La selezione di due giocatori per ruolo, in alcune formazioni, mi ha posto non pochi grattacapi, ma il Real Madrid – da barcellonista, il mio grande e per certi versi invidiato avversario – genera problemi di natura opposta, in quanto la sovrabbondanza di campioni e fuoriclasse che hanno vestito la maglia blanca mi obbliga a una selezione spietata e a volta anche ingiusta, ma inevitabile.
Anche nei periodi meno felici della sua storia, infatti, il club più titolato del mondo ha messo in campo un numero significativo di grandi giocatori, e i risultati, nel bene o nel male, sono sempre arrivati: negli anni ’70, l’unico decennio privo di successi europei, i Blancos mettono infatti nel carniere una finale (1971) e tre semifinali (1973, 1976 e 1980) europee, che avvalorano otto titoli nazionali. In altri termini, il decennio “buio” del Real vale più o meno il decennio di gloria del 90% delle altre squadre del pianeta.
Un pizzico di invidia, dicevo, è un po’ inevitabile, nel mio caso, soprattutto per quanto concerne la mentalità: il narcisismo blaugrana, la vocazione del Barcellona per la giocata bella e in cui specchiarsi, ha in molti casi depotenziato l’efficacia della squadra, e non si contano i momenti in cui il Barcellona si è letteralmente infilato una zappa nei piedi, perdendosi sul più bello. Ecco, il Real non ha questo problema, e anzi è quasi sempre riuscito a esaltare (come nessun altro) la sua pletora di campioni con la giusta organizzazione e mentalità. Le rimonte incredibili cui abbiamo assistito meno di due anni fa completano un cerchio che inizia nel lungo dominio del Real poi diventato Grande, negli anni ’50, e che includono finali vinte in scioltezza contro la squadra del momento (2000) e una miriade di successi e momenti da tramandare ai posteri.
Noi di Game of Goals non riteniamo importante ricordare ai nostri lettori che Cristiano Ronaldo e Di Stéfano sono un pezzo di storia del Real, o meglio, riteniamo importante farlo ma forse più interessante ricordare e celebrare la grandezza degli innumerevoli campioni, più o meno grandi, che hanno lasciato tracce profonde nel prato del Bernabeu.
Prima di scandagliare la marea di campionissimi che hanno vestito la camiseta blanca, diventa però opportuno ricordare il periodo dell’anteguerra. Forse non offrirà molto, ma ci sono alcuni momenti significativi da ricordare. Dall’assegnazione del titolo Real dal Re Alfonso XIII al primo ciclo vincente nella storia del club, sotto l’egida del favoloso portiere Ricardo Zamora, acquistato nel 1930 e per sei stagioni guardiano della squadra, capace di vincere due campionati spagnoli consecutivi e due Coppe di Spagna. Con lui la famosa coppia di terzini Criaco–Quincoces, fedeli compagni anche in nazionale: un terzetto che negli scudetti 1932 e 1933 permise al Real di subire appena 32 reti in due stagioni con sole 3 sconfitte.
Portiere: Iker Casillas
San Iker è al tempo stesso uno dei portieri più dotati della storia del calcio europeo e un parziale rimpianto: la seconda parte della sua carriera, infatti, purtroppo non è stata all’altezza della prima, e i dissidi con Mourinho sono stati la conseguenza inevitabile del declino del campione di Mòstoles. Ciò non toglie che, almeno fino al 2010, pur con qualche passaggio a vuoto, Casillas sia stato un fenomeno, nonché uno dei giocatori chiave dei Galacticos e poi della grande Spagna: relativamente piccolo per il ruolo, Iker era un mago tra i pali, dotato di un intuito e di una reattività non comuni, abilissimo nelle uscite basse e come spesso fanno i grandi campioni ha innestato le marce più alte quando il clima della contesa saliva. Chi scrive lo ricorda scendere in campo con un’autorevolezza sorprendente all’Old Trafford, nel 2000, e fare la differenza a dispetto della faccia imberbe. Anche nel 2002, così come in diverse partite calde della Roja, Iker ci ha messo una pezza, e credo quindi che, anche alla luce della sua lunga militanza blanca, possa ancora essere il titolare.
