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Raúl González Blanco, magia ed essenza del Real Madrid

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Ben pochi calciatori hanno incarnato e rappresentato l’essenza del “madridismo” quanto Raul Gonzalez Blanco. Bisogna risalire ai tempi di Santiago Bernabeu, che è preistoria, oppure fare un salto indietro di oltre mezzo secolo quando il Re di Madrid era un certo Alfredo Di Stéfano. Nella storia recente c’è stata la superstar Cristiano Ronaldo, che ha sbriciolato ogni record in termini di gol e trionfi con la camiseta blanca fin dal suo approdo alla corte di Florentino Perez nel 2009, quando però il portoghese era “già” Cristiano Ronaldo e la piazza di Madrid rappresentava per lui quella più naturale e immediata per lanciare il guanto di sfida a Lionel Messi per contendersi il trono del migliore giocatore del mondo.

Raul, invece, è un simbolo nato, cresciuto, svezzato e consacrato al Real Madrid, in un’avventura lunga sedici anni, in cui ha battuto il record di presenze (741) e di gol (323), prima di essere scavalcato dall’alieno di Madeira (450 reti) e da Karim Benzema (354 reti). E pazienza se il padre, tifoso dell’Atletico Madrid, convinse il figlio a giocare per un paio d’anni nelle giovanili dei Colchoneros, che però Raul abbandonò nel 1992 a causa dei problemi finanziari del presidente Jesus Gil, per accasarsi nella cantera dei più potenti e facoltosi Blancos. Tempo un paio d’anni, giusto per mettersi in luce nelle categorie inferiori e dimostrare che uno come lui avesse la stoffa del fenomeno, che il suo mentore Jorge Valdano lo portò in prima squadra e lo fece esordire contro il Real Saragozza nell’ottobre 1994, a diciassette anni. La sua prestazione? Ottima, nonostante la sconfitta per 3-2: personalità, dribbling, un assist, diverse occasioni create, ma anche un errore grave: dopo aver dribblato il portiere, alzò troppo il tiro e la palla finì sopra la traversa. Poco male, perché la prima delle 323 reti arrivò la settimana seguente proprio nel derby madrileno: sinistro chirurgico sotto il sette, in mezzo ad un’altra prestazione gagliarda, fatta di assist, dribbling, rigori guadagnati e la costante sensazione di essere l’astro nascente del calcio spagnolo. A fine stagione i gol saranno 10 – Valdano lo alternò tra prima squadra e categorie minori – e il Don Balon gli conferì il titolo di “giocatore rivelazione” dell’anno 1995.

Il Real compra grandi giocatori come Figo, Zidane e Ronaldo. Ma io penso che il miglior giocatore al mondo ce l’avesse in casa ed è Raul

Sir Alex Ferguson nel 2003

Nello stesso periodo, nella nostra penisola, un giovane di belle speranze e dal talento cristallino stava velocemente scavalcando le gerarchie per affermarsi come la nuova stella del calcio italiano: il suo nome era Alessandro Del Piero. Chi scrive ha iniziato ad amare il calcio proprio grazie a Pinturicchio e ha da sempre rilevato il fatto che Del Piero e Raul fossero due “gemelli diversi”: due fuoriclasse che hanno fatto la storia con una permanenza ultradecennale nella squadra più forte dei rispettivi Paesi d’appartenenza, squadra dove sono diventati capitani e bandiere, vincendo tutto ciò che c’era da vincere, da protagonisti, e infrangendo i record di gol e di presenze; entrambi esplosi giovani, con un feeling particolare con i palcoscenici notturni della Champions League; ambedue apprezzati per la loro correttezza e per la loro leadership silenziosa, con poche ammonizioni e ancor meno espulsioni, hanno avuto un rapporto tormentato con la maglia della nazionale nei grandi tornei, nonostante i molti gol messi a segno in carriera (27 l’azzurro, 44 lo spagnolo) e hanno avuto tutti e due periodi bui (il biennio 1999-2001 lo juventino, la parentesi 2005-2006 l’altro) dove venivano dati per finiti, salvo poi risorgere dalle ceneri.

Se però di Alex si apprezzava la classe nel dribbling nello stretto e le meravigliose parabole sul palo più lontano, Raul era un giocatore più indecifrabile. In apparenza il suo stile era più scarno e meno abbacinante di quello di altri: non abbondava nei dribbling, non incantava con le veroniche, non disegnava spesso prodezze balistiche da lontano con il mancino. Eppure dietro quella patina di minimalismo si nascondeva completezza, chirurgia, precisione ed efficacia. Aveva dosi abbondanti di sensibilità nei piedi e nel tocco, ma le esibiva solo se necessarie, non un tocco in più del dovuto. Funzionalismo allo stato puro, quasi una versione mancina ed ispanica di Der Bomber Gerd Müller. Lo straordinario gol nella finale di Coppa Intercontinentale del 1998 (“El Aguanìs”) contro il Vasco de Gama è emblematico: l’aggancio con il sinistro sul lancio lungo di Seedorf è da palati fini, le sterzate e le finte sono funzionali a mandare le ondate di difensori sudamericani fuori tempo e battere a rete nella situazione più comoda possibile.

Il meraviglioso gol di Raul nella finale Intercontinentale 1998

L’intelligenza sopraffina di leggere le azioni in anticipo e saper essere nel posto giusto al momento giusto l’ha portato a zittire il Camp Nou nel 1999/2000 con una doppietta e con un gol d’autore, uno scavetto sul portiere in uscita a valanga, alto quanto basta per mandare fuori tempo l’avversario e il pallone in fondo alla rete. Mai un colpo per la platea, per il puro spettacolo, sempre e solo il necessario per ottenere il risultato.

