Completiamo il ciclo dedicato alle grandi strisciate del calcio italiano facendo spazio alla Vecchia Signora, il club italiano più amato (e, di riflesso, detestato) e vincente (all’interno dei confini nazionali).
Nessuno rappresenta l’Italia, nel calcio, come la Juventus, per molte ragioni non solo sportive (il profondo e complesso legame della famiglia Agnelli e della FIAT con la storia e con la classe politica del nostro paese). Quasi tutti i cicli vincenti della nazionale azzurra (che si parli dei successi del Ventennio o degli eroi di Spagna 1982) sono stati costruiti su solide fondamenta bianconere, e anche sul piano “filosofico”, quando si ragione in termini di visione del football, la Juventus è quasi la sineddoche dell’Italia: il risultato è l’unica cosa che conta, forse, e le formazioni bianconere sono sempre state più votate alla solidità, alla sostanza e al carattere che all’accademia/alla ricerca estetica in sé, ma è anche vero che la Juventus è stata la casa accogliente che ha ospitato molti dei massimi numeri dieci transitati sul territorio italiano.
La sua continuità nel nostro campionato non ha rivali, tanto che è difficile ricordare un decennio buio nella storia bianconera. Non sono mancate naturalmente le stagioni negative, gli scivoloni, i periodi complicati, ma nel complesso la Juventus si è dimostrata quasi sempre in grado di rimanere aggrappata alla nomea di squadra di vertice, obbligata per statuto a vincere – e, per lungo tempo, a dare la priorità al campionato italiano.
Anche per questo è stato difficile allestire la formazione bianconera ideale del dopoguerra, e questo nonostante le dolorose esclusioni rese necessarie dai nostri criteri di scelta: i gloriosi anni ’30 sono periodo tra i più fulgidi della storia bianconera, con i cinque scudetti di Mr. Carcano, l’ossatura della nazionale azzurra e una pletora di fuoriclasse che non possiamo evitare di citare – il piccolo artista Mumo Orsi, il cervello sopraffino e il motore inesauribile noto come Giovanni Ferrari, l’uomo che portò l’Italia nel professionismo (Virginio Rosetta), un fuoriclasse del gol immarcabile e sfortunato (“Farfallino” Borel), leader spavaldi e dalla scorza durissima come il fuoriclasse Luis Monti o gli innumerevoli gregari che da sempre fanno le fortune della squadra di Torino.
Pagata la rata al mutuo della storia, ci addentriamo nell’epoca moderna.
Portiere: Gianluigi Buffon
Personalmente non abbiamo molti dubbi nell’indicare Gianluigi Buffon (a cui abbiamo dedicato un articolo qui) come miglior portiere della storia della Juventus. Riflessi felini, senso della posizione, eccezionale nelle uscite basse e alte e – contrariamente alla vulgata che si è consolidata – bravissimo anche nel neutralizzare i rigori, Super Gigi ha difeso la porta della Juventus per quasi vent’anni, consacrandosi come uno dei migliori portieri in circolazione, nonché come uno dei massimi interpreti del ruolo. Ha vissuto gli anni della Triade, Calciopoli, la Serie B, la rinascita ed il ciclo degli anni Dieci da assoluto protagonista, giganteggiando anche in Europa (2003, 2015, 2017), pur non riuscendo mai ad alzare al cielo la Coppa dalle Grandi Orecchie, nonostante le prestazioni gigantesche in due delle tre finali giocate.
Lo segue a ruota il friulano Dino Zoff, portiere “pragmatico” dall’incredibile senso della posizione e dall’eccelsa lettura del gioco e “poco avvezzo alla parata spettacolare per i fotografi”: arrivato alla Juventus per la consacrazione definitiva, dopo diversi anni ad altissimi livelli a Napoli, Dinone ha difeso con successo la porta bianconera per undici anni, contribuendo alla vittoria di sei scudetti e soprattutto della prima Coppa UEFA. La sua stagione d’oro 1972-1973, con tanto di record d’imbattibilità in campionato, gli valse il secondo posto al pallone d’oro, dietro solamente a un incontenibile Johann Cruijff.
