Immagine di copertina: la squadra del Maccabi Vienna, erede calcistico del vecchio Hakoah, che gioca nelle divisioni inferiori del calcio austriaco
Anche l’Hakoah non esisteva più: il match di Coppa d’Austria contro il Simmering fu cancellato e la formazione bianco-azzurra venne menzionata per l’ultima volta da Sport Tagblatt, la principale testata sportiva austriaca, il 13 marzo 1938, soltanto 24 ore dopo l’entrata di Hitler a Vienna. La conseguenza fu l’estromissione dal campionato austriaco, che avvenne con una peculiarità: solitamente, quando nel corso di un campionato una squadra si ritirava o cessava di competere a causa di problemi finanziari o di qualunque altra natura, tutte le partite seguenti venivano date perse a tavolino per 3-0. Nel caso dell’Hakoah ciò non accadde: non fu più nominata, dato che qualsiasi ricordo legato ad essa doveva essere spazzato via. Il terreno sul quale sorgeva il campo della formazione ebraica fu riconvertito in baracche al servizio della Wehrmacht.
Il giorno dopo il discorso di Hitler, i vertici dell’Hakoah si erano riuniti al Ring Café – la caffetteria in cui prima che morisse era solito recarsi Hugo Meisl – per discutere della situazione. Una situazione palesemente precaria, tanto è vero che ben presto negli uffici dell’Hakoah e di tutte le società sportive che annoveravano giocatori, dipendenti e dirigenti ebrei arrivarono lettere che intimavano l’allontanamento immediato dei propri tesserati. Ciò significava che fuggire era ancora possibile. Gli atleti dell’Hakoah furono relativamente fortunati: le sfiancanti tournée estere che nel corso degli anni avevano permesso al club di imporsi agli occhi del mondo iniziavano a sortire un altro effetto positivo. Giocatori e dirigenti erano entrati a contatto con le comunità ebraiche di diversi Paesi e tali legami in alcuni casi facilitarono la fuga dall’orco nazista.
Non appena si manifestarono le prime vessazioni, in molti se ne andarono e le autorità nazionalsocialiste produssero un comunicato denominato Entjudeter Fussball, all’interno del quale denunciavano l’esodo di diversi giocatori ebrei nelle varie nazioni d’Europa. Moritz Häusler riuscì a mettersi in salvo abbastanza agevolmente grazie all’aiuto di un calciatore svizzero che gli fornì i documenti e attraversò la dogana. Anche i due attaccanti dello scudetto, Norbert Katz e Max Grunwald, lasciarono Vienna nel 1938: Grunwald raggiunse la sorella a Rio de Janeiro, Katz si recò a Londra dove iniziò ad allenare il London Maccabi. Lajos Hess emigrò in Palestina e continuò a lavorare nel mondo del calcio guidando il Beitar Tel Aviv e diventando in seguito il secondo allenatore nella storia della nazionale israeliana. Per una fortuita coincidenza del destino, Hess successe a Egon Pollak, con il quale anni prima aveva condiviso gioie e dolori sui prati verdi della Vienna tra le due guerre.
Tra coloro che riuscirono a salvarsi ci fu anche Bela Guttmann. Diventato allenatore proprio dell’Hakoah a 34 anni, guidò poi l’Enschede in Olanda e quindi l’Újpest in Ungheria: il club magiaro era particolarmente competitivo e Guttmann lo portò al successo in campionato e nella Mitropa Cup, la Coppa dei Campioni del periodo prebellico. Durante la guerra rimase a Budapest e dopo l’invasione nazista del marzo 1944 fu nascosto dalla moglie cattolica Mariann Moldoványi in un attico sopra l’appartamento del fratello, proprietario di un salone di bellezza. Il quadro per gli ebrei si fece più cupo nel momento in cui Hitler destituì Miklos Horthy e i vecchi reggenti favorendo l’avvento al loro posto del feroce Ferenc Szálasi, leader delle famigerate Croci Frecciate, organizzazione che trucidava gli ebrei a sangue freddo nelle strade.