La sua prima e maggiore alternativa è il gigante belga Thibaut Courtois, che quanto a singoli momenti da incorniciare non ha nulla da invidiare all’illustre collega, né invero quanto a talento, ma che metto in secondo piano perché Iker è un pezzo di storia del Real anche in termini di longevità. Courtois ha messo una firma cubitale sull’ultima Champions, portata di peso nella capitale spagnola con alcuni interventi prodigiosi e una finale forse senza pari nella storia della competizione. Anche nella Liga, il fuoriclasse ha spesso tolto le castagne dal fuoco dei suoi e si è confermato ripetutamente come uno dei massimi portieri del mondo.
Nessun altro estremo difensore dell’era moderna può scalfire il primato dei due fenomeni sopracitati, ma dato che parliamo di Real Madrid un terzo nome è doveroso, e personalmente ho optato per Francisco Buyo, piccolo e agilissimo estremo difensore del Real della Quinta del Buitre, che chiude con la Liga strappata al Barcellona del Fenomeno nel 1997. Sicuramente meno dotato e completo di Iker e Thibaut, Francisco rimane un pezzo della storia recente del Real e un posto in panchina lo merita, e lo stesso vale per Keylor Navas, l’indio costaricano che mette più di una mezza nei successi dell’ultimo grande Real: agilissimo, spettacolare, un po’ loco come si conviene ai centroamericani, Navas a mio avviso è stato un portiere di caratura internazionale per diversi anni.
Laterale destro: Miguel Porlán Noguera “Chendo”
Chi come me è sulla quarantina o ha qualche anno in più ricorderà le scorribande sulla fascia destra di Chendo, che per quindici anni è stato lo stantuffo spettacolare e inesauribile della fascia destra del Real della Quinta e di quello che torna a far la voce grossa in Europa negli anni ’90. Marcatore abile e sufficientemente cattivo, in grado di intimorire anche Sua Maestà Maradona nei clasicos dei primi anni ’80, Chendo è stato soprattutto una importante fucina di idee e di palloni per i compagni.
Il suo erede Michel Salgado e il più roccioso Daniel Carvajal sono le più solide alternative a Chendo: il biondo galiziano è stato un elegante artista della fascia destra e un nome imprescindibile dell’epoca Galacticos, mentre Carvajal, una vera e propria forza della natura, da dieci anni solca la fascia di competenza con naturalezza, assicurando un rendimento encomiabile su entrambi i lati del campo.
Difensore centrale: Sergio Ramos
Nei primi anni di carriera è un laterale esplosivo e già un grande giocatore, ma ritengo corretto ricordare Sergio Ramos soprattutto per ciò che ha dato da centrale. Benché non brilli per correttezza, come dimostra la sua collezione di cartellini rossi e gialli, e come dimostra la sua inesauribile vena polemica, Ramos ha fatto la differenza in un numero così elevato di momenti chiave da essere un nome imprescindibile di questa squadra: fisicamente fortissimo, immarcabile nel gioco aereo, ha compensato le non rarissime disattenzioni difensive con una cattiveria agonistica non comune e soprattutto mettendo a referto gol pesanti in serie, più di quanti non ne vantino molti attaccanti di vaglia. La doppietta che ammutolisce l’Allianz Arena nella primavera del 2014 è solo il preludio a un numero incalcolabile di reti decisive, marcate anche in due finali di Champions e in diversi clasicos. Anche i numeri solo dalla sua: segnare oltre 100 reti a Madrid è un’impresa da raccontare ai nipoti per i centravanti, figuriamoci per un centrale.
