Non capita tutti i giorni ma a qualcuno è successo anche questo. Per esempio ai tifosi bianconeri, che nella notte fra sabato 7 e domenica 8 dicembre 1985 non hanno visto la finale di Coppa Intercontinentale di Tokyo fra Juventus e Argentinos Juniors. Vanno a dormire da campioni d’Europa e si risvegliano campioni del mondo. Siamo alla metà esatta degli anni ’80 e in quella fase storica gli assetti televisivi nel nostro Paese sono radicalmente diversi rispetto a oggi. In Italia la partita viene seguita in diretta (alle quattro di domenica mattina, mezzogiorno in punto in Giappone) da Canale 5, ma solamente in Lombardia. Esiste infatti in quel momento un divieto per le televisioni private di trasmettere in diretta su tutto il territorio nazionale. La partita andrà comunque in replica in prima serata, con un grandissimo riscontro di pubblico.Per la prima volta in Italia un evento sportivo importante non viene trasmesso dalla RAI. Qualcuno dà scarso peso al fatto, per qualcun altro invece quello può essere l’inizio di una nuova era televisiva. Nel frattempo il calcio italiano si è arricchita di un nuovo alloro. La Juventus di Giovanni Trapattoni si era guadagnata il diritto di rappresentare il calcio europeo in quanto squadra detentrice della Coppa dei Campioni 1984/85.
Il peso dell’Heysel
È un onore ma anche un peso poco sostenibile per chi ha una coscienza. Perché quel trofeo è costato la vita a 39 persone. 39 tifosi colpevoli di tifare per la propria squadra nel momento giusto e nello stadio sbagliato. Con la finale dell’Intercontinentale la società torinese cerca di mettersi alle spalle la tragedia dello Stadio Heysel, ma comunque andrà certe serate non si possono cancellare. L’avversaria è la vincitrice della Coppa Libertadores, l’Argentinos Juniors di Buenos Aires. Tra le due contendenti il divario appare netto a favore degli italiani, ma gli argentini non vanno mai sottovalutati per via della loro carica agonistica. E poi ci sono due aspetti da non trascurare: se è vero che in una partita secca tutto può accadere, è altrettanto vero che la tradizione dell’ultimo decennio è tutta dalla parte delle formazioni sudamericane.
Riportare la coppa in Europa
È dal 1976 infatti che una squadra europea non fa suo il trofeo e se in quel momento sono nove anni che il trofeo rimane nell’America Latina un motivo c’è. Conta un agonismo che forse le squadre europee non profondono, dall’altra c’è un’attenzione all’Intercontinentale che nel Vecchio Continente va a intermittenza. La Juventus ci prova, ben conscia che malgrado la superiorità tecnica la partita sarà dura in ogni suo aspetto. Quella che viene fuori nella nottata italiana di quell’8 dicembre è da molti considerata a tutt’oggi la finale dell’Intercontinentale più combattuta, più incerta ed emozionante di sempre.
Mezzogiorno di fuoco e fiamme
Alle ore 12 la Juventus è schierata in campo con Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Mauro, Manfredonia, Serena, Platini, Laudrup. L’Argentinos Juniors, ex squadra di Diego Armando Maradona, contrappone Vidallè, Pavoni, Domenech, Villalba, Batista, Olguìn, Castro, Videla, Borghi, Commisso, Ereros. L’Argentinos annovera buoni giocatori e personalità di spicco. Jorge Mario Olguìn è stato campione del mondo nel 1978 con l’Argentina di Passarella, Kempes e Bertoni. Batista e Borghi lo diventeranno sei mesi dopo. Ereros è un buon talento, aria baffuta da “salsero” cubano ma ottima tecnica di base e imprevedibilità sulle conclusioni a rete. La difesa bianconera deve stare attenta in particolare al fantasista Claudio Daniel Borghi, giocatore giovanissimo che anni più tardi Silvio Berlusconi valuterà per il suo Milan.
La partita
Sembrano più propositivi gli argentini, che hanno maggior possesso di palla e che non danno mai la sensazione di temere l’avversaria. La Juventus arretra il baricentro del gioco cercando di agire sulle ripartenze (Trapattoni docet). Il primo tempo è piacevole e le due squadre si annullano a vicenda. Sono poche le conclusioni a rete, ma il pubblico di casa (62mila spettatori paganti), è soddisfatto. Nella ripresa il ritmo pian piano sale e la prima occasione importante è dei bianconeri. Scirea lancia lungo per Serena che a sua volta di testa mette Laudrup nella condizione di concludere a rete in contropiede. Il danese prende velocità, supera sullo slancio il portiere Vidallè e segna a porta vuota ma l’arbitro annulla per fuorigioco. Decisione discutibile. Un gol, sia pure annullato, che accende la partita e prelude al gol avversario. Un’azione esemplare per capacità di verticalizzare e per rapidità d’esecuzione. 10° minuto. Dalla trequarti Commisso favorisce l’inserimento centrale di Ereros, la difesa ha un momento di esitazione. Tacconi accenna all’uscita dai pali ma il tocco dell’attaccante argentino non lascia scampo. Pallonetto millimetrico e Argentinos Juniors in vantaggio. La rete ha un effetto talmente dirompente che la Juventus potrebbe crollare pochi minuti più tardi, quando una combinazione fra l’autore del gol e Borghi porta al gol del raddoppio di Castro. Anche in questo caso, il tedesco Roth fischia il fuorigioco e annulla. I bianconeri riprendono a fare gioco e un filo di buona sorte sembra venir loro incontro. Cross dalla tre quarti sinistra di Platini per Serena all’interno dell’area argentina, la punta viene affrontata in modo falloso da Olguìn e l’arbitro concede il calcio di rigore. Dal dischetto Platini mantiene la massima freddezza: portiere da una parte e pallone sul lato opposto. 18° della ripresa, 1-1.
