Domenica 7 luglio 1974. Cinquant’anni fa va in mondovisione tv il crimine calcistico perfetto. A Monaco di Baviera la Germania Ovest batte l’Olanda e diventa campione del mondo per la seconda volta nella sua storia. Nell’immediato l’affermazione di Muller, Beckenbauer e gli altri sembra la sconfessione di un modo di stare in campo e di un approccio al calcio del tutto nuovi, non sarà così. Senza dubbio non si era ancora vista una Nazionale capace di velocizzare o rallentare in gioco con l’apparente naturalezza degli olandesi. Pressing, fuorigioco sistematico, il portiere primo propulsore della manovra, tutti che al momento opportuno sanno fare tutto interscambiandosi nei ruoli. Qualcosa di inedito in un campionato del mondo. A un occhio profano tutto si presenta come una cosa semplice, è semplice solo in apparenza. L’Olanda non vincerà il titolo ma il total voetbal (il calcio totale) rimarrà un’eredità culturale destinata a fare scuola un po’ ovunque. Cruijff, Neeskens, gli altri: ciò che resta di un trionfo che non si trova sull’albo d’oro FIFA e di un gioco che non tutti saprebbero riprodurre in modo credibile.
La diversità a vista
Già osservandoli ci si poteva rendere conto della loro particolarità. Erano qualcosa che, almeno in Italia, sembrava inconcepibile. I volti dei vari Burgnich, Rosato, Facchetti davano l’idea della linea del Piave da tenere anche a costo della vita. Vedevi uscire dagli spogliatoi gli olandesi e avevi una sensazione di libertà, quasi di autogestione. E allo stesso tempo, di serietà, di forte autoconsapevolezza. Nomi di battesimo lunghissimi, da cui la necessità del diminutivo, capelli come da noi nemmeno le donne. Tutto iniziò nel 1970 con il Feyenoord di Ernst Happel campione d’Europa ma avrebbe trovato la consacrazione con l’Ajax di Rinus Michels e poi di Stefan Kovacs.
La filosofia del “calcio totale” viene trasferita alla Nazionale, che andrà all’assalto della Coppa del Mondo 1974. La forza di grandi individualità, un gruppo che lavora per obiettivi condivisi. Il segreto di un alveare senza ape regina. Forse, perché Johan Cruijff non è esattamente come gli altri. Insomma, qualcosa che verrà riconosciuto come “il nuovo”. Primi anni Settanta, Calvino redivivo ha preso un pallone, ne ha ridisegnato le forme per poi imporre al calcio la Riforma Protestante. La Genesi avviene nella seconda metà dei ’60. Poi è tempo di Rivelazione.

È la somma che fa il (calcio) totale
1971. L’allenatore Rinus Michels (nome di battesimo Marinus Jacobus Hendricus), classe 1928, ha in mano una formazione che in Europa non sembra avere rivali. Quando vuole scardinare le difese più chiuse l’Ajax fa circolare la palla per vie orizzontali, aspettando il momento buono per verticalizzare utilizzando anche le sovrapposizioni sulle fasce esterne. I difensori non si limitano alla copertura, partecipano alla manovra e talvolta concludono a rete. Il movimento senza palla fa la differenza, perché oltre al fatto che tutti sanno fare tutto, tutti sanno cosa devono fare in un dato momento. Poi, una volta trovato il varco, le qualità individuali finalizzano. Un altro elemento basilare è il pressing sul portatore di palla avversario, accorgimento che sembra accorciare l’estensione del campo e che mette l’avversaria in seria difficoltà nell’impostare.
L’ultimo aspetto innovativo, forse il più rilevante, è l’uso ricorrente del fuorigioco. Lo scatto simultaneo in avanti dei componenti della difesa al momento giusto rende inoffensive le punte dell’altra squadra. Per evitare di finire in offside bisogna arretrare, ma più si arretra meno si “rischia” di fare gol. C’è un ultimo elemento a comporre il sacro testo della Riforma: in anni in cui può prendere la palla con le mani sempre e comunque, il portiere deve saper rilanciare il gioco anche con i piedi, fungendo da primo propulsore della manovra. Oggi sembra una cosa scontata, cinquant’anni fa lo facevano solo gli olandesi. I temi tattici cari a Rinus Michels vengono trasferiti dall’Ajax alla Nazionale, quando nel 1974 il tecnico dell’Olanda sarà… Rinus Michels.