Il precursore di Ramos al centro della difesa madrilena è di fatto un Ramos minore, ovvero Ivan Helguera: simile per tempra, struttura fisica e doti aree, Ivan per otto stagioni ha presidiato l’area del Bernabeu, e ha pure messo a segno oltre trenta reti in 346 presenze.
Terzo nome in lista è a mio avviso quello di Manuel Sanchís Hontiyuelo, l’eterno: con 724 presenze, è uno dei leader della Casa Blanca nonché uno dei marcatori più dotati della storia del calcio spagnolo. Anche nel suo caso, la bacheca è piena: tra titoli nazionali, coppe UEFA vinte da protagonista negli anni ’80 e le Champions di fine millennio, in bacheca non si trova più spazio.
Difensore centrale: Fernando Hierro
Un altro andaluso deve essere selezionato come titolare della squadra al centro della difesa, e parlo naturalmente del Mariscal Ferdinando Hierro, uno dei giocatori più forti mai nati nella penisola iberica. Libero e regista difensivo impeccabile, straordinario uomo gol, capitano per una vita della squadra più prestigiosa del mondo, Hierro può esporre un curriculum sia individuale che di squadra quasi senza paragoni: con 128 reti in 602 partite ha la media gol di un centrocampista prolifico, e tra campionati spagnoli (5) e Champions League (3) anche il palmares di squadra è da applausi. Chi scrive ricorda, tra le altre, la sua straordinaria prestazione di Amsterdam, contro la Juventus, nel 1998: Hierro quella sera non fa passare uno spillo e imposta il gioco come il più ispirato dei registi.
La sua titolarità è fuori discussione, ma i rincalzi sono di extralusso: José Santamaria viene ancora oggi osannato come un centrale leggendario, uno dei più dotati e vincenti della storia uruguaiana, e noi lo mettiamo in panchina solo perché il Real è una bestia che non fa prigionieri. L’elegante difensore di Montevideo è approdato in Europa da maturo, a 28 anni, ma ha saputo fare da anello di congiunzione tra il Grande Real e la generazione yé yé, quella che si riprende la Liga a inizio anni ’60 ed è di fatto una delle più talentuose della storia del calcio spagnolo. Anche nel suo caso, i trofei sono così numerosi che valgono quelli collezionati da decine di club di medio prestigio: 4 Coppe dei Campioni e 5 Liga sono il fiore all’occhiello di una carriera leggendaria.
Terzo e ultimo nome della lista è quello di Pepe, il secondo perno della difesa dell’ultimo epocale ciclo madrileno: se nei primi anni la fama di Psycho è sacrosanto e poco discutibile, con il passare del tempo il portoghese smussa gli spigoli di un carattere impossibile e diventa un giocatore sicuramente poco incline al compromesso e alla delicatezza, ma efficace, affidabile e carismatico. D’altra parte, 334 presenze una centrifuga come il Real Madrid non le regala a nessuno.
Laterale sinistro: Roberto Carlos
La fascia sinistra della difesa madrilena è una delle più complicate – per eccesso di bravura – della storia del calcio, ma sommando tutto credo che il primato del piccolo funambolo di San Paolo sia difficilmente discutibile: dopo aver fatto stropicciare gli occhi ai tifosi brasiliani e pure ai milanesi, Carlos, dopo una decisione che costerà a Roy Hodgson la damnatio memoriae nel cuore degli interisti, vola a Madrid e diventa il più grande laterale bifasico della storia del calcio, un piccolo ed esplosivo concentrato di muscoli dotato da Madre Natura di uno dei piedi sinistri più inspiegabili mai apparsi sul pianeta Terra e della capacità di spostare gli equilibri appannaggio degli attaccanti. Nel 2002 assegnargli il pallone d’oro sarebbe stato non solo legittimo ma quasi doveroso.