Continue emozioni
Il pubblico giapponese, normalmente pronto a emozionarsi per molto meno, ha davvero un buon motivo per esaltarsi. Anche perché il pareggio di Platini dà la scossa a tutta la squadra e il francese stesso comincia finalmente a fare… Platini. E lo fa talmente bene da inventare un gol da antologia, un assolo degno di pochissimi interpreti del calcio. Assolo in area, cambio di piede in palleggio aereo e palla nel sacco di Vidallé. Lo stadio sembra venir giù per quel prodigio e i giocatori bianconeri si abbracciano ma il tedesco Roth annulla per l’ennesima volta. Non c’è fuorigioco, non c’è un intervento a gamba tesa, non c’è un possibile controllo con la mano. Non c’è un perché. Con un gesto plateale ma di grande stile “le roi Michel” si siede a terra e con un sorriso sconsolato sembra dire “Che cos’altro devo inventare per farmi convalidare un gol su azione?”. E non è tutto, perché pochi istanti più tardi l’Argentinos Juniors ripassa in vantaggio. Il fantasista Borghi inventa un corridoio laterale per Castro, defilato sulla destra. Tutti pensano a un cross al centro e invece viene fuori un tiro violento e carico d’effetto. La palla s’impenna e abbassa la parabola proprio sotto l’incrocio dei pali che Tacconi non copre, non può coprire. Manca un quarto d’ora alla fine e il destino della Coppa sembra segnato in favore dei “rossi”. Ma chi ha in squadra Platini può sempre contare sulle intuizioni di un genio. Pochi minuti alla fine, Laudrup porta palla all’altezza dei 20 metri, cede palla a Platini e scatta in avanti per ricevere il passaggio di ritorno, la palla gli arriva sul piede a centro area con la difesa che resta annichilita dalla giocata dei due. Il danese parte in dribbling, aggira il portiere, resta in equilibrio nonostante il tentativo di fallo di Vidallé e quasi dalla linea di fondo la mette dentro in uno spazio strettissimo. Con il 2-2 terminano i 90 minuti regolamentari. I supplementari hanno poco da raccontare, in realtà non succede quasi nulla. Nessuno vuole correre eccessivi rischi ed è come se la testa dei 22 in campo fosse già concentrata sui calci di rigore.
I calci di rigore
La sequenza dagli 11 metri potrebbe favorire gli argentini, vincitori ai penalty della Coppa Libertadores contro i colombiani dell’America di Cali. Brio segna di potenza il primo rigore. Pareggia Olguin con identico tiro. Cabrini fa centro di sinistro. Su Batista Tacconi para sulla propria sinistra. Esultano i bianconeri. Serena di sinistro porta in vantaggio la Juventus. Poi segna Lopez, mentre Laudrup si fa stregare da Vidallé. Serve ancora Tacconi, che si tuffa sulla destra a neutralizzare il tiro di Pavoni. La tensione è alle stelle, quando re Michel e Vidallé sono di fronte per il tiro decisivo. Platini è una sfinge, a guardarlo in volto anche un lampione sembra tradire più emozioni di lui. Tutto è pronto, qualche passo e di destro segna alla sinistra del portiere, mandando ancora una volta Vidallè dall’altra parte. La verità è che nessuna delle due squadre avrebbe meritato di perdere.
Campioni del mondo
La squadra allenata da Giovanni Trapattoni vince così la sua prima Intercontinentale ai danni dell’Argentinos Juniors. Quello che l’anno prima non era riuscito al Liverpool è appena accaduto ai bianconeri. Per Michel Platini quella sarà una delle ultime soddisfazioni da calciatore. L’anno successivo vincerà per la seconda volta lo scudetto con la Juventus. Poi nel 1987, il fuoriclasse francese prende una decisione radicale: a 32 anni smette di giocare uno dei più grandi talenti di ogni tempo. Nenache a farlo apposta l’abbandono di re Michel coincide con una lunga serie di anni magri per la Juventus. Per rivedere il Tricolore ci vorrà qualcosa come nove anni. E nella Torino bianconera non sono certo abituati a quei tempi d’attesa.