Giovanni Trapattoni in una delle sue tipiche espressioni [www.ansa.it]
Ricordo una puntata di “Family Guy” (“I Griffin” nella traduzione italiana) in cui veniva chiesto al protagonista Peter di condurre una rubrica all’interno del telegiornale locale intitolata “ What really grinds my gears”, traducibile approssimativamente con “ciò che mi fa davvero girare le scatole”. Durante tale contenitore Peter rifletteva in modo un po’ comico e un po’ ottuso su fatti o aspetti legati all’attualità che proprio non riusciva a digerire.
Il mio “what really grinds my gears” tecnico-calcistico sarebbe senza dubbio dedicato alla figura di un allenatore troppo spesso lasciato fuori dalla discussione mainstream, il buon Giovanni Trapattoni da Cusano Milanino.
Premetto che l’obiettivo di questa mia indagine non sarà quello di andare a ripercorrere i successi di quello che, numeri alla mano, risulta l’allenatore italiano più vincente della storia. Così come fatto nell’articolo precedente dedicato ad Arrigo Sacchi, il mio interesse è prevalentemente legato allo studio delle ragioni tecniche-metodologiche o manageriali per cui sia legittimo affermare che il Trap abbia fatto la storia del calcio, diventando magari motivo di ispirazione per le successive generazioni di tecnici.
Per ragioni di sintesi, ho ritenuto quindi di individuare le grandi aree in cui Trapattoni a mio avviso si è particolarmente distinto come tecnico passando anche attraverso “top e flop” della sua lunga e gloriosa carriera.
Andiamo con ordine ed scopriamo le ragioni per cui ha fatto storia e si può considerare fonte d’ispirazione.
La flessibilità mentale e la longevità lavorativa
Esistono davvero pochi allenatori che hanno attraversato almeno tre grandi ere calcistiche, con mode e stili di interpretazione del gioco diverse. Trapattoni di fatto inizia da allenatore negli anni ’70 ispirato dalla scuola del Paròn Rocco e del Catenaccio, trova l’apice della sua carriera manageriale negli anni della zona mista (fine ’70-metà ’80) e prosegue ad alto livello anche durante l’epoca della zona totale e della grande diversificazione tattica (anni ’90-2000).
A ben vedere chiude la propria carriera con l’avvento della moda del Juego de Posicìon (primi anni 2010).
Questa traversata, credetemi, è tutt’altro che scontata…
Trapattoni testimonia in prima persona un cambiamento radicale, osservando, valutando e studiando i nuovi concetti portati nel gioco del calcio dalle rivoluzioni della Scienza dello sport e della Medicina Sportiva.
Soltanto una persona capace di reinventarsi continuamente, mettendo in dubbio concetti precedentemente acquisiti, sarebbe stata in grado di passare attraverso tali innovazioni.
Tutto ciò denota in Trap una voglia sempre presente di imparare e per esperienza vi garantisco che quest’ultima non è per niente una qualità comune a molti tecnici, che magari testardamente continuano ad affidarsi a ciò che erano abituati a fare da giocatori quando si tratta di programmare le loro sedute di lavoro.
Tale grande flessibilità si riflette ovviamente nel modo di interpretare le partite e sulla scelta dei principi tattici: abbiamo visto giocare le squadre del Trap secondo diversi sistemi di gioco, passando dall’1-3-4-2 con il libero durante gli anni ‘80 al 3-5-2 più ispirato alla zona e al 4-4-2 scolastico verso la fine della sua carriera.
Queste sono di fatto caratteristiche tipiche di quello che chiamo l’allenatore “Stratega”, un po’ l’antitesi del “Filosofo” (vi dice niente il duello Mou-Pep?)
Trap è uno dei padri fondatori di questa scuola, generalizzando lo definirei come un “resultadista”, ovvero uno dei tanti allenatori che hanno costruito i loro successi principalmente su generali capacità gestionali che non sull’applicazione di ferrei principi tattici, valorizzando talvolta l’individualismo come strumento per arrivare alla vittoria, concetto quest’ultimo piuttosto estraneo ai grandi filosofi del calcio.
Lo stratega prepara la partita attraverso un dettagliato studio dell’avversario ed è camaleontico tatticamente. Il suo fine ultimo come detto è il risultato finale, non vuole necessariamente divertire, guarda alla forma e non al contenuto.
