Lamine Yamal, il bambino prodigio

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Il calcio italiano sembra averlo scoperto di colpo dopo la doppia semifinale contro l’Inter. Ma in realtà Lamine Yamal è almeno da un anno e mezzo che è sulla breccia del calcio europeo: non dimentichiamo che l’estate scorsa vinse un Europeo con la Spagna in cui non fu il miglior giocatore, ma uno dei sicuri protagonisti, e non solo per il meraviglioso gol contro la Francia che ribaltò l’inerzia della semifinale. Lamine Yamal è gioia per tutti coloro che apprezzano il calcio nella sua forma più pura e bella, un talento come pochissimi se ne sono visti a quell’età, un giocatore destinato a dominare la scena internazionale dei prossimi anni se alle prodigiose qualità tecniche saprà affiancare la giusta mentalità.
Ognuno di noi, in questo articolo a più mani, ha voluto dare una sua impressione sul presente luminoso di questo ragazzo e tentare di fare qualche previsione su ciò che verrà.

L’ultimo Barcellona-Real Madrid, un match favoloso con Yamal e Mbappé grandi protagonisti

Jo Araf
«Mi stupisce la sua personalità»

Non ci troviamo di certo di fronte al tipico esterno offensivo dal piede invertito, tecnicamente valido ma alle volte prevedibile in quanto a movimenti. Yamal è talento puro, un apriscatole che se non converge verso il centro per tirare o crossare è ugualmente capace di arrivare sul fondo con il piede debole, o mettere assist al bacio di esterno scovando fessure impossibili nella difesa avversaria. Stupisce anche la personalità con la quale si carica la squadra sulle spalle, sprona i compagni – vedasi l’esultanza estremamente contenuta dopo il 2-1 all’Inter – e si mostra continuo nell’arco dei 90 minuti.

Marcello Brescia
«Ha qualcosa di diverso da tutti gli altri»

«Lo farei giocare contro una difesa di provincia italiana. Al secondo giochetto, tibia in frantumi. Com’è giusto che sia».
La vittima di questo scenario ipotetico, dipinto in un anonimo commento sotto un altrettanto anonimo post su Instagram, è Lamine Yamal, attuale spauracchio numero uno del calcio italiano. E non solo perché il principale ostacolo tra l’Inter e la seconda finale di Champions League in tre anni è stato il fantasmagorico piede sinistro del fenomeno con l’apparecchio, ma anche per motivi puramente culturali.

Il calcio del bimbo di Rocafonda, del resto, è un flusso che scorre nelle vene di chi ha un qualcosa di diverso rispetto a chiunque altro, compagni e avversari, e non sembra avere paura di ammetterlo, anche a costo di sembrare arrogante. Già, l’arroganza, vero e proprio peccato mortale per il nostro Paese di (falsi) umili, i quali si sentono quasi moralmente in dovere di riportare con i piedi per terra ‘sto maranza esaltato, possibilmente azzoppandolo.

Fortunatamente poi esiste la realtà, in cui Lamine, invece di sprecare il proprio talento sui polverosi campi di Vergate sul Membro, preferisce dedicarsi ad attività più redditizie. Tipo mandare a vuoto il pressing di Marcus Thuram, ipnotizzare Henrikh Mkhitaryan, prendere la mira, e impallinare la difesa schierata più forte d’Europa in due semifinali di Champions League. “Not your ordinary teenager”, tanto per capirci.

Al di là del fatto che è stata l’Inter a staccare il pass per la finale di Monaco di Baviera, il doppio confronto tra blaugrana e nerazzurri rimarrà indubbiamente una pietra miliare della parabola di Lamine Yamal, di cui vale la pena godersi ogni singola giocata, soprattutto adesso. Del resto, in un calcio in cui ci si abitua rapidamente alle prodezze di chiunque, compreso Messi (che, tanto per la cronaca, 20 anni fa entrava per la prima volta nel tabellino marcatori di una partita del Barcellona, con lo storico gol in pallonetto all’Albacete), tanto vale far durare il più a lungo possibile questa lunga luna di miele tra noi spettatori, Yamal, e la sorpresa derivante da ogni sua sterzata, ogni suo tunnel, ogni sua monelleria.

