Ci sono alcune istantanee che associo a David Silva, alcuni momenti in cui il campione spagnolo mi ha costretto a raccogliere la mandibola da terra e che ancora oggi fanno parte del mio immaginario di calciofilo.
La prima risale a molti anni fa e agli interisti evoca brutti ricordi: David Silva ammutolisce San Siro, siamo nel mese di febbraio del 2007, con un sinistro al volo che attraversa una selva di gambe e che punisce Julio Cesar, sinistro che sarà decisivo per regalare i quarti di finali di Champions al Valencia, a discapito della favorita Inter.
Un anno e mezzo dopo, siamo nell’estate del 2008, arriva la seconda istantanea da album dei ricordi: durante una semifinale che legittima le ambizioni di successo degli spagnoli e del loro calcio-arte, il Chino Silva delizia il pubblico di tutto il mondo con un aggancio degno di Michael Laudrup e con un altro rasoterra che non sembra imparabile e che invece lo è.
La terza immagine da consegnare ai posteri risale a a circa dieci anni fa, ed è quindi un pochino più recente, ma se possibile è ancora più sbalorditiva: David Silva, che nel 2014 alloggia da tempo nella Manchester colorata di azzurro, nel corso di una partita di Premier League contro il West Ham indossa i panni di Lionel Messi, si involta tra le strette maglie dei difensori con una leggerezza che ha qualcosa di soprannaturale e punisce l’estremo difensore avversario con un’altra carezza del suo piede preferito.
Due anni prima – chiudo così il cerchio dei momenti indimenticabili – Mago Merlino (non serve sprecare fiato a giustificare il soprannome assegnato a Silva dai sempre immaginifici sudditi di Sua Maestà), come ricordiamo tutti, aveva gettato nello sconforto tutta Italia, sbloccando la finale di Kiev con un colpo di testa di precisione chirurgica, dall’alto dei suoi 170 centimetri generosamente accreditati dagli almanacchi.
Negli anni ’90, a San Siro, i tifosi esponevano quasi ogni domenica uno striscione dove si leggeva “La carezza del Genio“, descrivendo alla perfezione le qualità del piede sinistro del loro (e del mio) mago mancino preferito, ovviamente Dejan Savićević, e nel corso delle tre decadi decorse da allora nessun piede sinistro mi ha regalato la stessa sensazione di morbidezza quanto quello del Chino David Silva, forse il giocatore più sottovalutato della generazione d’oro della Spagna e, più in generale, uno dei giocatori più sottovalutati degli ultimi vent’anni.
La parola carezza si abbina al piede sinistro del giocatore canarino perché David, al contrario di un Leo Messi, sembrava incapace di fare ricorso alla potenza, di esplodere con il suo mancino le frustate e le fucilate che fanno invece parte del repertorio del fenomeno argentino: se il piede sinistro di Messi era e rimane onnipotente, l’esagerazione di una Madre Natura nell’occasione generosissima, quello di Silva, esattamente come quello del montenegrino rossonero, era solo delicatezza, una carezza incapace di trasformarsi in un pugno.
La parola leggerezza, d’altra parte, è quella che più di ogni altra si adatta a descrivere il calcio di David: come pochissimi altri campioni, il giocatore delle Canarie sembrava correre senza toccare il terreno, quasi come se non avesse peso. E, come i migliori calciatori spagnoli (e non solo) della sua generazione, ha saputo trasformare un apparente svantaggio fisico in un vantaggio, in una riserva di trucchi pressoché sterminata: la sua dote migliore, ovvero la capacità di nascondere il pallone e di incollarlo al piede anche quando era circondato da nugoli di avversari, era la naturale conseguenza del baricentro basso e della morbidezza quasi irreale del suo mancino.
Un po’ come era capitato a Magic Box Gianfranco Zola prima di lui, Silva ha saputo sovvertire i pronostici e prendersi la rivincita sul destino proprio nel paese dove, sulla carta, i fisici poco attrezzati come il suo (David non solo non è molto alto ma è anche poco esplosivo palla al piede e in generale poco potente) sono destinati a soccombere, ovvero in Inghilterra: incurante dei luoghi comuni e delle convinzioni di coloro che hanno scambiato il calcio per il rugby, David Silva – come sappiamo tutti – ha deliziato i sudditi di Sua Maestà con una serie infinita di invenzioni, assist geniali, tocchi e verticalizzazioni che sono puro intuito, un distillato di intelligenza e di classe sopraffina che ancora oggi stringe il cuore ai suoi tifosi e compagni (ascoltare per credere le parole che gli dedica Walker in questo brevissimo video: dopo aver elogiato la visione di gioco superiore di Kevin De Bruyne, Kyle esita quando Rio Ferdinand gli chiede se il belga è stato il suo compagno di squadra migliore, e l’esitazione si conclude con questa frase “David was so good“).
