Sul campo di calcio come sul campo di battaglia, come allenatore o come segretario generale della ÖFB, l’Associazione Calcio Austriaca, Hugo Meisl ha ottenuto onorificenze in qualsiasi ruolo abbia ricoperto. Suo fratello, il giornalista sportivo ed ex portiere Willy Meisl, lo avrebbe definito «il Pitt, Disraeli, Bismarck e Napoleone del calcio austriaco in un tutt’uno».
Era diventato condottiero sull’Isonzo negli anni della Grande Guerra e lo sarebbe diventato pochi anni dopo alla guida della sua creatura, il Wunderteam, ovvero la Squadra delle Meraviglie. Una formazione imbevuta dello spirito innovativo e rivoluzionario del suo allenatore e plasmata secondo la concezione scozzese del passing game, sviluppata in accordo alle caratteristiche dei suoi interpreti. Quelle della tecnica, del talento e della sfrontatezza che i giocatori viennesi fin da bambini avevano coltivato ai lati delle periferie della capitale.
Tra le due scuole calcistiche dell’epoca – quella inglese e quella scozzese – Meisl non aveva mai avuto dubbi: aveva optato per la seconda, che prediligeva passaggi rapidi e interscambiabilità tra giocatori alla durezza e alla rigidità espresse dagli inglesi. La sua vita, interrottasi alla soglia della Seconda guerra mondiale, lo aveva visto combattere al fronte e distinguersi nel mondo del calcio in qualità di giocatore, arbitro, allenatore, segretario generale della ÖFB e condirettore della testata Sport-Tagblatt, oltre ad aver ricoperto in gioventù una serie di impieghi lavorativi che lo avevano portato a vivere e lavorare all’estero, tra Trieste e Parigi.
Note biografiche

Hugo Meisl nacque il 16 novembre del 1881 a Maleschau – l’attuale Malešov – nell’allora Regno di Boemia, a quei tempi una provincia dell’impero austroungarico. La lingua madre della famiglia Meisl però era il tedesco: la comunità ebraica della quale i genitori del piccolo Hugo facevano parte proveniva dalla piccola cittadina mineraria di Kutna Hora, al tempo conosciuta con il nome di Kuttenberg, il cui 40% della popolazione parlava tedesco. Tuttavia, Hugo Meisl crebbe bilingue in quanto all’interno della regione si parlava ceco.
La famiglia si trasferì a Vienna nell’ultimo decennio del 19° secolo. Qui, Hugo Meisl decise di dedicarsi al calcio, entrando a far parte a 14 anni del Vienna Cricket and Football Club. Militò tre anni per il club e partecipò alla partita valida per la qualificazione alla prima edizione della Challenge Cup contro il Wiener AC con soli due altri giocatori austriaci, dato che al tempo tutti i membri restanti della squadra erano inglesi. La carriera come giocatore non diede però i risultati sperati e Meisl decise di intraprendere quella di arbitro. Ma per permettersi di portare avanti la propria passione, Meisl iniziò a lavorare per delle aziende in ambito commerciale, prima a Trieste, poi per un breve periodo in Inghilterra, infine a Parigi. In quegli anni Meisl studiò diverse lingue. Così in breve tempo, oltre al tedesco, si trovò a parlare fluentemente inglese, francese, italiano, spagnolo, olandese e svedese: un autentico poliglotta. Conoscenze che gli sarebbero tornate utili alla fine della Grande Guerra non solo per esercitare il ruolo di tecnico ma anche quello di giornalista, dato che avrebbe scritto per varie testate locali e internazionali, ad esempio il Neue Wiener Sportblatt.
Tornato in patria riprese a giocare, guadagnandosi il soprannome di Hirnfussballer, il giocatore con il cervello, per via della sua intelligenza calcistica a dispetto della fisicità. La parentesi come calciatore fu però breve e Meisl tornò a fare l’arbitro con esiti più incoraggianti: fu assunto dalla ÖFV in qualità di segretario responsabile per le questioni arbitrali e scrisse anche un manuale dedicato. Nel 1904, a soli 23 anni, diventò il primo segretario generale della ÖFV, fondata il 18 marzo ad opera dei due club più antichi della capitale: il First Vienna e il Vienna Cricket and Football Club.
