Vincente. È l’aggettivo che mi viene in mente e meglio si addice a Marcello Lippi.
Il secondo è predestinato.
La sua storia di vincente inizia sulla scia della chiusura del secondo ciclo bianconero di Giovanni Trapattoni, di cui il mister viareggino è il degno erede nel cuore del popolo bianconero in termini statistici, avendo entrambi allenato e vinto tantissimo con la Juventus in due cicli differenti, e contribuito ad arricchire di scudetti e coppe la bacheca del museo della Signora.
Giocatore di buon livello con la maglia blucerchiata della Sampdoria, Marcello Lippi le maggiori soddisfazioni le raccoglie come allenatore di club con la Juventus e come CT della nazionale azzurra.
Alla Juve arriva nel 1994, dove sono 9 anni che non si vince lo scudetto, un’eternità. Sono gli anni del dominio del Milan di Sacchi prima e di Capello poi, i rossoneri sono un’invincibile armata contro cui nulla ha potuto il duo Boniperti-Trapattoni. Il Dottor Umberto Agnelli dà vita ad un nuovo corso. In società sale al governo la Triade Giraudo-Moggi-Bettega. In panchina si ripercorre la strada di affidarsi ad un allenatore giovane ed emergente come fatto in precedenza con il Trap.
Il ‘Paul Newman’ italiano, dopo una positiva stagione sulla panchina del Napoli, viene chiamato a guidare una Juve che via via è stata ricostruita ma a cui manca ancora la mentalità giusta per tornare a comandare sul palcoscenico nazionale. È la Juve dei Peruzzi, Torricelli, Conte, Di Livio, Roby Baggio e Vialli che ha festeggiato, nella stagione precedente, la vittoria in Coppa Uefa al termine di una splendida cavalcata europea.
Il ‘bel Marcello’ si vede regalare da Moggi le pedine mancanti. Con Ciro Ferrara, Jarni, Paulo Sousa e Didier Deschamps vengono irrobustite la difesa e la mediana e così Lippi può plasmare la squadra alla sua idea di calcio fatta di freschezza atletica – in questo il mister è aiutato dagli innovativi metodi di allenamento portati dal preparatore atletico ‘il marine’ Giampiero Ventrone – e mentalità aggressiva.
Il campionato passa a premiare la vittoria con i 3 punti e la Signora interpreta al meglio questa novità regolamentare giocando votata all’attacco con il tridente Vialli-Ravanelli-Baggio che presto, causa infortunio del Divin Codino, diviene Vialli-Ravanelli-Del Piero. La foto della stagione è la vittoria in rimonta sulla Fiorentina in casa per 3-2 con pennellata magistrale di Pinturicchio. È una Juve indomita che interpreta al meglio il claim di famiglia “fino alla fine”.
È nata la Juve di Lippi.
Una squadra che – in onore alla filosofia richiesta dalla proprietà alla Triade, un occhio alle vittorie e un occhio al bilancio – pur cambiando interpreti stagione dopo stagione, segna la seconda metà gli anni ’90 ed i primi anni 2000.
In Italia arrivano – nel computo complessivo dei due cicli – ben 5 scudetti. Ma è in Europa nella competizione più importante che la Juventus, pur senza raggiungere le vittorie del Milan, lascia un’impronta profonda nella Champions League.
È campione a Roma nella finale con l’Ajax del 1996 e vice campione nelle due annate successive con Borussia Dortmund e Real e nella finale con il Milan del 2003.
Qualche mese dopo la finale di Roma, una Juve rinnovata con Zidane, Boksic e Vieri, a Tokyo, completa l’opera al termine di una battaglia contro il River Plate. Segna Del Piero, la Juve si aggiudica la Coppa Intercontinentale ed è Campione del Mondo a livello di club.
Per raccontare e descrivere al meglio la fame di quella squadra, i cui interpreti, come detto, cambiavano anno dopo anno, ma la cui mentalità vincente portata è trasmessa da Lippi rimaneva immutata, prendo a prestito una significativa dichiarazione di un altro fuoriclasse della panchina, mister Alex Fergusson, all’epoca alla guida di una grande euro rivale della Signora, il Manchester United.
