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Flower of Scotland: i 10 migliori giocatori scozzesi del dopoguerra

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Immagine di copertina: Law e Baker

I recalcitranti sudditi di Sua Maestà che vivono nelle Highlands, oltre a essere i padri del passing game che poi darà i suoi frutti migliori tra i popoli asburgici e latini, per decenni hanno potuto vantare una delle scuole più floride d’Europa. Purtroppo, dopo gli anni ’80 la Scozia ha però perso il ruolo (non di primo, forse, ma certamente e almeno) di secondo piano nel panorama europeo e si è ritrovata nelle retrovie.

1) Denis Law

La breve escursione nella Torino dei primi anni ’60, terminata con risultati più che buoni sul piano numerico, ma deludenti sul piano comportamentale (la bravura di Law si misura in gradi, dicono i maligni, perché evidentemente ha una relazione passionale con gli alcolici), non rende giustizia al superiore talento di Denis Law, uno dei giocatori tecnicamente più dotati mai nati in Gran Bretagna e più in generale in tutta l’Europa non latina. Sublime numero dieci che gioca anche come nove di movimento, di fatto una punta mobile, Law è un talento cristallino che con il tempo aggiusta un po’ le rotelle della sua testa matta, vince un pallone d’oro discusso ma tutto sommato meritato (il posto sul podio gli spettava di diritto) e poi contribuisce alla costruzione della grande epopea dello United di Charlton e Best, al cospetto dei quali riesce a non sfigurare. Le sue doti migliori sono il dribbling nello stretto e la rapidità di esecuzione, che gli consentiranno di collezionare reti e titoli di capocannoniere in Europa. Law chiude la carriera dopo aver consumato il sommo tradimento del suo United in favore del City, e fa pure retrocedere lo United con un gol decisivo, ma nessuno ha mai usurpato il suo posto di primo piano nel cuore dei tifosi dei Red Devils. Encomiabile anche il suo rendimento con la maglia della nazionale, della quale è tuttora il recordman di reti: il primo posto in questa graduatoria gli spetta di diritto.

2) Kenny Dalglish

Leggenda vivente di due club, con i quali riscrive la storia del calcio nazionale e internazionale, Kenny Dalglish è stato un giocatore eterno e di una completezza invidiabile: a inizio anni ’70, la nominale ala destra (di fatto, una seconda punta) si impone come il talento più fulgido del panorama scozzese e con i Celtic inizia a collezionare titoli nazionali e record personali. Nel 1977 il fuoriclasse scozzese viene chiamato a sostituire quel King Kevin Keegan appena emigrato in Germania, e il suo contributo alla gloriosa epopea del Liverpool rimarrà quasi senza eguali: decisivo sin dalla stagione di debutto, anche in finale di Coppa dei Campioni, Dalglish sarà per molti anni l’uomo-chiavistello dei Reds, si guadagnerà in due occasioni la corona riservata al miglior giocatore del campionato inglese e sarà una costante minaccia per gli avversari anche in Europa, grazie alla velocità, al dribbling fulminante e alle abilità di cannoniere. Il suo posto in questa lista non può essere messo in discussione.

3) Graeme Souness

Storicamente annoverato tra i giocatori più cattivi («La cosa più incredibile che ho visto su un campo di calcio? Souness che picchia Passarella», parole di un altro tenero come Vierchowod), Souness è stato però molto più di un semplice “duro”: mediano ruvido e senza paura, abbinava alle doti del cursore e dell’interditore la classe e la visione di gioco del regista classico, muovendosi come una sorta di ibrido tra Roy Keane e Paul Scholes. Dopo diverse stagioni al Middlesbrough, in cui si impone anche come discreto uomo gol, Souness si cimenta nel grande salto e passa al Liverpool fresco campione d’Europa, del quale diventa rapidamente l’uomo decisivo sul piano della manovra, nonché l’equilibratore. Autore dell’assist nella finale del 1978, Souness matura però definitivamente e diventa uno dei primi centrocampisti del mondo soprattutto nella prima metà degli anni ’80, e la coppa strappata alla Roma di Liedholm corona forse il suo torneo migliore con la maglia dei Reds. La sua esperienza alla Sampdoria viene tuttora ricordata come una delle più felici, per uno straniero, in maglia blucerchiata.

3 ex-aequeo) Alan Hansen

Statuario centrale e regista difensivo, dotatissimo nel gioco aereo, pulito nel tackle, grintoso quanto serve per spiccare nel ruvido calcio britannico dell’epoca e dotato di piedi al miele, Alan Hansen è il miglior difensore mai nato nelle Highlands e uno dei migliori al mondo, nel ruolo, a cavallo tra anni ’70 e ’80. Otto volte campione d’Inghilterra e tre volte campione d’Europa, Hansen è stato una sorta di Van Dijk della sua era, anche per le ottime doti di passatore, e non può proprio mancare in questa graduatoria.

