Immagine di copertina: il prestigioso e sempre dibattuto Pallone d’oro, un riconoscimento ambito da tutti, ma che sta condizionando enormemente il modo di pensare e di intendere il calcio del passato e del presente.
Con il passare del tempo, mi sto rendendo sempre più conto di quanto il Pallone d’oro ci stia influenzando nel giudizio di questo sport. Quante volte ci siamo ripetuti che questo riconoscimento, per quanto prestigioso, lascia il tempo che trova? E quante volte, subito dopo, ci siamo ritrovati a sminuire giocatori come Matthias Sammer, Michael Owen o Pavel Nedved?
Tutti giocatori che hanno avuto la “colpa” di vincere delle edizioni che per molti sarebbero dovute essere di altri. C’è chi dice Alessandro Del Piero al posto di Sammer nel 1996. Altri diranno che Raùl, Oliver Kahn e Francesco Totti fossero più meritevoli di Owen nel 2001. Altri ancora sosterranno che Paolo Maldini e Thierry Henry avessero fatto di meglio di Nedved nel 2003. Ma nella sostanza, in quanti sanno realmente qual è il reale valore di quelle annate individuali? In quanti sanno discutere concretamente di calcio senza essere influenzati da quel premio?

Immagine: Pavel Nedved solleva il Pallone d’Oro vinto nel 2003 [https://www.tifosibianconeri.com]
Non ho intenzione di tediarvi entrando nel merito di quelle specifiche annate. O meglio, mi piacerebbe anche farlo come avevo fatto in passato con un mio vecchio articolo su Nedved, ma perderei il focus sulla questione più importante. Perché al giorno d’oggi bisogna ammettere che sì, il famigerato e sempre discusso Pallone d’oro detiene tutt’oggi il suo prestigio, ma ciò non deve fare passare in secondo piano quanto volubili siano stati i suoi parametri in tutti questi decenni.
Il più delle volte, il premio di France Football si è ritrovato a valorizzare una certa sensibilità storica che risultava più o meno maggioritaria. Risulta quindi semplicistico credere che un tempo il Pallone d’Oro premiasse esclusivamente colui che era stato il migliore per impatto e prestazioni. Non è sempre stato così e addirittura il suo primo vincitore, Stanley Matthews, lo vinse per ben altri motivi. Fu infatti premiato per un mero fatto iconografico, perché una parte dei giurati dell’epoca riteneva che Stanley fosse l’espressione perfetta del calcio degli anni ’50. Di fatto un premio alla carriera (e che carriera), più che un riconoscimento reale a quanto avesse fatto nel 1956. Oggi probabilmente avremmo contestato una decisione del genere, sostenendo – anche legittimamente – che Alfredo Di Stéfano meritasse questo riconoscimento.
Si potrebbe anche fare l’esempio di Kevin Keegan, vincitore dell’edizione del 1978 nonostante non avesse vinto un bel niente con l’Amburgo (non ci andò nemmeno vicino) e non avesse preso parte ai Mondiali in Argentina. E Kevin non era di certo uno dei tanti, dato che aveva già dimostrato precedentemente di che pasta fosse fatto. O anche Rivaldo, vincitore del premio nel 1999, annata contraddistinta dalla sua dominante Coppa America come unica grande vetrina internazionale. In quanti oggi avrebbero contestato quel premio a Rivaldo? Affermando che la Coppa America non sia una competizione prestigiosa (il che è falso, ovviamente).
Addirittura nel 2000 Luis Figo ebbe la meglio su Zinédine Zidane (il principale favorito) per un mero cavillo dei parametri, che prevedevano (e tuttora è così) il discorso dei fair-play. Bastò una testata di troppo e Zizou non potè vincere il secondo Pallone d’Oro della sua carriera, che invece venne vinto dal pur meritevole “rivale” portoghese. Capite quindi che il discorso del Pallone d’Oro sia troppo complesso, che non può essere ridotto all’idea che esista una sola prospettiva valida. Il calcio cambia, e di riflesso cambiano le percezioni degli appassionati come degli addetti ai lavori.

