La memoria collettiva italiana racconta gli anni ’80 come un’epoca trionfale, non senza fondamento, ma chi scrive ritiene indispensabili alcune precisazioni: se nel complesso il nostro calcio è una sorta di all star game collettivo, i risultati di squadra non sempre sono all’altezza dei nomi altisonanti sparsi in molte delle formazioni che militano in serie A, e questo vale soprattutto per le stagioni 1986 e 1987 (e nel 1988 in vento cambia di poco), quando le formazioni italiane in Europa faticano, tanto che nessuna raggiunge le fasi conclusive delle competizioni continentali (nel 1987, il risultato migliore lo ottiene l’Inter, eliminata ai quarti di finale di Coppa UEFA).
Le carte in tavola cambiano verso la fine del decennio: una poderosa iniezione di denaro e la concessione del terzo straniero trasformano la serie A nell’Eldorado del calcio mondiale, suscitando nella concorrenza risentimento e una comprensibile invidia, tanto che dopo Italia ’90 i tedeschi ci rinfacciano come i nostri soldi non possano comprare il Campionato del mondo; nel frattempo, la quarantena imposta al calcio inglese dalla UEFA da un lato impoverisce le competizioni internazionali ma dall’altro favorisce la democrazia, e così in Europa, in attesa della nostra definitiva ascesa, è il momento di rumeni, portoghesi, ex sovietici, svedesi, olandesi.
La seconda metà degli anni ’80 è forse in assoluto il periodo più ricco e diversificato della storia europea, in termini di formazioni capaci di ambire al successo: la mancanza di squadroni “dominanti” e appunto l’assenza delle squadre inglesi, che avevano monopolizzato o quasi i titoli del decennio precedente, rende ogni competizione imprevedibile.
1985-1986
Il 1986 è l’anno della Dinamo Kiev e del colonnello Valerij Lobanovs’kyj, il cui calcio, collettivo fino al parossismo, votato all’abnegazione, potenziato da una preparazione fisica di fatto senza eguali, incanta il mondo e anche i giurati di France Football, che a fine anno, un po’ a sorpresa, premiano Ihor Bjelanov, forse in assoluto il giocatore più “normale” ad aver mai vinto il Pallone d’oro. La squadra di Valerij nel 1986 gira a meraviglia, domina il campionato sovietico, si prende la coppa nazionale e poi, soprattutto, demolisce la concorrenza in Europa, seppellendo di reti ogni avversario, incluso il finalista Atletico Madrid.
Nel 1985 ha vinto la Coppa UEFA ma faticato terribilmente nella Liga, nel 1986, invece, il Real Madrid torna grande: la squadra di Michel, Valdano, Butragueño e Sánchez per valori individuali domina incontrastata l’Europa e in Spagna lascia le briciole alla concorrenza, distanziando il Barcellona in maniera netta, In Europa, il Real è protagonista di una cavalcata trionfale, suggellata dal 5 1 in finale contro il Colonia che gli regala la seconda coppa UEFA consecutiva.
A proposito di Barcellona: a Siviglia si consuma l’ennesimo psicodramma della storia blaugrana, perché come noto i catalani raggiungono la finale di Coppa dei Campioni, non senza aver sofferto e faticato contro quasi ogni avversario, e partono favoriti contro l’apparente sparring partner Steaua Bucarest, ma dopo uno scialbo 0 a 0 Duckhadam si traveste da Superman e para tutti i rigori calciati dagli spagnoli, portando in Romania, contro ogni pronostico, la Coppa dei Campioni.
L’equilibrio regna sovrano sul calcio europeo del 1986 e l’elenco delle escluse di lusso è potenzialmente lunghissimo: Anderlecht, i solidissimi svedesi dell’IFK Göteborg, appunto la Steaua di Bucarest, la Roma che getta alle ortiche uno scudetto già vinto, il Bayern Monaco che ritorna campione di Germania, l’Everton che in First Division dà del filo da torcere fino all’ultimo ai cugini campioni.
Alla fine, ho cercato di valorizzare le maggiori qualità individuali e i successi nazionali, e quindi ho optato per la Juventus e per il Liverpool.
La Juventus ha imboccato la strada del declino, ma Platini è ancora una stella di prima grandezza e in generale la qualità non manca, anche perché il giovane Michael Laudrup dimostra di possedere un talento a tratti fuori controllo, per quanto ancora immaturo e incline alla discontinuità. La formazione di Giovanni Trapattoni vince lo scudetto, anche se deve ringraziare il suicidio della Roma, e anche la Coppa Intercontinentale, al termine di una partita meravigliosa contro l’Argentinos Juniors.