Il suo erede Marcelo finisce al secondo posto solo perché il primo è riservato a un marziano. Tecnicamente, mi risulta pressoché impossibile immaginare un giocatore più dotato di Marcelo, tra i terzini sinistri: il laterale oggi di stanza a Rio, alla corte di Diniz, con il suo sinistro magico era e rimane in grado di compiere qualsiasi prodezza, sia sullo stretto che sul piano balistico, ed è stato il giocatore più estroso del grande Real degli anni ’10, il pifferaio magico cui si perdonavano alcune amnesie difensive perché davanti inventava giocate alla Ronaldinho. Nel 2018, e questo non me lo toglie dalla testa nessuno, Marcelo è il giocatore chiave dei Blancos, il grimaldello che apre le difese altrui e che inventa le giocate decisive. Con 38 reti in 546 presenze, e soprattutto con un numero incalcolabile di magie, il fuoriclasse brasiliano si è guadagnato un posto intoccabile in rosa.
José Antonio Camacho è sull’ultimo gradino del podio, anche qui, solo perché chi è salito sui primi due è insuperabile. Leggenda e icona del Real per quasi vent’anni, marcatore spietato, ruvido e concentrato, Camacho non ha avuto le qualità sublimi dei due fenomeni verdeoro, ma superava entrambi in termini di puro apporto difensivo e valgono per lui le stesse parole spese per gli altri: non si indossa la maglia bianca in oltre 400 occasioni se non si è dei campioni.
Centrocampista centrale: Fernando Redondo
All’apparenza era lento e pigro, aveva questa aria da hidalgo ottocentesco, anzi da Principe, e peraltro non vedeva molto la porta. Eppure, Fernando Redondo è stato uno dei giocatori più eleganti, tecnicamente dotati e decisivi della storia del Real, la cui maglia ha vestito per sei gloriose stagioni, vincendo di tutto e soprattutto una Champions da numero uno della competizione. Fabio Capello ha confessato di averne compreso la grandezza solo dopo averlo allenato, e l’ha messo sullo stesso piano di Rijkaard, attribuendo anzi al fuoriclasse di Baires una maggiore efficacia difensiva: direi che tanto basta per assicurargli un posto in formazione, nonostante la concorrenza nel ruolo sia sterminata.
José Martínez Sánchez Pirri meriterebbe invero il ruolo da titolare tanto quanto Fernando: mezzala, mediano e anche libero, il fuoriclasse di Ceuta (enclave spagnola in Marocco) ha giocato con il Real per sedici stagioni e ha messo a segno la cifra incredibile di 122 gol in 417 partite, dimostrandosi il leader del passaggio generazionale di inizio anni ’60 e confermandosi un giocatore importante fino al titolo vinto nel 1980.
Il suo posto nel cuore del centrocampo, a partire da metà anni ’70, l’ha progressivamente preso Ulrich Stielike, forse il tedesco più importante della storia bianca: una vera forza della natura sul piano agonistico, il centrocampista germanico spesso indossava la maglia numero dieci ma era più che altro uno splendido libero o mediano, che vanta un record superato poi solo da Messi: per ben quattro stagioni consecutive è stato votato giocatore straniero più bravo della Liga, e questo è sufficiente a definirne la grandezza a Madrid (per lui, con il Real si contano 41 reti in 25 partite).
Ha vissuto nella capitale spagnola solo per tre stagioni, ma il suo contributo all’epoca del Galacticos è stato essenziale e gli regala un posticino in rosa: sto parlando di Claude Makélélé, uno dei più grandi e infaticabili recupera palloni di ogni epoca, un corridore dotato di quattro polmoni, di un senso tattico non comune e di discrete doti tecniche. Le sue prestazioni nelle fasi finali della Champions del 2002 non vengono celebrate quanto meriterebbero a causa di una concorrenza proibitiva, ma Claude, di quello squadrone, è forse l’elemento più insostituibile.
