Immagine di copertina: Peter Taylor e Brian Clough con la Coppa dei Campioni
Nella terra verde e umida delle East Midlands, dove il fiume Trent scorre come il tempo ricco di storie epiche e leggende, si erge una figura, alta e imperiosa, che ha saputo riempire le pagine più gloriose del calcio inglese. Brian Clough, con i suoi modi spesso bruschi, le sue visioni eccentriche , una parlantina che avrebbe potuto incantare anche il più scettico dei critici, fu il maestro di un’era d’oro per il Nottingham Forest. La sua storia è intrinsecamente legata a quella di un altro grande personaggio, il suo mitico assistente, Peter Taylor, nonché corpulento e fiero come un moderno Little John, sempre pronto ad affiancare e supportare il più volatile Robin Hood del calcio.
Clough, con il suo piglio deciso e l’acume sagace, era un maestro dell’insubordinazione costruttiva, simile al coraggioso Robin. Non armava l’arco, ma orchestrava il gioco con una visione che perforava la mediocrità della vita quotidiana, elevando il calcio a una forma d’arte epica. E come Robin aveva al suo fianco il fidato Little John, Clough poteva contare sull’assistenza fondamentale di Peter Taylor. Taylor, con la sua figura accogliente e sagacia tattica, era la perfetta spalla, il consigliere leale che sapeva tramutare in realtà i sogni audaci del suo capitano.
Clough, come il leggendario ladro gentiluomo, non si limitava a rubare punti e vittorie. Semplicemente aveva avuto come dono dal “Buon Dio” la capacità di scuotere le fondamenta del calcio britannico con una miscela inebriante di audacia e genialità. In quella che può sembrare una favola calcistica, il Nottingham Forest, sotto la sua ala protettrice, conquistò la First Division (l’allora massima serie del calcio inglese) nel 1978 dopo un’ascensione fulminea da una retrocessione appena un paio d’anni prima.

Statisticamente parlando, quel Nottingham Forest divenne la prima – e finora l’unica – squadra a vincere la Coppa dei Campioni (oggi conosciuta come Champions League) per due anni consecutivi (leggi qui la cronaca della finale contro il Malmoe nel 1979 e qui quella contro l’Amburgo nel 1980) partendo dalla Second Division, nel 1979 e nel 1980 per l’esattezza. Un risultato che riempie le menti dei tifosi dei Garibaldi Reds di reverenza, simile all’eco di una freccia che fende l’aria in un bosco incantato.
Nel primo anno di trionfo europeo, Clough guidò la sua squadra a una straordinaria stagione: la squadra terminò il campionato con 73 punti, siglando 65 gol e subendone solo 24, un rapporto che farebbe invidiare anche le grandi del presente. Ma oltre ai numeri, c’era un’atmosfera palpabile, un’energia che si sprigionava dal campo e che faceva vibrare le anime dei suoi giocatori e dei tifosi.
La simbiosi tra Clough e Taylor, nell’arte dell’allenamento, ricorda seriamente quella tra Robin Hood e Little John; il primo, audace e visionario, il secondo, pratico e saggio, capace di tenere a bada le impennate emotive del suo leader. Mentre Clough si concentrava sull’ispirare il suo team a sfidare l’impossibile, Taylor si assicura che il terreno fosse fertile per il trionfo. In tal senso, il duo diventò una leggenda, ammirato e invidiato dagli avversari, così come i famosi fuorilegge di Sherwood erano rispettati e temuti.
Non direi di essere il miglior allenatore al mondo, ma sono sicuramente nella top one.
Roma non fu costruita in un giorno, ma io non ero lì.
Se Dio avesse voluto che giocassimo a calcio tra le nuvole, avrebbe dovuto mettere l’erba lì su.
Alcune delle massime di Brian Clough
Spesso nella letteratura sportiva c’è una frase che viene usata a sproposito più delle altre: «Non era solo un allenatore ma molto di più». Per Brian Clough però mi permetto di riesumarla e di essere con ogni probabilità ridondante nelle mie affermazioni. Clough non era solo un allenatore, ma un vate del calcio, capace di plasmare il destino con parole tanto affilate quanto il suo ingegno. Sua è la frase ormai leggendaria: «Penso che il calcio debba essere giocato con passione, ma nella mia maniera». Come un giusto ribelle, sfidava il sistema, trascinando il Nottingham Forest dalle paludi dell’oscurità alle luci abbaglianti della gloria, un’impresa titanica che riecheggia tra le cronache come le gesta di una banda di ventura.
Ciò che renderebbe il parallelismo ancora più affascinante sarebbe il profondo legame con la comunità: come Robin rubava ai ricchi per dare ai poveri, Clough sfidava le grandi squadre del calcio inglese a restituire al Nottingham Forest l’onore perduto. Si parlava di Clough non solo come di un manager, ma anche come di un’entità quasi mitologica, capace di trasformare la squadra in un simbolo di rinascita.
A distanza di decenni, la leggenda di Brian Clough e del Nottingham Forest continua a raccontarci una storia di passione, ribellione e trionfi inaspettati. E mentre celebriamo quei giorni gloriosi, non possiamo che chiudere questa riflessione con un’eco festosa di speranza e colori, una celebrazione della vita e del calcio, un grido che riecheggia nel cuore di chi ama questo sport. “Urca Urca tilulero oggi splende il sol”.