Il Liverpool escluso dall’Europa esprime però un calcio che in Europa invidiano quasi tutti: ha svecchiato la rosa, vestendo di rosso un grande talento come il centrocampista danese Jan Mølby, e punta ancora sul senso del gol di Ian Rush per seppellire di gol gli avversari. A fine anno, il suo eccellente passing game gli consente di prevalere nel lunghissimo derby con l’Everton e di vincere anche la FA Cup.
1986-1987
Le stagioni 1986 e 1987 sono forse le più equilibrate della storia del calcio europeo, tanto che individuare la squadra migliore è un’impresa ad alto tasso di discrezionalità.
Sommando tutto, credo che la corona sia un discorso a due tra le regine del calcio europeo Real Madrid e Bayern Monaco, e personalmente, anche per l’esito dello scontro diretto, scelgo i bavaresi trascinati da un Augenthaler in versione Kaiser e da un Lothar Matthäus prossimo alla piena maturità. I bavaresi sono una macchina da calcio cui riesce un salto di qualità ulteriore, rispetto al già notevole 1986, dominano la Bundesliga e arrivano in finale di Coppa dei Campioni da favoriti, ma la perdono.
La sconfitta in finale porta la firma della squadra più bella dell’anno, il Porto di Artur Jorge, che a sorpresa trionfa in Europa, riportando il maggior trofeo continentale in Portogallo dopo venticinque anni. I dragoni trovano la classica alchimia magica: giocano un calcio spettacolare, volano sulle ali di un Futre formato pallone d’oro e di Rabah Madjer, uno dei massimi talenti nordafricani di sempre. Dopo un’esaltante cavalcata, in finale hanno la meglio dei favoriti bavaresi e il posto nel quintetto gli spetta di diritto.
Così come spetta al sopracitato Real Madrid: la Quinta del Buitre raggiunge la piena maturità e vince la Liga, arenandosi in semifinale anche per una partita in Germania controversa e che il Real chiude in nove. Sul piano individuale, è probabile che siano ancora una volta i Blancos, in ogni caso, la squadra migliore del continente.
Da ultimo, tra le numerose candidate (Dinamo Kiev, una Stella Rossa già genio e sregolatezza, il PSV di un Ruud Gullit atleta e giocatore del futuro, l’Everton che vince il secondo titolo nazionale in tre anni, spazzando letteralmente via la concorrenza inglese, il primo Ajax di Johan Cruijff in panchina e del Cigno di Utrecht in attacco), credo sia giusto farsi guidare dal cuore e ricordare il primo, irripetibile scudetto del Napoli: gli azzurri sono una squadra solida, vantano il centrocampo della nazionale, un grande talento come Bruno Giordano e ovviamente Diego Armando Maradona, che reduce dall’irripetibile mondiale messicano si prende sulle spalle un’intera città e la trascina a un titolo leggendario.
Anni all’insegna dell’equilibrio, dicevamo, e allora mi sembra doveroso premiare, dopo la Dinamo Kiev del 1986, che un posticino in graduatoria potrebbe reclamarlo anche nel 1987, gli svedesi dell’IFK Göteborg, una squadra tutta svedese che nel 1986 ha sfiorato la finale di Coppa dei Campioni, venendo eliminata dal Barcellona solo ai calci di rigore, e che nel 1987 si prende la rivincita vincendo la seconda coppa UEFA del decennio: i biancoazzurri non solo si confermano padroni di casa, vincendo l’ennesimo titolo nazionale, ma in Europa fanno a pezzi la concorrenza, con la sola eccezione dell’Inter, superata al termine di due partite molto equilibrate. Nel complesso, il loro calcio solido ma anche frizzante e votato alla ricerca insistita del gol li rende una delle formazioni più belle ed efficaci in circolazione.
1987-1988
Nel 1988 il Milan di Arrigo diventa grande, perché Ruud Gullit ne ricalibra la cilindrata e la squadra riesce in un salto di qualità straordinario, e sul piano individuale, probabilmente, la formazione migliore è ancora il Real Madrid della Quinta, che vince in carrozza il terzo titolo consecutivo, distanziando la Real Sociedad di 11 punti ed esprimendo per larghi tratti il miglior calcio d’Europa, accanto appunto ai rossoneri.
Il 1988 è però anche l’anno del più impronosticabile dei triplete, quello del PSV Eindhoven: nonostante l’abbia salutato la sua stella, il pallone d’oro Ruud Gullit, il PSV Eindhoven di Koeman, Lerby e Gerets porta nella città della Phillips il secondo treble della storia olandese e il terzo della storia europea (dopo quelli del Celtic 1967 e dell’Ajax 1972). Orchestrato dal genio del giovane Guus Hiddink, il PSV è una macchina da calcio di ispirazione happeliana, e quindi camaleontica, indecifrabile, solidissima nella sua zona aggressiva e granitica, e in casa vince con margine tutto, imponendosi anche in Europa, benché al termine di una delle finali più brutte di sempre, quella di Stoccarda con il Benfica.
