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L’evoluzione del calcio posizionale: verso il “caos controllato”

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Se facciamo eccezione, e solo in parte, per l’Italia, buona parte del campionati europei hanno risentito nel corso degli ultimi 15 anni dell’influenza del calcio posizionale, rilanciato e implementato dalla Spagna e dal Barcellona pigliatutto che hanno incantato il mondo a cavallo tra primo e secondo decennio del secolo.

Come sappiamo, il calcio posizionale giunto a piena maturazione nella seconda metà degli anni 2000, soffiando sulle braci del cruijffismo, ha riportato in auge concetti mutuati dalla filosofia di Rinus Michels e ridisegnati su misura per i calciatori iberici, forgiando così una sorta di ibrido irripetibile tra alcuni dei punti di forza del calcio totale olandese e la qualità tecnica superiore che da sempre è l’arma vincente dell’altra metà del cielo calcistico, il Sudamerica (e anche della Spagna).

Alcuni dei legati di questo stile – ricerca insistita del fraseggio, occupazione scientifica e al tempo stesso all’apparenza anarchica degli spazi, grande velocità di pensiero e di circolazione della palla, e sul piano tattico il portiere che dà il vantaggio numerico in fase di impostazione, i laterali che si accentrano diventando centrocampisti aggiunti, o anche solo il ricorso pressoché universale alle tre punte interscambiabili – sono diventati patrimonio comune di moltissime realtà tra loro eterogenee, e questo smentisce la fiacca tesi della crisi di quel tipo di calcio, tesi rilanciata anche di recente da alcuni dei suoi più accaniti detrattori, che non a caso spesso hanno il nostro passaporto.

Il fatto che club di punta come Bayern Monaco, Bayer Leverkusen, Arsenal, Manchester United (sebbene con esiti disastrosi), Liverpool (con esiti invece entusiasmanti), PSG, Marsiglia, Brighton, le big tradizionali olandesi e in misura più contenuta anche squadre come il Real Madrid e l’Inter abbiano sposato una certa filosofia, piegandola alle proprie esigenze anche umane (il materiale a disposizione cambia), dice tutto ciò che dobbiamo sapere sull’impatto del calcio posizionale sull’Europa.

Calcio posizionale in versione, potremmo dire, modificata, perché sarebbe ingiusto negare il grande impatto del calcio di Jürgen Klopp e del suo pressing arrembante su molti dei tecnici che ho citato, ma stile il cui scopo ultimo rimane il tentativo reiterato di creare superiorità numerica in ogni zona del campo, sfruttando le qualità tecniche dei singoli e la loro capacità di respirare come un collettivo e di intuire in anticipo gli sviluppi del gioco.

Come anticipato, lo Stivale è una parziale eccezione, perché da noi certi principi hanno attecchito in maniera tiepida, ma rimane vero che una squadra come l’Inter utilizza diverse armi dello stile predominate in Europa, quando fraseggia in velocità, inverte la posizione degli uomini in campo (il nostro Giuseppe Raspanti ha osservato che capita di vedere i tre centrocampisti dell’Inter giocare come i tre uomini più arretrati della squadra) e accentra Dimarco alla maniera di AlexanderArnold o del fu Cancelo.

Se l’impronta post-cruijffiana rimane quindi predominante, chi scrive, e non solo lui, ha notato negli ultimi due/tre anni l’introduzione di alcune alterazioni che, senza rinnegare la centralità delle armi chiave del cruijffismo e la sua essenza, pur collocandosi nel segno della continuità hanno un po’ alterato il suo disegno tattico, esasperando alcuni dei punti di forza di questo approccio al gioco, rendendoli ancora più radicali.

Nel 2023 ho dedicato due articoli al Fluminense e all’impatto del suo relazionismo sul calcio europeo, immaginando che tale impatto sarebbe rimasto marginale, e forse è eccesivo attribuire meriti a Diniz (o anche alla nostra vecchia conoscenza Renato Portaluppi) per le novità introdotte negli ultimissimi tempi, ma ciò non toglie che qualche analogia tra relazionismo e le versioni più moderne del calcio di derivazione cruijffiana sia a mio parere sempre più evidente.