La Juventus è stata un esempio per il mio Manchester United. Facevo vedere ai miei giocatori le videocassette della squadra di Lippi e dicevo: «Non guardate la tattica o la tecnica, quella ce l’abbiamo anche noi, voi dovete imparare ad avere quella voglia di vincere».
Alex Ferguson
Già, sono quegli occhi da tigre e la voglia di vincere, di comandare il gioco sempre, in casa e fuori, la cifra di quella squadra che esprimeva un gioco a tratti spumeggiante ed incontenibile. Lo ricorda bene il Psg letteralmente travolto sotto un tennistico 6-1 nella finale di ritorno della Supercoppa Europea.
Tra le tante partite iconiche di quelle Juventus, però, una occupa sicuramente un posto speciale nella mente dei tifosi.
È il 14 maggio 2003, ritorno di Champions con il Real Madrid. La Juve dà spettacolo e strapazza i Blancos grazie ai goal di Trezeguet, Del Piero e Nedved ed al rigore parato da Buffon a Figo. Purtroppo l’ammonizione di Nedved priva in modo decisivo la Signora della sua ‘Furia Ceca’ nella finalissima di Manchester con il Milan.
L’unico grande neo è, quindi, sicuramente quello di aver raccolto meno di quanto fosse nelle possibilità di quelle Juventus proprio sul palcoscenico più importante della Champions.
Le tre finali di Champions perse, fanno ancora male al popolo bianconero. Ma si sa, con la ‘coppa dalle grandi orecchie’ la Juve non ha mai avuto un grande feeling, nonostante le tanti finali disputate.
Terminato il doppio ciclo bianconero, Lippi ha vestito la maglia azzurra come Commissario Tecnico, completando l’opera da predestinato vincente.
Il primo capolavoro, in vista dei Mondiali 2006, il mister lo fa convocando Totti, convalescente da un serio infortunio, ma pur sempre un fuoriclasse, che infatti poi ricambierà sul campo la fiducia del CT.
Ma il secondo e vero miracolo avviene a inizio competizione. La sua Nazionale affronta il Mondiale di Germania in piena tempesta Calciopoli. Lo stesso CT è oggetto di duri attacchi per via della sua mai celata juventinità e del figlio procuratore sportivo legato alla Gea, c’è chi vorrebbe persino le sue dimissioni.
È in questa occasione che viene fuori il temperamento tosto, dell’uomo di mare, capace di tenere saldo il timone della barca nel mezzo della tempesta.
La sua Nazionale si cementa partita dopo partita e arriva alla finale mondiale consapevole della sua forza contro una Francia, guidata dal genio di Zinedine Zidane, a sua volta solida e matura. La partita, passata alla storia anche per la testata di Zidane a Materazzi, è equilibrata e si conclude ai rigori. Come per la finale di Champions vinta con la Juve a Roma, Lippi individua i migliori tiratori, la fortuna gli sorride e la Nazionale è Campione del Mondo.
Sia con la Juve che con la Nazionale, Lippi ha saputo proporre il suo calcio, aggressivo e votato alla vittoria. Ha superato il verbo italianista di Trapattoni ed il sacchismo dei primi anni ’90. Ha ricostruito con pazienza, stagione dopo stagione, le sue squadre con interpreti sempre diversi, ma senza snaturare mai la sua filosofia di gioco votato al ‘non accontentarsi mai’.
Infine, il viaggio in Oriente dove si è tolto la soddisfazione di vincere la Champions asiatica con il Guangzhou e di guidare la nazionale di Cina.
La ciliegina sulla torta di una carriera da predestinato e vincente.
«Abbiamo il dovere di provare a vincere sempre e tutto, perché questo è il destino della Juventus. Mai accontentarsi di un ruolo da comprimari, che non rientra nelle corde di questa società».
Marcello Lippi