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Claudio Gentile, grinta e carattere sul tetto del mondo

A quarant'anni dal trionfo azzurro in Spagna, Claudio Gentile ci svela i segreti delle marcature su Maradona e Zico e gli episodi più significativi di una carriera condotta fra campo e panchina all'insegna della determinazione e del carattere

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Claudio Gentile in azione con la maglia della Nazionale [foto Sportige.com]

E’ ricordato come uno dei difensori più implacabili e completi del calcio italiano, capace di imbrigliare l’avversario più pericoloso e di partecipare allo stesso tempo allo sviluppo della manovra. Nella memoria collettiva degli appassionati rimangono scolpite in maniera indelebile le sue gesta in marcatura contro Maradona e Zico, chiave di volta del trionfo azzurro al Mondiale di Spagna ’82. La carriera di Claudio Gentile può essere considerata un lungo inno alla tenacia, con il carattere e la voglia di arrivare come filo conduttore, dai campetti improvvisati nelle strade della natia Tripoli all’affermazione nella Juventus, sino alla consacrazione in Nazionale. Prima di festeggiare il quarantennale dell’impresa compiuta con gli altri “ragazzi di Bearzot”, tra una pedalata e l’altra sulle alture lariane Gento ripercorre con schiettezza e simpatia assieme a Game of Goals gioie (tante) e dolori (qualcuno) riservatigli dal pallone fra campo e panchina, gettando anche uno sguardo sul calcio attuale e non disdegnando di togliersi qualche sassolino dalle scarpe.

I primi calci al pallone li ha tirati dall'altra parte del Mediterraneo, a Tripoli.

Con la mia famiglia abitavo vicino ad un oratorio di una chiesa italiana. Lì ci trovavamo tutti i pomeriggi per giocare, da una parte gli italiani, dall’altra i ragazzi libici. Erano partite dure, agonisticamente combattutissime, spesso si vinceva una volta a testa, ma soprattutto si imparava a farsi rispettare in campo e ci si formava il carattere. Quella scuola mi è servita durante tutta la carriera.

Rientrato in Italia, ha fatto la classica gavetta lottando parecchio prima di riuscire ad emergere.

Fin dalle giovanili i giudizi di tecnici e addetti ai lavori non sono mai stati troppo lusinghieri nei miei confronti. Venivo visto come uno dotato di grande grinta ma senza le qualità necessarie per diventare un giocatore. Invece di abbattermi, questo mi dava ancora più motivazioni, tanto che mi sono sempre conquistato il posto in squadra, sia nelle giovanili del Varese, sia nell’anno in prestito all’Arona in serie D, dove tra l’altro mi feci notare in un’amichevole estiva con il Cagliari fronteggiando piuttosto bene prima Domenghini, poi Riva, sia al ritorno a Varese, quando venni nominato fra i tre migliori giovani del campionato di serie B ’72-’73.

Claudio Gentile, secondo in piedi da destra, con il Varese nel campionato di serie B 1972-’73

Ed ecco arrivare la chiamata della Vecchia Signora, cui di primo acchito non avrebbe voluto rispondere.

E’ vero, pur essendo juventino da sempre nutrivo forti dubbi. Fra i terzini la concorrenza era agguerrita, c’erano Spinosi, Marchetti e Longobucco, per non parlare di capitan Salvadore e Furino in mediana. Pensai: “Cosa ci vado a fare?”. Ovviamente non ci misero molto a convincermi, non potevo perdere un treno simile.

E salito sul treno, Gentile fa di tutto per non scendervi più mettendo la consueta dose di determinazione negli allenamenti, con una voglia matta di migliorarsi e adattandosi ai ruoli più disparati pur di rientrare nell'undici titolare la domenica.

All’inizio ero impiegato come mediano, quasi considerato un’alternativa a Furino. In caso di necessità venivo schierato più avanti, ricordo una partita a San Siro contro l’Inter giocata con il 10, oppure come ala tattica, come quella volta a Roma con il 7 contro il laziale Luigi Martini che ho dovuto rincorrere dall’inizio alla fine.

Fino a trovare una collocazione stabile sulle corsie esterne della difesa, specie a sinistra.

In effetti in quel ruolo ho vinto il mio primo scudetto nel ’75, con Cuccureddu marcatore dall’altra parte. Quando arrivò Trapattoni continuò a darmi fiducia a sinistra nonostante fossi destro naturale. I piedi non erano raffinatissimi, ma il Trap aveva fiducia in me e alla fine degli allenamenti si fermava per farmi esercitare a calciare e soprattutto a crossare con il mancino. Un vero martello, ma aveva ragione lui. Il ’76-’77 è stata la mia stagione più bella in bianconero, un vero anno di grazia con lo scudetto dei 51 punti dopo il braccio di ferro col Toro, la Coppa UEFA, primo successo internazionale ottenuto tra l’altro con una squadra di soli italiani, e diversi cross per gli attaccanti. Bettega e Boninsegna ancora mi ringraziano (sorride, n.d.r.).