Al di fuori del mondo del calcio, Meisl fu contrattato dalla Länderbank, la prima banca del paese, mentre a livello sportivo la sua carriera di arbitro e dirigente della ÖFV proseguì senza intoppi: nel 1907 arbitrò la sua prima partita internazionale – un’amichevole tra Austria e Ungheria – e fu tra coloro che rappresentarono l’Austria al congresso che la FIFA tenne ad Amsterdam. E solo un anno dopo diventò segretario del Vienna Cricketer and Football Club, antesignana dell’odierna Austria Vienna, dove ricoprì l’incarico di manager senza scordare gli impegni con la federazione: venne scelto come allenatore della nazionale in vista dei Giochi Olimpici 1912. Dopo un deludente pareggio contro l’Ungheria per 1-1, Meisl domandò all’arbitro di quella partita, James Howcroft, se potesse consigliargli un allenatore di sua fiducia per dirigere la nazionale. Il consiglio ricadde su James Jimmy Hogan, 28enne tecnico della squadra olandese del Dordrecht.
Il legame con Jimmy Hogan

Come Meisl, Hogan non vantava grandi trascorsi da calciatore. E come Meisl, Hogan si ispirava ai principi del passing game, sviluppando un gioco coeso incentrato sul possesso palla. La prima squadra a fare sfoggio di tale stile di gioco era stata il Queens Park, fondata a Glasgow nel 1867. Quello stile di gioco – oltre all’originaria definizione di passing game – veniva da molti riconosciuto come combination soccer e contemplava il dribbling in rarissimi casi, in quanto considerato un virtuosismo individuale non funzionale al gioco di squadra. Hogan accettò l’invito di Meisl e divenne il nuovo tecnico della nazionale austriaca. Insistette fin da subito su allenamenti basati sull’uso del pallone a discapito di sessioni pesanti a livello fisico e atletico. La tecnica, nel calcio che Hogan e Meisl erano in procinto di sviluppare, avrebbe avuto la precedenza su qualsiasi altro aspetto. Hogan, che durante i suoi primi giorni a Vienna aveva definito «spaventosa» la quantità di carne consumata dai giocatori austriaci, fu uno dei primi ad introdurre diete personalizzate.
Prima dell’arrivo di Hogan, la differenza tra il calcio inglese e quello danubiano era stata evidente. Ma il lavoro di Hogan diede presto i suoi frutti: fu sotto la sua guida che una squadra austriaca, l’Amateure, sconfisse per la prima volta una inglese, il Sunderland, per 2-1. Hogan era convinto che gli inglesi fossero ossessionati dalla condizione fisica e che ignorassero il controllo di palla, come testimoniato anche dalle sessioni settimanali di alcune delle squadre inglesi attorno ai primi anni del ‘900 che prevedevano l’uso della palla soltanto due volte a settimana.
Hogan e Meisl utilizzarono il 2-3-5, uno schema particolarmente in voga ai quei tempi, con i due terzini liberi da compiti di marcatura diretta, i mediani laterali a marcare le ali, il centromediano che si occupava del centravanti ed era al contempo il primo fulcro del gioco in fase di ripartenza. E poi il pentagramma offensivo, con cinque attaccanti: due ali, un centravanti e due mezzali che si inserivano negli spazi pronti a colpire. Tra Hogan e Meisl l’intesa era dunque totale.
Il più grande uomo che abbia mai incontrato nel mondo del calcio. Ho grande rispetto per Herbert Chapman, ma non ho mai incontrato un uomo di calcio come Meisl. Conosceva lo stile di gioco e la tecnica di qualunque nazione.
Jimmy Hogan parlando di Hugo Meisl
La simbiosi che si era instaurata tra i due fu anche testimoniata da un aneddoto curioso. Più in là negli anni, Hogan, ogni volta che avrebbe accettato un incarico con una federazione o squadra estera, avrebbe sempre fatto inserire nel proprio contratto una clausola che lo avrebbe liberato in caso di chiamata da parte della federazione austriaca.
