Immagine di copertina: il Milan 1962-1963 con la prima Coppa dei Campioni nella storia del club
Chi scrive è cresciuto all’ombra del mito del Grande Milan. Se sei un ragazzino nei primi anni ’90, è inevitabile che il tuo punto di riferimento sportivo sia lo squadrone allestito da Berlusconi e Galliani, quello che ha contribuito a portare il calcio nella modernità, con tutti i suoi corollari (l’epoca della Tv a pagamento, degli investimenti miliardari etc..), prima guidato dal genio visionario e nevrastenico di Arrigo Sacchi, che come molti geni brucerà presto, schiavo delle proprie distonie e ossessioni, e poi aggiustato dallo spirito aziendalista e “pratico” (aggettivo che va di moda e usato secondo me quasi sempre a sproposito, ma con Don Fabio si può fare un’eccezione) di Fabio Capello, la cui egemonia sul miglior campionato del mondo è a lungo inattaccabile. Ho vissuto l’atmosfera magica di un San Siro innamorato dei propri beniamini a metà anni ’90, complice una famiglia di tifosi rossoneri sfegatati, e anche se non ho ereditato il gene del tifoso gli occhi mi si riempiono di meraviglia quando ripenso alle cavalcate di Weah, alle carezze di Savićević, alle poderose chiusure di un Franco Baresi over trenta ma ancora capace di costringere 70.000 persone a saltare sulle loro seggiole, all’unisono. La storia del Milan però, naturalmente, non si esaurisce in quella che rimane comunque la sua lunga epoca d’oro: già negli anni ’50, grazie a tre svedesi cui madre natura ha regalato doti tecniche e agonistiche in dosi sovrabbondanti, la seconda squadra di Milano (fino a quel momento) si prende il proscenio e inizia a far sentire la propria voce, potente e altisonante, anche in Europa, in quella che sarà la sua dimora naturale.
E gli anni ’60 saranno un altro decennio il cui cielo è luminoso, così come gli anni 2000, gli ultimi in cui il blasone europeo dei rossoneri fa tremare i polsi anche agli avversari più accreditati, in tutto il Continente. Ancora oggi, e nonostante alcune finali buttate alle ortiche, il Milan è la seconda squadra d’Europa, se contiamo i successi in Coppa dei Campioni e in Champions, ed è comunque una delle primissime anche se ampliamo il raggio d’azione della nostra telecamera e guardiamo pure ai campionati nazionali e alle altre competizioni europee. Selezionare un giocatore per ruolo, davanti a tanta Storia, sarebbe stato al tempo stesso troppo difficile, un esercizio crudele, e dall’altro un ‘operazione a forte rischio banalità, perché i grandi campioni della storia rossonera li conosciamo tutti.
Abbiamo quindi optato per allargare il parterre e la rosa, sperando di poter stimolare discussioni e riflessioni in tutti i numerosissimi tifosi del Diavolo.
Portiere: Enrico Albertosi
Scelgo Ricky, il portiere della stella, anche se ha giocato nella Milano rossonera solo in età avanzata. Il fatto è che Albertosi, secondo me e secondo gente che l’ha ammirato domenica dopo domenica, nel corso della sua interminabile carriera, è probabilmente il talento puro più cristallino della storia del nostro calcio, se escludiamo l’alieno Buffon, e la sua vocazione al miracolo, anche plateale, è rimasta ineguagliata. Avrei potuto e forse dovuto inserirlo quale titolare della Viola, e un posto a Cagliari non glielo leva neppure il Presidente della Regione Sardegna, ma io vado su di lui anche se parliamo di Milan. 170 partite, molte delle quali indimenticabili, e uno scudetto vinto a quarant’anni bastano e avanzano per la corona di numero uno tra i numeri uno, anche perché a mio parere sul piano della pura bravura Ricky fa categoria a sé, nella storia del Diavolo. A proposito di Buffon, il signor Lorenzo, Tenaglia per le mani prensili e il grande senso della posizione, benché non sempre inamovibile ha forse le carte in regola per reclamare un posto in rosa: dieci anni spesi nella Milano rossonera, dieci anni che coincidono con l’epoca d’oro degli svedesi, con il ritorno allo scudetto, con il genio semplice di Schiaffino, con la finale di Coppa dei Campioni persa sul filo di lana contro il Grande Real. 300 partite significano una vita spesa in rossonero, e che dire dunque delle 302 del gigante brasiliano Nelson de Jesus Silva, per tutti Dida? La seconda parte della sua lunga avventura rossonera è da mani nei capelli, non lo nego, ma sfido chiunque a sollevare l’indice per obiettare qualcosa sulle stagioni migliori del campione di Irará. A un certo punto, Dida, anche grazie agli insegnamenti di Vecchi, riesce a trovare la quadra e a sfruttare al meglio il proprio istinto, la propria inverosimile agilità (inverosimile per un uomo alto 195 cm), e così per tre stagioni almeno Dida si accomoda sul podio dove siedono i portieri più grandi del mondo, e vince una Champions da protagonista chiave. Tanto basta, a mio avviso, per farlo accomodare in panchina, accanto a Giovanni Galli, che non è stato una leggenda, ma sicuramente un ottimo estremo difensore e il titolare di un Milan stellare.