Francesco Buffoli
«Gioca con la serenità dei più grandi»

Ronaldinho

Yamal è puro talento: non brucia l’erba, non ha grande forza fisica, non è “dominante”, eppure è un giocatore difficilmente marcabile per come gioca con i tempi e perché è un maestro (precocissimo) nell’arte dell’inganno. Il suo genio sta tutto lì, come il genio di Ronaldinho e di Neymar, e Yamal supera tutti questi supremi malandri alla voce precocità: vede cose che gli umani non vedono, può fare la differenza senza segnare né inventare assist (ed è già un discreto uomo gol e un eccezionale uomo assist), ma soprattutto gioca con la serenità dei grandissimi, senza tradire la benché minima paura, e mette in campo la determinazione di chi sa di avere, perché a questo lo chiama il suo destino, le responsabilità del leader. Un bambino prodigio che mette a tacere, semmai ce ne fosse bisogno, tutti i vecchi tromboni che, non capendo l’evoluzione del calcio, piangono lacrime su un passato che esiste solo dentro la loro testa.

Tommaso Ciuti
«Lasciamolo giocare, senza fare confronti»

Lamine Yamal è una sintesi di caratteristiche che appartengono ad illustri predecessori: il corpo esile lo rende più simile a Neymar che a Ronaldinho, con cui condivide l’estro e l’imprevedibilità. Il tiro a giro sul secondo palo e il dribbling secco a rientrare sul mancino sono un marchio di fabbrica “alla Robben”, mentre la materializzazione tra cinque uomini a difesa schierata, creandosi uno spazio dove prima non c’era nulla, mi hanno fatto pensare a Sua Maestà Lionel Messi.

Chi è dunque Yamal? Difficile stabilirlo ora. Di certo è un unicum nella storia del calcio: mai si era visto un diciassettenne raddrizzare semifinali europee con club e nazionale caricandosi la squadra sulle spalle con una maturità da veterano. Nel mondo, dovremmo scomodare solo Pelé 1958 in quanto a precocità e nessun altro. È in tutto e per tutto un ragazzino, lo si vede dal modo di vestire, dalle pittoresche acconciature, dalle passioni pari a quelle dei suoi coetanei, non più bambini ma non ancora adulti, e anche dal modo in cui gioca: con leggerezza, voglia di divertirsi, senza paura, provando la giocata una, due, dieci volte, come se tra le strade polverose delle periferie di Barcellona e i lussuosi stadi europei non ci fosse chissà quale differenza.

È al contempo più maturo di tutti, quando mostra di comprendere perfettamente i tempi del gioco e della partita. È estroso, ma non è circense. Il suo dono di natura, il dribbling nel breve e l’impressionante visione di gioco, sono in primis a servizio dei compagni, a cui fa recapitare cioccolatini con quel colpo d’esterno che è già un marchio di fabbrica. Solo il tempo ci dirà se diventerà anche un uomo-gol: Messi lo è diventato a 22 anni, Cristiano Ronaldo a 23.

Lui deve ancora compiere i 18. Lasciamolo giocare, senza porre asticelle di paragone della sua grandezza con chi lo ha preceduto. I conti li tireremo tra vent’anni, adesso godiamocelo e diamogli le chiavi di questa nuova era del calcio.

Claudia Fragapane
«Ha una comprensione del calcio straordinaria»

Talento puro e cristallino, intelligenza tattica e velocità: se volessimo ridurre a poche parole quello che è Lamine Yamal, probabilmente sarebbero questi i termini scelti. Perché Yamal non è semplicemente una promessa: la sua precoce maturità tattica e la sua squisita tecnica individuale lo collocano in una categoria a parte, di quei giocatori che, con cadenza quasi cinquantennale, illuminano il palcoscenico mondiale con lampi di genio.