L'esplosione di Cabrini la riportò sulla sua fascia naturale, a destra, dove poteva coniugare marcature ferree e sganciamenti offensivi, per una Juve tatticamente moderna e imprevedibile, che spingeva a tutta forza con entrambi i terzini creando spesso superiorità numerica.

In quegli anni di solito era il terzino sinistro che fluidificava, mentre quello destro restava più bloccato, con compiti di marcatura. A me è sempre piaciuto partecipare alla manovra e diventavo quasi un’ala aggiunta. Con Causio i meccanismi erano automatici e ci intendevamo ad occhi chiusi: lui si accentrava lasciandomi spazio e io andavo puntualmente al cross.

Claudio Gentile rientra negli spogliatoi assieme ad Antonio Cabrini al termine di una partita della Juventus nella stagione 1983-’84 [foto archivio L’Unità]

L'unico ruolo della difesa che non ha mai amato troppo, pur disimpegnandosi al meglio quando chiamato in causa, è stato quello di stopper.

Non avevo certo il fisico del marcantonio tipico del difensore che doveva occuparsi del centravanti, ma gli allenatori credevano nelle mie qualità agonistiche e nel mio mestiere e se c’era la necessità mi chiedevano anche di marcare la punta centrale avversaria. Nell’80-’81, quando Brio stava recuperando dal grave infortunio al ginocchio, ho giocato quasi tutto il campionato da stopper e nessuno degli attaccanti che ho marcato è riuscito a segnare.

Ripensando ai suoi anni bianconeri, le torneranno di sicuro in mente i derby.

Grandi sfide, rivalità accesissima. L’avversario più difficile da affrontare è stato Claudio Sala. Sgusciante, non sapevi mai da che parte ti andasse via. Per neutralizzarlo dovevi anticiparlo o impedirgli di girarsi anche usando tutti i trucchi del mestiere a disposizione. Tante volte mi sono dovuto arrangiare, è vero, ma neanche lui mi ha fatto gol. Il ricordo più piacevole è legato alla sfida di andata del campionato ’81-’82, risolta da un mio inserimento con gol di testa. Una grandissima soddisfazione.

Dalla Juve alla Nazionale il passo fu breve. Dopo l'ottimo Mondiale di Argentina '78 la sua consacrazione avvenne col trionfo di Spagna '82. Celeberrime le sue marcature su Maradona e Zico. Come fu presa quella decisione da Bearzot?

In origine dovevo occuparmi di Kempes, che avevo già controllato ai Mondiali di Argentina. Di solito era Tardelli a prendere in consegna la punta arretrata o l’avversario di maggiore fantasia. Probabilmente il mister aveva bisogno di un maggiore apporto da Marco, liberandolo dai compiti di semplice contenimento. Qualche giorno prima della partita salì da me in camera e mi chiese: “Te la senti di marcare Maradona?”. Io risposi baldanzoso: “Qual è il problema?”. E lui serafico: “Bene, allora prendi le videocassette e vattelo a studiare”. Tutto subito pensai: “Che cavolo ho detto. Sono proprio un cretino”, ma non potevo più tirarmi indietro e passai un paio di giorni ad analizzare ogni suo movimento. In campo fortunatamente andò tutto bene.

La ruvida marcatura di Gentile a Maradona al Mondiale di Spagna ’82 [foto Pinterest.com]

La chiave della marcatura?

Non bisognava farlo girare, altrimenti non lo prendevi più. Ho cercato di stargli il più attaccato possibile, anche per innervosirlo, e di portarlo lontano dal gioco per non fargli arrivare la palla. Quando possibile schermavo la linea di passaggio e lo anticipavo. Era l’unico modo per fermarlo. D’altronde Maradona, contro difese schierate a zona, ha vinto quasi da solo i Mondiali dell’86.

E la scena si è ripetuta contro Zico.

Qui la storia è ancora più carina. La sera prima Bearzot non venne a dirmi nulla, io ero tranquillo, convinto di marcare Eder che giocava sul fronte sinistro dell’attacco brasiliano. Nel sottopassaggio, prima di entrare in campo, Bearzot si avvicina, mi mette una mano sulla spalla e mi dice: “Vai tu su Zico, Eder lo prende Oriali”. Ho pensato: “Ci risiamo!”, dopodiché mi sono concentrato solo sull’arginarlo in tutti i modi.

