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I “Figli degli dei” – la top 11 del dopoguerra dell’Ajax

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Quando, nel 2015, ho visitato Amsterdam, con la bicicletta (e come avrei potuto fare altrimenti?) ho raggiunto lo Stadio Olimpico e ho scoperto che nelle sue immediate vicinanze gli olandesi hanno costruito una statua che riproduce il tackle con cui Berti Vogts ha atterrato Johan Cruijff, dopo neppure un minuto di gioco della finale di Monaco di Baviera del 1974; ciò che più mi ha colpito, in ogni caso, è stata l’atmosfera di quella parte della città, un’atmosfera al tempo stesso vintage e modernissima, viva.

La verità è che per chi scrive è difficile resistere al fascino della maglia biancorossa e della città che la stessa rappresenta, e questo per molteplici ragioni: quando nella seconda metà degli anni ’60 ha scalato le gerarchie del calcio europeo, raggiungendone rapidamente la vetta, l’Ajax deve aver fatto cadere la mandibola a tutti gli appassionati europei, e non solo perché sino a quel momento i Paesi Bassi erano stati pressoché irrilevanti nel panorama del calcio europeo, ma anche e soprattutto, come sappiamo, per via della loro originalissima proposta di gioco, che si guadagna subito uno stuolo di ammiratori e che ancora oggi contribuisce non poco a definirne il mito nell’immaginario collettivo.

Una proposta di gioco, quella biancorossa, che probabilmente poteva giungere a maturazione solo in quel paese e in quel preciso momento storico, quando la cultura, pur tra mille difficoltà e resistenze, stava innestando una marcia nuova, quando negli occhi della parte più giovane della società si proiettavano nuovi orizzonti di gloria. L’Ajax e il calcio olandese, come ha illustrato magistralmente il nostro Giuseppe Raspanti, si muovevano infatti in sintonia con la storia, e i loro giocatori cappelloni, che portavano mogli e fidanzate in ritiro, che giocavano con il concetto di ruolo, che non avevano il timore di pronunciarsi su argomenti extracalcistici, erano a loro modo un’eversione sessantottina, una delle propaggini più pop del vasto movimento che stava riscrivendo lo stesso significato del concetto di cultura, in quel momento.

Terminata l’epoca d’oro del calcio orange, che si identifica in primis, chiaramente con il meraviglioso collettivo che ha dominato l’Europa nei primi anni ’70, l’Ajax di rado ha saputo confermarsi ai vertici del calcio europeo, soprattutto nel Nuovo Millennio, anche perché i mutamenti regolamentari degli anni ’90, culminati nel nuovo formato della Champions League e nella sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia il 15 dicembre 1995, hanno drenato le risorse dei campionati minori, arricchendo i paesi più ricchi (Inghilterra in primis) e consolidandone l’egemonia. Anche per questi motivi, se il grande ciclo degli anni ’90 ci consente di ammirare una versione un pochino in tono minore della squadra leggendaria di vent’anni prima, il miracolo sfiorato nel 2019, contro ogni logica e pronostico, rappresenta uno dei momenti più esaltanti della storia recente della Champions.

Come i cugini catalani, anche gli ajacidi sono innamorati di se stessi, e questa vocazione estetica in alcuni momenti li ha penalizzati, privandoli di quel cinismo e di quel sacro furore che ha contribuito a rendere grandi squadre come Real Madrid e Liverpool, ma ha anche consentito loro di volteggiare ad altezze siderali, di regalare al pubblico, incluso quello neutrale, momenti di pura estasi calcistica, alcune delle espressioni di calcio più appaganti e originali di ogni tempo, e di farlo lavorando quasi esclusivamente con i giovani del proprio vivaio, esaltando una scuola che più che un brand incarna una vera e propria filosofia esistenziale.

Arrivo al dunque: ecco a voi la formazione ideale dell’Ajax del dopoguerra, o meglio la formazione che include i giocatori che hanno dato il meglio dagli anni ’60 in avanti.