Con 36 anni di ritardo
E pensare che l’Olanda rischia perfino di non partecipare al Mondiale 1974. Si è infatti qualificata alla fase finale grazie alla buona sorte e soprattutto a una svista arbitrale. Il girone delle qualificazioni oppone un’altra squadra che gioca un calcio tattico, atletico e molto ragionato: il Belgio. Difficile affrontarli ma soprattutto difficile batterli, hanno una difesa d’acciaio, perfino più solida di quella olandese. Nel girone ci sono anche Norvegia e Islanda. Se ne qualifica solo una. Olanda e Belgio terminano a pari punti, soltanto la differenza reti estrometterà il Belgio. I “Diavoli Rossi” sono eliminati senza aver mai subito nemmeno una rete, gli olandesi hanno segnato di più.
Nel match decisivo che si gioca ad Amsterdam il 18 novembre 1973, al Belgio viene annullata una rete che a tutti sembrava regolare. Perfino agli olandesi. Finisce 0-0. Ottenuta la qualificazione, la federcalcio olandese chiama in panchina Rinus Michels, rimuovendo il cecoslovacco Frantisek Fadhronc. Una sorta di Mosè post litteram: Fadhronc ha appena portato la squadra nella terra promessa dei Mondiali dopo un’assenza da parte dell’Olanda lunga 36 anni, ma vi entreranno tutti tranne lui. Secondo i vertici della federazione, ma soprattutto in ossequio ai desiderata di Cruijff, serve una personalità energica ma flessibile in grado di gestire tutti, ognuno in modo diverso, con una visione complessiva di materiale umano e obiettivi da raggiungere. In altre parole, serve Michels che nel frattempo è diventato il tecnico del Barcellona, la squadra nella quale “il divino Johan” milita in quel momento.

Si forma il gruppo
I grandi blocchi sono quelli dell’Ajax e del Feyenoord, gli unici giocatori che militano all’estero (oltre a Cruijff) sono Rensenbrink (Anderlecht) e la riserva Geels (che gioca nel Bruges). A pochi mesi dall’inizio del Mondiale si infortunano tre pedine importanti come Mansveld, Hulshoff e Schneider. Il neo-CT inserisce al centro della difesa Rijsbergen e Haan, quest’ultimo centrocampista dirottato parecchi metri indietro rispetto alla solita zona d’azione. L’adattabilità conta e se i piedi sono buoni, meglio. Sulle fasce laterali ci sono Suurbier a destra e Krol a sinistra. Suurbier ha mezzi tecnici e atletici e oltre a difendere sa passare e crossare la palla con entrambi i piedi: a buon bisogno potrebbe fungere da centrale arretrato o addirittura da centrocampista esterno. Krol invece è il vero universale della difesa. Forte in copertura, sa costruire gioco sulla fascia, forse potrebbe fare perfino il centrale di difesa. Un giorno lo farà. Ha classe, ha personalità anche fuori dal campo.
Per quanto riguarda il portiere, Michels vuole un portiere con caratteristiche precise, capace di anticipare gli eventuali “buchi” nello schieramento difensivo rilanciando il gioco anche con i piedi. Poiché i migliori portieri dell’Eredivisie non sono in grado di garantire la ripartenza rapida dell’azione, Rinus richiama in Nazionale Jan Jongbloed, trentaquattrenne portiere del DWS Amsterdam che in realtà non sarebbe neppure un calciatore professionista. Può sembrare una scelta scriteriata e invece è l’unica in grado di garantire la presenza di un libero tradizionale capace di intervenire anche con le mani. Le particolarità di Jongbloed lo hanno fatto preferire a Schrijvers, a Stuy e soprattutto a Van Beveren, il più dotato, ma che con Cruijff e Michels non è mai riuscito a legare.
A centrocampo ci sono Jansen, forse il meno provvisto sul piano tecnico ma anche il più duro da affrontare, il faro della manovra Wim Van Hanegem e Neeskens, l’uomo-ovunque. Il trio d’attacco completa il quadro. Accanto a Johan Cruijff, libero di spaziare lungo l’asse avanzato del campo, ci sono infatti due laterali di livello assoluto, Rep e Rensenbrink. Hanno piedi ottimi, forza fisica, capacità di sacrificio e doti conclusive. Un po’ più “cattivi” sotto porta e sarebbero perfetti.

Mare fuori (ma anche dentro)
Nulla nasce dal nulla ma se certe cose nascono in Olanda e non altrove, un motivo c’è. Il Paese vive da sempre sotto il livello del mare. Per tradizione storica e memoria condivisa l’acqua è opportunità ma anche minaccia, va gestita. È necessario mettere in sicurezza il territorio. Il popolo olandese lo ha fatto tramite la creazione dei polder, zone bonificate attraverso dighe e sistemi di drenaggio. Un metodo inventato dai belgi e migliorato nei secoli dai loro dirimpettai. Rialzando le zone costiere grazie a un capolavoro di ingegneria delle costruzioni che chiede aggiornamento e manutenzione, l’Olanda si è garantita un’estensione supplementare del territorio di oltre settemila chilometri quadrati. Con evidente vantaggio per agricoltura e navigazione.