Terzino destro: Mauro Tassotti
17 stagioni che traboccano di trionfi nazionali e internazionali, 583 partite, 10 gol, i piedi da fabbro che, quando Liedholm decide di lavorarci, diventano improvvisamente due piedi da brasiliano e gli valgono il soprannome di Djalma Tassotti: Mauro Tassotti è uno dei laterali destri più dotati e completi della sua epoca e credo che nessuno abbia da recriminare qualcosa in relazione alla sua titolarità. Sul piano strettamente tecnico, gli è stato superiore il Pendolino Cafu, che però a Milano trascorre gli anni che precedono il crepuscolo, quelli che vanno dai 33 ai 38, e che, anche per questioni di durata dell’avventura in rossonero, secondo me deve stare in panchina. I suoi cross, disegnati da un pittore rinascimentale, la sua corsa infinita e la sua classe hanno avuto pochi eguali nella storia del Diavolo. Al terzo posto, credo sia giusto citare un giocatore che sarà poi anche superbo libero, al netto di una mai del tutto superata vocazione alle maldinate, gli errori marchiani dovuti a un eccesso di sicurezza più che a limiti tecnici. In ogni caso, maldinate o meno, Cesare Maldini è stato un grande campione, laterale destro e all’occorrenza sinistro del grande Milan degli anni ’50 e poi libero di classe mondiale, il capitano della prima Coppa dei Campioni, quella che (ri)mette l’Italia sulla mappa d’Europa.
Libero: Franco Baresi
Getto subito la maschera: ritengo Franco Baresi il giocatore cruciale della storia del Milan, e quando nel 2000 un referendum l’ha eletto calciatore italiano del secolo, peccando forse di recentismo, non mi sono scandalizzato. Di Franco mi piace ricordare la stagione d’esordio, ricordata anche da Filippo Galli nel corso dell’intervista che ci ha concesso: Franco debutta che è un bambino, un bambino già segnato dalla vita e che porta nel cuore cicatrici inguaribili, e forse anche per questo non conosce il significato della parola paura. A metà anni ’80, quando il Milan arranca a metà classifica, Franco domina già le graduatorie di rendimento ed è ritenuto uno dei più grandi difensori del mondo. Chi lo annovera nella categoria pecca però per difetto, in quanto Franco è uno dei massimi giocatori del mondo, e a fine anni ’80 sfiora anche un pallone d’oro che finisce nelle mani solide e nobili del compagno di squadra Marco Van Basten per questione di dettagli. Nessuno come Franco ha combinato le doti del mastino classico (quasi alla Cannavaro, cui somigliava anche per la mole fisica ridotta in relazione al ruolo) e quelle del libero e del regista. La sua riserva naturale è ancora Cesare Maldini, che nella seconda parte della carriera si ricicla libero, allontanando la data del ritiro, e si conferma un campione di caratura internazionale. Terzo posto per un altro polivalente che ritroveremo in un’altra posizione, ovvero per Volkswagen Karl-Heinz Schnellinger, il difensore perfetto: nato come laterale sinistro, eccelle anche come mediano e come libero, grazie a una classe innata, alla grinta e a piedi da centrocampista. Per lui, in maglia rossonera, si contano 334 presenze e tre reti.
