Sono passati 25 anni da quella che fu una delle peggiori tragicommedie del calcio balcanico. E forse non solo di quello. Uno spettacolo affatto divertente, in realtà. È il 1998 e nell’allora Serbia-Montenegro una piccola squadra vince il campionato del suo Paese. Detta così, potrebbe sembrare una bella cosa. Immaginiamo un Frosinone o un Empoli (detta con il massimo rispetto, naturalmente) che facciano propria la Serie A 2023-24. Grideremmo tutti all’impresa sportiva e saluteremmo con favore l’evento, in nome di un’alternanza al vertice che in Italia è quasi inesistente. Nel caso dell’Obilić non c’è nulla di cui gioire. La squadra dell’hinterland di Belgrado si impone nella stagione 1997/98 grazie alla forza economico-politica del suo presidente. Con le buone ma soprattutto con le cattive maniere. Lui è Željko Ražnatović, conosciuto come Arkan, uno dei signori della guerra nei Balcani negli anni ’90. Il punto più basso nella storia del calcio slavo, ma forse anche l’inizio di una di una lunga e difficile risalita.
L’occhio (e le mani) della Tigre
Alla fine della guerra nei Balcani, che ha insanguinato l’ex Jugoslavia per anni, Arkan è un uomo potentissimo. Uomo di malavita colluso con i Servizi Segreti del suo Paese, prestato alla causa nazionalista. Riferimento, si dice, del presidente serbo Slobodan Milošević. Il personale bottino accumulato in quattro anni di guerra (1992-1996) è stimato intorno ai 500 milioni di euro, accumulati non certo grazie all’ingegno imprenditoriale. Arkan passerà alla storia come uno di criminali più risoluti del XX secolo ma per parecchi connazionali è a tutt’oggi un patriota che non si è risparmiato per la Serbia. Questione di prospettive. Nel 1990 aveva dato vita alle “Tigri”, milizia privata costituita da ergastolani di Belgrado e dai tifosi peggiori della Stella Rossa. Nel corso del lungo conflitto le Tigri si distingueranno per feroce e spietata efficienza. Una volta finita la guerra, nel 1996 Arkan smembra le Tigri e decide di far dimenticare il passato, impresa non semplice vista la scia di sangue che quegli anni si portano appresso. L’idea è quella di trasformarsi in un uomo d’affari che investe in attività fino a prova contraria legali. Una di queste è il calcio. È stato a suo tempo capo degli ultras della Stella Rossa per motivi del tutto extracalcistici, ora vuole ripulirsi l’immagine divenendo presidente di una squadra serba. La scelta naturale dovrebbe cadere proprio sulla Stella Rossa ma l’allora proprietario rifiuta un’allettante offerta. Evidentemente può. La scelta successiva è mirata e ha il sapore di una sfida lanciata al mondo del calcio. Arkan compra l’Obilić Footbal Klub di Belgrado. Acquisto molto denso di significati.
Il condottiero
La società calcistica trae il nome da quello di Miloš Obilić, il condottiero serbo che nel 1389 ebbe combattuto presso la Piana dei Merli in Kosovo la battaglia contro i turchi uccidendo il sultano Murad I. La battaglia fu persa e a seguito della sconfitta ai serbi toccheranno secoli di sottomissione, ma gli eroi sono eroi e tali rimangono. Anzi, la mitologia li trasforma in santi. Presso una parte della popolazione il processo d’identificazione di Arkan con Miloš Obilić ha gioco facile. Secondo una valutazione superficiale entrambi i condottieri, chi in un modo chi in un altro, si sono sacrificati per la patria. Con una sottile differenza: uno ha dato la vita per un ideale di libertà, l’altro è diventato miliardario. La società calcistica è nata nel 1924 ed è una tradizionale ballerina di terza fila del calcio jugoslavo. Mai oltre la Serie C nazionale fino alla diaspora della Federazione Jugoslava negli anni novanta. Con la nascita del campionato serbo-montenegrino (inglobando squadre del Kosovo) la situazione sta per cambiare. Arkan ha in mente un’operazione di restyling senza precedenti. Se bisogna dare un’impronta, deve essere rivoluzione completa. Le timide variazioni valgono per gente timida.
Il presidentissimo
Con effetto praticamente immediato il colore sociale diventa il giallo, lo stesso delle Tigri. I giocatori vengono denominati Vitezi (cavalieri), in onore di Miloš Obilić. Chi deve capire, capisca. Per di più, in attesa di uno stadio nuovo di zecca il vecchio impianto, che non può ospitare più di 4.500 persone e che si trova a Vračar, hinterland di Belgrado, viene tappezzato sia all’interno sia fuori di immagini delle truppe guidate dal comandante Arkan durante la guerra in Croazia e in Bosnia. Strano modo di far dimenticare le “imprese” del passato prossimo. Specie se ci si vuole “ripulire”, ma tant’è. Il peso della presenza di Arkan si fa sentire in modo più che energico. Come per miracolo, nel 1997 l’Obilić viene promosso nella massima serie nazionale. Il ricambio sarebbe di per sé cosa una buona, se non fosse il messaggio intrinseco a essere inquietante. Anche le squadre più blasonate stanno per arrendersi a quella che diventerà una farsa a beneficio dell’ultima arrivata. La forza dell’Obilić è il riflesso della potenza del suo presidente. Anche Stella Rossa e Partizan, le due grandi del calcio serbo per antonomasia, son costrette a gradire. Il campionato 1997/98 farà storia a sé. Segnare alla squadra di Arkan può avere una coda sgradevole, chi fischia un rigore che secondo l’ex Tigre non c’è, ne può anche pagare le conseguenze. Secondo le testimonianze di “tifosi pentiti”, più volte in quel periodo si ascoltano intimidazioni all’indirizzo dell’arbitro o degli avversari. Frasi come “Se segni non esci vivo dallo stadio” e “Ti spezziamo tutte e due le gambe, dovrai camminare sulle mani” rappresentano un normale interloquire all’interno degli spogliatoi di uno stadio in cui succedono cose grosse.
