Cerca
Close this search box.

Magico Peixe – la top 11 all time del Santos

Condividi articolo:

La recentissima, inattesa e dolorosa retrocessione ha ridimensionato la cerchia delle squadre che non hanno mai conosciuto l’onta della seconda divisione, ma per noi è diventata il pretesto per celebrare uno dei club più gloriosi della storia del futebl verdeoro, il Santos, un club che ha sede nell’omonima cittadina, una delle più antiche di tutto il continente e posta nella regione di San Paolo. Il curriculum del club blanco consiste in un lunghissimo elenco di trionfi, ed è inoltre probabile che la squadra ammirata nei primi anni ’60, quella che poteva permettersi di partecipare a tour planetari (con tanto di improbabili tappe mantovane) per mettere in mostra la classe del suo gioiello, sia la massima formazione di club mai vista sui campi di calcio del paese sudamericano. Il Santos ha regalato l’intelaiatura a due delle nazionali più spettacolari di ogni epoca e la sua epoca d’oro si identifica chiaramente con il periodo dominato da Sua Maestà Pelé, ma anche nei decenni successivi, dopo una lunga carestia dovuta anche a problemi di carattere finanzario, il club ha saputo conquistare scampoli di gloria, portando sulle rive dell’Atlantico la terza Coppa Libertadores e sfiorandola in un altro paio di occasioni.

Abbiamo selezionato per voi quelli che reputiamo essere i giocatori più bravi della storia del club brasiliano, sempre a decorrere da fine anni ’50.

Portiere: Gylmar

Recita un luogo comune, oggi anacronistico, che i brasiliani mettano in porta il giocatore più scarso della squadra, non avendo mai lavorato a una vera e propria scuola di formazione per gli estremi difensori. Il luogo comune è stato scavalcato dalla storia, che negli ultimi anni ha visto primeggiare numerosi portieri di origini brasiliane (dall’uomo dei miracoli Julio Cesar allo spettacolare Alisson Becker, passando per il regista aggiunto Ederson), ma nel gigantesco paese sudamericano gli appassionati di storia reputano ancora oggi Gylmar il miglior estremo difensore della loro storia. Uomo chiave sia del Santos che della nazionale che vince due titoli mondiali, Gylmar è stato un portiere prodigioso nei riflessi, intelligentissimo, efficace nelle uscite e insuperabile nelle giornate di vena, nonché, Pelé escluso, forse l’unico vero fuoriclasse di statura mondiale del grande Santos ammirato tra anni ’50 e primi anni ’60. In maglia bianca, il portiere ha fatto incetta di successi statali, nazionali e internazionali, contribuendo in modo determinante al successo in Coppa Intercontinentale del 1963. Gylmar, pur facendo categoria a sé, non è l’unico grande portiere della storia del Santos: l’uruguaiano Rodolfo Rodríguez, zingaro del Sudamerica e perno della sua nazionale per un decennio, ha militato nel club paulista per quattro stagioni, nel corso degli anni ’80, confermandosi uno dei portieri più dotati e completi del continente.

Laterale destro: Carlos Alberto Torres

Il leggendario Carlos Alberto Torres è stato un eroe dei due mondi, una bandiera del Fluminense di Rio e, nella parte centrale della carriera, il leader del Santos di Sua Maestà. Abbiamo dettagliato la sua grandezza avveniristica e la sua straordinaria, inconsueta completezza nell’articolo dedicato al club di Rio, e qui ci limitiamo a raccontare che nei suoi quasi dieci anni in bianconero (445 presenze e 40 gol), Carlos ha incamerato quattro campionati paulisti e alcuni trofei internazionali, diventando nel frattempo il capitano della nazionale più spettacolare e invincibile di sempre, quella che (cito un giornale inglese) giocava un calcio talmente bello che l’avrebbero dovuto proibire. La sua riserva è un giocatore chiaramente di caratura inferiore e pressoché sconosciuto in Italia, ma in grado di ritagliarsi il suo quarto d’ora di celebrità anche in maglia verdeoro, il piccolo Antônio Lima dos Santos. Classico esterno brasiliano molto tecnico e duttile, tanto da giocare spesso da mezzala alla stregua di un Junior, Lima è stato l’affidabile perno destro della difesa del grande Santos, la cui camiseta ha indossato per ben 696 volte, mettendo a segno 65 reti.