Difensore centrale: Alessandro Nesta
Anche qui, la scelta è scontata e non necessita di troppe giustificazioni. Centrale moderno insuperabile e completissimo, Alessandro Nesta è uno dei massimi difensori che abbiano mai calpestato non solo il prato di San Siro ma qualsiasi campo da calcio. Colonna del Milan per oltre una decade di successi, è un titolare ovvio di questa formazione. Il presunto anello debole della leggendaria difesa del Milan era Alessandro Costacurta, che debole poteva esserlo solo nella testa di chi l’aveva capito poco: vent’anni in quel Milan sono un traguardo leggendario e Billy è stato un campione completo, dotato di discrete doti tecniche, abile nel gioco aereo e in marcatura e quasi sempre affidabile. Anche nel suo caso, c’è una pletora di successi di squadra che basterebbe a riempire la bacheca di dieci club , e le sue 663 partite in maglia rossonera lo rendono una presenza indiscutibile in rosa. Ne ha collezionate 326 il suo compagno/predecessore Filippo Galli, altro campione e difensore vecchio stampo che vive da protagonista i difficili anni ’80 e poi i primi anni di gloria targati Sacchi e Berlusconi; il suo apogeo, però. come ha raccontato lui stesso, arriva ad Atene, in una sera di Maggio del 1994, quando lo Squalo cancella dal campo un certo Romário. Menzione d’onore per Thiago Silva, centrale della statura tecnica di Nesta o quasi, che metto in secondo piano perché veste la maglia del Milan “solo” per quattro anni, dimostrandosi comunque un grandissimo giocatore, insuperabile nel gioco aereo, pulito negli interventi difensivi e munito di due piedi brasiliani. Da ultimo, abbondiamo con Faccia d’Angelo Roberto Rosato, un grande e sottovalutato marcatore che a dispetto dei modi da gentiluomo in campo sapeva essere rude e che è la colonna difensiva del secondo grande Milan di Nereo Rocco.
Terzino sinistro: Paolo Maldini
Anche qui, la scelta è talmente ovvia che non serve sprecare fiato a giustificarla, Paolo Maldini è stato non solo un giocatore leggendario, ma anche IL Milan, il terzino di scuola classica ed europea più grande e completo di ogni epoca, una forza della natura capace, specie nei primi anni di carriera, di solcare la fascia di competenza per novanta minuti, scodellando traversoni a iosa, il tutto dopo aver cancellato dal campo il diretto avversario. Il suo curriculum è praticamente senza eguali e non serve rappresentarlo in questa sede. Se Paolo Maldini abita nella stratosfera, Volwsagen Schnellinger è giusto un gradino più in basso: sin dai tempi di Mantova, quando viene eletto giocatore dell’anno in Serie A, alla pari di Giacinto Facchetti, il fuoriclasse tedesco si dimostra un giocatore completissimo, insuperabile quando si incolla all’avversario ma anche decisamente versatile, specie per gli standard dei primi anni ’60. Uno dei suoi primi tecnici disse “Ha un solo difetto, gli piace troppo giocare a calcio e dimostrare di essere un fenomeno“. Al terzo posto, credo si debba ricordare Cavallo Aldo Maldera, il bomber principe (!!) dello scudetto della stella, un atleta modernissimo, dalla falcata zambrottiana e dal sinistro al fulmicotone, come dimostrano le sue 39 reti in 310 presenze in rossonero.
Centrocampista di rottura: Frank Rijkaard
Alteta di impressionante completezza e versatilità, superbo tuttocampista insuperabile nel gioco aereo, dotato del passo della mezzala e letale negli inserimenti, Frank Rijkaard è un altro nome imprescindibile di questa squadra, uno dei figli più dotati della scuola universalista olandese e a Milano, nel corso di cinque gloriose stagioni, ha dimostrato di poter scrivere la storia, decidendo anche una finale di Coppa dei Campioni. Non possedeva la sua classe, ma era, sotto certi aspetti, il giocatore irrinunciabile del Milan di Ancelotti: sto naturalmente parlando di Gennaro Gattuso, per tutti Ringhio, uno dei più grandi recupera palloni della storia del calcio italiano, la colonna del grande Milan e un leader naturale, cui spesso la squadra si è affidata nei momenti difficili. Ricordo con particolare piacere le sue incredibili prestazioni nella Champions del 2007, specie a Manchester (finché lui è in campo, tale Paul Scholes praticamente non vede biglia, dopo la sua uscita ribalta l’inerzia della gara) e nella combattuta finale di Atene. Giovanni Lodetti ha allungato la carriera del genio di Rivera e secondo me uno spazietto in panchina se lo merita tutto: superbo recupera palloni, gran faticatore, splendido marcatore, ha fatto le fortune del grande Milan degli anni ’60, come gregario di lusso, similmente a Giovanni Trapattoni, marcatore agguerrito, grande atleta e simbolo del Milan tra anni ’50 e ’60, un altro campione che in questa rosa non può mancare.