Così vanno le cose
La Prva Liga A 1997/98 è un campionato a 12 squadre. 7 sono di Belgrado e dintorni, 3 della provincia autonoma della Voivodina, una della Serbia Centrale e la dodicesima del Montenegro (che nel 2006 diverrà stato indipendente e sovrano dopo un controverso referendum popolare). La vittoria dà 3 punti, il pareggio 1. È una stagione di transizione. La stagione successiva sarà a 18 squadre, motivo per cui l’ultima in classifica retrocede direttamente, mentre la penultima si gioca lo spareggio contro la sesta classificata della Serie B. Se vince la squadra della massima categoria è salva, altrimenti retrocede cedendo il posto all’altra. Le prime 5 classificate del campionato cadetto salgono in A direttamente. Non è più la Prva Liga di quando c’erano le avversarie croate e bosniache, il livello è sceso in maniera tangibile ma nei decenni precedenti esisteva ancora la Jugoslavia e il Paese era una fucina di campioni ora disseminati qua è là. All’improvviso è come se non esistesse una contromossa nei confronti dell’Obilić: o perdi, o perdi. Qualsiasi partita interna è pretesto per portare in scena un vero e proprio show della famiglia Ražnatović. La moglie di Arkan, nota cantante nome d’arte Ceca, si presenta regolarmente in tribuna con abiti vistosissimi e gioielli di gran prezzo, in un momento nel quale vige una forma di iperinflazione. Le siede accanto suo marito, abiti elegantissimi ma pacchiani, stile “boss delle cerimonie”. Le partite dell’Obilić non hanno mai risultati finali imprevedibili.
Metodi e finalità
Qualcuno ha il coraggio di denunciare una situazione insostenibile, si è stratificato un livello di corruzione che invade pesantemente anche il calcio. Tuttavia gli effetti di quelle azioni sono nulli, pochi sono disposti a morire per il calcio. Meglio attendere tempi migliori per ripristinare la legalità anche dentro uno stadio. Arkan non nega e non conferma ma vuole far percepire in modo palese la presenza di una longa manus che non risparmia nessuno. Nemmeno i giocatori in giallo, se serve. Si narra che se qualcuno di loro viene sorpreso a bere alcolici prima della partita può anche venir fustigato. I calciatori sono considerati guerrieri e in guerra si va sobri. La sconfitta è accettata ancor meno. Raccontano che per punizione una volta la squadra sia stata costretta a scendere dal pullman e a percorrere trenta chilometri a piedi per fare ritorno a casa. A occhio e croce, l’episodio deve essersi verificato al termine dell’unica sconfitta stagionale dell’Obilić, maturata contro i campioni uscenti del Partizan Belgrado. I metodi sono questi, il fine è ricordare a tutti chi comanda. Dunque, tra agevolazioni arbitrali, intimidazioni di vario genere e punizioni di vario genere per mantenere la disciplina interna, in un anno la squadra passa dalla Serie B a campione di Serbia 1997/98. La Coppa nazionale la vince il Partizan ma quello sembra più che altro un contentino per chi ha saputo stare al gioco. In questa maniera, una squadra dell’hinterland della Capitale si è guadagnata il diritto di disputare i preliminari della Champions League per l’anno successivo. Dopo aver superato gli islandesi dell’IBV, la squadra di Arkan dovrà abbandonare la competizione per mano dei tedeschi del Bayern Monaco. Troppa disparità in campo, e nemmeno a dire che in Europa sia lecito ciò che è pratica normale in Serbia-Montenegro.
Tutto cambia, tutto si paga
Ma la situazione generale sta prendendo evoluzioni inaspettate e poco alla volta anche il Comandante Arkan si sentirà meno sicuro di prima. L’ONU si è forse svegliata tardi ma si è svegliata e intorno a Belgrado e ai principali artefici della politica serba comincia a stringersi un cerchio. Nella primavera del 1999 la Capitale verrà bombardata. Un chiaro eccesso – peraltro tardivo – di reazione di cui fa le spese soprattutto la popolazione civile, ma comincia a essere chiaro che la nomenklatura al potere a Belgrado ha il tempo contato. Ne risente anche l’Obilić, che al secondo anno arriva secondo e poi comincia una rovinosa e progressiva caduta nell’abisso. D’improvviso la UEFA esclude il club dalla partecipazione alle Coppe, Arkan cede la presidenza a sua moglie. Negli anni successivi la squadra subirà qualcosa come sette retrocessioni, fino ad arrivare alla quinta categoria nazionale. Nel frattempo Milošević e Željko Ražnatović detto Arkan avranno terminato la loro discesa molto prima. Non sempre la giustizia passa per vie giuste, ma in un modo o in un altro, alla fine nulla resta impunito.