Non vanno dimenticati altri candidati illustri: dall’istintivo umbro Stefano Tacconi – protagonista del maxi ciclo trapattoniano degli anni ‘80 che collocò la Juventus in cima al mondo – ad Angelo Peruzzi, protagonista di tante notti internazionali del primo ciclo trionfale di Marcello Lippi. Un onorevole menzione spetta anche al polacco Wojciech Szczesny, raro punto di forza di una Juventus che viveva anni declinanti alla ricerca di se stessa.
Terzino destro: Claudio Gentile
Claudio Gentile si merita i galloni del titolare come terzino destro della Vecchia Signora: difensore eclettico, eccellente nella marcatura dell’avversario ed al contempo abile anche nelle doti offensive e di partecipazione al gioco, il giocatore nato a Tripoli è stato un assoluto punto di forza della Juventus di fine anni ‘70 ed inizio anni ‘80. Nell’immaginario collettivo è stato il perfetto contraltare al “terzino fluidificante” rappresentato da Cabrini sulla fascia opposta. Poteva giocare anche terzino sinistro, nonché mediano. La sua duttilità e continuità lo hanno consacrato come uno dei migliori difensori italiani universalmente riconosciuti.
Abbiamo deciso di spostare a destra il francese Lilian Thuram, che alla Juventus si è distinto soprattutto come difensore centrale, ma non cambia la sostanza: il campione del mondo 1998 ha inanellato a Torino stagioni strepitose, prima con Marcello Lippi e poi con Capello. Celebre è la sua doppietta al Milan nel 2003, lui che non era esattamente un uomo-gol.
Una menzione spetta anche a Moreno Torricelli, uno dei simboli della Juventus del primo ciclo Lippi, che valorizzava i gregari e le seconde linee, in un gioco tipicamente italiano fatto di sacrificio, intensità e coralità di squadra. Chi scrive ha raccolto la mandibola da terra più volte, osservando le prestazioni di Torricelli nelle campagne europee soprattutto del 1996 e 1997.
Difensore centrale: Gaetano Scirea
Ci correggiamo subito: definire Gaetano Scirea un difensore è come noto riduttivo, perché Gaetano, ancora più del Coyote olandese Marco Tardelli, è stato un giocatore universale. Difensore vero e purissimo nella propria area, centrocampista vero quando si trattava di impostare il gioco (tanto da ricordare addirittura, ci si conceda un pizzico di esagerazione, le movenze del sommo Don Andrés Iniesta), attaccante vero quando si portava nei pressi della difesa avversaria.
Forse il giocatore più amato della storia del calcio italiano, anche per la sua tragica e prematura scomparsa, Gaetano, nella sua normalità, è stata un’anomalia vivente: forte di una serenità invincibile, leader silenzioso e “buono”, ha vestito la maglia bianconera per una vita, portando a casa una marea di trofei da protagonista, e coronando a Madrid, in una calda estate del 1982, il suo sogno di bambino, quello di alzare al cielo la coppa del mondo (per poi ritirarsi nella propria stanza a leggere un libro, in compagnia dell’amico fraterno Dino, che ancora racconta con emozione quei momenti, la gioia incontenibile eppure condivisa in maniera silenziosa). Legatissimo per l’appunto all’amico Dino Zoff, che pure all’inizio diffidava di lui (“Pensavo fingesse, perché una persona non può essere così buona e pulita e al tempo stesso essere un leader”), è uno dei massimi fuoriclasse della sua epoca e un titolare inamovibile della squadra bianconera all time.
Altro leader silenzioso e altro giocatore di statura internazionale, Ciro Ferrara, più uno stopper classico, rispetto a Gaetano, è a sua volta un pezzo di storia del club torinese. Approdato ai bianconeri dopo gli anni di gloria vissuti a fianco di Maradona a Napoli, in Piemonte Ciro si è consacrato un campionissimo e un vincente, un marcatore ruvido ma corretto e straordinario sul piano della continuità. Per lui, si contano a Torino 358 presenze, 20 reti, 5 scudetti e una Champions.
Altro marcatore classico e altra colonna della difesa della Juventus, Andrea Barzagli non può seriamente essere escluso dalla formazione de qua: la sua maturazione tardiva ha rischiato di relegarlo nel limbo degli incompiuti, e invece, una volta sbarcato a Torino, il poderoso Andrea ha messo le ali e ha disputato, dopo i trent’anni, le stagioni migliori della sua carriera. Chi scrive ricorda, in particolare, le sue prestazioni quasi inverosimili nel corso della stagione 11/12, quando di fatto non sbagliò un intervento, lasciando di stucco tutta Italia.