Centrocampista di regia: Andrea Pirlo
Campanellino è uno dei più grandi geni dello sport italiano e le sue prime stagioni in maglia rossonera brillano ancora oggi, nel firmamento, come alcuni dei momenti più irripetibili della storia del calcio. Dopo una stagione di ambientamento, Andreino da Brescia decide che il mondo deve innamorarsi del suo calcio che sembra compassato e che però usa come è accaduto poche volte il muscolo che si trova tra le due orecchie. E infatti Andrea non solo ha il miele nei piedi, ma vede, vede quello che succede dappertutto, e il suo lancio lungo andrebbe accostato alle mele e pere di Cézanne, a Marlon Brando, alla musica di Louis Armstrong, alle cose che Woody Allen enumera in Manhattan quando pensa a ciò per cui vale la pena di vivere. Se è vero che le ultime stagioni guardano imbronciate, il Pirlo ammirato almeno fino al 2007 sarebbe titolare anche nella squadra chiamata ad affrontare i marziani.
Valutarlo è più difficile, perché si vedono poche sue partite integrali, ma se ti appiccicano addosso l’etichetta di regista sublime, cui San Siro tributa un applauso dopo il primo errore arrivato a macchiare anni di infallibilità, è doveroso annoverarti tra i massimi centrocampisti della storia: sto parlando naturalmente di Nils Liedholm, superbo atleta e regista al tempo stesso votato alla semplicità e impeccabile, che segna pure come una trequartista e che è una delle colonne della resurrezione rossonera degli anni ’50. Per lui, al Milan, si contano 393 partite e ben 89 gol, e anche una chicca: la stagione migliore di Nils arriva quando il fuoriclasse svedese ha 35 anni e viene reinventato libero sui generis, che parte praticamente davanti alla difesa e finisce per essere l’uomo chiave dello scudetto, nel 1957.
Al cospetto del genio di Andrea e della lucidità superiore di Nils potrebbe apparire un giocatore minore, ma Demetrio Albertini è stato un campione, e che campione: regista di classe mondiale, che con la sua serenità si prende il posto da titolare da ragazzino, facendosi rispettare dai navigati e pluridecorati compagni di squadra, Demetrio guida il centrocampo della miglior squadra del mondo per diversi anni e nel 1994 è con ogni probabilità il miglior direttore d’orchestra in circolazione. Pulito ma grintoso anche in fase difensiva, saluta Milano dopo oltre 400 presenze e un numero infinito di titoli. Chi scrive ricorda con particolare piacere la sua meravigliosa doppietta messa a segno contro il Barcellona nel 2000. Tanti infortuni condizionano le sue cinque stagioni in rossonero e lo costringono a un ritiro prematuro, ma ciò non toglie che Carletto Ancelotti un posticino in rosa se lo sia guadagnato: regista, mezzala, mediano e campione tuttofare, dotato di un cannone nel piede destro, è una colonna del grande Milan di Arrigo e chiude in rossonero con 11 reti in 160 presenze
Mezzala: Juan Alberto Schiaffino
Azzardo: il genio uruguagio è il giocatore più forte della storia del Milan, accanto al fuoriclasse olandese che gioca da centravanti. Ci sono solidi argomenti a sostegno della mia tesi: il centrocampista di origini italiane è probabilmente la mezzala più forte e completa della storia. A inizio carriera e nei primi anni in rossonero attacca la porta come riuscirà a Kakà, e in più illumina il gioco come riuscirà a Pirlo, dimostrando anche doti aerobiche decisamente superiori alla media. Il Milan che domina il campionato 1954/1955 è ispirato dal suo genio, quello descritto dal grande scrittore Galeano in questi termini: “Schiaffino, con le sue giocate magistrali, organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla più alta torre dello stadio.” Radio Schiaffino, diremmo oggi, e anche i fenomeni del Grande Real, dopo la combattuta finale del 1958, ne riconoscono la superiore grandezza. A Milano, Pepe mette a referto vari titoli, 171 presenze e 60 reti, confermandosi uno dei massimi giocatori del Pianeta. Chiudo si di lui con un aneddoto personale: quattro anni fa, a Lecco, ho conosciuto per caso un uomo che aveva giocato nelle giovanili del Milan negli anni ’50, il quale mi ha detto che nessun giocatore ha mai trasformato una squadra come era