Anche portandosi a casa un souvenir personale.

Quello del difensore è un mestiere. Contro gli avversari più forti bisogna impiegare i trucchi dettati dall’esperienza senza farsi vedere dall’arbitro, oggi con tutte le telecamere che ci sono è un po’ più difficile, e senza fare male all’avversario. La cosa che mi ha dato più fastidio nella mia carriera è essere stato inserito da alcuni giornali tra i quattro, cinque difensori più cattivi del mondo, io che non sono mai stato espulso per gioco violento e solo una volta per somma di ammonizioni. A qualcuno il nostro successo in Spagna ha dato molto fastidio e neutralizzando quei due campioni devo aver fatto saltare diverse scommesse.

Le attenzioni di Gentile verso Zico in Italia-Brasile dell’82 [foto Goal.com US]

Ma torniamo ai ricordi belli. Dopo aver saltato per squalifica la semifinale con la Polonia al pari di Boniek, che sarebbe dovuto passare sotto le sue "cure", in finale le toccò Littbarski.

All’inizio ero timoroso. Littbarski era pericolosissimo, alla minima distrazione ti fregava. Nel primo tempo tenni la posizione e non mi spinsi mai in avanti, nella ripresa, una volta prese le misure, cominciai a sganciarmi.

Fino al cross per la rete del vantaggio segnata da Paolo Rossi.

A tal proposito le racconto un aneddoto. Negli spogliatoi prima della partita ci eravamo messi d’accordo. Dissi a Paolo: “Guarda che questi in difesa sono tutti grandi e grossi, è inutile buttare la palla alta. Se vengo su ti faccio il cross basso a girare, tu lanciati nello spazio e cerca di anticiparli come fai di solito”. E così è successo.

Avete subito colto l'importanza dell'impresa compiuta?

Sinceramente no. Fu il presidente Pertini, mentre stavamo festeggiando, a dirci: “Voi non vi rendete conto di cosa avete fatto stasera per l’Italia”. Lì capimmo che il significato del nostro successo andava oltre lo sport e avrebbe potuto contribuire a ricompattare il Paese in un momento storico molto delicato.

Tutta la gioia di Claudio Gentile nell’alzare al cielo di Madrid la Coppa del Mondo [foto Listverse]

Va bene aver messo la museruola a Maradona e Zico. Ma se le dico Galuppi del Vicenza, cosa le viene in mente?

La mia bestia nera! La prima volta devo averlo snobbato dato che non era un nome famoso e lui mi ha messo in difficoltà tutte le partite in cui l’ho incontrato. Uno degli avversari più difficili da marcare.

A distanza di poco meno di un anno dal trionfo spagnolo ha vissuto, a livello di club, forse la delusione più cocente della sua carriera. Mi riferisco alla finale di Coppa dei Campioni di Atene persa contro l'Amburgo, dove Ernst Happel vi attirò in una trappola tattica.

Una serata da incubo. Quel torneo l’avevamo stradominato e sinceramente avremmo meritato la coppa. Il calcio però è strano, severo e ti punisce alla minima incertezza. Non sempre vince il più forte o chi gioca meglio durante la partita, basti pensare all’ultima finale di Champions League fra Real Madrid e Liverpool. Tornando a quella gara, Happel schierò il danese Bastrup dalla mia parte. Secondo le consegne dovevo marcarlo a uomo, lui però si accentrava portandomi spesso dall’altra parte del campo, dove finivo per pestarmi i piedi con Cabrini. Proprio nello spazio lasciato libero si inserì Magath per quell’incredibile conclusione vincente. Chiedemmo invano a Trapattoni di rivedere le marcature, ma lui fu inamovibile e la frittata era già fatta. Poi ci si misero anche gli episodi, come il colpo di testa di Bettega deviato da Stein sul palo poco prima del loro gol, che avrebbe potuto cambiare l’esito dell’incontro, o il rigore non concesso per fallo su Platini da parte del portiere nella ripresa. Più in generale quella sera non fummo all’altezza dei nostri livelli. Era destino che andasse così.

Terminata la carriera agonistica tra Fiorentina e Piacenza e dopo una breve esperienza dirigenziale, lei ha cominciato il percorso da tecnico in seno alla Federazione, che le ha riservato inizialmente grandi soddisfazioni per poi concludersi in maniera traumatica ponendo di fatto fine alla sua attività di allenatore.