Arrivo al succo del discorso: sono convinto del fatto che David Silva non riceva le ovazioni che meriterebbe, forse perché ha militato prima nel Valencia e poi in un City già straordinario ma incapace di consacrarsi tra le regione d’Europa, o forse perché alcuni dei suoi compagni di reparto, in nazionale, sono stati ancora più grandi di lui e gli hanno fatto ombra, inducendo a dimenticare a comunque a sottovalutare il suo imprescindibile contributo al ciclo d’oro della Spagna.
Quando il mondo si stropiccia gli occhi per il genio di Iniesta e le superiori capacità architettoniche di Xavi, e tu sei il loro terzo violino, il mondo tende a non riconoscerti i meriti che ti sei guadagnato sul campo. Anche Xabi Alonso ha subito la stessa ingiuria dal destino, ma si è in qualche modo riscattato agli occhi del grande pubblico grazie alle Champions vinte da ragazzo con il Liverpool e da uomo fatto e finito a Madrid. Persino il vituperato Busquets, forse il campione meno apprezzato dal pubblico italiano nel contesto dei cervelli spagnoli, ha costretto i suoi detrattori a fare retromarcia durante Euro 2021, quando, pur essendo a fine carriera, ha dimostrato agli occhi del pubblico nostrano di saper recitare come primo attore in un centrocampo di giovani destinati alla gloria.
David Silva non ha avuto la stessa fortuna, non si è mai davvero preso il proscenio: ha salutato la nazionale con il broncio, dopo la deludente escursione in Russia di sei anni or sono, e quindi non ha mai saputo ereditare lo scettro di Xavi e Iniesta con la Roja; inoltre, al contrario di Alonso e dello stesso Busquets, non si è mai preso l’Europa, e se vogliamo completare il discorso non ha fatto irruzione nel mondo del calcio con le stigmate del predestinato, come il giovanissimo Fabregas di Londra o come il Pedri delle ultime stagioni.
Sembra quasi che il destino abbia cucito addosso a Mago Merlino la camicia del secondo violino, del campione destinato a recitare una parte secondaria, a rimanere nell’ombra come De Filippo al cospetto di Totò, mentre le luci del palcoscenico sono puntate su giocatori ancora più grandi, o magari solo un po’ più fortunati, di lui.
E se le cose sono andate davvero così, se David è la spalla dei fenomeni, forse è giunta l’ora di rimettere un po’ le cose a posto e di dare a David quel che è di David.
Tanto per cominciare, le stagioni di Valencia regalano colpi che sono veri e propri lampi nel buio, non ultimo il gol che ancora oggi tormenta gli incubi dei tifosi nerazzurri. Non è facile conquistarsi la nazionale giocando a Valencia e quando i tuoi compagni di squadra sono due tra i primi centrocampisti di ogni epoca, coloro che hanno ridefinito la grammatica e la sintassi del centrocampo moderno, ma David la nazionale tra 2007 e 2008 se l’è presa e l’ha fatto camminando sulle acque, mettendo al servizio del collettivo qualità tecniche superiori e segnando pure un gol pesantissimo.
Quattro anni dopo, Silva vive la stagione migliore e chi scrive è convinto che solo Iniesta, nel 2012, vada preferito al Chino, tra gli spagnoli: reduce da una Premier vita da trascinatore (a mio avviso, lui, Aguero e Yaya Touré nel 2012 fanno a gara di bravura e tagliano insieme il traguardo), David ai Campionati Europei accarezza la palla come forse non gli era mai riuscito prima, ipnotizza la fragile retroguardia irlandese con un gioco delle ombre che evoca le gesta dei malandri e sblocca la finale, come ricordiamo tutti, con un colpo di testa di precisione chirurgica.
Il City che matura e muove i primi passi tra le grandi d’Europa, dopo il 2014, si aggrappa spesso alla classe del giocatore delle Canarie, cui manca forse il torneo da trascinatore (questo è vero), ma che anche sui palcoscenici maggiori non lesina la sua classe superiore. L’arrivo di Guardiola gli regala una seconda giovinezza, tanto che i primi due titoli mancuniani targati Pep vedono David confermarsi tra i giocatori chiave della squadra e diventare una delle intelligenze multiple sulle quali si è costruito il sistema del tecnico catalano.
Anche se parliamo dei titoli de 2018 e del 2019, forse è difficile votare David come il Re della squadra, come il suo leader tecnico, quasi a conferma del suo destino di geniale secondo violino, di Principe che non diventa mai un re; ma questo nulla toglie a una carriera che, se parliamo di calcio spagnolo e non solo, merita di finire nella Hall of Fame e gli applausi convinti di tutti gli appassionati.