Da ultimo, non può essere escluso dalla rosa Sandro Salvadore, uno dei grandi “liberi” della storia bianconera, libero e all’occorrenza stopper e laterale. Giocatore di grande temperamento ma dotato anche della qualità necessaria per essere pericoloso palla al piede, vanta 460 presenze in bianconero, ed è stato colonna della squadra soprattutto negli anni ’60.
Difensore centrale: Giorgio Chiellini
Per anni sottoposto in maniera ingiusta e pregiudizievole a critiche ingenerose di ogni tipo (me ne sono occupato qui), non ho remore nell’affidare la titolarità di questo ruolo a Giorgio Chiellini: nato terzino sinistro ma consacratosi stopper, è stato assoluto protagonista del reparto difensivo bianconero per oltre un decennio, contribuendo ai successi nazionali ed al raggiungimento delle due finali di Champions (senza dimenticare i numerosi brillanti Europei con la nazionale azzurra). Perfetto nella difesa a tre, ma anche a quattro come difensore centrale, Chiellini era eccellente nella marcatura e nel corpo a corpo: rude ma non violento, energico ma non cattivo, un certo José Mourinho disse di lui che “doveva tenere ad Harvard un corso in materia di difesa”.
Un altro “duro” è stato sicuramente Sergio Brio, che come pochi ha incarnato quella juventinità battagliera e da trincea: protagonista del ciclo vincente degli anni ‘80, Brio è stato membro di una delle migliori retroguardie di sempre del calcio italiano ed europeo, vincendo praticamente tutto. Epici sono stati i suoi duelli atletici e muscolari con gli attaccanti avversari, per ulteriori informazioni citofonate a Roberto Pruzzo.
Idolo della tifoseria bianconera è anche Paolo Montero, uruguaiano noto per la sua grinta ed irruenza difensiva, protagonista della Juventus di metà anni Novanta ed inizio anni Duemila. Nonostante oggi la sua immagine sia nota al pubblico generalista come quella di un giocatore falloso (“o la palla o la gamba, tutte e due non passano”), il difensore sudamericano ha mantenuto alti standard di rendimento, convincendo gli allenatori (Lippi, Ancelotti) a puntare su di lui per molti anni.
Ancora, menzione doverosa per Francesco Morini, lo stopper della Juventus degli anni ’70, ruvido, molto forte fisicamente, insuperabile nel gioco aereo e dedito esclusivamente alla marcatura. Francesco a Torino gioca 377 partite, nel corso di dieci stagioni da titolare, e incamera una vasta pletora di trofei.
Terzino sinistro: Antonio Cabrini
Il Bell’Antonio si infilava nei sogni delle ragazzine di tutta Italia, nei primi anni ’80, e popolava però anche gli incubi degli attaccanti avversari, perché il suo viso da bravo ragazzo cremonese mascherava la grinta del grande difensore (per quanto ostile alle durezze gratuite) e la classe dell’ala. Scoperto dal pubblico italiano nel corso della stagione 77/78 e dal mondo intero durante i mondiali argentini, Antonio Cabrini solca la fascia sinistra del Comunale per quasi quindici anni, vincendo tutto da protagonista e deliziando i tifosi con le magie del suo piede sinistro, educato come quello di un artista del dribbling. Memorabile il suo contributo al titolo mondiale vinto in Spagna nel 1982 – chi non ricorda il cross pennellato sulla testa di Pablito all’inizio di Italia-Brasile, la giocata che sposta gli equilibri della gara?
In seconda posizione Gianluca Zambrotta, 217 partite in maglia Juve tra il 1999 e il 2006 con due scudetti e una finale di Champions League persa. Nato ala, ha poi giocato terzino su ambo le fasce con risultati brillanti, bravo a difendere ma ancora di più ad attaccare, ed è diventato anche una colonna della nazionale con cui ha vinto il Mondiale del 2006.