Portiere: Edwin Van Der Saar

L’agrodolce esperienza in bianconero ha condannato il lungo di Voorhout a essere sottovalutato nell’immaginario collettivo italiano, e in maniera profondamente ingiusta: Edwin Van Der Saar è stato in realtà un grande portiere, non impeccabile e forse penalizzato da una statura (197 cm) che al tempo sembrava eccessiva e che lo limitava in alcuni aspetti del gioco, ma comunque in grado, nelle numerose giornate di vena, di fare la differenza e di dimostrarsi un campione. Rinomato per l’abilità sui calci di rigore e anche per le doti tecniche, essendo uno dei migliori estremi difensori della sua generazione nel gioco con i piedi, Edwin è stato una colonna dell’ultimo grandissimo Ajax, quello degli anni ’90, ed è tuttora il recordman di presenze con la maglia oran

Piet Schrijvers, prima la riserva di Jongbloed, in Germania nel 1974, e poi per lungo tempo il titolare inamovibile della nazionale, è un altro nome imprescindibile della storia ajacide: lungo e robusto, gran para-rigori, per un decennio ha difeso la porta dei biancorossi, diventando uno dei giocatori più amati dai tifosi dello stadio De Meer.

Laterale destro: Wim Suurbier

Wim Suurbier, superbo e polivalente atleta che ha esordito come ala prima di arretrare in difesa, è stato un campione in grado di rivoluzionare l’interpretazione del ruolo (anche per le doti tecniche da laterale brasiliano, o quasi), e condivide lo stesso destino ingiusto toccato (tra gli altri) a Burgnich, a Candela, a Jordi Alba, a Carvajal, ovvero a quei campioni che hanno avuto la fortuna/sfortuna di condividere la squadra e il ruolo (quello di laterale difensivo) con fuoriclasse come Facchetti, Cafu, Daniel Alves o Marcelo. La coesistenza con giocatori tecnicamente superiori (nel caso di Wim, parlo naturalmente di Ruud Krol) ha relegato un po’ in secondo piano tutti i Suurbier del mondo, ma non deve diventare un motivo per sottovalutarne la grandezza. Jim è stato il titolare del grande Ajax che stupisce il mondo a cavallo tra anni ’60 e ’70, ha vinto letteralmente tutto e più volte e il suo posto in questa rosa non può essere seriamente messo in discussione. Il suo erede, nel secondo grande Ajax, quello che si riprende l’Europa tra anni ’80 e ’90, è Sonny Silooy, un elegante e affidabile laterale in grado di disimpegnarsi anche come centrale e di vestire la maglia biancorossa in 346 occasioni, vincendo numerosi campionati nazionali e tutte le maggiori competizioni internazionali (Coppa Coppe, UEFA, Champions e Coppa Intercontinentale).

Difensore centrale: Velibor Vasović

Elegante regista difensivo di origini serbe, Velibor Vasović a mio parere è uno dei centrali più dotati e completi che siano passati da Amsterdam. Dopo la lunga e felice parentesi con il Partizan di Belgrado, che raggiunge la finale di Coppa dei Campioni nel 1996, il difensore slavo trasloca nei Paesi Bassi e diventa il capitano della squadra, inserendosi con disinvoltura nei meccanismi di Michels: intelligente, dotato di due piedi da centrocampista, di tre polmoni e di una visione avveniristica del ruolo (capita spesso di vederlo impostare l’azione nella metacampo avversaria) è uno dei perni della squadra e nella capitale olandese rimane per cinque stagioni, vincendo tre Eredivisie, tre Coppe d’Olanda e la Coppa dei Campioni del 1971, a Wembley, quando riscatta la batosta subita dal Milan due anni prima. La prima alternativa al campione serbo è a mio avviso Arie Haan, una sorta di Busquets della sua epoca, che gioca sia da mediano che da difensore, e che rispetto al campione spagnolo ha forse qualcosina in meno sul piano tecnico, ma anche un cannone al posto del piede destro. Haan ha legato il proprio nome anche all’Anderlecht, al PSV e allo Standard Liegi, ma la sua avventura di Amsterdam rimane la più vincente della sua carriera: in sei stagioni, il mediano/centrale collazione 132 presenze, 23 reti e un numero spropositato di successi di squadra, diventando titolare anche dell’Arancia Meccanica.