È ancora troppo presto per fare paragoni e per dire se il giovanissimo Lamine entrerà nel Gotha del calcio. Una cosa è certa: le aspettative su di lui sono altissime e lasciano intravedere un potenziale illimitato. La naturalezza con cui salta l’uomo, la lucidità nelle scelte di gioco e la precisione nei passaggi testimoniano una comprensione del calcio che raramente si riscontra in un calciatore della sua età. Il paragone con Lionel Messi, inevitabile per chi emerge dalla cantera blaugrana con un simile bagaglio di qualità, aleggia nell’aria, sebbene sia doveroso sottolineare come il percorso verso la consacrazione sia ancora lungo e costellato di incognite. Se Yamal raccoglierà l’eredità del fuoriclasse argentino, se il suo nome figurerà nell’albo d’oro del Pallone d’Oro, e quale sarà l’effettivo peso del suo palmarès futuro, sono interrogativi ai quali solo il tempo potrà dare una risposta definitiva.

Tuttavia, un aneddoto suggestivo sembra quasi trascendere la semplice casualità per assumere i contorni di un “passaggio di consegne”: c’è una foto dove Messi fa il bagnetto a un Lamine bebè, per una campagna Unicef. Il Goat che tiene in braccio un bimbo predestinato a entrare nell’Olimpo del calcio. Come già detto, la strada è ancora lunga ma siamo sicuri che di Yamal sentiremo parlare a lungo.

Niccolò Mello
«Mix tra Garrincha e Neymar. Ma non paragonatelo a Messi»

Lamine Yamal è un prodigio di tecnica e raffinatezza. A me ricorda molto il modo di giocare dei malandri brasiliani, sembra una crasi tra Garrincha e Neymar: le sue finte e i suoi dribbling non sono potenza esplosiva, ma gusto della beffa, dell’attesa, dell’inganno. Ha qualcosa, nel modo di muoversi, del tedesco Musiala, che lo ricorda anche nel nome (Jamal), ma Lamine è già ora più forte e decisivo rispetto al fantasista del Bayern Monaco pur avendo 4 anni di meno. Yamal è una farfalla, non un’ape, che danza su un prato verde con la naturalezza di un ballerino.

Quello che più mi sorprende è che gioca con una naturalezza unica e una personalità davvero fuori dal comune se relazionata all’età. Da minorenne solo Pelé si era dimostrato più pronto a prendere in mano la scena internazionale e piegarla al proprio volere: sappiamo che la Perla Nera a Svezia 1958, a nemmeno 18 anni, vinse un Mondiale con 6 gol nelle ultime 3 partite e una serie di prestazioni davvero di un altro pianeta. Yamal a neanche 17 ha già vinto un Europeo da protagonista con la Spagna e oggi è la stella del Barcellona.

Personalmente lo ritengo oggi il secondo miglior giocatore del mondo dopo Kylian Mbappé. Probabilmente Yamal ha un potenziale ancora più alto del francese, ma quest’ultimo al momento è un giocatore più maturo, più centrale, più fatto&finito.

Si sono scomodati sui social, in queste settimane, paragoni molto ingombranti e francamente esagerati: Yamal è un prodigio, ma non mi sembra avere la stessa completezza totale di Messi, e il fatto che Leo sia emerso a livello internazionale più tardi è assolutamente relativo perché è pieno il mondo di calciatori precocissimi che hanno poi arrestato la loro crescita per svariati motivi o sono comunque diventati meno bravi di altri che si sono affacciati più tardi sul proscenio calcistico.