Antonello Cuccureddu è stato uno dei primi olandesi d’Italia, un giocatore polivalente e dotato di un’intelligenza tattica non comune, ma riteniamo che sia giusto affidagli quello che è stato per lungo tempo il suo “ruolo naturale”, ovvero quello di terzino sinistro. Colonna della Juventus degli anni ’70, a Torino ha collezionato 438 presenze e 39 reti, portando a casa da titolare una marea di trofei nazionali e la Coppa UEFA del 1977. Campione con la C maiuscola.
Gianluca Pessotto è stato invece l’ipostasi dell’idea di gregario di lusso e anche del concetto di affidabilità: persona seria, di cultura (laureato in giurisprudenza e appassionato di letteratura) e posata, atleta di spessore nazionale, Gianluca ha incarnato lo spirito operaio della Juventus di Lippi (la cui maglia ha indossato 366 volte), vestendo a lungo anche l’azzurro Se era raro, forse impossibile, vederlo decidere una partita, era ancora più raro vederlo sbagliare una partita.
Regista: Giampiero Boniperti
Una delle migliori incarnazioni della “juventinità”, Giampiero Boniperti è stato LA Juventus e per quindici anni. Ha giocato come ala e soprattutto come attaccante (strepitosa la sua stagione 47/48, che gli vale l’ammirazione incondizionata di Valentino Mazzola), ma abbiamo deciso di schierarlo regista, perché nella seconda parte di carriera ha arretrato il suo raggio d’azione, per la gioia di Gianni Brera che lo voleva vedere impostare il gioco e dispensare assist – e lo farà divinamente soprattutto alle spalle del piccolo demonio Omar Sivori e del gigante buono John Charles. Boniperti è ancora oggi il secondo miglior marcatore della storia della Juventus, con 185 reti, superato solo da Del Piero nel 2006.
Venendo a tempi più recenti, il dominatore in bianconero in questo ruolo è stato senza ombra di dubbio il bresciano Andrea Pirlo, autentico faro attorno a cui Antonio Conte ha costruito la Juventus nelle stagioni della rinascita dopo la Serie B e gli anni di transizione: nessuna scelta fu più azzeccata, perché la Juventus instaurò una dittatura casalinga destinata a durare per molti anni. Geniale nel lancio lungo, eccellente anche nel passaggio corto e nel dribbling per uscire dal pressing avversario, Andrea da Flero ha giocato in bianconero per quattro stagioni, di cui almeno due eccellenti. Non erano pochi gli addetti ai lavori che chiedevano una sua candidatura per il podio del Pallone d’Oro 2012.
Diverso da Pirlo per caratteristiche, ma ugualmente nel cuore dei tifosi è Didier Deschamps, che ha guidato il centrocampo bianconero negli anni di dominio in Italia e in Europa della Juventus di metà anni ‘90: più mobile e “tuttocampista” rispetto a Pirlo, senza avere i suoi piedi di velluto, il francese ha dimostrato comunque di avere piedi buoni ed essere in grado di dettare i tempi ai compagni, e soprattutto è stato un trascinatore e un leader dotato del carisma dei grandissimi.
Una menzione è d’obbligo anche per Il Pianista Miralem Pjanić, metronomo bianconero con i piedi di cotone ed eccellente tiratore della Juventus di Massimiliano Allegri e Maurizio Sarri, oltre che a Paulo Sousa, uomo chiave del gioco della prima Juventus di Lippi e tuttavia durato però troppo poco in bianconero per poter ambire a riconoscimenti più alti.
Mediano: Marco Tardelli
Universale come i coevi olandesi, cattivo come si pensa debba essere un mediano ma anche dotato di sette polmoni e della classe della mezzala, Marco Tardelli è stato un grandissimo centrocampista e uno dei simboli della storia juventina, uno degli uomini cardine della Juventus di Trapattoni e una giocatore essenziale anche in azzurro, che vive l’apogeo, probabilmente, tra 1977 e 1980 (la stampa lo incorona uomo del titolo del 1978), ma che l’Italia non juventina ricorda soprattutto per il celeberrimo urlo che scrive la parola fine, di fatto, sulla finale mondiale di Madrid, nel 1982.