Luis Figo vinse il Pallone d’Oro 2000 per un mero cavillo legato al fair-play.
E in questo marasma di prospettive (e viva Dio che esiste, ovviamente), risulta davvero “pericoloso” riuscire a semplificare la questione, pensando che i giurati di France Football siano un blob unico, una cricca di giornalisti che la pensano tutti allo stesso modo. Da sempre ci sono dei punteggi che vengono assegnati sulla base delle classifiche dei singoli addetti ai lavori coinvolti. Chi ha ragione per davvero in modo inequivocabile? Chi invece ha completamente torto? E soprattutto, cosa più importante, il Pallone d’oro riesce ad essere un reale ritratto di ciò che è il calcio mondiale in quella determinata annata?
La risposta che mi sento di dare con quest’ultima domanda è un secco “no”. Perché ci sono troppi fattori dietro, troppi parametri da giudicare e troppe variabili che a noi appassionati comuni potrebbero persino sfuggire. Ciò che è certo è che noi per primi siamo influenzati dal Pallone d’oro, pure quando affermiamo di non dargli importanza. Dopo tutto, siamo i primi ad aver perso il giusto spirito critico per poter parlare di calcio e della sua storia. Ci siamo dimenticati di Jean-Pierre Papin, un attaccante formidabile e prolifico con il Marsiglia. Il fatto che abbia vinto meritatamente o meno il Pallone d’Oro nel 1991 ha realmente importanza dinnanzi alla sua magnifica costanza realizzativa ad inizio anni ’90?
Ci siamo dimenticati di Igor Belanov, da sempre criticato per il Pallone d’Oro vinto nel 1986, senza che però ci si rendesse conto che disputò una splendida Coppa delle Coppe e un Mondiale ancor migliore in Messico. In quanti sanno realmente che Matthias Sammer disputò un Europeo magistrale nel 1996? Sempre meno persone, ed è un delitto nei confronti di un giocatore eccezionale come lui. E sapete perché succede? Perché abbiamo inconsciamente targettizzato i calciatori sulla base del Pallone d’oro, screditando ogni merito che avevano avuto in annate che erano e restano di grandissimo livello.
Se volete, potete pure provare a ripercorrere ogni singolo Pallone d’oro dal 1956 ad oggi. Sono abbastanza certo del fatto che difficilmente (se non praticamente mai) vi imbatterete in annate individuali realmente modeste da parte dei vari vincitori. E in questo senso, quanta malafede si può avere per affermare che i “famigerati” Lionel Messi e Cristiano Ronaldo abbiano fatto prestazioni modeste nelle annate meno meritevoli del Pallone d’oro delle loro carriere?

Lionel Messi e Cristiano Ronaldo, le maggiori “vittime” di questo pregiudizio sul Pallone d’oro
Nel 2010, l’anno più contestato a Messi, il buon Leo produsse 60 gol e 17 assist in 64 partite. Numeri da alieno, come suo solito, dominando la Liga da capocannoniere (con tanto di Scarpa d’Oro) e risultando capocannoniere della Champions League. Fece un Mondiale mediocre in Sudafrica? Certamente, ma ciò cancella il livello stellare raggiunto nel resto dell’annata? Assolutamente no. Lo stesso discorso vale per il 2013 di Cristiano Ronaldo, un’annata orfana di trofei, ma carica di numeri stellari (69 gol e 15 assist in 59 partite!) e prestazioni straordinarie sia con il Real Madrid, sia con il Portogallo (epocale la sua tripletta contro la Svezia). Anche nel suo caso, il fatto che non meritasse il Pallone d’oro cancella di punto in bianco 12 mesi da marziano? Mai e poi mai.
Mi sento anzi di constatare come Lionel Messi e Cristiano Ronaldo avrebbero goduto di consensi molto più unanimi se il Pallone d’Oro non fosse mai esistito. Non soltanto per il sopracitato discorso della categorizzazione che noi facciamo con quel premio, ma anche perché gli 8 vinti da Leo e i 5 vinti da Cri non per forza rispecchiano la loro intera carriera. Davvero 8 e 5 Palloni d’oro sono il ritratto perfetto della loro intera carriera? E allora cosa si dovrebbe dire delle stagioni in cui non hanno vinto questo riconoscimento? Il 2009, il 2011 e il 2012 di Cristiano Ronaldo devono essere dimenticati di punto in bianco? Il 2013, il 2016 e il 2017 di Lionel Messi meritano la damnatio memoriae?
E allora come mai si decanta così tanto la loro longevità? Se tanto siamo i primi a dimenticarci di certe annate eccezionali che quei due avevano saputo regalare a ripetizione, fino a viziarci. Il tutto per cosa, per incasellare determinate dinamiche e certi giocatori all’interno di certi schemi che niente hanno a che fare col calcio giocato? Che fine ha fatto l’idea di discutere in modo analitico questo sport?
Ovvero l’idea di entrare realmente nel merito della questione, di parlare di ciò che fa realmente la storia, molto di più di qualsiasi riconoscimento adornato d’oro. Quel rettangolo verde in cui in 11 contro 11 si cerca di fare un gol in più dell’avversario e sopra il quale si dirama una pluralità di visioni di gioco, di tipologie di calciatori, di allenatori, di emozioni ecc…
Quanto ancora siamo disposti a sacrificare tutto ciò nel nome della riduzione dei calciatori a compartimenti stagni? Invece che capire che questo sport meraviglioso non può e non deve in nessun modo girare intorno ad un unico premio, e che ciò che conta è e resterà sempre sempre il campo. Perché non è mai servito un pallone dorato per scrivere la storia del calcio.
E per sempre così sarà.