E se da un lato è vero il refrain che i giocatori in attività sono tendenzialmente più soggetti a critiche, poiché costantemente sotto le luci dei riflettori, rispetto a quelli del passato, è anche vero che i social ci fanno dimenticare ciò che è successo ieri molto, troppo in fretta: ho come la sensazione che in questi giorni in cui il mondo è stregato dal talento di questo 17enne funambolo di origine marocchina, ci si stia incredibilmente dimenticando di cosa sia stato davvero Lionel Messi: un regista alla Xavi, un fantasista alla Iniesta, un centravanti che segnava come Gerd Müller e aveva la progressione e la potenza fisica ed esplosiva di un Vinicius… O se preferite, rimanendo più in tema, la somma delle qualità di Yamal e Mbappé con in aggiunta una straordinaria capacità di regia e governo del gioco.

Su queste qualità, Messi ha innestato una carriera ventennale in cui ha vinto tutto da protagonista. Non sono d’accordo con Lele Adani, quando dice che Yamal ha la metà del talento di Messi, ma penso che Yamal non abbia la globalità di risorse che aveva Messi, dunque mi accordo a pareri illustri, da Boban a Capello, da Cosmi a Pardo.

Un aspetto a cui il giovane Yamal deve prestare attenzione è quello comportamentale: eviterei, a quell’età, di prendere in giro giocatori che hanno vinto e inciso ad oggi più di lui; e terrei sempre presente – avendo come modello proprio Messi, o Cristiano Ronaldo, o Lewandowski suo compagno – che il talento non basta per tramutare un prodigio in fuoriclasse: serve anche una vita professionale di un certo tipo, fatta di diete, rigore negli allenamenti, mentalità e serietà. È facile perdersi per un 17enne che si trova di colpo avvolto da una notorietà che mai avrebbe immaginato. Ed è fondamentale mantenere i piedi per terra e il giusto atteggiamento. In questo, il nucleo famigliare e la società Barcellona giocheranno un ruolo fondamentale, ma chiaramente l’ultimo a dover scegliere cosa vuole diventare sarà lui.

Ciò che mi sento di dire già ora di Yamal – e che appunto mi fa discostare totalmente dall’idea di Adani – è che sul piano della magia, del genio, della fantasia, della creatività, della pura sensibilità di tocco, sia uno degli eletti di questo gioco nel dopoguerra, al fianco di mostri sacri come (in ordine rigorosamente cronologico) Puskás, Pelé, Zico, Platini, Maradona, Baggio, Ronaldinho e Messi. Un’investitura importantissima e impegnativa per un minorenne. Ma chiaramente, nemmeno il genio basta a rendere un prodigio un fuoriclasse assoluto, perché alcuni di questi sono globalmente diventati meno forti di altri campionissimi che non avevano la medesima qualità e raffinatezza nei piedi.

Giuseppe Raspanti
«Può diventare Pelé… Ma anche Balotelli»

Lamine Yamal è un giocatore straordinario. Lo sarebbe anche se avesse dieci anni in più, ma il fatto che già lo sia quando ne ha solo 17, lo mette in una situazione del tutto privilegiata e ancora, sia detto a suo vantaggio, molto provvisoria. Di precoci talenti ne abbiamo visti già diversi in questi ultimi tempi, praticamente quelli che ho menzionato nell’articolo di commento su Barcellona-Inter, ma se allarghiamo l’orizzonte sui penultimi, seconda metà del secolo scorso, dobbiamo citare per forza Eusébio, Di Stéfano, Albert, Charlton, ma soprattutto lui, l’inarrivabile Pelé del 1958.

E qui mi soffermo un attimo, per deferenza e ammirazione. Ma anche perché qui, mi si perdoni l’ardire, si delinea il paragone più calzante o il faro positivo che può guidare il percorso di crescita, il viaggio di Yamal. C’è anche un faro falso, una luce negativa, nel possibile cammino del ragazzo marocchino, ma intanto soffermiamoci sul parallelo d’ispirazione con O Rei.