La nazionale di Hogan e Meisl non brillò ad ogni modo alle Olimpiadi 1912, eliminata al secondo turno dall’Olanda. Meisl pretese Hogan al suo fianco anche alle successive Olimpiadi del 1916, ma lo scoppio della Grande Guerra impedì la disputa della competizione, e alle Olimpiadi di Berlino del 1936 dove l’Austria si arrese 2-1 in finale all’Italia.
A proposito degli anni della guerra, Meisl combatté nelle file dell’esercito asburgico sull’Isonzo e nell’undicesima battaglia, quella dove morì il padre di Sindelar. Venne insignito della Signum Laudis, la medaglia al merito militare, di una Croce al Merito Argentata, una Croce al Merito di terza classe e la Verwundetenmedaille, la medaglia del ferito. Per quanto concerne Hogan, invece, fu arrestato in quanto considerato “nemico sul suolo straniero”. Fortunatamente sarebbe poi stato salvato dall’intervento di Alfred Brúll, presidente dell’MTK di Budapest, che lo mise sotto contratto come allenatore nel 1916.
Mitropa Cup e Coppa Internazionale

Terminata la guerra, Meisl riprese il suo posto nella federazione e rivoltò come un guanto il calcio austriaco. La data decisiva fu il 21 settembre del 1924, quando Meisl dopo una lunga battaglia riuscì a rendere il campionato austriaco professionistico. Come sostenne il tecnico in un’intervista rilasciata nel 1926, l’introduzione del calcio professionistico rappresentò «in realtà una pratica per rimborsare i giocatori delle spese sostenute, una prassi che esisteva già durante gli anni della guerra». L’iniziativa di Meisl fu osservata con interesse anche in alcuni Paesi limitrofi: in Cecoslovacchia il calcio divenne professionistico nella stagione 1925-1926 e in Ungheria un anno dopo.
Come si era battuto per rendere il calcio austriaco professionistico, Meisl profuse altrettanti sforzi affinché il calcio potesse diventare un fenomeno internazionale. Così nel 1927 ideò la Coppa Mitropa, ovvero la Coppa dell’Europa Centrale. Nel giugno 1927 venne tenuto un congresso a Venezia al quale parteciparono le delegazioni di Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Italia – sebbene le squadre italiane avrebbero iniziato a prendere parte alla competizione a partire dal 1929 – e Yugoslavia. In un primo momento, però, la competizione non fu riconosciuta dalla FIFA e si risolse in un accordo privato tra le federazioni firmatarie. La presenza delle squadre tedesche non fu invece contemplata: quando nel 1924 il calcio austriaco era divenuto professionistico, la Deutscher Fußball-Bund (DFB) – la federazione calcistica tedesca – aveva proposto l’esclusione dell’Austria dalla FIFA in quanto la ÖFB aveva cessato di attenersi alle regole del calcio amatoriale.
La Coppa Mitropa o Coppa dell’Europa Centrale, a cui appunto partecipavano ogni estate le migliori squadre italiane, austriache, cecoslovacche, ungheresi e dal 1929 yugoslave, ebbe un successo strepitoso in termini di pubblico e numero di campioni. Lo stesso anno in cui fu fondata la Mitropa Cup, sempre grazie a Meisl si arrivò anche alla creazione della Svehla Cup – conosciuta in Italia come Coppa Internazionale –, antesignana dei moderni campionati Europei che andrà avanti fino al 1960, la cui edizione iniziata nel 1936 sarebbe però stata interrotta nel 1938 a causa dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista.
Uno degli obiettivi di tale competizione era la ricostituzione dei rapporti diplomatici tra nazioni che avevano combattuto al fronte. Hugo Meisl aveva odiato la sua esperienza al fronte e ciò lo aveva motivato a fungere da collante tra i popoli attraverso la sua più grande passione, il calcio. La competizione non aveva una durata prefissata, sebbene ogni edizione durò all’incirca due anni e funzionava con il format di un campionato, ovvero con partite di andata e ritorno. Vi parteciparono Austria, Italia, Ungheria, Cecoslovacchia, Svizzera e nell’ultima edizione anche la Yugoslavia.