Il calcio contemporaneo è ricco di filosofi, ma pare che siano gli strateghi a raccogliere più successi. Per ulteriori chiarimenti a riguardo vi invito a ripercorre le carriere dei vari Ferguson, Del Bosque, Capello, Lippi e Ancelotti o magari del già citato Mourinho fino ad arrivare in ambito nazionale a Max Allegri.
La genuinità del carattere
Lo ammetto, non stiamo parlando di una qualità strettamente tecnica ma ad oggi faccio fatica a trovare personaggi in grado di essere così efficaci ed allo stesso genuinamente credibili quando si tratta di veicolare un messaggio. Nell’epoca delle domande scontate e delle risposte di rito credo che in molti sentano la mancanza di personalità simili. Oltre a Trap e Carlo Mazzone non ricordo recentemente allenatori in grado di comunicare allo stesso modo le loro idee.
Esistono tuttavia anche risvolti tecnici in tutto questo, se infatti alcuni si guadagnano la stima dei propri giocatori sul campo, magari attraverso le loro idee in ambito tattico, altri lo fanno seguendo un percorso più legato a qualità umane e comunicative, cercando di comprendere lo stato d’animo dei propri atleti ed empatizzando con loro. Trap è a ben vedere uno zio o un nonno a cui tutti più o meno siamo o siamo stati legati. Vogliamo poi ricordare i tanti detti, neologismi o brillanti conferenze stampa in Tedesco? Fenomeno vero…
Il palmares
7 Scudetti, 2 Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, Campionato e Coppa in Germania, Campionato Portoghese, Campionato Austriaco, una Coppa Campioni, una Intercontinentale, una Coppa Coppe, una Supercoppa Europea e 3 (!) Coppe Uefa.
Facendo un parallelo con il già citato Ferguson è evidente come, al contrario di Sir Alex, il nostro Giuanìn abbia saputo imporsi in contesti diversi, adattandosi anche culturalmente all’ambiente che lo ospitava senza rinunciare alla propria personalità. Ha saputo vincere a Monaco di Baviera ad esempio, dove storicamente per un allenatore straniero non è mai stato facile farsi voler bene… Vero Carletto e Pep?
Vittorie in quattro campionati europei diversi, il primo titolo nel ‘76/’77 e l’ultimo nel ‘06/’07 ben trent’anni dopo: serve altro?
Altre esperienze degne di nota
In questo segmento mi soffermerò su avventure professionali meno blasonate e non necessariamente legate al raggiungimento di titoli per scoprire dove la mano e la visone di Trap emersero a mio avviso in modo interessante, valorizzando al massimo il capitale umano a disposizione.
Sono quindi due, in questo mio gioco, le squadre che meritano una menzione: la Fiorentina di fine anni ’90 e la Nazionale Irlandese 2008-2012.
Nel primo caso, durante la stagione ‘98/’99, Trapattoni riuscì a costruire un’alchimia tale da rendere la compagine gigliata una vera contender per quel campionato. È bene ricordare come durante quegli anni ci fosse una competizione davvero molto grande nella fascia alta di classifica, dove oltre alle solite tre grandi si potevano tranquillamente collocare, grazie a budget plurimiliardari, squadre come la Lazio, la Roma e il Parma. Dopo un grande girone di andata vissuto al primo posto, complici gli infortuni di Batistuta e le carnevalate di Edmundo, la Fiorentina del Trap rallentò il passo chiudendo comunque al terzo posto e qualificandosi per la Champions. Proprio l’anno successivo i Viola sarebbero poi stati in grado di andare a vincere a Wembley contro l’ Arsenal forse più forte di sempre e a impensierire lo United e il Valencia (poi finalista) nelle fase di qualificazione successiva.
Tatticamente in questo caso il Trap opta per un 4-4-2 spartano di facile interpretazione, gli elementi di qualità non sono molti per cui l’idea è di fare cose semplici e di farle bene. L’Irlanda trapattoniana si affida individualmente all’esperienza di Given in porta, in difesa generalmente partono un giovane O’Shea, Dunn, St Ledger e Kilbane, mentre in mezzo al campo giocano Lawrence, Wheelan, Andrews e il mancino Damien Duff (forse l’elemento di maggiore qualità). Davanti spazio al veterano Keane e Doyle.