Difensore centrale: Mauro Ramos

La penna più illustre e severa della storia del calcio italiano (memorabili le sue perorazioni contro gl abatini o anche fuoriclasse del calibro di Platini), ovvero Gianni Brera, reputava Mauro Ramos uno dei migliori liberi della storia del football, e aveva maturato la sua adorazione per il centrale originario di Minas Gerais dopo averlo ammirato durante gli scorbutici mondiali cileni. Perdoniamo al Giùan un pizzico di esagerazione (difficile comparare Ramos con i più noti e probabilmente superiori liberi europei, o anche con Figueroa), ma gli riconosciamo di aver individuato quello che rimane uno dei migliori centrali brasiliani di sempre: elegante, intelligente, tecnicamente molto dotato, Ramos ha legato il suo nome alla città di San Paolo e, nella seconda parte della carriera paulista, al Santos, con il quale ha vinto tutto sia a livello nazionale che internazionale, guadagnandosi il posto da titolare ai mondiali. Fisicamente poderoso, rapido e insuperabile e nel gioco aereo, Alex Rodrigo Dias da Costa, meglio noto semplicemente come Alex, ha disputato poche stagioni con i bianconeri, ma queste sono sufficienti per regalare una citazione a un giocatore che in Europa si è guadagnato la stima di tale Carletto Ancelotti: lontano dai canoni del futebol bailado, Alex è stato un difensore ruvido e combattivo, fsicamente fortissimo, quasi di scuola uruguaiana, e per diversi anni, anche nel Vecchio Continente, si è dimostrato un giocatore di livello internazionale.

Difensore centrale: José Ramos Delgado

Il partner di Mauro Ramos nel corso dei gloriosi anni ’60 è stato questo argentino di Quilmes, centrale di scuola argentina che partecipa alla lunga epopea vicente del club, dimostrandosi un marcatore efficace e spigoloso e guadagnadosi la titolarità anche in nazionale. Per lui, si contano 324 presenze e 1 gol con i bianconeri. Raul Donazar Calvet, altro marcatore e centrale di pregevole fattura, è l’unica alternativa credibile a Delgado: come l’argentino, ha militato nel Santos durante l’epoca d’oro e ha vestito la sua maglia per 217 volte, incamerando una pletora di titoli.

Laterale sinistro: Rildo

Stranamente, visto che si parla di calcio brasiliano, il reparto sinistro della difesa del Santos non può sbandierare nomi altisonanti. Forse il giocatore di spessore che abbia ricoperto la posizione nella storia del club è Rildo, terzino e all’occorrenza centrale titolare della squadra nella seconda metà degli anni ’60, quando Pelé è ancora una stella di prima grandezza ed è quindi possibile collezionare titoli statali. Rildo ha giocato anche 38 partite in nazionale, tre delle quali da titolare ai mondiali inglesi del 1966. Il posto in panchina glielo scalda Leo, o meglio Leonardo Lourenço Bastos, uno dei numerosi terzini brasiliani che non hanno conosciuto la fama mondiale a causa di una concorrenza nel ruolo proibitiva: bandiera del club per due quinquenni, Leo è stato un piccolo, agile e impeccabile laterale con il vizio della sgroppata, da buon brasiliano, e ha lasciato un segno profondo nei due Santos più competitivi dell’era moderna, quelli legati ai nomi di Robinho prima e Neymar dopo.

Centrocampista centrale: Zito

Nel 1958 Pelé, benché viva nel pieno dell’adolescenza, volteggia ad altezze siderali e celebra magici rituali di armonia, mentre Garrincha inventa assoli che sono slogature jazz irrazionali nello spartito di Feola e Didi danza il suo calcio principesco e sofisticato: tutto bellissimo, ma la loro libertà è anche il frutto di un lavoro di squadra orchestrato da due campioni sottovalutati, che fanno della razionalità, delle doti atletiche e della capacità di lettura il loro punto di forza, ovvero Zagalo e Zito. Zito sarebbe diventato l’uomo ombra di Sua Maestà anche nel Santos, ed era anche l’idolo di Pelé, che in pubblico, da ragazzino, ringraziò Gesù di averlo “fatto giocare insieme a Zito“. Il regale centrocampista di Roseira è colui che ha portato la modernità nel compassato calcio brasiliano, tutto votato al toque e al vezzo: Zito era un atleta poderoso, all’epoca svettava con i suoi 180 cm di muscoli e correva come e più dei mediani europei; in più, i suoi piedi erano comunque degni di quelli di un regista di discreto livello. Zito, nel 1958, è uno dei giocatori che danno la svolta alla squadra, anche perché libera l’estro di Garrincha, Didì e Pelè, e quattro anni più tardi sarà altrettanto importante; nel contempo, nel Santos mette a referto 733 presenze, 57 reti e un numero infinito di successi, fungendo da perno della squadra nei gloriosi anni ’60. Mengálvio, il suo partner nel club paulista, è anche l’unica vera alternativa a Zito: più votato alla costruzione e con il vizietto del gol, il regista di Laguna ha fornito un contributo significativo ai successi del club durante l’epoca d’oro e ha vestito la maglia della Seleção in 14 occasioni.