riuscito a Schiaffino, fatta eccezione per Johan Cruijff, a suo parere l’unico vero, degno erede della leggenda uruguaiana. Tre grandi nomi si affiancano a quello di Pepe: il primo, secondo me è quello di Gunnar Gren, il suo precursore in rossonero, il giocatore svedese del secolo, un Maradona più compassato, insomma una mezzala dalla tecnica sublime, il cui approdo a Milano riscrive la storia del club, perché lo scudetto del 1951 è anche e soprattutto uno scudetto firmato Gren. Ala, mezzala, regista, trequartista: Roberto Donadoni è stato il giocatore chiave del primo grandissimo Milan di Sacchi e poi del Milan di Capello; giocatore chiave significa ovviamente non il più bravo, ma il collante tra i reparti, quello cui è più difficile rinunciare, un’ala totale che non ha paura di mettere la gamba e che in numerose occasioni, anche in Europa, sposta gli equilibri. Eccezionale uomo dribbling, ha sofferto solo di una certa idiosincrasia per il gol, ma resta un grandissimo campione e, con 390 presenze, un pezzo importante della storia del Milan.
La sovrabbondanza di campioni nel ruolo di centrocampista/mezzala mi impone un’ultima citazione, che non può davvero essere evitata: quella di Mr. Clarence Seedorf. Benché abbia spesso sofferto di una certa discontinuità, nelle giornate di vena il centrocampista olandese vedeva cose che noi umani non vediamo e soprattutto si ricordava che il suo piede destro era capace di qualsiasi prodezza balistica. Alcune prestazioni, specie in Europa, specie nella Champions 2007, sono da cineteca dello sport. e 62 reti in 432 presenze sono un bel biglietto da visita e un argomento decisivo a favore della sua candidatura.
Trequartista: Gianni Rivera
L’uomo che non poteva sbagliare carriera neanche con una gamba sola (cit. Bernadini) è una presenza talmente scontata in questa formazione che parlarne a lungo sarebbe davvero superfluo. Gianni Rivera è IL Milan, non meno di Franco Baresi e di Paolo Maldini, è forse il talento puro più grande mai nato in Italia nel dopoguerra, Baggio permettendo, e ha messo Milano sulla mappa d’Europa e del mondo. Benché atleticamente non dotatissimo, Gianni era un centrocampista sublime e un genio della rifinitura, ma anche della finalizzazione, come documentano le sue 164 reti in quasi vent’anni spesi in maglia rossonera. Brera non lo adora, perché preferisce giocatori più dotati di nerbo atletico, ma lo omaggia nel celebre pezzo in cui chiede che gli sia reso il suo abatino, il suo Golden Boy, riconoscendone la classe superiore.
Gianni chiaramente appartiene a una dimensione tutta sua, ma ci sono almeno altri due numeri dieci che hanno fatto luccicare gli occhi dei tifosi del Milan. Il primo è Ricardino Kakà, una sorta di Matthäus con 10 cm in più e con le qualità del giocatore brasiliano. Anche lui, come Clarence, non è mai stato il giocatore più continuo della squadra, ma in giornata Kakà era letteralmente una forza della natura, e la sua progressione palla al piede, quasi inspiegabile per uno della sua statura, ha regalato al Milan le pagine più belle della sua storia moderna: nelle giornate di vena Kakà vinceva davvero da solo e la sua run nella Champions del 2007 è ancora oggi esposta al Louvre, perché è una delle opere d’arte più belle mai uscite dalla competizione.
Come e più di lui, anche il Genio Dejan Savićević era in grado di lasciarti giocare in dieci in diverse partite, ma quando la luna era dritta Dejo cambiava le gare e la storia. E in Europa la luna era spesso dritta: il suo piede sinistro, che accarezzava il pallone, era una sorta di prodigio della natura, e il suo dribbling dinoccolato, quasi pigro, tutto giocato su un sortilegio di finte, controfinte, ripensamenti etc.. era un gioia per gli occhi. Dopo le iniziali difficoltà, il giocatore montenegrino si ambienta e il suo contributo ai successi e/o alle grandi cavalcate del Milan di Capello è imprescindibile. Dejo era un giocatore immaginifico e non amarlo, se si ama un certo tipo di calcio, è davvero impossibile. La sua eccezionale carriera in rossonero si chiude con 34 reti in 144 presenze, e soprattutto con una Champions, quella del 1994, da tramandare ai posteri.