Per migliaia di loro, il passo dal campo di lavoro al lager fu breve. Ma Guttmann, proprio mentre stava per essere deportato, architettò un’ingegnosa fuga con Ernő “Egri” Erbstein – che aveva conosciuto negli anni americani e sarebbe diventato nel dopoguerra l’allenatore e il genio tattico del Grande Torino – e altri tre prigionieri. Il padre, il fratello e alcuni nipoti non furono così fortunati e morirono nelle camere a gas. Al termine del conflitto Guttmann continuò ad allenare toccando le vette: in Portogallo trascinò il Benfica a due vittorie consecutive in Coppa Campioni (è l’unico allenatore ad avere vinto la massima competizione europea per club prima e dopo la guerra) e scoprì Eusebio; in Ungheria contribuì con Gusztav Sebes e Gyula Mandi, altro allenatore ebreo, alla costruzione dell’Aranycsapat, la meravigliosa Ungheria dei primi anni ’50; in Brasile ispirò sul piano tattico e filosofico il tecnico della nazionale Vicente Feola per il Mondiale ’58 (leggi qui per un resoconto del Mondiale) e favorì l’ascesa planetaria del 17enne Pelé. Guttmann rispecchiava perfettamente la figura dell’ebreo errante, sempre a caccia di nuove sfide e avventure.
E che gli ebrei si siano sedimentati in ogni continente è testimoniato anche dalla scelta di altri ex atleti dell’Hakoah. Come Karl Duldig, un ex portiere riluttante a contrastare gli avversari nelle uscite per non mettere a rischio la propria carriera d’artista, che partì alla volta di Singapore. Passò il resto della vita tra Asia ed Oceania e nel 1968 creò un memoriale dell’Hakoah a Tel Aviv. Duldig rimase scultore attivo fino alla fine dei suoi giorni: nel 1985, all’età di 83 anni, eresse un monumento in onore di Raoul Wallenberg, diplomatico svedese che durante la guerra aveva messo in salvo migliaia di ebrei. Una delle mete più gettonate fu la Francia: alcuni ex giocatori dell’Hakoah vi approdarono prima del 1938 dato che nel 1932 il calcio francese aveva adottato il modello professionistico. Ad esempio Fritz Donnenfeld, l’ultimo giocatore dell’Hakoah a vestire la casacca austriaca, che nel 1942 si unì a una cellula di resistenza denominata Maquis e riuscì a sopravvivere.
Tuttavia, non tutti coloro che avevano progettato la fuga furono fortunati: Max Scheuer, per esempio, aveva tentato di fuggire assieme ad Häusler, ma rispetto al compagno non aveva tenuto la bocca cucita, riferendo all’amico Benno Schechner-Aberbach l’intenzione di trasferirsi in Svizzera. Quest’ultimo aveva però informato le persone sbagliate. Così, una volta raggiunta la dogana, Scheuer trovò un manipolo di 14 guardie che lo bloccarono. Fu inviato prima a Drancy e poi ad Auschwitz, dove morì.
Joszef Eisenhoffer morì invece a Budapest nel 1945. Era stato ferito a una gamba in seguito a un bombardamento durato sette settimane da parte delle truppe sovietiche. Condizioni igieniche e rifornimenti erano scarsi e ciò aveva aggravato la sua situazione. Un dottore dell’Armata Rossa gli aveva detto che l’unica soluzione per sopravvivere era l’amputazione. Il giocatore, forse non volendosi separare da quella gamba sinistra che tante soddisfazioni gli aveva dato in carriera, rifiutò e morì circa 24 ore dopo.
Alla fine della guerra le vittime tra le fila dell’Hakoah furono 41. Tra queste le due figure che più di tutte avevano contribuito a elevare il club da piccola realtà conosciuta unicamente tra i circoli sionisti a una delle maggiori formazioni di tutta Europa: Lohner Beda e Robert Stricker.
Beda era solito frequentare – si recava pressoché quotidianamente – il Cafe Heinrichshof e ogni giorno chiedeva al cameriere dietro al bancone di passargli una copia del Völkischer Beobachter, megafono del partito nazionalsocialista tedesco. Esternare le proprie antipatie per il Reich fu un errore che Beda pagò a peso d’oro, dato che il giorno dopo l’invasione tedesca venne arrestato. La destinazione era Dachau, luogo che Beda raggiunse a bordo di un Prominententransport, un veicolo per gente altolocata. In autunno fu trasferito a Buchenwald. Qui incontrò Hermann Leopoldi, cantautore viennese con il quale aveva lavorato in passato e noto nel mondo del pallone per aver scritto una delle prime canzoni dedicate a un calciatore: Heute Spielt der Uridil – Oggi Gioca Uridil – in omaggio all’allora centravanti del Rapid Vienna diventato popolare in tutta la capitale austriaca.