Sulla panchina dell‘Under 21 ho avuto la soddisfazione di conquistare il terzo posto negli Europei del 2002 e, soprattutto, di vincere il titolo nel 2004, con sei dei miei giocatori che due anni dopo si sono laureati campioni del mondo con la Nazionale di Lippi, a testimonianza della bontà delle scelte effettuate. Non dimentichiamo, sempre nel 2004, la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene, prima e finora unica volta in cui gli azzurri sono saliti sul podio dopo l’oro di Berlino nel ’36.

Claudio Gentile in versione allenatore della Nazionale Under 21 [foto diggita.it]

Nell'estate del 2006, dopo il vittorioso Mondiale in Germania, cosa successe?

Le racconto come è andata. Il calcio italiano era in pieno caos Calciopoli, la Federazione era commissariata ed io in attesa del rinnovo dell’incarico alla guida dell’Under 21, che pareva scontato. Mi contattò la Juventus proponendomi la panchina bianconera, io avrei l’avrei accettata anche in serie B ma presi tempo e telefonai ai dirigenti federali, che si trovano in Germania per i Mondiali, chiedendo quali intenzioni avessero su di me. Albertini, all’epoca vice commissario straordinario, mi disse di stare tranquillo che per me c’era un solido progetto. A quel punto richiamai la Juve, spiegai la situazione e per correttezza rifiutai la loro offerta. Nel frattempo circolarono anche delle voci che mi indicavano come possibile successore di Lippi alla guida della Nazionale maggiore. Qualche settimana dopo, durante la conferenza stampa di presentazione di Donadoni come nuovo tecnico azzurro, Guido Rossi, commissario straordinario della Federazione, ad una precisa domanda rispose: “Gentile, rimane di sicuro all’Under 21. A giorni mettiamo a posto tutto”. Quarantott’ore dopo mi liquidò con una telefonata di neanche un minuto, comunicandomi che avevano preso una decisione diversa. Rimasi di sasso ed al mio posto misero Casiraghi.

Quale pensa sia stata la causa del suo allontanamento?

Io sono stato sempre per la meritocrazia nelle scelte dei giocatori da convocare e schierare e non ho mai dato retta ai suggerimenti e alle pressioni che venivano dall’ambiente. Ho sempre voluto camminare con la schiena dritta e questo a qualcuno probabilmente dava fastidio.

In seguito lei non ha più trovato spazio per allenare.

Ho avuto delle offerte dall’estero, ma volevo continuare ad allenare in Italia e non riuscivo a spiegarmi il perché non riuscissi a trovare una panchina. Poi, piuttosto che scendere a compromessi, ho preferito uscire dai giochi.

Da "pensionato" del calcio ha potuto però coltivare ancora di più la sua seconda passione sportiva, quella del ciclismo.

Mi è sempre piaciuto andare in bicicletta, è un altro sport di impegno, fatica e tenacia. Sono un grande appassionato, seguo costantemente le corse e diverse volte sono andato a vedere dal vivo i Mondiali. Ho trasmesso la stessa passione a mio figlio, che per qualche anno ha anche gareggiato dovendo poi abbandonare l’attività agonistica perché non si conciliava più con gli studi. La bici mi aiuta a tenermi in forma, cerco di uscire tutti i giorni con una media di 80-100 chilometri per volta.

Claudio Gentile oggi

Uno sguardo sul calcio attuale. In difesa sembra passata un'era geologica da quando giocava lei.

Oggi i difensori coriacei dei miei tempi, abili nell’uno contro uno, non ci sono più. Marcano le zone del campo e non gli attaccanti. Peccato che se buchi la palla o arrivi in ritardo prendi regolarmente gol. Ma questa è l’evoluzione dei tempi.

Il secondo Mondiale consecutivo visto da casa la dice lunga sulla situazione del calcio italiano.

Per la gente è stata una mazzata. Per il tifoso vedere la propria Nazionale giocare ai Mondiali è il massimo e a noi toccherà ancora guardare gli altri in televisione. Non dimentichiamo che siamo l’Italia, col blasone che ne consegue. Il nostro calcio è in declino e c’è da preoccuparsi.

Quali le cause?

Si è abbassata la qualità, mancano esperienza e personalità. Tutte le nostre squadre più titolate sono infarcite di stranieri, specie nei ruoli chiave. Per gli italiani, soprattutto i giovani, è sempre più difficile trovare spazio in prima squadra e maturare esperienza. Quando si trovano a calcare palcoscenici internazionali, dove si alza l’asticella e devi dimostrare qualcosa, faticano a reggere pressione e ritmi diversi. Se non si ha un carattere forte e temprato non si va da nessuna parte. Ai miei tempi ogni partita era un esame e ti faceva crescere. Mancini è costretto a cercare ovunque calciatori convocabili, che poi vengono fatti diventare dei fenomeni alla prima buona prestazione fornita, come nel recente caso, con rispetto parlando, e non me ne voglia, di Gnonto.