Proprio le due patrie della tradizione di cui stiamo parlando, il Barcellona e la nazionale spagnola, hanno introdotto alcune variabili, che abbiamo visto all’opera nel corso degli ultimi Europei e anche durante questa stagione: mettendo per un attimo da parte il discorso della difesa altissima e delle tattiche a volte folli del santone Flick, sia Spagna che Barcellona si trovano spesso ad attaccare in maniera poco ordinata, a ondate, quasi cercando di creare dei sovraccarichi (a volte laterali, più spesso centrali) che sembrano caotici (e che tali vogliono essere) in alcune zone del campo, e in particolare a ridosso dell’area di rigore.

Intendiamoci: il calcio di derivazione michelsiana ha sempre fatto uso di queste armi, sgravando i singoli da certi rigorosi compiti tattici difensivi per esaltarne le combinazioni e l’estro (non è un caso se i tre massimi dribblatori del nuovo millennio, numeri alla mano, sono Messi, Ronaldinho e Neymar: cosa hanno in comune?), ma forse non si era mai giunti agli esiti radicali cui stiamo assistendo.

La Spagna vedeva inserirsi tutti i suoi centrocampisti, a volte compresenti in area e ai suoi limiti, mentre le due ali si accentravano e i laterali salivano fino quasi alla linea di fondo. Anche il Barcellona sembra praticare un calcio simile, che “sfrangia” la struttura posizionale, orientata a controllare lo spazio per liberare il talento dei singoli, rendendola ancora più imprevedibile e tendente al “caos organizzato”: capita spesso che Kounde e Baldé siano gli uomini più avanzati, mentre Yamal e Raphinha si accentrano e due centrocampisti (spesso Olmo, a volte Pedri) sono in area di rigore, con Lewandowski che arretra e diventa quasi il settimo uomo più avanzato della squadra.

Sembra quasi che Flick, allo scopo di trasformare le sue iniziative offensive in veri e propri frangenti straripanti, difficilmente prevedibili, pur rimanendo fedele sotto moltissimi aspetti al calcio classico del Barcellona (quello messo in atto in maniera un po’ scolastica da Xavi), abbia voluto quasi esaltarne al massimo le potenzialità, ricorrendo appunto all’accumulazione di giocatori in quegli spazi stretti dove possono sfruttare (se possibile, ancora di più) la propria tecnica e la capacità di metterla al servizio del collettivo: nel video sotto riportato, si racconta di come Flick, in un momento in cui la sua squadra faticava a costruire occasioni, abbia pensato di avanzare tre centrocampisti a “falso nove”, alternandoli o anche facendoli entrare in area in simultanea, allo scopo di rendere caotico ma anche poco prevedibile lo sviluppo dell’azione.

Anche in altre realtà, come all’Arsenal o al Bayer Leverkusen, si assiste a questo ibrido: Arteta e Xabi Alonso, figliocci di Guardiola, sembrano aver raccolto da lui la torcia della modernità per orientare a loro volta il calcio delle loro squadre verso un approccio più caotico e, potenzialmente, incontenibile.

Le folate ripetute e asimmetriche degli attaccanti del Leverkusen, che alternano fasi di pressing intensissimo, fasi in cui il controllo del pallone è il fulcro del gioco (il Leverkusen, nella scorsa stagione, aveva le percentuali di possesso più elevate d’Europa e toccava il pallone con undici giocatori in moltissime azioni), e altre in cui la quadra porta diversi giocatori a ridosso del pallone quasi alla maniera del vecchio Fluminense, testimoniano la natura ibrida di questo nuovo calcio posizionale futuribile e spurio.

Aggiungo che il movimento e gli scambi di posizione incessanti tra i centrocampisti (che formano il celebre box mobile divenuto oramai diffusissimo) gli attaccanti dell’Arsenal sembrano a loro volta un tentativo di “sporcare” il calcio de quo con il relazionismo e con l’intensità kloppiana, dando vita a una forma verniciata a nuovo e tremendamente efficace del post-cruijffismo – che di fatto si traduce poi in un cruijffismo estremo, che esalta certe sue caratteristiche innate.