Beda e Leopoldi scrissero Der Buchenwaldlied vincendo un premio indetto dal Lagerführer Arthur Rodl per la migliore canzone composta tra i prigionieri. Il premio corrispondente a 10 marchi, tuttavia, non fu mai assegnato. Leopoldi sarebbe riuscito a fuggire ed è il motivo per il quale siamo a conoscenza di questo aneddoto. Beda no. Beda era convinto che un compositore suo amico, Franz Lehar, uno dei prediletti del Führer, lo avrebbe aiutato. Ma Lehar non intervenne o, se lo fece, i suoi sforzi non sortirono effetti apprezzabili.
Non solo: quando nel 1940 Lehar fu premiato alla Wiener Staatsoper, il testo che aveva presentato era stato scritto da Beda senza che però il suo nome comparisse. Helene, la moglie, fu assassinata nel settembre del 1942 assieme alle due figlie in un campo di concentramento appena fuori Minsk. Quello stesso anno Beda raggiunse Auschwitz, più precisamente il campo adiacente di Buna/Monowitz, dove venne impiegato dalla IG Farben, un’azienda chimica che produceva lo Zyklon B, pesticida cianidrico che distrusse la vita di milioni di persone nelle camere a gas. Secondo una testimonianza, il vate dell’Hakoah morì per maltrattamenti. Dopo essere stato apostrofato con termini quali “maiale ebreo” da due SS, fu ripetutamente preso a calci. Tuttavia, la versione ufficiale parlò di morte per “vecchiaia e debolezza”.
Robert Stricker, che dalla morte di Herzl era diventato il principale rappresentante del movimento sionista nonché unico membro del partito in Parlamento, incappò nel medesimo destino. Aveva sottovalutato la tragedia che si stava per materializzare e quando in ufficio i colleghi avevano ascoltato il discorso del Führer, Stricker in segno di indifferenza era rimasto alla propria scrivania accendendosi una sigaretta. E il giorno seguente all’invasione, quando i membri dell’Hakoah si erano riuniti per discutere della situazione, la proposta di Stricker era stata di formare una rete di sicurezza per proteggere le proprie case da un’eventuale aggressione nazista.
Fu catturato lo stesso giorno di Beda, mentre stava per entrare nella sede di Die Neue Welt, la testata per la quale lavorava. Fu condotto in una stanza dove ad attenderlo c’erano due SS e Sedlitzy, colonnista del Wiener Telegraph di dichiarate inclinazioni nazionalsocialiste. Sedlitzky, negli anni in cui il movimento nazionalsocialista era stato messo fuori legge in Austria, si professava comunista, ma la sua visione politica era diametralmente opposta. Stricker accettò l’interrogatorio e fu rilasciato per poi essere portato a Buchenwald 48 ore più tardi. Sarebbe tornato a Vienna circa due anni dopo, storpio a causa dei maltrattamenti subiti. Ma non finì qui: nel 1942 venne deportato prima a Theresienstadt e poi ad Auschwitz assieme alla moglie, alla quale Stricker si appoggiava per riuscire a camminare. Qui i due coniugi andarono incontro alla medesima sorte. Per alcune ignote ragioni, Stricker non aveva preso parte all’assemblea generale sionista di Londra che si era tenuta nel marzo del 1938. Qualora lo avesse fatto, si sarebbe salvato dalle persecuzioni delle SS.
Quanto all’Hakoah, nell’immediato dopoguerra alcuni coraggiosi volontari cercarono di ricostruirlo senza successo. Probabilmente la tragedia dell’Olocausto era troppo vicina per consentire alla società sionista di rinascere negli stessi luoghi dove era emerso con forza il mostro nazista. Trascorsero più di 50 anni e nel 2000 un gruppo di ebrei viennesi ci riprovò. Stavolta il tentativo ebbe successo.
Oggi l’Hakoah è di nuovo una realtà consolidata, una polisportiva che conta diverse discipline e migliaia di iscritti. C’è anche una sezione calcio la cui squadra milita nelle divisioni inferiori austriache con il nome di Maccabi Vienna. L’Hakoah disputa gli incontri interni in un campo intitolato alla memoria di Simon Wiesenthal, un sopravvissuto alla Shoah che nel dopoguerra catturò diversi criminali nazisti come Adolf Eichmann, Franz Stangl e Karl Silberbauer.
Il trionfo sul West Ham del 1923, la vittoria nel campionato del 1925 e i successi delle tournée americane sono oramai traguardi irraggiungibili. Ma non importa: essere riusciti a far ripartire a distanza di decenni una simile realtà che era stata capace di scrivere pagine di storia inedite ed era stata così barbaramente cancellata, vale più di qualsiasi scudetto.
10 – Fine
Ha collaborato per quest’ultimo articolo NICCOLÒ MELLO