Difensore centrale: Barry Hulshoff

Uno dei pochi nomi del grande Ajax che in qualche modo si potevano identificare con un ruolo, quello di difensore classico, Barry Hulsoff – con il suo aspetto da cantautore indie, la sua ampia falcata, la mole imponente – rimane uno dei giocatori più importanti della storia biancorossa, nonché un centrale molto superiore alla media sul piano tecnico. Nel corso della sua lunga avventura ad Amsterdam, il difensore ha messo nel carniere 386 presenze e 24 reti, portando a casa una quantità industriale di trofei nazionali e internazionali e imponendosi come titolare anche con la maglia arancione. Credo che il suo posto possa essere conteso da Danny Blind, prima laterale e poi regista/centrale dell’Ajax di van Gaal: elegante, carismatico, tecnicamente eccellente come si conviene ai giocatori della scuola ajacide, ha guidato la difesa nell’epoca inaugurata dall’approdo di Cruijff in panchina e chiusa a fine millennio, facendo a sua volta incetta di titoli nazionali e internazionali, e vincendo anche due Gouden Schoen, il riconoscimento riservato al giocatore olandese dell’anno. Anche Frank De Boer merita una menzione: altro splendido e classico centrale di scuola olandese, è stato a lungo il compagno di reparto di Blind prima di trasferirsi dai cugini catalani per confermarsi un difensore di livello internazionale.

Laterale sinistro: Ruud Krol

Quando si parla di Ruud Krol, il Califfo che farà innamorare anche i tifosi napoletani, non serve sprecare troppo inchiostro virtuale per tracciarne la grandezza: sublime terzino nella prima parte della carriera, dotato di un’ampia falcata, di fondamentali difensivi eccellenti, della tecnica della mezzala e di una resistenza non comune, Ruud si trasferisce poi al centro della difesa e diventa uno dei più grandi “liberi” del mondo. Dico “liberi” in senso quasi più letterale che tecnico, perché Krol era davvero un giocatore universale e quasi inclassificabile. Per lui, in maglia biancorossa si contano 30 reti in 457 presenze, oltre a un numero infinito di trofei di squadra e di riconoscimenti individuali. Non esistono nella posizione giocatori biancorossi paragonabili a Ruud, posso ricordare nuovamente Frank De Boer perché nella squadra ideata da Van Gaal a metà decennio ha di fatto giocato come terzo di sinistra della difesa a tre, dimostrandosi abile anche nelle incursioni offensive.

Centrocampista: Frank Rijkaard

Anche su Frank Rijkaard si può dire poco che non sia già noto: in Italia, l’abbiamo ammirato con la maglia del Milan, nelle sue vesti di statuario atleta universale, insuperabile nella fase difensiva e nel gioco aereo, tecnicamente eccelso, letale negli inserimenti. Ad Amsterdam, nel corso di dieci stagioni complessive, Frank ha dimostrato di essere un fuoriclasse polivalente, sia come difensore centrale che come mediano/tuttocampista. Nel complesso, Rijkaard nella capitale del suo paese ha disputato 328 partite, mettendo a segno ben 72 reti. Altro atleta sensazionale, benché diverso da Frank, è stato Edgar Davids, un feroce recupera palloni cui madre natura ha regalato anche un piede sinistro sopraffino e doti di corsa inesauribili. Con la maglia dell’Ajax, Edgar gioca per cinque stagioni, da ragazzino, e poi la stagione 2007/2008, quando la sua carriera è al crepuscolo. Pedina insostituibile della formazione di van Gaal, chiude la carriera in biancorosso con 33 reti in 181 presenze.