Una veste simile alla sua è toccata, nei gloriosi anni ’10, a Carlos Henrique José Francisco Venancio Casimiro, per tutti Casemiro, portentoso e intelligentissimo mediano il cui ingresso in pianta stabile tra i titolari cambia gli equilibri della squadra e le consente di surclassare tutta la concorrenza europea per diversi anni. A Madrid, per lui contiamo 336 partite e ben 31 gol, alcuni dei quali pesantissimi – penso a quello che sblocca la partita nel secondo tempo a Cardiff, nel 2017.
Centrocampista centrale: Luka Modrić
Nel dicembre del 2012, l’imprudente stampa spagnola bolla Luka come la più grande delusione stagionale e pronostica per lui un rapido ritorno in Inghilterra. Mai pronostico fu meno azzeccato, dato che a oggi, 2024, Luka Modrić è diventato forse il massimo centrocampista della storia madrilena (credo che giusto Redondo e Pirri possano contendergli la corona). Non serve in questa sede riassumere ciò che il croato ha dimostrato nella capitale spagnola: centrocampista duttile, completo, tecnicamente superbo, valido anche in fase difensiva, è stato il giocatore chiave dell’ultimo glorioso ciclo, sul piano degli equilibri e della fluidità della manovra. Luka ha inoltre saputo risolvere i problemi in prima persona, anche a fine carriera, come dimostrano le giocate illuminanti della Champions 2022.
Genio che ha sfidato la storia, dall’alto dei suoi 170 cm, è un intoccabile nonostante una concorrenza agguerritissima: il suo gemello Toni Kroos, meno geniale ma altrettanto fornito di fosforo e di classe purissima, rappresenta una fetta importante della storia madrilena più recente e il secondo elemento chiave di uno dei reparti centrali più forti e vincenti di ogni epoca. Capace anche di sassate dalla distanza in grado di far tremare pali e traverse, Toni è stato un grande campione, come del resto anche il grande dimenticato del Grande Real, dimenticato perché oscurato da fenomeni senza eguali, ovvero Héctor Rial: passatore raffinato e intelligentissimo, superba mezzala di regia che in Spagna, rispetto all’Argentina, arretra il raggio d’azione, in sette anni di Madrid fa incetta di titoli e segna pure quasi come una punta, confermandosi un campione di caratura internazionale.
Ancora, non sarebbe completa una rassegna dei grandi di centrocampo del Madrid se non includesse José Miguel González Martín del Campo, per tutti Michel: mezzala di notevole tempra atletica e dotata dei piedi che si esigono da un centrocampista spagnolo, Michel gioca per il Real per quindici anni, vince di tutto pur mancando il bersaglio più grosso e diventa un uomo chiave anche della nazionale, tanto che ai mondiali messicani è inserito nella formazione ideale del torneo, dopo essersi confermato un campione di livello mondiale. Per lui, 97 reti in 404 presenze, con i Blancos.
Quinto e ultimo nome in lista è quello di Vicente Del Bosque, celebre baffo che da tecnico riscrive la storia e che però già da giocatore si dimostra un campione, reggendo per una decade le redini del centrocampo madrileno, sia come frangiflutti che come ottimo uomo di regia, concludendo l’avventura bianca con 14 reti in 239 partite.
Attaccante destro: Raúl González Blanco
Nel reparto offensivo, le indicazioni di ruolo vanno prese con le pinze, anche perché l’esigenza di far convivere tra loro i nomi irrinunciabili mi ha indotto a ideare una sorta di tridente che spalleggia una prima punta. Raúl rappresenta per la Casa Blanca più o meno ciò che Rivera, Baresi e Maldini sono per il Milan o Del Piero e Boniperti per la Juventus, ovvero il simbolo più intoccabile, l’essenza stessa del madridismo. Attaccante di movimento in grado di giocare in qualsiasi posizione (tanto che nella finale di Champions del 2000 parte sulla carta da mezzala), il fuoriclasse madrileno per sedici anni ha furoreggiato al Bernabéu, ha collezionato record, ottenuto riconoscimenti individuali, vinto una caterva di campionati e tre Champions League, in due casi segnando anche in finale. Chi scrive l’ha visto per la prima volta in campo contro la Juventus, nel lontano 1996, e ha subito pensato che se a 19 anni ti sei già preso il club più esigente del mondo devi essere un fenomeno.