Alla manifestazione per professionisti fu affiancata anche un’edizione amatoriale, che si disputò in due occasioni tra il 1929 e il 1934 e in cui militarono una volta a testa Polonia e Romania, rivali di selezioni nazionali amatoriali di Ungheria, Austria e Cecoslovacchia. Grazie alla propria presenza nella Coppa Internazionale, la nazionale austriaca sarebbe tornata a disputare una competizione internazionale. L’ultima sua apparizione era stata quella dei Giochi Olimpici del 1912, visto che nel 1924 e nel 1928 la federazione austriaca era stata esclusa in quanto aveva già virato sul modello professionistico.
L’avvento del Wunderteam

Diventato allenatore della nazionale in pianta stabile dal 1919, Meisl portò avanti l’idea di calcio che aveva partorito con Hogan. Per indole, Meisl non era tipo da scendere a compromessi, anche se di fronte aveva grandi campioni. Un caso per tutti è quello di Matthias Sindelar, che non godette fin da subito della fiducia incondizionata del proprio allenatore. Meisl gli preferì spesso altri attaccanti, come Karl Jiszda – un centravanti potente all’inglese – e Ferdinand Wesely, attaccante del Rapid, e più in avanti anche Friedrich Gschweidl, che sebbene non fosse un grande goleador possedeva altre caratteristiche come una struttura fisica imponente e un eccellente colpo di testa.
Con il tempo, però, complice l’esplosione di Sindelar nell’Austria Vienna, Meisl iniziò a sperimentare Gschweidl e Sindelar contemporaneamente, nella speranza che i due, grazie alle loro diverse caratteristiche, potessero coesistere. Ma il rapporto tra Meisl e Sindelar continuava ad essere ondivago: il 6 gennaio 1929, dopo una sconfitta per 5-0 contro una selezione regionale tedesca composta in prevalenza da giocatori del Norimberga e del Greuther Fürth, Meisl aveva litigato con il giocatore e aveva deciso di estrometterlo dalle convocazioni per diverse partite. Tuttavia, a partire dal 1930, Sindelar riprese il suo posto tra i convocati. Sintomo che, forse, quei dissidi erano svaniti in fretta. Tra Meisl e Sindelar vi era mutuo rispetto: Sindelar vedeva in Meisl un’autorità assoluta e Meisl vedeva in Sindelar un genio del calcio.
Più in generale, Meisl cercava sempre di mantenere una distanza tra se e i suoi giocatori, motivo per il quale si rivolgeva a Sindelar dandogli del lei e chiamandolo Herr Sindelar. Da un lato, Sindelar rappresentava per Meisl il giocatore ideale per interpretare il ruolo di centravanti, un ruolo che nell’idea di Meisl doveva essere quello del giocatore capace di indietreggiare e fungere da uomo assist per i compagni; dall’altro le frizioni tra i due lo avevano più volte indotto a rinunciare al fuoriclasse dell’Austria Vienna. Meisl fu ripetutamente tentato di sostituirlo con Josef Bican, un giovane attaccante del quale il tecnico si era innamorato fin da subito per la sua fame di gol, tecnica e velocità. Ciò che aveva convinto il tecnico a non prendere tale iniziativa erano state le prestazioni di Sindelar con la maglia dell’Austria Vienna, non ultimi i successi nella Coppa Mitropa. Alla fine della Coppa del Mondo del 1934, però, i tempi sembravano essere maturi: Sindelar andava per i 32 e solo la fuga di Bican in Cecoslovacchia impedì a Meisl di sostituire il vecchio maestro con il giovane allievo.
Ma anche se tra i due i rapporti non furono sempre idilliaci, è indubbio che l’epoca d’oro della nazionale austriaca di Meisl coincise con gli anni d’oro di Sindelar, tra il 1931 e il 1936. L’avvio di quel fortunato periodo fu un tonante 5-0 alla Scozia del 16 maggio 1931, nonostante gli scozzesi fossero privi dei giocatori di Glasgow Rangers e Celtic Glasgow. Con il solito aplomb britannico, i giornali del Regno Unito si erano tolti il cappello dinnanzi a quella prestazione. Sul giornale Athletic News il giornalista Ivan Sharpe aveva scritto: «Negli anni 1920 e 1921 il calcio inglese e scozzese avevano aggiunto il loro apice. In quel periodo, l’Inghilterra trionfò contro la Scozia per 5-1 a Wembley e nella partita di ritorno la Scozia si impose per 5-1 a Glasgow. Le due squadre che vinsero queste partite giocavano molto bene, ma io sono dell’idea che l’attuale nazionale austriaca sia meglio di entrambe».