Entrambi minorenni, entrambi esagerati di talento e ricchi di senso tattico, così raro a quella età, entrambi già capaci di prendersi la squadra sulle spalle. Entrambi soprattutto, dotati di un fisico, a differenza per esempio di Messi e Maradona già formati o non più modificabili, ancora da sviluppare completamente. Non è, a mio avviso, un dettaglio e neppure un parallelo da poco. Se pensiamo alla carriera di Pelé, ci si riportano agli occhi e alla mente almeno tre strutture morfologiche diverse, ed è per questa ragione che il parallelo così calzante tra i due mingherlini dagli occhi troppo grandi come la Perla Nera in Svezia e il ragazzino blaugrana in Catalogna mi fa pensare a uno sviluppo per quest’ultimo, e per tutti noi, estremamente luminoso.

Chiudo con due riflessioni meno ‘gioiose’. Una riguarda, il possibile faro negativo per la traversata di Yamal. Un giocatore che, qui in Italia e alla stessa età, aveva destato meraviglie più o meno uguali e tante speranze, per lui e per noi. Parlo di Mario Balotelli e del suo modo infelice di affrontare le difficoltà procurategli spesso da chi non sa essere più umano delle proprie aberranti convinzioni.

La seconda è che, lo dico con profonda amarezza extra calcistica, per fortuna la famiglia Yamal ha scelto, fuggendo dal Magreb povero, di approdare in Spagna senza transitare da quel molo naturale nel Mediterraneo che è l’Italia. Avrebbe incontrato respingimenti e difficoltà disumane, appunto, di ogni tipo. Forse si sarebbe dispersa in mare, forse sarebbe stata accolta come potenziale delinquente, forse il loro figlio Lamine non avrebbe avuto mezzi per giocare al calcio. Certamente, se l’avesse sempre scampata bella, non potrebbe ancora oggi giocare in Nazionale.

Eterna gratitudine a Pelé e un grosso augurio di poter essere se stesso a Lamine Yamal.
E ciao, Mario. Grazie anche a te.

Federico Resta
«Più che un diamante»

Spesso negli anni ci siamo ripetuti che vedere di nuovo all’opera un Nuovo Messi sarebbe stato praticamente impossibile. I più ottimisti al massimo gridavano “per almeno 50 anni non rivedremo mai nulla del genere”. E se ci sbagliassimo!? Perché oggi, sotto l’ombra della Sagrada Familia che si erge maestosa sulla Catalogna, emerge il talento sconfinato di Lamine Yamal, un ragazzo che, all’età di soli 17 anni, sta trasformando il sogno calcistico in una vivida realtà.

Yamal non è solo un giovane calciatore che riempie le pagine dei più grandi quotidiani sportivi al mondo come i vari “Next Crack” stile Estevao, Cherki o Mastantuono. Lamine è l’incarnazione dell’ardente ambizione di una generazione che ha visto il calcio evolversi in uno sport dove la tecnica, la velocità e la creatività si mescolano in un cocktail esplosivo. Con un pallone tra i piedi, egli si muove con una grazia che sfida le convenzioni, sfuggendo ai contrasti e disorientando gli avversari come se fosse stato programmato per superare ogni ostacolo. I suoi dribbling non sono semplici giocate, ma vere e proprie manifestazioni di “modernismo catalano”, un dialogo silenzioso tra lui e il gioco.

Lamine possiede un’intelligenza calcistica rara: sa dove trovarsi prima ancora che la palla arrivi. La sua visione di gioco è disarmante; riesce a leggere le traiettorie, a prevedere le mosse avversarie, e a posizionarsi nel modo più vantaggioso. Questa capacità, combinata con la sua velocità e tecnica sopraffina, rende ogni sua uscita in campo un evento da non perdere.

In campo, si esprime con un linguaggio universale: il linguaggio del calcio. Una lingua che riunisce le anime di chi vive per questo sport, che cattura gli sguardi e le emozioni di chi è in tribuna, quell’entusiasmo palpabile che si tramuta in “ola” ogni volta che Yamal entra in azione. Sembra quasi che con ogni suo tocco di palla ti inviti a sognare, un vero e proprio promemoria oserei dire, come a voler ricordare che il calcio è molto più di uno sport, è una metafora della vita stessa, una sinfonia di movimento e di emozioni.

