Sono contrariato e rattristato. Qualche giorno fa la redazione di Game of Goals mi aveva chiesto un pezzo su Franz Beckenbauer, ma la mia dabbenaggine mi ha reso pigro al punto che la Malefica Signora ha chiuso il tempo del Kaiser trasformando il mio da ritratto a coccodrillo. E già adesso mi accorgo che il mondo senza quella leggenda del calcio è diverso, è un po’ più povero, anche se il rettangolo verde e anche i suoi dintorni e i suoi uffici, tutti puntualmente da lui frequentati e impreziositi, già da tempo vedono e soffrono la sua assenza.
Come sempre, mi astengo da citare numeri, meriti e successi: la sua vicenda sportiva è nota a tutti o quasi e quei pochi sparuti che fossero a digiuno delle sue gesta, e curiosi di ragguagliarsene, trovano sul web tutto lo scibile condensato al riguardo. Mi limiterò quindi a tracciarne un profilo, magari per questo discutibile, basato sui ricordi vividi che ho di un calciatore allo stesso tempo tradizionalista e rivoluzionario, roccioso e fantasioso, ruvido ed elegante, essenziale e debordante. Un coacervo di ossimori che non sono comunque sufficienti per illustrare un senso di insuperabilità capace di limare di molto qualsiasi velleità degli avversari.
Ho visto per la prima volta con attenzione Kaiser Franz nel famoso 4-3 con cui l’Italia abatina e democristiana sconfisse i panzer teutonici in Messico nel ’70. Non avevo ancora 17 anni e mi colpì che i bianchi di Germania fossero tutti alti, possenti e biondi, probabilmente con gli occhi azzurri come quei giovani, tedeschi appunto, che d’estate venivano a contenderci le ragazze sul lago o al mare. Tutti tranne due, che erano mori, quasi scuri, non parevano neanche tanto alti, e uno dei due correva a testa alta e petto in fuori. Uno giocava in attacco e si chiamava Gerd Müller, un vero rapinatore cecchino, e l’altro era lui, Franz Beckenbauer, mediano inesauribile. Gli altri, Müller compreso, anzi specialmente lui, erano travolgenti, a volte goffi e sempre in equilibrio precario, Kaiser Franz sembrava avere un motorino che lo teneva dritto e inarrestabile.
Assomigliava a uno di quei tender di manovra che gli appassionati di ferrovia, reale o in miniatura, conoscono benissimo. Minuti, ma con una forza impressionante e con quelle bielle che macinano e frullano via ogni ostacolo. Indistruttibili. E infatti, in quella gara indimenticata dall’universo mondo, Beckenbauer si lussa gravemente una spalla intorno al 65’, ma non fa una piega. Gioca con un braccio immobilizzato al petto, probabilmente con dolori lancinanti a ogni piccola torsione, ma corre più di prima e lo farà, come tutti sanno, fino al 120’.
È vero, quell’Italia da Manuale Cencelli l’ha battuto, con merito e gloria, ma quell’omino con il petto in fuori, la fronte fiera, i capelli da calabrese e le bielle nelle gambe è rimasto, rimane e oramai rimarrà per sempre imbattibile. Tutta la sua carriera sportiva è un’eterna ripetizione di quella partita, con l’unica eccezione, non da poco, di un risultato finale che è riuscito a stravolgere, a ribaltare. Ovunque sia ora, Beckenbauer, magari con il braccio sul petto sta ancora correndo. La sua storia agonistica, praticamente sempre legata al Bayern della natia Monaco, l’ha portato quasi subito ad arretrare il suo ruolo in campo e il mediano dell’Atzeca si è trasformato in un libero di valore planetario.
Un ruolo dispari per il calcio dell’epoca in cui praticamente tutte le squadre giocavano a uomo, tranne appunto uno dei due centrali di difesa, ma la terminologia è già odierna, che era appunto scevro da marcature e governava la propria area pronto a tappare falle e raddoppiare ove fosse necessario. Nei primi anni settanta, ma i più ancora non lo sapevano, si stava forgiando e temprando in Olanda un modo rivoluzionario di intendere i ruoli e interpretare in senso fisico il campo. Ebbene oso ritenere che la dimensione che Beckenbauer sa dare da subito ai suoi compiti di ‘libero’ introduce, prima ancora dell’orange Krol, l’interpretazione che oggi diamo di quel ruolo fondamentale.
E rimane valida la grandiosità di quella prima innovazione, forse ancora di più, anche quando prendiamo in considerazione il doppio difensore centrale senza obblighi di marcatura. Quando vedo filmati di Baresi o Scirea o il secondo Bergomi, vedo figli di Franz, ma anche da quando la zona impera, si giochi a tre centrali o a quattro di cui due in mezzo, uno di questi deve dirigere a testa alta, come il Kaiser. E se avesse le sue bielle nei polpacci…
Beckenbauer, oltre a essere stato uno dei più grandi sul campo, è stato anche CT della Germania con cui ha vinto il Mondiale in Italia nel ’90 e poi, fino a pochi anni fa dirigente del suo quasi inseparabile Bayern. Oggi se n’è andato seguendo il fascino macabro ma ineluttabile della Malefica Signora, ma le sue giocate rimarranno per sempre a testimoniare la luminosità del suo passaggio calcistico e la bellezza di un mondo che avuto in lui un protagonista potente e sobrio. Essenziale. Ma oggi sono contrariato e rattristato, oggi posso solo ricordare.