Centravanti: Marco van Basten
L’invidia degli dei l’ha condannato a ritirarsi quando stava diventando il “più forte di tutti” (cit. Maradona), e ha gettato in un lutto inestinguibile anche tale Carmelo Bene, ma non lo priva di un posto di primo piano nel parterre di stelle rossonere. van Basten non ha bisogno di presentazioni, posso solo dire che i suoi tre palloni d’oro descrivono solo in parte la sua grandezza, la sua grazia preternaturale, e posso aggiungere che Marco è stato anche uno dei pochi centravanti in grado di essere decisivi senza segnare.
Dispiace metterlo in panchina, e il posto da titolare sarebbe ovviamente più che legittimo, ma siamo obbligati a scegliere, e allora inseriamo al secondo posto, di un’inezia, il Pompier Gunnar Nordhal, il più grande uomo gol della storia del Milan. Una macchina da reti dotata di una forza fisica inedita e di una grande capacità di attaccare la porta in progressione, ma anche di buone doti tecniche e di un raggio d’azione ampio. Il Milan torna tra le grandi con lui, che vince vari titoli nazionali e colleziona gol e titoli da capocannoniere – 210 reti in 257 partite, nel campionato italiano, non poteva segnarle nessun altro, e infatti nessun altro le ha segnate.
Quando accelerava e i piedi sembravano quasi non toccare terra, tutta San Siro si alzava in preda alla meraviglia: George Weah non è stato un bomber seriale e questo lo colloca un gradino sotto i due sopracitati fenomeni, ma rimane un giocatore sensazionale e per certi versi indescrivibile. Quando sbarca sulla serie A, reduce da una stagione non eccezionale in Ligue 1, in molti storcono il naso, ma devono ricredersi subito: Giorgione è un portento e il Milan gli deve mezzo scudetto buono. Purtroppo per lui, il grande ciclo è agli sgoccioli, ma Weah farà in tempo a vincere da deuteragonista il titolo del 1999, segnando tra le altre due reti cruciali in casa della Juve. Anche se non è stato un giocatore troppo continuo sotto porta, il peso delle sue giocate europee mi consiglia di dedicare due parole anche a Pippo Inzaghi, campione dotato di un intuito non comune e un pezzo di storia del Milan nel nuovo millennio.
Attaccante di manovra: Andrij Shevchenko
Il vento dell’est era un prodigio dell’atletica e abbiamo avuto la buona sorte di ammirarlo in campo per molti anni, mentre divorava km di campo, saltava in testa agli avversari, collezionava titoli e decideva campionati. Sheva era un bomber seriale che quando la posta in palio diventava importante faceva praticamente sempre la differenza. Anche nel Milan derelitto di inizio millennio, Sheva era capace di rientrare nei discorsi sui primi giocatori del mondo e direi che questo è sufficiente a ricordarci la sua straordinaria bravura.
Potrebbe anche stare accanto e Rivera & C., ma credo che il Ruud Gullit di Milano sia stato soprattutto un attaccante, un armadio che si muove come un numero dieci, un atleta soprannaturale e l’uomo che trasforma il primo Milan di Arrigo, imponendo la propria dittatura su un’ammirata serie A e scatenando la Gullit mania. Alcuni problemi fisici ne condizionano la seconda parte della carriera in rossonero, ma ciò che Ruud combina, soprattutto nelle prime due stagioni, basta e avanza per obbligarmi a celebrarlo.
José Altafini non è stato molto da meno del fenomeno ucraino: attaccante chirurgico, tecnicamente eccelso, bomber implacabile, è l’uomo gol che porta a Milano la coppa dei campioni che cambia la storia del club e un fuoriclasse da 161 reti in 246 partite.
La sua sfortuna è stata la contemporaneità di Gigi Riva, ma questo toglie poco al valore di un campione come Pierino Prati, ala sinistra ma di fatto seconda punta con licenza di attaccare l’area e di fare male grazie alle superiori qualità acrobatiche. Con 102 reti in 209 partite, ha lasciato un’impronta profonda nella storia del Milan e la sua tripletta contro l’Ajax nel 1969 è una delle pagine più belle della storia rossonera.