Arturo Vidal è stato, per molti versi, un Tardelli moderno: cileno di Germania, ha saputo combinare come pochi l’estro sudamericano e il rigore teutonico, affermandosi come una delle mezzeali più dotate e complete degli anni ’10. Le quattro stagioni di Torino lo vedono dominare la scena come infaticabile recupera palloni che sa segnare come un trequartista di professione, e i tifosi della Vecchia Signora ancora si emozionano se pensano alla sua straordinaria prestazione di Madrid nella primavera del 2015, quando Arturo mette la museruola ai fuoriclasse vestiti di bianco, corre per tre, mette la faccia dove altri non oserebbero mettere la gamba.
Ancora grinta, sudore e classe, e ancora una pagina densa di significato della storia della Juventus: questo rappresenta il Pitbull Edgar Davids, un mediano fisicamente incontenibile, nonostante le misure ridotte, e dotato della classe purissima della mezzala olandese. Il suo approdo a Torino, nel corso della stagione 1997/1998, “aggiusta” il centrocampo bianconero e consente alla Juve di spiccare il volo. Per il campione orange, si contano a Torino 235 presenze e 10 reti.
Ala: Franco Causio
Giocatore che la modernità ha quasi dimenticato, il Barone Franco Causio è stato un campione di caratura mondiale e il calciatore più dotato, dal punto di vista strettamente tecnico, della Juventus degli anni ’70. Artista del dribbling e del cross, superbo uomo assist, Causio dalla sua Puglia sale a Torino a inizio anni ’70 e e scrive la storia bianconera a caratteri cubitali, mettendo a referto 452 presenze e ben 72 reti, il tutto mentre colleziona trofei. Titolare inamovibile anche in nazionale, è uno dei più felici protagonisti dello spettacolare mondiale argentino.
A Madrid, quattro anni dopo, quando è già un giocatore in declino, Bearzot lo fa entrare in campo a pochi istanti dal fischio finale, e quando la stampa gli chiede perché l’abbia fatto, il Vecio risponde: perché uno come Causio, in quel momento, non poteva non essere lì.
La furia cieca Pavel Nedvěd, meno dotata del Barone in termini di classe pura, è stata però un giocatore altrettanto cruciale per il progetto Juve: dopo gli strepitosi anni di Roma, il ceco ha traslocato a Torino e dopo un primo anno buono ha fatto il vuoto, consacrandosi come fuoriclasse planetario e vincendo un meritato pallone d’oro. Sul piano temperamentale, Pavel è stato la cosa più simile a Lothar Matthäus vista in campo in Italia nel Nuovo Millennio, e ha fornito un contributo cruciale alla Juve per diversi anni, almeno fino ai mondiali di Germania.
Più simile al Barone, benché meno grande in termini assoluti, è stato l’oriundo Mauro German Camoranesi: ala dal dribbling mortifero e superbo crossatore, ha vestito il bianconero per quasi un decennio ed è stato spesso il regista occulto della squadra. Un campione, così come lo è stato, almeno nei momenti migliori, anche uno dei giocatori meno juventini, sulla carta, di questa rosa, e che però è riuscito a consacrarsi definitivamente proprio a Torino: sto parlando di Juan Cuadrado, laterale colombiano stravagante e innamorato del pallone, che a Torino ha imparato l’arte della disciplina tattica e ha vissuto diverse stagioni da grande protagonista e da artista del dribbling.
Trequartista: Michel Platini
Non ci sono dubbi di sorta. Le Roi Michel Platini è l’interprete massimo di questo ruolo, non solo in bianconero. Visione di gioco a trecentosessanta gradi, eccellente nell’ultimo passaggio, morbido nel guizzo e nel dribbling, capace di giocare in ogni zona del campo, Michel era un centrocampista con medie gol da attaccante vero. I suoi tre palloni d’oro di fila (1983, 1984, 1985) rendono l’idea di come Platini fosse semplicemente il miglior giocatore europeo nei suoi anni sulla Mole. Il suo calo brusco dopo il 1986 non scalfisce il suo rendimento eccezionale in maglia bianconera e la firma da protagonista in tante gioie nazionali ed internazionali, con qualche dolore (sul piano sportivo la finale del 1983 contro l’Amburgo, sul piano umano e sociale – ben più importante – la tragedia dell’Heysel del 1985).