Fu proprio in quell’occasione che la squadra di Meisl fu ribattezzata Das Wunderteam, la Squadra delle Meraviglie. Ci fu chi, come Josef Gerö, presidente dell’Associazione Calcio di Vienna, sostenne che quello fosse stato il successo più importante della selezione austriaca in campo internazionale e chi, come Sindelar, al termine della partita sottolineò l’evidente gap tecnico tra le due squadre. Nel giro di qualche mese, l’Austria inflisse alla Germania due umilianti sconfitte: 0-6 nell’incontro disputato a Berlino il 24 maggio e 5-0 nella partita del 14 settembre, a Vienna, di fronte a 50.000 spettatori. Sindelar, oramai un punto fermo della nazionale, nel secondo incontro mise a segno una tripletta.
La famosa partita di Londra
Altre vittorie schiaccianti furono quelle contro la Svizzera e l’Ungheria. Gli uomini di Meisl si imposero sugli elvetici con il roboante risultato di 1-8 a Basilea e per 8-2 contro l’Ungheria davanti a 60.000 spettatori. Il 28 ottobre del 1932, in seguito alla vittoria della Cecoslovacchia sull’Italia, l’Austria si aggiudicò la seconda edizione della Coppa Internazionale e venne invitata a disputare un incontro a Londra contro l’Inghilterra, un’onorificenza fino ad allora concessa solo al Belgio e alla Spagna, rispettivamente nel 1923 e nel 1931. I precedenti non erano incoraggianti: nel 1923 l’Inghilterra si era disfatta del Belgio per 6-1 e nel 1931 la partita tra Inghilterra-Spagna era terminata 7-1.
Anche se l’Austria non sembrava attraversare un periodo particolarmente brillante, l’occasione era troppo ghiotta e Meisl richiamò Hogan, che riuscì a partecipare grazie all’intercessione di Herbert Chapman, il quale aveva convinto il Racing Club de Paris a liberare l’allenatore durante le due settimane che precedevano l’incontro di Londra. La preparazione al match fu meticolosa: Meisl organizzò tre conferenze settimanali, le sessioni di allenamento erano prevalentemente incentrate sull’uso della parte superiore del corpo e sulla conoscenza dello stile di gioco britannico.
L’arbitro designato fu il belga Langenus, il direttore di gara più rispettato del tempo a livello internazionale. Il 1° dicembre 1932, la formazione austriaca partì alla volta di Londra dalla stazione di Westbanhof. La squadra fu attesa da migliaia di sostenitori e da un clima di totale entusiasmo. In Inghilterra c’era comunque grande rispetto per gli austriaci. Il Daily Mail scrisse: Non dobbiamo dimenticare che gli austriaci dispongono di giocatori brillanti. Io so, ad esempio, che Sindelar vale esattamente quanto i migliori attaccanti inglesi: è brillante nel controllo della palla e conclude altrettanto bene con entrambi i piedi. E sia Zischek che Hiden sono giocatori di prim’ordine.
A Vienna, la Heldenplatz traboccava di spettatori. Tre enormi altoparlanti erano stati posizionati al fine di poter ascoltare la telecronaca di Willi Schmieger e Balduin Naumann. Lo stesso comitato parlamentare sulla finanza aveva posticipato la sua seduta in occasione dell’incontro. Gli spettatori che si erano recati a Stamford Bridge per l’incontro del 7 dicembre erano 42.000, un numero decisamente basso vista la portata dell’evento che rifletteva però gli umori della vigilia: si pensava che l’Inghilterra avrebbe avuto vita facile.