La sua luce illumina tutto il cielo di Madrid e oscura un po’ quella delle tante altre stelle che potrebbero contendergli il posto da titolare: Amaro Amancio Varela a Madrid ha segnato 155 reti in 470 partite, dominando la fascia destra come solo i fuoriclasse del ruolo e bucando la porta avversaria con la regolarità delle punte. Ancora oggi Amancio è annoverato tra i massimi giocatori spagnoli di ogni epoca e anche sul fronte curriculum si è guadagnato pienamente un simile riconoscimento: con 9 Liga e una Coppa dei Campioni vinta con un Real decisamente meno sbalorditivo di quello della decade precedente, ha dimostrato di essere un fuoriclasse.
Altri due grandi giocatori devono far parte della rosa, a mio avviso: Luís Figo, protagonista del trasferimento-scandalo di inizio millennio, forse a Barcellona è ancora più grande, ma trova modo di lasciare un segno profondo anche a Madrid. Al termine della stagione di debutto è il giocatore straniero dell’anno, in Spagna, e vince il Fifa World Player, e in generale per cinque stagioni si conferma un funambolo dotato di classe sopraffina e notevole forza fisica.
L’atleta del futuro Gareth Bale è stato un suo degno successore: quando era in condizione, e purtroppo non è accaduto spessissimo, abbinava la velocità dell’ala classica alla mole e alla forza di una punta moderna, risultando praticamente immarcabile. La sua avventura madrilena è stata un’altalena, ma se metti la firma in due finali di Champions, inventi alcuni gol capolavoro e chiudi con 71 reti in 237 presenze ti sei guadagnato un posto importante nella storia del club.
Trequartista/seconda punta: Alfredo Di Stéfano
Non credo serva sprecare troppo fiato a parlare di ciò che Don Alfredo rappresenta per la storia del Real. Basti richiamare il cappello introduttivo e ricordare che il fuoriclasse argentino, il giocatore più forte e decisivo della storia Blanca, ha giocato a Madrid per undici stagioni, collezionato record individuali, dimostrato di essere un tuttocampista in anticipo sulla storia di vent’anni e, come se non bastasse, ha pure infilato gol pesanti tonnellate in 5 finali consecutive di Coppa dei Campioni, record insuperato e insuperabile da qui all’eternità.
Al cospetto del gigante argentino sembrano tutti dei nani, eppure si parla sempre di giganti: Emilio Butragueño, che posiziono in questa terra di nessuno tra le linee perché non era una punta pura, ha giocato con il Real per dodici stagioni e ha regalato al nome alla Quinta, forse l’unica generazione madrilena più spettacolare che cinica. Tecnicamente superbo, veloce e dotato di un notevole senso del gol, il fuoriclasse spagnolo svetta ancora oggi nelle graduatorie dedicate ai campioni del suo paese, e non potrebbe essere altrimenti.
Trequartista nel vero senso della parola era invece Zinédine Zidane, che a sua volta non ha bisogno di presentazioni: la sua avventura madrilena inizia con il botto e si chiude in maniera meno brillante, perché anche il fenomeno francese sprofonda un po’ nell’aurea mediocritas dei Galacticos, ma le sue pennellate d’autore e alcune giocate da cineteca (su tutte, il capolavoro della finale di Glasgow) lo rendono difficilmente attaccabile.
Un discorso simile vale per il suo connazionale (un polacco naturalizzato) Raymond Kopa, il geniale Napoleone del calcio che in tre stagioni a Madrid vince tre Coppe dei Campioni, due Liga, un pallone d’oro e si prende l’ammirazione dei suoi prestigiosi compagni di squadra.