Ciò che rende Lamine ancor più speciale è la sua umiltà. In un’epoca in cui la fama e il successo possono risultare intossicanti, lui resta ancorato ai valori del gioco. Nonostante l’attenzione mediatica e le pressioni che gravano su di lui, riesce a mantenere i piedi per terra, consapevole del viaggio che lo attende. Si allena con una dedizione che rispecchia il suo desiderio di migliorare costantemente, di non adagiarsi sugli allori di un talento naturale che, per quanto straordinario, richiede lavoro e disciplina.

Yamal rappresenta non solo il futuro del Barcellona, ma anche una nuova era per il calcio moderno, dove il peso della tradizione e l’ardore della gioventù si intrecciano in un’armonia mozzafiato. Quando scende in campo, lo fa con la consapevolezza di essere parte di qualcosa di più grande: un’eredità calcistica che ha preso forma attraverso le generazioni, una storia che attende di essere scritta e riscritta da nuovi autori.

In sintesi, ciò che Lamine Yamal sta realizzando non è soltanto un fenomeno estemporaneo, ma un segnale di speranza per tutti gli appassionati di questo sport. Un “ammonimento” vivente che il talento, quando accompagnato da dedizione e umiltà, può spalancare le porte a infinite possibilità. Forse ,dopo tutto, aveva ragione Cruijff quando diceva “nello sport pensiamo sempre che certi limiti non possono essere superati ma questo è un limite che dove lavoro io non bisogna avere!” Forse, dopo tutto, non è così impossibile incontrare un “Nuovo Messi”.
Semmai dovremmo iniziare a chiederci come sia possibile che nasca sempre nel solito posto…

Flick e Yamal: il tecnico tedesco ha grandi meriti nella valorizzazione del giovanissimo fenomeno blaugrana

Alessandro Sartore
«Magia e spensierata allegria»

“Il Triplete nazionale” conquistato con il Barça con la vittoria sull’Espanyol, incorona definitivamente, a distanza di un anno dall’epifania al trionfante Europeo di Germania 2024 con la Roja, Yamine Yamal nuovo re del calcio mondiale.

Il fenomeno blaugrana a soli 17 anni archivia la lunga stagione della diarchia MessiRonaldo a suon di goal, assist e magie varie e si propone come la stella più lucente del nuovo firmamento calcistico.

Ma cosa rende così speciale e unica l’ultima perla cresciuta nella Masia del Barça?

Il suo calcio istintivo e le sue giocate da mago eseguite con una semplicità ed una leggerezza da fuoriclasse consumato sono le prime caratteristiche che maggiormente saltano all’occhio ed incantano.
Una tecnica sopraffina esercitata e affinata sicuramente ‘all’accademia della strada’ come gli indiscussi maestri del futbol che lo hanno preceduto.

Un bagaglio già ricco, ma certamente in grado di lievitare ancor di più nei prossimi anni, che annovera doti atletiche, visione di gioco e genialità nel concepire giocate ad altissimo quoziente di difficoltà e nel realizzarle con una naturalezza disarmante.

La sfrontatezza di chi sa di essere prescelto e non vuol perder tempo.
E sinora di tempo non ne ha perso:
2 campionati spagnoli, 1 Supercoppa di Spagna e 1 Coppa di Spagna con il Barcellona ed 1 Europeo con la Nazionale di Spagna a soli 17 anni.

Alla sua stessa età, Edson Arantes do Nascimento, per tutti Pelé, si laureava Campione del Mondo al Mondiale del ’58 in Svezia.
Non un paragone quello con O Rei, ma certamente un augurio, che il giovanissimo talento del Barça continui a rapirci con le sue magie e la spensierata allegria del fanciullo a cui è stato regalato un sogno.

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