Centrocampista: Johan Neeskens

Si racconta che, a volte, i compagni quasi si fermassero per ammirarlo: Johan II, rispetto all’ancora più illustre collega, è stato sicuramente meno grande, ma ancora più versatile e polivalente. Dopo le stagioni vissute da terzino, diventa una mezzala, una sorta di box-to-box tecnicamente superbo, dotato di un gran tiro e fisicamente impressionante, nonostante le misure normali. Neeskens gioca con la maglia dell’Ajax solo quattro stagioni, che sono però le più gloriose della storia del club, e quando si trasferisce a Barcellona, per raggiungere Johan I e Rinus Michels, ha messo nel curriculum 171 presenze, 39 reti, 3 Coppe dei Campioni e numerosi trofei nazionali. Più votato alla regia, ma sempre eclettico e capace di disimpegnarsi con efficacia in quasi ogni zona del campo, è è stato Gerrie Mühren, la prima e più credibile alternativa di Neeskens. Il centrocampista di Volendam ha vestito la maglia biancorossa per sette stagioni, riempiendosi bene la bacheca e affermandosi come una mezzala di regia completa e di livello mondiale. Il suo palleggio insistito in faccia ai giocatori del Real e al pubblico del Bernabeu, durante le semifinali della Coppa dei Campioni del 1973, è uno dei momenti più celebri della storia biancorossa, e viene celebrato così dalle parole dello stesso Gerrie: “Fu il momento in cui Ajax e Real Madrid si scambiarono i ruoli. Prima di allora c’era il grande Real Madrid e il piccolo Ajax. Quando mi videro palleggiare in quel modo, gli equilibri cambiarono.”

Centrocampista/rifinitore/attaccante: Johan Cruijff

L’abbiamo evidenziato in molte delle nostre formazioni ideali: noi italiani siamo affezionatissimi al concetto di ruolo, altre scuole invece lo sono molto meno, e chiaramente quando parliamo dell’Ajax, e in particolare del Profeta del Gol, le nostre rigide categorie evaporano nel nulla. Non credo si possa aggiungere nulla a ciò che sappiamo del massimo calciatore olandese di sempre e di uno dei più grandi della storia; posso dire che di lui mi hanno colpito molto sia le doti di regia che l’abnegazione, la capacità di sacrificarsi nell’interesse della squadra, oltre a una velocità (di gambe e di testa) irreplicabile e a una corsa bizzarra, tutta sua: Cruijff correva un po’ in diagonale, sia per la posizione del corpo che per come tendeva a tagliare il campo, scombussolando i piani avversari. Inoltre, Johann usava l’esterno del piede come, nei decenni successivi, è riuscito probabilmente solo a Luka Modrić. Al suo cospetto chiaramente sono tutti dei nani, anche un campione come Jari Litmanen, che, absit iniuria verbis, ha raccolto il testimone di Johann nel collettivo immaginifico allestito dal sergente di ferro van Gaal negli anni ’90. La sua carriera non è stata complessivamente all’altezza del suo talento, ma quando si parla di apogeo e di impatto internazionale il campione finlandese merita un posto tra i grandi: tra il 1993 e il 1996 Jari rientra sempre nel discorso sui giocatori più importanti in circolazione, si prende una Champions League da uomo cardine della squadra e l’anno dopo raggiunge nuovamente la finale. Con 136 reti in 260 presenze, è uno dei cardini della storia biancorossa.

Attaccante destro: Sjaak Swart

Mr. Ajax è un ovvio titolare di questa squadra: vanta 603 presenze (impreziosite da 227 reti) ed è tuttora il giocatore che ne ha collezionate di più in maglia biancorossa; con la sua classe, le sue folate sulla fascia destra e il notevole senso del gol, Sjaak Swaart ha guidato la transizione tra l’epoca semi-dilettantistica di fine anni ’50 e le stagioni trionfali tra anni ’60 e ’70.

Sulla carta era un’ala, ma di fatto poteva giocare anche come una prima punta mobile e dotatissima in progressione palla al piede; poteva giocare come centravanti per vita della statura e dell’abilità nel gioco aereo, che gli valse il soprannome di Goldcrest (cresta d’oro):i sto parlando di Johnny Rep, che non vanta una carriera in biancorosso lunghissima, ma i cui pochi anni di Amsterdam regalano soddisfazioni enormi, su tutte il gol decisivo nella finale di Belgrado del 1973, e complessivamente 47 reti in 91 presenze.