Tatticamente molto flessibile durante l’esperienza sulla riva dell’Arno, il Trap parte talvolta con una squadra schierata a 4 talvolta a 3, utilizzando in difesa uomini dal rendimento sicuro come Firicano, Falcone, Torricelli, Repka, Adani, Di Livio (nella variante 3-5-2) e Pierini a protezione di Francesco Toldo. A centrocampo usa il doppio incontrista, spesso Cois e Amoroso oppure Rossitto, Bressan e Okon. L’obiettivo finale è quello di esaltare le qualità individuali dei componenti del reparto avanzato, facendo alcuni nomi Batistuta, Rui Costa, Oliveira ed Edmundo. In alcune occasioni vennero anche schierati tutti assieme, alla faccia del difensivismo!
Per quanto riguarda invece l’esperienza Irlandese basti ricordare come durante gli spareggi solamente una mano galeotta di TT Henri impedì al Trap di qualificarsi al mondiale 2010 dopo un girone di qualificazione chiuso da seconda alle spalle dell’Italia di Lippi (peraltro fermata con due pareggi), negando una storica ammissione alla fase finale per una squadra davvero un po’ modesta. Poco dopo riuscì comunque a portare i verdi d’Irlanda agli Europei 2012 (eliminazione nella fase a gironi)
Come si evince, riuscire a portare una squadra del genere al Mondiale eliminando la Francia sarebbe stata davvero l’impresa di una carriera.
Il flop: nazionale italiana 2000-2004
Premessa grande come il mondo: a sbarrare la strada all’Italia del Trap contribuirono anche due episodi imbarazzanti almeno tanto quanto la mano di Henry. Mi riferisco ovviamente alle gesta di Byron Moreno nell’ottavo di finale al Mondiale 2002 e al biscottone scandinavo di Euro 2004.
Ciò detto, due nazionali di quel livello avrebbero dovuto però fare più strada a mio avviso. Durante quel quadriennio si incontrano due tra le generazioni di maggior talento della storia del calcio italiano. A quella di maggiore esperienza e affidabilità che comprendeva i nati tra fine anni ’60 e metà ’70, andava infatti ad aggiungersi quella atleticamente più fresca ed in rampa di lancio dei nati tra fine ’70 e primi ’80.
A giocatori già affermati come Maldini (’68), Cannavaro (’73), Vieri (’73) e Del Piero (’74) se ne potevano affiancare altri che già erano o sarebbero presto diventati di alto profilo internazionale come Totti (’76), Nesta (’76), Zambrotta (’77), Buffon (’78), Gattuso (’78) e Pirlo (’79). Per Euro ’04 poi avrebbero meritato forse più considerazione Gilardino (’82) e De Rossi (’83) che non furono nemmeno convocati, al contrario di Cassano (’82) che invece fece parte di quella spedizione.
L’esperienza azzurra del Trap rimane segnata da un’impronta a volte troppo conservatrice, sia dal punto di vista tattico che in quello delle scelte in sede di convocazione.
Nel primo caso basti pensare al Mondiale ’02 dove schierò la squadra con un 3-4-1-2 a baricentro basso e doppio incontrista (Zanetti-Tommasi) dove l’iniziativa in fase di possesso veniva lasciata troppo spesso al solo Totti, che a dire il vero stava vivendo un momento di grande forma nella posizione di trequartista, e alla vena realizzativa di Vieri che spesso i gol se li doveva costruire da solo facendo a sportellate.
Nel secondo caso penso invece ad Euro ’04 e ad esempio torno alla scelta un po’ troppo prudente di preferire in rosa Bernardo Corradi ad Alberto Gilardino che in quell’anno a Parma era stato semplicemente perfetto.
Conclusioni
La carriera di Giovanni Trapattoni rappresenta ad oggi un unicum nel panorama calcistico nazionale e forse internazionale ad eccezione di Alex Ferguson. Come detto in precedenza ritengo la si debba considerare anche didatticamente per via della eccezionale durata e per le capacità di adattamento dimostrate nel corso di quei magnifici trent’anni di lavoro sul campo. In conclusione aggiungo che oggi più che mai, in un momento in cui gli allenatori sembrano prendersi un po’ troppo sul serio filosoficamente e si stanno sedendo pigramente sulla moda del Gioco Posizionale, la carriera del nostro Trap vada assolutamente studiata.