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Papa Francesco e il San Lorenzo, un amore oltre il tempo

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immagine di copertina: Papà Francesco con la Libertadores portatagli dal San Lorenzo

«Da Jorge Mario a Francisco, una cosa non è mai cambiata: l’amore per El Ciclón». Parole forti, intense, quelle usate dal San Lorenzo per ricordare Papa Francesco dopo la morte. Parole che simboleggiano l’amore del club per il suo primo e più importante tifoso. Un amore corrisposto, da sempre.

Da quando il papà lo portava a vedere le partite al Viejo Gasometro, lo stadio che negli anni ’40 fu teatro di una delle più straordinarie squadre nella storia del club, quella che in attacco allineava il famigerato Terceto de Oro, il terzetto d’oro. Il fantasista Rinaldo Martino a inventare, El Chueco (l’oscuro) Armando Farro a dirigere e René Pontoni, dribbling raffinato e tiro potente, a concludere.

Già, Pontoni. Era lui il grande idolo del futuro Pontefice, l’uomo che con i suoi gol contribuì a spingere il San Lorenzo oltre tutti nel 1946, arpionando un titolo nazionale storico, davanti alle grandi rivali Boca Juniors e River Plate, e nel contesto di un campionato ed un movimento che in quegli anni non temeva confronti con nessuno, in Sudamerica e non solo.

Pontoni, Farro e Martino, il terzetto d’oro del San Lorenzo

Erano gli anni d’oro del calcio argentino, quelli in cui la nazionale faceva manbassa di Coppe América una in fila all’altra, e in cui i calciatori erano dei privilegiati. Da lì a pochissimo la situazione sarebbe cambiata, con il governo di Juan Domingo Perón che da un lato avrebbe irrorato le casse dei club in modo da costruire stadi moderni, ma dall’altro tarpò le ali alle richieste dei calciatori che spingevano per avere adeguati riconoscimenti salariali.

Questi ultimi scesero in sciopero e il braccio di ferro con il governo si concluse in un nulla di fatto: molti decisero di emigrare, soprattutto nel nascente El Dorado colombiano, campionato che si era posto fuori dalle normative Fifa e reclutava a suon di dollari i più forti calciatori del continente. L’apripista fu Adolfo Pedernera, che abbandonò l’amato River Plate e si trasferì ai Millonarios di Bogotà. Un anno più tardi fu seguito dal suo allievo prediletto, l’astro nascente Alfredo Di Stéfano.

Anche Pontoni e Martino se ne andarono. Il primo sempre in Colombia nell’Independiente di Santa Fé, il secondo cambiò proprio continente, sbarcando in Italia, terra dei suoi avi, stregato dalle lire degli Agnelli che lo portarono alla Juventus, rinnovando l’asse tra la Vecchia Signora e gli italo-argentini, iniziato con Mumo Orsi e Luisito Monti negli anni ’30 e proseguito poi con El Cabezón Omar Sìvori, sino agli esempi più recenti, da Mauro German Camoranesi a Paulo Dybala.

A tenere alto il nome del San Lorenzo rimase Farro, ma si aggiunse presto un altro favoloso goleador, quel José Nene Sanfilippo che prima di diventare un colorito personaggio nelle trasmissioni televisive argentine (imperdibili i suoi duelli verbali con Diego Armando Maradona che trovate ancora oggi se cliccate su YouTube) era stato un puntero infallibile dei Los Cuervos (i corvi, soprannome del San Lorenzo), capocannoniere del campionato argentino per quattro volte consecutive.

I gol di Pontoni prima e di Sanfilippo poi hanno accompagnato la crescita del giovane Bergoglio, che dopo aver avuto una fidanzata, a 22 anni decise di prendere i voti, diventare prete e avviare una “carriera” che con lo sport non c’entrava nulla, ma che mirava ugualmente a dare sollievo alla gente povera ed emarginata: non la domenica negli stadi, ma sulla strada, nella vita di tutti i giorni.

Perché Bergoglio non era tipo da prediche nelle chiese. La sua missione fu da subito quella di portare la parola di Dio laddove ve n’era maggiormente bisogno, nelle periferie e nelle villas più malfamate di Buenos Aires, la stessa idea di un altro uomo di fede al quale sarebbe stato sempre legato: Padre Pepe. Un uomo, la cui vicenda è stata raccontata anche nel libro della Fabro editore “Dalla fine del mondo. Il mio cammino tra i più poveri”. Un uomo che ha dedicato dunque la sua intera vita agli emarginati, e che ha ricordato il Papa così: «Bergoglio visitava spesso le baraccopoli di Buenos Aires. Erano il suo posto preferito. Gli piaceva stare in mezzo ai poveri, coltivava un legame profondo con i quartieri popolari».