Centrocampista centrale: Clodoaldo

Ai tifosi italiani, il nome di Clodolaldo evoca il folgorante gioco delle ombre messo in scena a Città del Messico nell’estate del 1970, un lungo soliloquio con il pallone che gli consente di eludere cinque giocatori azzurri e di avviare l’azione di squadra più bella della storia dei mondiali, giocata tanto più improbabile, ai nostri occhi, alla luce del suo ruolo, che era quello di mediano, di recupera palloni. Il fatto è che Clodoaldo Tavares de Santana, che al tempo dei mondiali messicani è un esuberante centrocampista di ventun’anni reduce da quattro anni di titolarità nel suo club, è stato un mediano sui generis, dotato da madre natura della classe della mezzala e di due polmoni da calciatore teutonico. Ha speso tutta la carriera con il Santos e ha vinto di tutto, almeno a livello nazionale, consacrandosi anche campione del mondo da protagonista, prima di entrare nel vortice degli infortuni che gli ha impedito di brillare con continuità nella fase matura di una carriera che rimane da applausi. Per lui, in ogni caso, si contano 510 presenze con il club, che gli garantiscono il posto da titolare davanti a Elano, tuttocampista del Santos degli anni ’10 e poi avventuriero capace di adattarsi al forcing soffocante del calcio inglese, prima di tramontare al sole del dilettantismo indiano. Per lui, in maglia bianca si contano sei stagioni e numerosi successi, tra i quali brilla la storica Libertadores del 2011.

Attaccante esterno: Neymar

O’Ney, sul piano del talento, è probabilmente secondo solo a Pelé quando si parla di Santos (e a pochissimi altri anche se si parla di Brasile). Come sappiamo, la sua carriera europea è stata flagellata dagli infortuni, almeno nella seconda parte, e questo gli ha impedito forse di consacrarsi come quel fuoriclasse epocale che poteva essere, ma credo che neppure i suoi più accaniti detrattori possano fiatare sulla sua carriera al Santos: Neymar debutta che è ancora un bambino, a 17 anni, ed è già una stella; nel 2010 matura e a 18 anni si guadagna il podio nella graduatoria del pallone d’oro sudamericano, premio che farà suo nei due anni successivi e che avrebbe vinto anche nel 2013, se non avesse traslocato a Barcellona. Quando emigra in Spagna, O’Ney ha 21 anni e ha già messo in saccoccia tutto un continente, scherzando letteralmente con gli avversari, inventando gol che sono un puro distillato di genio malandro, segnando 136 reti in 225 partite e vincendo una Coppa Libertadores da assoluto dominatore (trofeo cui si aggiunge una semifinale persa nel 2012). Solo a Pelé era toccato lo stesso onore del giovane, magrissimo figlio delle favelas, ovvero quello di essere escluso dalla corsa alla Bola de Ouro per superiorità manifesta sulla concorrenza, e questo dice tutto ciò che dobbiamo sapere sulla sua carriera da piccolo prodigio. La prima e più credibile alternativa al campione paulista è il suo precursore, quello che a conti fatti è stato un Neymar minore, ovvero Robinho: imprendibile nell’uno contro uno (Bonucci l’ha incoronato come l’avversario tecnicamente più immarcabile affrontato in serie A), l’esterno paulista ha incantanto il mondo con il suo doppio passo e con il suo sortilegio di finte e controfinte, riportando il Santos tra le grandi e segnando come un attaccante di professione, prima di avviare una parentesi europea che l’ha visto diventare un campione di discontinuità: per lui, tra Madrid, Manchester e Milan, una stagione era poco e due erano troppo, perché pareva sempre che, dopo il folgorante esordio, Robinho staccasse la spina (come molti connazionali, non è un maestro di professionalità), diventando anche uno sciupone imperdonabile sotto porta.