Se quindi il calcio posizionale classico si preoccupa di occupare in maniera essenziale lo spazio, la sua versione “spuria”, pur poggiando sui medesimi principi di gioco – il Liverpool di Slot, che a sua volta propone una formula ibrida, figlia della scuola olandese ma profondamente legata anche al calcio classico dei Reds, accentra i laterali e li sfrutta come registi aggiunti, e cerca ripetutamente la superiorità numerica a centrocampo, e fa leva sui piedi del suo portiere per avere un uomo in più in fase di possesso, e sa anche far respirare la squadra e cercare il fraseggio insistito – si distacca in parte dalla sua intelaiatura tattica introducendo alcune variabili, anche perché quando numerose squadre adottano un sistema simile, controllarlo diventa più facile.

Pensiamo ai primi anni ’90, quando la diffusione delle nuove disposizioni dettate da Arrigo Sacchi ebbe un impatto internazionale notevole, sia in Europa (il Marsiglia che a Milano forma un boomerang sul campo di gioco, ripagando il Milan con la sua stessa moneta) che in Sudamerica (Maturana che riscrive la sintassi del calcio toque importando il pressing sacchiano), e di fatto rese la vita più difficile proprio ai fondatori e portavoce del nuovo calcio (leggi qui per la cronaca della loro finale Intercontinentale nel 1989).

La diffusione in tutta Europa (Italia parzialmente esclusa) di quello che dagli anni ’70, quando a praticarlo erano cappelloni vestiti di arancione, definiamo calcio totale e posizionale, è stata così pervasiva e ampia da rendere necessarie alcune piccole variazioni, modifiche legate anche al mutare dei tempi e che consistono in realtà in una radicalizzazione di alcune delle sue qualità migliori, che già ne costituiscono l’essenza: proprio il suo principe, Pep Guardiola, ha dichiarato di recente che i cinque cambi (con le formazioni che quindi si trasfigurano radicalmente) e il numero ravvicinato di partite rendono più complessa l’assimilazione, da parte dei giocatori, dei suoi principi guida, e che pertanto la squadra deve essere impostata in modo leggermente diverso, legittimando qualche divagazione che in passato era meno frequente.

Se ci penso, peraltro, già il Manchester City nel 2022, e prima ancora l’Ajax del 2019, avevano iniziato a sposare una filosofia per come comodità definisco post-posizionale, in cui gli scambi tra i giocatori sono ancora più frequenti e meno ordinati, nella gestione degli spazi, rispetto alla sua versione pura: non è un caso se quell’Ajax e quel City sono, a mio avviso e per i miei personalissimi gusti, forse le squadre più belle ammirate in campo negli ultimi dieci anni. E anche il Liverpool di Klopp, pur fautore di un calcio transizionale, aveva iniziato a costruire una sorta di approccio ibrido, in cui al controllo del pallone e degli spazi si associava la capacità di creare dei veri e propri “overload” in alcune zone del campo, sfruttando la superiorità numerica garantita dalle abilità tecniche e di costruzione/corsa dei laterali di difesa.

In sintesi: la base costruita da Guardiola e in qualche modo già modificata dal suo grande avversario/amico Klopp, screziata da alcuni principi propri del calcio sudamericano, potrebbe aver gettato le basi per un’ulteriore evoluzione del calcio che ha dominato l’Europa negli ultimi quindici anni, evoluzione dettata anche dai cambiamenti regolamentari, dalle rose sempre più ampie e dall’esigenza di giocare molte partite ravvicinate: una nuova fase la cui cifra stilistica è data anche dai continui mutamenti della struttura della squadra, che spesso alterna proprio sistemi diversi tra fase di possesso e fase di non possesso (e questo si nota anche nel calcio ibrido di Ancelotti, che si conferma sempre al top per la straordinaria capacità di rinnovare la propria grammatica, adattandola a quella di tecnici molto più giovani). La storia ci dirà, nei prossimi anni, se chi scrive ha visto giusto.

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