In effetti, gli inglesi andarono a segno già nei primi minuti: Hiden, forse sotto pressione per dover giocare sotto gli occhi di Chapman, quell’allenatore che lo avrebbe insistentemente voluto all’Arsenal, non era stato impeccabile. La qualità degli austriaci iniziò a notarsi, ma furono ancora gli inglesi a segnare, un’altra volta con Hampson. Al 27′ il risultato era 2-0 e solo allora l’Austria cominciò a carburare. Smistik e Sindelar salirono in cattedra, ma il giocatore più attivo era Zischek grazie alle sue scorribande sulla destra. La palla del 2-1 capitò sui piedi di Vogl, che però sprecò. Ad inizio secondo tempo, Hiden si oppose a una conclusione di Houghton e poco dopo, al termine di una combinazione tra Sindelar, Schall e Zischek, la palla terminò in rete: 2-1. Iniziò un assedio che portò l’Inghilterra a trincerarsi dentro la propria area, con l’Austria che batté quattro calci d’angolo consecutivi. Di testa, Nausch colpì il palo e la conclusione di Schall venne neutralizzata dal portiere. L’Inghilterra si ricompattò, e dopo due eccellenti parate di Hiden andò a segno su punizione con Houghton. Il risultato era palesemente bugiardo, dato che gli austriaci si stavano dimostrando superiori in diverse fasi del gioco.
Poi, lo show di Matthias Sindelar: dopo aver ricevuto palla da Vogl, superò la metà campo, evitò un paio di tackle fuori tempo degli avversari e presentatosi davanti a Hibbs insaccò: 3-2, partita riaperta. Quella giocata fu applaudita anche dal pubblico inglese che, a onor del vero, aveva iniziato ad entusiasmarsi per le iniziative degli austriaci da ben prima di quella prodezza. Anche l’arbitro Langenus, scelto per l’occasione, a fine partita dirà la sua su quel gol: «Il gol di Sindelar fu un capolavoro che nessuno altro potrebbe fare contro gli inglesi. Nessuno prima o dopo di lui». In realtà, un altro giocatore ci sarà, e sarà Diego Armando Maradona 54 anni dopo (leggi qui). Due minuti dopo, all’82’, una conclusione a lunga gittata di Sammy Crooks sorprese Hiden e portò l’Inghilterra sul 4-2. A cinque minuti dalla fine, Zischek segnò ancora sugli sviluppi di un calcio d’angolo, e verso lo scadere fu annullato un gol agli inglesi. La gara terminò 4-3.
Nonostante la sconfitta, la prestazione dell’Austria fu ammirata da tutti. Tanto che anni dopo Willy Meisl raccontò un aneddoto particolare: Qualche anno dopo, quando mi ero trasferito in Inghilterra, tornai a Stamford Bridge. Sapevo che un biglietto era stato riservato a mio nome. Timidamente chiesi: “Ha una busta per Meisl”? L’incaricato iniziò a sfogliare l’enorme pila di lettere mentre io cominciavo a pensare che non avesse compreso la mia pronuncia o che quel biglietto non fosse mai stato riservato. Così, cominciai a fare lo spelling del mio nome, mentre l’incaricato trovò la busta. Me la consegnò con la fermezza di un sergente, cosa che probabilmente era stato in passato, e in maniera tranquilla e sincera mi disse: “Non dimenticherò mai questo nome finché rimarrò in vita”.
La stampa, oltre a proporre dettagliate analisi della partita, si era concentrata anche su alcune prestazioni individuali. Anton Schall fu definito uno ‘stratega di prima classe’, ma a venire particolarmente elogiata fu la prestazione di Matthias Sindelar. Un giornalista del Daily Herald scrisse: ‘Sindelar è il miglior centravanti che l’Europa continentale abbia mai conosciuto. Non ricordo una giocata, un tocco o una sua finta fatta non a beneficio della propria squadra’.
Il Mondiale italiano e la morte di Meisl

Il 1933 fu un anno un po’ meno brillante per il Wunderteam, che però seppe riprendersi in tempo per la Coppa del mondo del 1934, come confermò un 5-2 all’Ungheria in cui ancora Sindelar diede spettacolo. In Italia, l’Austria si presentò con i galloni di favorita, ma venne piegata in semifinale 1-0 dall’Italia non senza polemiche per l’arbitraggio giudicato casalingo del direttore di gara svedese Eklind. Sindelar venne controllato duramente da Monti. In quel Mondiale Meisl aveva cercato di far coesistere la grazia di Sindelar e la modernità di Bican, ma non tutto funzionò nel modo sperato.