Ovviamente, il Milan deve fare il suo prepotente ingresso in un quintetto che è destinato a dominare per un bel po’: i rossoneri, dopo i primi mesi imbronciati, cambiano passo e cadono sul mondo del calcio italiano come una bomba atomica. Manifestazioni di superiorità come il 4-1 rifilato al Napoli nel gennaio del 1988, o la decisiva gara scudetto del San Paolo di pochi mesi dopo, sono una sorta di trionfale illustrazione in chiave pratica del nuovo calcio di Arrigo e della sua magniloquenza, che pur senza rinnegare alcune delle regole cardinali del football italico ne rivoluziona l’atteggiamento e il modus operandi, e il trionfo in serie A è solo il grande prologo a un biennio irripetibile.
Come il Milan, anche il Real Madrid si guadagna l’ennesima citazione, perché domina la Spagna. In Europa, i Blancos vengono eliminati dal PSV per la regola del gol in trasferta e perdono per la seconda volta consecutiva in semifinale, nonostante la dose sovrabbondante di talento che si trovano in squadra.
Il Napoli del 1987/1988 è probabilmente superiore a quello della stagione precedente: i giochi di prestigio di Diego e la sua leadership incontrastata sono affiancati da un centravanti di statura mondiale come il brasiliano Careca, e il Napoli veleggia per versi verso il secondo scudetto, venendo superato in volata da un Milan stellare.
Anche nel 1988, ci soni numerosi candidati al quinto posto (il Liverpool, per l’ennesima volta campione d’Inghilterra, la Stella Rossa che si impone in un campionato jugoslavo equilibrato e complicato, la Steaua Bucarest, sempre una mina vagante), ma forse è giusto ricordare il Benfica (già campione del Portogallo nel 1987) che torna in finale di Coppa dei Campioni dopo molti anni, grazie al suo calcio appiccicoso, indecifrabile, in cui il palleggio è soprattutto un’arma difensiva. La sua squadra tutta lusitana e brasiliana, cui si aggiunge il bomber svedese Magnusson, ha la meglio su tutte le avversarie in Coppa, con merito, e in finale dà del filo da torcere al PSV, venendo superato solo ai rigori.
1988-1989
L’ingresso del terzo straniero consente al calcio italiano di spiccare definitivamente il volo e di staccare la concorrenza: a fine anni ’80, le squadre di vertice del nostro calcio diventano numerose e quasi tutte candidate al successo nelle competizioni europee.
Su tutte, si innalza il Milan di Arrigo Sacchi, che in Europa sposta in avanti le lancette della storia: la sofferta, duplice sfida con la Stella Rossa è forse l’ostacolo più difficile per i rossoneri, che nel prosieguo della competizione lasciano le briciole agli avversari, forti di un calcio aggressivo, fisicamente dirompente e tecnicamente sofisticato. Il duello contro il Real Madrid è all’insegna di una superiorità rossonera sbalorditiva, e la finale, contro i malcapitati ma sempre temibili rumeni della Steaua di Bucarest, è un’altra esibizione. Esisteva il calcio degli anni ’80 e poi è arrivato il Milan di Sacchi: L’Équipe omaggia con poche parole efficaci l’impatto dello squadrone rossonero sull’Europa, e certifica la sua superiorità sugli avversari.
Anni d’oro del calcio italiano, dicevo, e in effetti anche l’Inter di Trapattoni è una macchina da calcio che in Europa non ha quasi avversari: reduce da una stagione deludente, la squadra milanese imbarca alcuni fuoriclasse tedeschi e trova un’armonia efficace e quasi senza pari, dominando il campionato più difficile del mondo a suon di record. Tutto gira alla perfezione e le altre big del nostro calcio non possono che restare a guardare il cammino trionfale dei nerazzurri.
Anni d’oro del calcio italiano, parte terza: il Napoli di Diego non può reggere il passo dell’Inter in campionato, ma vince la Coppa UEFA superando le rognose tedesche Bayern Monaco e Stoccarda e rimontando la Juventus in un quarto di finale di ritorno di cui a Napoli si parla ancora oggi. Maradona regala invenzioni e sortilegi, Careca è il bomber immarcabile, Ferrara segna gol decisivi sgranando gli occhi per lo stupore e in generale gli azzurri sono una squadra matura, fortissima, che in Europa non teme praticamente nessuno.
Le due sonore lezioni ricevute dal Milan in semifinale, che ufficializzano una sorta di passaggio di consegne, nulla tolgono alla forza e alla qualità individuale del Real Madrid, che peraltro raggiunge le semifinali da favorito: i bianchi si prendono la Liga per la quarta volta consecutiva e appunto in Europa fanno il loro dovere fino alle dolorose semifinali.