Attaccante sinistro: Cristiano Ronaldo
Anche qui, c’è poco da aggiungere a quello che sappiamo; se segni 450 reti in 438 partite, dominando come nessun altro mai l’area di rigore, dimostrando doti atletiche futuribili e un intuito sensazionale, e se vinci tutto, letteralmente tutto, da assoluto trascinatore, saresti titolare anche nella nazionale di Marte, e nella storia del Real sei probabilmente secondo solo a Don Alfredo.
Il fatto che Francisco Gento non sia il titolare di questa formazione potrebbe essere una bestemmia, ma è una bestemmia che deve esserci perdonata: anche lui era un atleta che arrivava da un’epoca lontana e indefinibile, e sulla fascia era incontenibile, e ha vinto sei Coppe dei Campioni, traguardo mai eguagliato nella storia del calcio. Con 602 presenze e 182 reti, sarebbe titolare inamovibile in ogni club della storia, ma la compresenza di Cristiano Ronaldo lo relega alla panchina.
Il terzo nome è quello di un altro grande campione, quello di Predrag Mijatović, che si accomoda un paio di gradini al di sotto di Cristiano e Gento, ma rimane un giocatore cruciale del Real della resurrezione: non ti votano secondo giocatore dell’anno, a livello mondiale, nel 1997, se non sei un grandissimo giocatore. Il gol che fa piangere i tifosi juventini ad Amsterdam è la ciliegina su una torta gustosissima e gli vale una citazione.
Attaccante centrale: Ferenc Puskás
La storia si ripete: anche nel ruolo di prima punta, il parterre dei candidati è in grado di fare cadere la mandibola, ma alla fine il posto da titolare a mio avviso è una questione che riguarda il fenomeno ungherese, che a Madrid è di fatto il primo e principale finalizzatore, e Karim Benzema. Ho scelto l’ungherese perché quando arriva in Spagna, a 31 anni che all’epoca erano tanti, con la pancetta e una carriera che sembra al crepuscolo, si reinventa fenomeno, tanto da essere soprannominato l’Immortale, segna 242 reti in 262 partite (35 in 39 in Europa, con tanto di tripletta e poi doppietta in finale), strappa a una concorrenza eccezionale 4 titoli di Pichici, e lascia sulla soglia della quarantina.
Benzema è poco da meno: a lungo derubricato quale uomo al servizio di Cristiano, è stato in realtà un fuoriclasse se non da subito almeno dalla seconda, terza stagione in Spagna, e si è preso il proscenio a fine decennio, dominando la Liga anche sul piano realizzativo e inventandosi una cavalcata europea quasi senza eguali nel 2022, a trentaquattro anni.
Impossibile, in ogni caso, non menzionare almeno altri tre giocatori: Hugo Sánchez, il mago della giocata di prima, a Madrid e in un’epoca in cui il gioco era focalizzato sulla difesa ha segnato oltre 200 gol, portato a casa 4 titoli di capocannoniere, cinque campionati e una Coppa Uefa.
Sarebbe titolare in quasi ogni formazione all time del mondo, ma al Real deve cedere il passo, esattamente come il suo antesignano Carlos Alonso González “Santilliana”, altro bomber di statura planetaria, la bandiera del Real degli anni ’70 e dei primi anni ’80, un centravanti dal fisico normale le cui soprannaturali doti atletiche sono immortalate in una fotografia che sembra uno schiaffo alle leggi della fisica.
Da ultimo, credo sia doveroso spendere due parole anche per il Ronaldo brasiliano, che lascia Madrid in malo modo, dopo un rapido declino, e che però nella capitale di Spagna disputa almeno due stagioni da fuoriclasse, segna oltre cento reti e si conferma un giocatore straordinario, almeno nella prima fase della carriera madrilena.