L’Austria tentò di riprendersi lo scettro continentale nella Coppa Internazionale del 1935, ma finì seconda preceduta dalla solita rivale Italia. Pareva l’inizio del declino e forse era così. Ma gli austriaci si tolsero ancora una soddisfazione straordinaria: il 6 maggio del 1936 superarono 2-1 in casa in amichevole l’Inghilterra. Gli inglesi, esattamente come due anni prima, erano in maggioranza rappresentati da giocatori dell’Arsenal. Arbitro dell’incontro fu ancora Langenus. Per l’occasione, l’Austria indossò una divisa rossa con bordi bianchi. Dopo soli 20 minuti i 60.000 spettatori dello stadio di Vienna erano in visibilio: l’Austria era avanti di due reti, grazie alle marcature di Viertl e Geiter. Sindelar, con due assist, sembrava incontenibile. La partita terminò 2-1, il gol di Camsell al 54′ non spostò il verdetto. Fu la prima volta in cui l’Austria diede l’impressione – sebbene un certo equilibrio fosse apparso evidente già quattro anni prima – che la supremazia del calcio inglese su quello continentale avesse iniziato a vacillare.
Da lì a un anno solamente, il 17 febbraio 1937, Meisl morì all’età di 55 anni a causa di un attacco cardiaco, problema che si era già manifestato anni prima quando per un breve periodo il tecnico aveva lasciato Vienna per curarsi. L’allenatore si trovava negli uffici della ÖFB per interrogare Richard Fischer, una giovane promessa del First Vienna sulla sua età. Fischer sosteneva di avere 17 anni ma Meisl, non ne era convinto. All’improvviso Meisl fece un cenno a Fischer, si sedette e un secondo dopo collassò. Fischer chiese subito aiuto e i vertici dell’ÖFB si affrettarono a chiamare Emanuel Schwarz, medico e presidente dell’Austria Vienna. Ma non ci fu nulla da fare: Schwarz arrivò sul posto e poté soltanto confermare la causa della morte.
Il funerale si tenne il 21 febbraio. Tra gli invitati c’erano quasi tutti i giocatori allenati da Meisl nel corso degli anni. Qualcuno – come Josef Bican – arrivò anche dall’estero. Tra lacrime e commozione, a dare l’addio finale al tecnico austriaco in nome dell’intera squadra fu l’ex capitano Walter Nausch che dichiarò: «Mi avvicino alla bara in nome della squadra che Hugo Meisl creò, in rappresentanza di tutti i giocatori in attività. Ci separiamo per sempre dal nostro caro amico Hugo Meisl. Noi giocatori austriaci non lo dimenticheremo mai».
Diverse condoglianze arrivarono anche dall’estero. Jules Rimet, con il quale Meisl aveva collaborato alla creazione della Coppa del Mondo, giunse a Vienna in occasione del funerale. Anche dalle testate estere arrivarono tributi per il tecnico e vate del Wunderteam. L’Excelsior di Parigi salutò Meisl ricordandolo come ‘il Napoleone del calcio austriaco’, mentre la Gazzetta dello Sport scrisse: ‘Non esiste uomo dello sport italiano che non sia rimasto profondamente commosso da questa perdita. L’Italia ha perso un amico e un compagno di battaglia che si è prodigato con tutta la sua energia per favorire gli interessi del calcio italiano’. Il giornale ungherese Nemzeti Sport ricordò invece il suo impegno a livello internazionale e le sue battaglie per promuovere la cooperazione tra nazioni.
All’interno del museo dell’Austria Vienna, un intero salone di 20 metri quadrati è stato dedicato alla memoria di Hugo Meisl dove vi sono esposti alcuni degli oggetti che decoravano il suo ufficio di Karl-Marx- Hof: una poltrona, un tavolino con due sedie, dei cuscini, uno scaffale con un piano e una scrivania.