Centravanti: Marco van Basten

Alcuni autorevoli appassionati sono convinti che il Marco van Basten lanciato da Cruijff ad Amsterdam fosse, sotto certi aspetti, anche più grande di quello milanista. Se si rivedono oggi le sue prestazioni in maglia biancorossa, si può concludere che è legittimo quantomeno aprire un dibattito sul punto: il van Basten di metà anni ’80 è un centravanti che nella sostanza si muove come un numero dieci, dimostrandosi non solo un superlativo uomo gol (non si vincono per caso 4 titoli di capocannoniere della Eredivisie) ma anche un grande rifinitore, un atleta eccellente e dotato di un’eleganza probabilmente senza eguali nonché, da ultimo, un giocatore decisivo quando la palla pesa di più, tanto da risolvere in prima persona la finale di Coppa delle Coppe del 1987, il primo trofeo vinto dal suo mentore Cruijff nelle vesti di allenatore. Il suo curriculum olandese parla del resto chiaro: con 152 reti in 172 presenze, nonostante si trasferisca a Milano a soli 23 anni, van Basten è un pezzo di storia dei biancorossi.

Siamo d’accordo, Bergkamp non era “solo” una prima punta, ma chiedo ai lettori di non dimenticare quanto scritto sopra in merito all’idea molto diversa che gli olandesi e in particolare gli ajacidi hanno del ruolo, della posizione in campo, rispetto a noi italiani. Dennis è stato un trequartista, un centravanti e una punta di movimento in grado di adattarsi a qualsiasi spartito offensivo, e i suoi primi anni di carriera in patria sono una gioia per gli occhi: la sua visione di gioco iniestiana e un senso del gol da centravanti classico lo rendono il degno erede, in maglia biancorossa, proprio del Cigno di Utrecht, e gli regalano un meritato terzo posto (nel 1992, dopo van Basten e Stoičkov) e un meritatissimo secondo posto (nel 1993, dopo Baggio e davanti a Cantona) nella classifica del pallone d’oro. Il parterre di attaccanti ajacidi è ricchissimo e credo che il Pistolero Luis Suárez un posticino in panchina se lo sia guadagnato, nel corso di quattro stagioni in cui fa fuoco e fiamme in Eredivisie, segnando 111 gol in 159 partite e conquistandosi l’ammirazione delle grandi d’Europa; lo stesso discorso vale per Ruud Geels, l’uomo che raccoglie il testimone di Cruijff, di fatto, nell’attacco olandese e che onora il suo predecessore, dimostrandosi un giocatore versatile, completo e cui madre natura ha regalato il fiuto del gol dei grandi – per lui, 131 presenze e ben 123 reti con la maglia biancorossa.

Attaccante sinistro: Piet Keizer

Veterano e simbolo della squadra biancorossa, tanto da essere chiamato De Legende, l’antesignano/gemello di Cruijff è un altro nome scontatissimo di questa formazione, anche perché un po’ come Swart è uno degli uomini che hanno portato l’Ajax nella modernità, e con il club della sua vita ha vinto letteralmente tutto, esibendo doti tecniche non comuni, nel dribbling e in penetrazione, un discreto senso del gol e una capacità eccezionale di inventare assist, uno dei quali ha consentito a Van Dijk di sbloccare la finale di Coppa dei Campioni del 1971.

L’elettrico e imprendibile Marc Overmars è a mio parere l’unica, vera alternativa possibile di Keizer: l’abbiamo visto e ammirato con diverse maglie, e Marc è stato un’ala rapidissima, in grado di mettere in crisi anche gli oppositori più forti (Paolo Maldini ha confessato di averlo sofferto particolarmente) nonché uno dei giocatori di maggiori talento della squadra di van Gaal, con cui ha disputato sei stagioni, vincendo di tutto sia in Olanda che in Europa.

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