Seconda punta/trequartista: Pelé

Abbiamo dedicato e O Rei già diversi pezzi e non è quindi questa la sede per celebrarne la grandezza complessiva. Limitandoci al Santos, possiamo dire che Pelé fa un po’ categoria a sé sotto ogni profilo: bravura, impatto, durata, capacità di essere determinante, genio, fisicità. Il bambino prodigio della seconda metà degli anni ’50, quello che fa stropicciare gli occhi al mondo durante i mondiali svedesi (ed è già reduce da una stagione con 66 reti in 46 partite), negli anni ’60 diventa semplicemente il più grande, il Michael Jordan del calcio, colui che sposta in alto l’asticella e in avanti le lancette della storia, demolendo la concorrenza sotto ogni profilo e consentento al club di vincere tutto, comprese due Coppe Intercontinentali. Con 643 reti in 660 partite, il Re è con margine siderale il giocatore più forte e decisivo della storia del club. Al suo cospetto sembrano tutti nani e tale destino tocca anche a Diego Ribas Da Cunha, il massiccio funambolo che ha illuso e poi amaramente deluso i tifosi bianconeri nell’autunno del 2009, e che però, prima dell’infelice parentesi torinese, ha regalato sprazzi da campione in Germania e prima ancora, da ragazzino, in Brasile: il Santos che negli anni 2000 si affaccia tra le grandi dopo un lungo anonimato si aggrappa anche alle gesta, alla classe e alla forza fisica del trequartista di Ribeirão Preto, che nel corso di tre stagioni vince due campionati nazionali e sfiora la Coppa Libertadores, nel 2003. C’è un terzo giocatore che merita un posticino in squadra e questi è Ganso, uno degli anacronismi più eleganti e indecifrabili del calcio del nuovo millennio, un trequartista nato forse nell’epoca sbagliata, con qualche decennio di ritardo, ma capace comunque di utilizzare una visione di gioco sopraffina e un controllo di palla degno dei grandi dieci per imporsi come uomo cruciale del Santos degli anni ’10, quello che diventa la squadra da battere in Sudamerica, e poi di riciclarsi come numero dieci quasi immobile eppure meravigliosamente creativo dell’ultimo Fluminense, dopo una parentesi agrodolce in un calcio europeo che ha mal sopportato le sue pause e la sua idea, oggi superata, per cui si può incidere nei grandi club solo grazie alla propria superiore dotazione tecnica.

Attaccante esterno: Pepe

Pepe giocava a sinistra, ma era un’ala capace di muoversi su tutto il fronte offensivo. Dotato di uno dei piedi sinistri più letali e potenti della storia verdeoro, José Macia detto Pepe ha vissuto una carriera lunghissima con la maglia del club paulista, carriera durante la quale ha supportato il genio di Pelé come meglio non avrebbe potuto, segnando 405 reti in 750 partite e vincendo da protagonista assoluto una lunghissima sfilza di trofei. Il suo sinistro, secondo le leggende che spesso circolano sul calcio sudamericano di quegli anni, era anche un’arma intimidatoria per i difensori che usavano le maniere forti su Pelé. In nazionale, Pepe vanta 40 presenze impreziosite da ben 22 reti, nonché due titoli mondiali vinti da riserva di Zagalo. Sempre a sinistra un’alternativa di lusso è Edu, al secolo Jonas Eduardo Américo, che si è presa sulle spalle l’eredità impossibile di O’Rei e che l’ha onorata al meglio, segnando 183 reti in 584 partite e vincendo più volte il campionato statale. Altro esterno di valore, stavolta a destra, il cui nome, all’estero è stato offuscato da quello di fenomeni come Garrincha e Julinho è Dorval Rodrigues: scomparso nel 2021, ha giocato per un decennio a Santos e l’ha fatto come un prestigiatore, da autentico mattatore della fascia destra e da notevole uomo gol e uomo assist al servizio di Pelé e Coutinho.

Centravanti: Coutinho

360 reti in 457 partite sono sufficienti a incoronare Coutinho come il miglior centravanti che abbia indossato la maglia del club paulista: piccolo, veloce, aggressivo e fisicamente esplisivo, Antônio Wilson Vieira Honório è stato il terminale offensivo e la bocca di fuoco del grande Santos, la spalla ideale di Pelé e l’uomo incaricato anche di aprire i varchi all’illustre compagno di squadra. Suo erede nello spot di centravanti fu Toninho Guerreiro, capace di segnare 283 reti nel club in sei stagioni tra il 1963 e il 1969. Attaccante rapido, mobile e potente, è stato capocannoniere tre volte del campionato Paulsita, una della Taça Brasil e una della Libertadores quando già vestiva la maglia del San Paolo.

Seguici

Altre storie di Goals

Euro 1976: semifinale Cecoslovacchia-Olanda

Né Olanda né Germania Ovest: le due favorite dell’Europeo 1976 devono arrendersi alla sorpresa Cecoslovacchia. La nazionale dell’Est mette in fila prima gli olandesi in

Questo sito utilizza cookies per migliorare la tua navigazione, se procedi nella navigazione ne accetti l'utilizzo.