Anche nel 1989 le candidate di spessore non mancano: i francesi dell’Olympique Marsiglia controllano la Ligue 1 e hanno l’ambizione di fare la voce grossa anche in Europa, nonché la qualità per riuscirci. In Inghilterra, è l’anno del miracolo di Anfield, e l’Arsenal è una squadra giovane e bella, ma forse non da cinquina, così come è in bilico il Bayern Monaco, che in Germania Ovest è ancora una volta la squadra da battere.
Sommando tutto, credo che una citazione la si possa regalare al Barcellona, sulla cui panchina si è seduto Johan Cruijff: i catalani non sono ancora il Dream Team, ma cambiano decisamente marcia rispetto agli anni precedenti, giocandosela con il Real Madrid in casa e portando sulle Ramblas la Coppa delle Coppe, al termine di una grande finale contro la Sampdoria, altra formazione tricolore che non avrebbe sfigurato nel quintetto.
1989-1990
Ancora l’Italia sul tetto del mondo: la stagione destinata a concludersi con i mondiali di casa e con una beffa inattesa in quel di Napoli è forse la più gloriosa della storia del Belpaese. Le squadre del nostro paese raggiungono la piena maturità e per le altre big europee è difficile reggere il passo, anche perché la maggioranza dei grandi campioni milita in Serie A.
Ancora Italia e ancora Milan: benché meno brillanti rispetto alla stagione precedente, i rossoneri sono ancora la squadra di riferimento, vincono con pieno merito la seconda Coppa dei Campioni consecutiva e sono l’ultima squadra in grado di farlo prima del Real Madrid dell’ultimo decennio. In campionato il lungo duello con il Napoli viene perso sul filo di lana (fatale fu Verona), e in Europa le avversarie cercano e trovano le prime efficaci contromisure al calcio totale in versione italica di Arrigo e dei suoi campioni: il Malines stritola in rossoneri con il suo proverbiale difensivismo fiammingo, che ricorre con disinvoltura alle maniere forti, ma un Donadoni stratosferico e Marcello van Basten spostano gli equilibri. Anche la semifinale con il Bayern e la finale con l’appiccicoso Benfica di Erkisson sono partite complicate, ma la maggior classe dei rossoneri consente sempre loro di prevalere.
Nel campionato più difficile del mondo scocca per la seconda volta l’ora de Napoli del Divino Scorfano: forte di un cast di supporto più ricco e maturo di quello di tre anni prima, Maradona disputa l’ultima grandissima stagione della sua carriera ed è il leader maximo del Napoli che supera il grande Milan in volata. Al suo fianco, un Careca eccezionale e diversi altri giocatori di spessore che consentono al Napoli di esprimere un calcio all’italiana votato allo spettacolo ed esaltato dai colpi di genio dei suoi fuoriclasse.
Il Real Madrid si conferma per l’ennesima volta campione di Spagna e vince pure la Supercoppa spagnola: la generazione della Quinta del Buitre è al tramonto ma i Blancos sono ancora un team di primissima fascia, e questa volta fanno sudare i rossoneri agli ottavi, pur venendo ancora una volta eliminati dallo squadrone di Sacchi.
Il Marsiglia di Bernard Tapie, il Berlusconi d’Oltralpe, sta diventando grande: in un campionato equilibrato ma cui manca sempre la big in grado di fare il salto di qualità in Europa, Tapie allestisce uno squadrone in cui militano Förster, Mozer, un giovanissimo Deschamps, Abedì Pelè, Waddle, il Principe Francescoli e il bomber Papin. In Francia, i marsigliesi regalano spettacolo e gol a raffica, e in Europa puntano il bersaglio grosso, ma vengono eliminati in semifinale dal Benfica per la regola del gol in trasferta, dopo essere parsi superiori ai portoghesi.
Per il quinto nome, more solito, non mancano le candidature autorevoli (la Stella Rossa di Belgrado, la Sampdoria che porta a Genova una leggendaria Coppa delle Coppe, il Barcellona di Cruijff, il solito Liverpool che nell’emarginato calcio inglese vince ancora, il Benfica finalista di Coppa dei Campioni e ancora vittima della maledizione di Béla Guttmann, l’Inter post-record che non si conferma ma resta una squadra di prima fascia), ma sommando tutto opto per il Bayern Monaco: coriaceo, fisicamente tostissimo, il Bayern in Bundesliga fa categoria a sé e in Europa regala gol e spettacolo, venendo eliminato in semifinale dal più quotato Milan per dettagli. La squadra non è un parterre di stelle, ma in difesa schiera una coppia di titani (Kohler e Augenthaler) e il suo compatto impianto di gioco le consente di far soffrire anche gli avversari tecnicamente più dotati.