Raul era fondamentalmente una seconda punta: negli anni migliori della sua carriera, che io identifico nel periodo a cavallo tra i due millenni, dal 1999 al 2003 circa, ha giocato affiancando Fernando Morientes, prima punta mobile, e poi Ronaldo, ma non è stato l’unico ruolo che Raul ha rivestito in carriera: Fabio Capello – altro allenatore cruciale per la sua crescita, insieme al già nominato Valdano e a Vicente Del Bosque con cui vincerà tutto segnando a grappoli – nel 1997 lo provò centrocampista esterno nel 4-4-2, con la capacità di tagliare verso il centro alle spalle delle due punte, con grandi risultati – il Don Balon lo nomina miglior giocatore spagnolo dell’anno, e farà altrettanto dal 1999 al 2002 senza soluzione di continuità. Il tecnico di Pieris risulterà inoltre decisivo nella resurrezione di Raul nel 2006/2007 utilizzandolo nei momenti cruciali nel finale di stagione, mentre l’anno seguente Raul tornerà ad essere usato stabilmente come attaccante.

Ci si è spesso chiesti a cosa fosse dovuto l’appannamento che Raul subì a metà degli anni Duemila, in piena era “Galacticos”: sicuramente il continuo afflusso di superstar, nella folle filosofia “Zidanes y Pavones” voluta dal presidente – stelle e canterani inesperti, senza vie di mezzo e senza compromessi – non aiutò lo spagnolo e tanto meno l’ambiente, che incappò in magri risultati europei ed in patria si vide sovrastato da altre realtà, tra cui il Barcellona, che con la sua qualità e l’innesto funzionale di stelle ad hoc si apprestava a scalare l’Europa. In tutta questa centrifuga, dove l’Impero Galactico non era altro che una nave di cartapesta esposta ai venti, ben denunciata da Zinedine Zidane, Raul si perse: giocava lontano dalla porta, per lasciare il proscenio alle stelle, che però mai si accesero davvero e con continuità. A volte esterno destro, a volte sinistro, a volte a centrocampo, il 7 blanco si intristì  – emotivamente e fisicamente, tant’è che subì diversi infortuni – e si trascinò i suoi malumori anche con la nazionale spagnola, dove tra gli Europei 2004 ed i Mondiali 2006 deluse su tutta la linea, offrendo prestazioni abuliche e poco incisive, dando l’impressione che il suo astro fosse ormai tramontato.

Di tutt’altro spessore invece è stato Raul nei suoi anni d’oro, e non solo per una questione di ruolo in campo. Due volte Pichichi della Liga spagnola – la prima volta nel 1998/1999 con 25 gol, la seconda volta nel 2000/2001 con 24 reti – due volte capocannoniere della Champions League, suo habitat naturale – 10 gol nel 1999/2000, 7 gol l’anno successivo; due volte campione di Spagna, dopo i due titoli del ’95 e ’97 e prima degli altri due del 2007 e del 2008. Abbiamo nominato, appunto, la Champions League. Ci vorrebbe un altro articolo solo per enumerare le partite della Coppa dalle grandi orecchie in cui ha fatto la differenza, ma ci accontentiamo di ricordare le due finali di Champions griffate dal suo autografo – la prima nel 2000 contro il Valencia, quella lunga corsa nella prateria dello Stade de France prima di aggirare Canizares e depositare a porta sguarnita il 3-0;  la seconda due anni dopo contro il Bayer Leverkusen, quando aprì le danze con il sinistro velenoso, prima del pareggio di Lucio e della stella cometa di Zidane – oltre alle notti di estasi calcistica della primavera del 2003 contro il Manchester United di Sir Alex Ferguson, in un dream match mozzafiato: quell’incrocio è passato alla storia per la tripletta di Ronaldo il Fenomeno – che in coppia con Raul fece sfracelli – all’Old Trafford, ma sarebbe ingeneroso non ricordare la doppietta tutta mancina di Raul all’andata con cui trafisse Barthez. La Juventus di Marcello Lippi si mise di traverso nella strada verso la finale di Manchester e i Blancos uscirono in semifinale, ma lo spettacolo tecnico regalato in quei frangenti è rimasto nel cuore dei calciofili di tutto il mondo.

La finale di Champions League 2000, con un gran gol di Raul

È sempre difficile fare classifiche e graduatorie, anche se in questo sito ci proviamo spesso, ma mi sento di affermare con assoluta certezza che in quel periodo Raul Gonzalez Blanco fosse il primo attaccante al mondo, Thierry Henry permettendo. Il sanguinoso errore dal dischetto allo scadere di Francia-Spagna agli Europei del 2000 lo tolse dalla corsa per il pallone d’oro, mentre l’anno successivo fu Michael Owen a fregarlo, anche se molti tuttora ritengono che il premio dovesse andare al 7 madrileno. 

Chiudo con il ricordo del sorriso mefistofelico che mi comparì sul volto nella primavera del 2011 davanti alla tv, durante i quarti di finale di Champions League tra l’Inter campione d’Europa uscente e lo Shalke 04, trascinato da un trentaquattrenne messo alla porta l’anno precedente dalla squadra che aveva rappresentato per sedici anni e ringiovanito in Germania: Raul regalò magie e ammutolì San Siro, che vide i nerazzurri soccombere per 2-5. Un paio di settimane dopo, ogni speranza di rimonta è stroncata ancora da quel giovanotto senza tempo.

Tutto il meglio del fuoriclasse spagnolo

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