Padre Pepe e Papa Francesco

È questo l’humus culturale e sociale in cui si è formato Papa Francesco, forgiandone il carattere e contribuendo a gettare le future linee del suo operato e del suo papato. Tanti in questi giorni lo hanno descritto come “il Papa degli ultimi”, ma per capire realmente questa definizione si deve obbligatoriamente partire da qui. Dalla sua amicizia con Padre Pepe e dall’aria che il giovane Bergoglio ha respirato quando era solo un giovane prete che portava carità e speranza agli ultimi di Buenos Aires.

E poi occorre proseguire con le esperienze che hanno segnato il suo percorso successivo, sul piano umano e “professionale”: su tutti, il tormentato e devastante periodo della dittatura militare (1976-1983), che vide il gesuita Bergoglio impegnato in una complicata partita a scacchi con il generale Massera per cercare di fare luce sull’infame sorte subita dai desaparecidos, vanamente pianti dalle madri a Plaza de Mayo.

Le difficoltà, le sofferenze e gli impegni della vita mai hanno però distolto Bergoglio dal suo amore per il San Lorenzo: per anni era solito scendere negli spogliatoi prima delle partite per impartire ai giocatori la benedizione.

Lo fece anche una domenica del 1998, anno in cui fra l’altro fu eletto Arcivescovo, ma quel giorno non fece i conti con il nuovo allenatore del club, Alfio El Coco Basile, che avrebbe guidato in diversi periodi anche la nazionale argentina. Quando se lo trovò di fronte, Basile lo cacciò via in malo modo. «Non sapevo chi fosse quel prete e non volevo che distrasse i giocatori» dirà anni dopo, quando Bergoglio era già diventato Papa Francesco e la storia divenne di pubblico dominio.

Ma nemmeno l’unico tecnico che ha avuto il privilegio in carriera di allenare sia Maradona sia Messi è riuscito a incrinare il legame fortissimo tra Jorge Mario Bergoglio e il San Lorenzo. E così, nel 2014, quando il club conquistò la sua prima e finora unica Coppa Libertadores, i dirigenti partirono per Roma per portare il trofeo a Papa Francesco. Le immagini mostrano un Bergoglio visibilmente commosso mentre prende in mano la coppa di club più ambita del Sudamerica.

Nei suoi 12 anni di papato, Bergoglio non ha mai dimenticato il San Lorenzo e, pur non potendo guardare le partite, si è sempre informato sui risultati del club. Era ovviamente tifoso anche della Selección. Ma non ha visto né la finale del 2014 persa ai supplementari contro la Germania (come invece viene mostrato nel film “I due Papi” di Fernando Meirelles del 2019, in cui si vedono Papa Benedetto XVI interpretato da Anthony Hopkins e Papa Francesco interpretato da Jonathan Pryce guardare assieme l’incontro con tanto di sciarpette al collo) né quella vinta nel 2022 contro la Francia, al termine di una delle partite più straordinarie di tutti i tempi.

Incurante del suo essere argentino e del fatto che il suo Paese abbia prodotto tre Giganti Assoluti come Di Stéfano, Maradona e Messi (nessun altra nazione al mondo può mettere sul piatto tre possibili “Goat”), Bergoglio è arrivato persino a dichiarare recentemente che per lui «il miglior calciatore di sempre è un brasiliano, è Pelé». Forse, ci fosse stato di mezzo un candidato del San Lorenzo, non lo avrebbe mai detto…

Resta il fatto che il suo club del cuore non si è limitato a scrivergli un messaggio d’amore, rilanciandolo persino sui social network con un video, ma gli ha anche fatto una promessa: quella di dedicargli il nuovo stadio di Avenida La Plata. A testimonianza di un legame unico che va oltre la morte. Perché di una cosa possiamo esserne certi: Papa Francesco continuerà a tifare per El Ciclón anche da lassù. E chissà che in queste prime ore in Cielo non si sia avvicinato timidamente al suo idolo di gioventù René Pontoni e non lo abbia ringraziato per quelle caterve di gol che lo avevano fatto innamorare del calcio quando era soltanto un bambino.

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