La necessità culturale di gestire gli spazi, dal più piccolo al più grande, e di valorizzarli al massimo possibile sarà trasferita alla visione del calcio. Perché ciò possa funzionare, nel calcio come altrove, occorre programmare, essere sempre “avanti” sul piano concettuale e operativo. Per questo motivo il calcio totale si modificherà nel corso del tempo, divenendo un preciso spartiacque fra “prima e dopo la squadra oranje”. E non solo nella patria d’origine, con risultati più o meno proficui.
Il ciclone, ma senza lieto fine. Forse
Con questa filosofia l’Olanda di Rinus Michels in panchina e Johan Cruijff in campo “invade” il Mondiale 1974. E sembra davvero inarrestabile già dalla prima fase a gironi. Uruguay e Bulgaria sono ridotte a sparring partner, brava la Svezia a strappare lo 0-0. Chi affronta l’Olanda non sa cosa fare: difendersi ha poco senso, attaccare con forza è temerario. Esiste la contromisura? Sei gol fatti, uno subìto. Per giunta su autogol, altrimenti neppure quello. Sono rimaste otto squadre, divise in due gironi: le prime qualificate di ciascun raggruppamento giocheranno la finalissima, le seconde la finale terzo e quarto posto, le altre auf wiedersehen.
Il gioco olandese continua a mietere vittime, re Johan dà il meglio di sé. Gli oranje ne fanno quattro all’Argentina, due alla Germania Est e un altro paio al Brasile campione in carica. Otto reti fatte, nessuna al passivo. Parziale, quattordici reti all’attivo, un autogol al passivo. Il calcio totale procede inarrestabile, tutto il resto è diventato giurassico. La Germania Ovest è l’altra finalista, domenica 7 luglio 1974 le due formazioni escono dagli spogliatoi dell’Olympiastadion di Monaco per l’assalto finale. Le squadre sono già in campo, passano le note di “Het Wilhelmus”, l’inno nazionale. Re Guglielmo I di Orange Nassau era di sangue tedesco e per l’occasione la cosa non sembra di buon auspicio.
Ma dopo un minuto l’origine della corona è già un ricordo. L’Olanda ha battuto il calcio d’inizio e sta facendo girare palla e giocatori. Riceve Krol che passa a Rijsbergen, tocco per Haan. Suurbier, di nuovo Rijsbergen, palla a Cruijff che la ripassa a Rijsbergen. La Germania arretra quasi senza accorgersene. Da Rijsbergen a Krol, palla di nuovo a Cruijff sulla trequarti sinistra. Vede uno spazio nel quale entrare. Parte in velocità e accelera, i tedeschi non se lo aspettano. Ne passa due e se ne trova davanti altri due, ci sono Vogts e Hoeness che vengono a contrastarlo in area, una gamba lo arpiona.

È calcio di rigore ed è passato un minuto scarso, la squadra di Beckenbauer non ha ancora toccato palla. Dal dischetto Neeskens è infallibile. 1-0, la “anarchica disciplina” degli olandesi sembra prossima a tagliare il traguardo in scioltezza. Ma i tedeschi non sono una potenza del calcio per caso e dopo aver portato la gara in parità grazie (anche in questo caso) a un rigore, segnato da Breitner, trova la rete del vantaggio grazie a un’invenzione di Gerd Müller allo scadere del primo tempo.
In 44 minuti il portiere Jongbloed ha preso più gol che in tutto il resto del torneo. La ripresa non passerà alla storia per la sua bellezza ma per l’importanza che riveste. Vincendo 2-1 la finalissima di Monaco, la Germania Ovest “uccide” all’ultima curva il sogno olandese. Una ferita collettiva che non sarà rimarginata in tempi brevi.
Per essere rifusi (in parte) dal destino, l’Olanda dovrà attendere 14 anni. 25 giugno 1988. La finale degli Europei è contro l’Unione Sovietica, il campo è lo stesso di quel 7 luglio “maledetto”. L’Olanda non è più quella di Cruijff (1947-2016) e Neeskens, al loro posto giganteggiano Gullit e Van Basten. In compenso, l’allenatore è sempre Rinus Michels (1928-2005). Il risultato è 2-0. Il total voetbal si è preso la sua tardiva rivincita, l’Olanda è campione d’Europa. Ma non è la stessa cosa. Mezzo secolo fa passò un treno da prendere al volo. Poi passò. Nonostante questo, il calcio si è evoluto secondo forme differenziate, lungo una strada battuta a suo tempo da undici signori in maglia arancione, capelli lunghi e una vaga arietta di superiorità.