Piange il cuore a doverlo escludere dalla formazione titolare, ma dovendo scegliere preferiamo, seppur di pochissimo, Michel al genio funambolico del Cabezon Omar Sívori, italo-argentino dal baricentro basso e dal dribbling mancino sgusciante e irridente, il Vizio dell’avvocato Agnelli, uno dei simboli della Juventus degli anni ‘60 e idolo assoluto della sua generazione. Insieme a Charles e Boniperti ha costituito il più famoso tridente della storia bianconera, aggiudicandosi il pallone d’oro nel 1961, al termine di due stagioni che l’hanno visto dominare la scena come nessun altro, in Europa, inventandosi giocate che sfidavano la logica e vincendo anche un titolo di capocannoniere.
Erede di Michel in tutto e per tutto è stato Zinédine Zidane, che dopo anni al Bordeaux approda in bianconero nel 1996: meno efficace sotto porta di Platini ma più dominante fisicamente, dopo mesi di fatica e ambientamento, Lippi lo schiera dietro le punte e fa scoccare la magia: notevoli le sue prestazioni europee tra il 1997 ed il 1998, seppur parzialmente macchiate da finali non all’altezza, gioca grandi stagioni a livello individuale anche nel 2000 e nel 2001, dove forse si vede la sua miglior versione.
Seconda punta: Alessandro Del Piero
Anche qui, siamo costretti a decisioni dolorose, perché, come Omar Sivori, anche Roberto Baggio dovrebbe essere titolare un po’ in ogni squadra del mondo.
Il problema è che una Juventus senza Alessandro Del Piero non può avere corso legale: Alex è stato Pinturicchio, il giovane ed esplosivo artista che fa innamorare l’avvocato Agnelli, e poi il capitano di lungo corso, il simbolo di mille battaglie, nonché una persona pulita e positiva alla stregua di Gaetano Scirea o quasi. Per lui si contano 290 reti in 705 partite con la Juve, una marea di trofei nazionali e internazionali, e l’amore imperituro di tutta l’Italia juventina.
Roberto Baggio a Torino è stato grande quanto Del Piero, negli anni migliori: salutata in maniera brusca Firenze, Roberto a Torino si consacra fuoriclasse di fama planetaria, e disputa le stagioni della vita, specie tra 1993 e 1994, quando è uno dei primissimi giocatori del pianeta e vince una Coppa UEFA da tramandare ai posteri, oltre a un meritatissimo pallone d’oro. Il posto in panchina gli spetta di diritto.
Il nome di Paulo Dybala potrebbe sembrare fuori luogo, accostato a quello dei due suddetti mammasantissima, ma a nostro parere sarebbe ingeneroso escluderlo dalla formazione: l’argentino è stato l’erede di Sivori, in piccolo, ovvero un geniale anacronismo nel calcio moderno, e ha scritto pagine memorabili nella storia bianconera recente, anche in Europa, mettendo a referto oltre cento reti e disputando almeno tre stagioni da grandissimo giocatore.
Prima punta: John Charles
Con il suo fisico imponente e le fattezze da Marlon Brando, John Charles era l’idolo delle folle, anche perché il suo stile di gioco si combinava alla perfezione con i ghirigori perfidi del geniale Sivori. A nostro parere, il miglior attaccante puro della storia bianconera è pertanto lui, il gigante gallese buono.
Al suo fianco, si accomoda David Trezeguet, nove classico, finalizzatore puro dotato da madre natura di qualità soprannaturali nel gioco aereo e di una capacità di coordinarsi quasi impareggiabile. David è stato l’uomo gol della grande Juventus degli anni 2000 e rimane il miglior marcatore straniero della storia del club.
Roberto Bettega è un altro nome imprescindibile della rosa: dotato del fisico e della cattiveria agonistica del centravanti ma anche della classe e della mobilità della seconda punta, Bettega ha illuminato il cielo torinese per oltre un decennio, dimostrandosi, negli anni migliori (tra 1977 e 1980), giocatore degno di concorrere per il pallone d’oro.
Da ultimo, menzione d’onore per un atleta che si è abbattuto sul calcio italiano con la forza di un uragano, nonostante sia venuto in Italia quando la sua carriera sembrava al crepuscolo: sto parlando naturalmente di Cristiano Ronaldo, che in tre sole stagioni mette a referto oltre cento gol e scrive alcune tra le pagine più memorabili della storia juventina in Europa.
Con il contributo di TOMMASO CIUTi