La sua ricetta per risalire?

Abbandonare le politiche sbagliate. Bisogna recuperare la nostra scuola calcistica. I ragazzi vanno fatti crescere partendo dalla tecnica. Altro aspetto fondamentale è puntare sul merito lasciando da parte i raccomandati: troppe società tendono a portare avanti ragazzi con famiglie facoltose alle spalle, che magari possono anche contribuire alle casse societarie, a scapito di altri con meno mezzi ma forse più talento. Questo porta a molti abbandoni dell’attività. Poi ci sono i procuratori, che secondo me, e qui non ho paura di farmi dei nemici, sono la rovina del calcio, hanno troppo potere e condizionano tutto. Bisogna tornare a scoprire i talenti, credere in loro e avere il coraggio di lanciarli. Non è possibile che in Spagna a 17 anni Gavi sia un punto fermo della Nazionale e da noi a 25 fatichino a trovare spazio in serie A e siano costretti a peregrinare nelle categorie minori. Evitiamo di prendere sempre la scorciatoia degli stranieri a parità di età e valori. Puntiamo sui nostri giocatori, richiederà qualche sforzo in più ma è l’unico modo per far tornare il calcio italiano ai livelli che gli competono.

Idee e concetti chiari, lontani dai compromessi, come la filosofia della tenacia e del lavoro che hanno portato il carattere di Claudio Gentile sul tetto del mondo.

Il ritratto agonistico di Claudio Gentile “pennellato” dal giornalista Angelo Caroli

CHI È CLAUDIO GENTILE

Nato a Tripoli il 27 settembre 1953 da genitori siciliani originari di Noto, rientra con la famiglia in Italia nel 1961 stabilendosi a Brunate, nel Comasco. La sua attività calcistica inizia nel 1964 nel vivaio del Maslianico, quindi passa nel 1968 alle giovanili del Varese. Difensore polivalente (178 centimetri d’altezza per 71 kg.) viene ceduto in prestito all’Arona dove disputa un brillante campionato di serie D nel ’71-’72. La stagione successiva rientra al Varese e viene indicato fra i tre migliori giovani del campionato di serie B.
Nell’estate 1973 approda alla Juventus, dove giocherà fino al 1984 totalizzando fra campionato e coppe 417 presenze con 10 reti. L’esordio in serie A avviene il 2 dicembre 1973 in Juventus-Verona 5-1, curiosamente preceduto da quello in campo internazionale nella sfortunata finale unica di Coppa Intercontinentale persa pochi giorni prima a Roma per 1-0 contro gli argentini dell’Independiente. Inizialmente impiegato come mediano, in bianconero si affermerà come difensore esterno conquistando 6 scudetti, 2 Coppe Italia, la Coppa UEFA del ’77 e la Coppa delle Coppe nell’84. Lasciata la Vecchia Signora, disputa tre stagioni nella Fiorentina mettendo assieme 70 presenze e una rete. Ultimi scampoli di carriera al Piacenza nell’87-’88.
In Nazionale esordisce il 19 aprile 1975 a Roma nella gara contro la Polonia terminata a reti inviolate e valida per le qualificazioni agli Europei del 1976. In azzurro totalizza 71 gettoni di presenza e un gol segnato nel giugno ’77 ad Helsinki, nella partita delle qualificazioni ai Mondiali ’78 vinta dall’Italia per 3-0 sulla Finlandia. Indimenticabili le sue prestazioni al Mondiale di Argentina ’78, chiuso al quarto posto e soprattutto in quello trionfale di Spagna ’82. Oltre a Maradona e Zico, nessuno degli attaccanti da lui marcati nelle rassegne iridate è riuscito a segnare. Al suo attivo anche la fase finale degli Europei del 1980 svoltasi in Italia e conclusa dalla squadra di Bearzot al quarto posto. Ultima partita in Nazionale l’amichevole vinta in Canada per 2-0 nel maggio 1984, in cui ha indossato la fascia di capitano.
La sua carriera di allenatore si è svolta nei quadri della Federazione, guidando la Nazionale Under 21 alla conquista del titolo Europeo nel 2004 e l’Olimpica alla medaglia di bronzo nei Giochi di Atene dello stesso anno. E’ stato insignito delle medaglie di bronzo e d’oro al valore atletico e del collare d’oro al merito sportivo.

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