwell lo collocano sulla cima di qualsiasi graduatoria mancuniana, perché il talentuoso dribblomane degli esordi (già un giocatore notevole) diventa un atleta avveniristico, che salta l’uomo come un’ala, ha la forza fisica incontenibile di gente del calibro di Rummenigge e Shevchenko, domina l’area colpendo il pallone ad altezze impossibili per i comuni mortali. Proprio la sua efficacia superiore nel gioco aereo mi suggerisce di posizionarlo come punta: i suoi stacchi degni di un cestista NBA sono rimasti nell’immaginario collettivo e non solo dei tifosi inglesi. Anche qui, non posso sottrarmi ai doverosi omaggi: Denis Law era un numero nove con le qualità del dieci o viceversa, ha vinto un pallone d’oro e ha saputo ritagliarsi uno spazio importante in mezzo a colossi come Charlton e Best; Wayne Rooney è stato per diverso tempo il prototipo dell’attaccante moderno: dotato della tempra agonistica del mediano, era anche un bomber di prima scelta e un tuttofare alla stregua del precursore Charlton, nelle stagioni più importanti. Senza la sua vena da universale non sarebbe forse esistito il grande United della seconda metà degli anni zero e credo quindi che meriti una citazione; Ruud Van Nistelrooj, centravanti completo e di grande classe che negli anni vissuti all’Old Trafford segna a raffica e conquista l’amore dei tifosi. Come lui, benché abbia giocato più da rifinitore e da seconda punta, King Eric Cantona, il simbolo radicale e contraddittorio della rinascita del club negli anni ’90, un grande campione che abbinava la mole dello sfondatore all’estro del trequartista. cui forse è mancato l’acuto internazionale, ma che a dispetto di un carattere a dir poco bizzoso ha cambiato la storia della Premier; da ultimo, anche per il gallese Mark Hughes, ariete dai piedi buoni che porta a Manchester la Coppa delle Coppe, e per un campione come Dennis Violett, bomber dei Busby Babies che sopravvisse a sua volta miracolosamente al disastro di Monaco, capocannoniere anche della seconda edizione della Coppa dei Campioni.

Attaccante sinistro: Ryan Giggs

Il fuoriclasse gallese, probabilmente, non ha saputo diventare un’icona mondiale, universamente riconosciuta come “il miglior giocatore del pianeta” (ammesso che tale definizione abbia un fondamento), al contrario di Cristiano Ronaldo e George Best. Ma il suo contributo alla causa dei Red Devils non ha probabilmente eguali, se escludiamo Robert Charlton: Ryan Giggs è un folletto che sguscia sull’out di sinistra già a inizio anni ’90, è il secondo perno (dopo Cantona) attorno al quale gira il meccanismo di Ferguson nel corso del primo grande ciclo; a fine decennio Giggs è al meglio delle sue possibilità tecnico/atletiche ed è il giocatore forse più determinante (accanto a Beckham) per il treble del 1999. Nei celebri scontri ad alta quota con la Juventus che hanno segnato l’immaginario collettivo nella seconda metà degli anni ’90, si parlava di Del Piero e Zidane contro Beckham e Giggs. Ryan saprà confermarsi giocatore cardinale (anche se quasi sempre da deuteragonista) negli anni seguenti, tanto da guadagnarsi la palma di giocatore dell’anno all’esito della Premier League del 2009 e di regalare giocate decisive nel corso della Champions 2010/2011, torneo in cui figura tra i migliori a dispetto dei 38 anni. Il suo ritiro e quello di Scholes coincidono con il declino relativo del Manchester e anche qui, secondo me, non può essere solo un caso fortuito. Non vedo alternative credibili a Ryan, quindi concludo la mia analisi con il suo nome.

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