5) Jimmy Johnstone

Punta di diamante del Celtic campione d’Europa nel 1967 Jimmy Jinky Johnstone è un’ala rapidissima, piccola di statura (non arriva ai 160 cm) e con una capacità di straordinaria di saltare l’uomo grazie ad un dribbling secco e fulmineo: quando è in giornata è un cliente durissimo per qualunque terzino, chiedere all’Inter di Herrera. Talento puro quindi, quasi brasiliano: in più di un’occasione – dopo aver saltato il suo diretto avversario – lo si vede fermarsi, aspettare che quest’ultimo recuperi per poi dribblarlo di nuovo: una sorta di Garrincha scozzese. Proprio come Garrincha i suoi detrattori criticano la sua scarsa professionalità e tenacia in campo: non è raro vederlo vagare in campo per poi accendersi a fiammate. In circa 12 anni con la maglia bianco verde dei Celtic raccoglie ben 23 trofei: non male, direi!

6) Danny McGrain

Altra leggenda del Celtic, Danny McGrain è stato un terzino formidabile e modernissimo. Bravo in entrambe le fasi, molto forte atleticamente, con la giusta dose di cattiveria e doti tecniche sopra la media per il ruolo, non è un caso se compare praticamente in ogni formazione scozzese all-time. È un elemento chiave del Celtic per quasi un ventennio, il degno successore spirituale di Billy McNeill con il quale condivide un palmares incredibile (ben 17 trofei) e grandi doti di leader dentro e fuori il rettangolo di gioco.

7) Billy McNeill

Decisamente poco conosciuto al di fuori dei confini nazionali, Billy McNeill è stato un vero e proprio simbolo del calcio scozzese per oltre 15 anni. Centrale difensivo carismatico, è stato la colonna portante del Celtic campione d’Europa e imbattibile nei confini nazionali. Recentemente votato come capitano del secolo dai suoi tifosi, incarna in pieno lo spirito scozzese sul rettangolo di gioco pur non essendo chiaramente un fenomeno: ha grinta da vendere, combattività, modeste doti tecniche compensate da un fighting spirit tanto caro all’orgoglioso popolo scozzese e non è un caso se in quasi 800 partite in carriera ha vinto tutto quello che poteva vincere: oltre alla già citata coppa dei campioni, vince quasi 30 trofei, tra cui ben nove scudetti di fila. Anche una volta appesi gli scarpini al chiodo Bill non si ferma: da allenatore del Celtic vince ben 9 in circa 10 anni. Vincenti si nasce.

8) Billy Bremner

Il temuto Dirty Leeds che tra anni ’60 e ’70 è lo spauracchio di mezza Inghilterra e delle più titolate squadre europee vede nel piccolo mediano Bremner l’uomo chiave. Dotato di una notevole forza fisica e di una tempra inesauribile, coraggioso ai limiti del temerario negli scontri fisici che dominano il calcio inglese del tempo, Bremner è per molti anni la colonna portate della squadra allenata da Don Revie, una sorta di Roy Keane ante litteram, capace di cambiare anche con il suo grande carisma il volto di una squadra. La sfortunata e discussa finale di Parigi del 1975 lo priva dell’alloro continentale più importante (ci sono comunque due Coppe delle Fiere), ma toglie poco alla grandezza di uno dei centrocampisti scozzesi più completi e vincenti, atteso peraltro da un tragico destino poco dopo aver compiuto i cinquant’anni. Tra i traguardi individuali, spicca il premio di giocatore britannico dell’anno ottenuto nel 1970.

9) Jim Baxter

Centrocampista totale la cui carriera è stata – in parte – falcidiata da numerosi infortuni, Jim Baxter probabilmente è stato uno dei giocatori scozzesi più talentuosi di sempre. Mancino purissimo, alto e snello, tecnicamente sublime, con un tocco di palla e una grande eleganza, inquadrarlo tatticamente è complicato: è un playmaker a tutto campo in grado di disimpegnarsi con egual efficacia in più ruoli e di dettare i tempi della manovra grazie ad una straordinaria precisione dei passaggi e una visione di gioco fuori dal comune. Egli stesso descrive in maniera chiara il suo stile di gioco «tratto la palla come fosse una donna. La coccolo, le faccio una carezza, mi prendo il tempo necessario…e avrò le risposte che desidero». Slim Jim raggiunge il suo apice negli anni ’60 con i Rangers di Glasgow con i quali vince da protagonista una decina di trofei.

10) Billy Liddell

Ok, so benissimo che Liddell ha dato il meglio di sé intorno alla fine degli anni ’40, ma uno come lui – secondo me – non poteva mancare in una classifica simile. Anzi, in una classifica all-time probabilmente rientrerebbe nelle prime cinque posizioni.
Chi era Liddell? Era una forza della natura, atleticamente spaventoso e imprendibile, ma allo stesso tempo un professionista esemplare, un vero e proprio gentiluomo. Nella sua carriera ventennale al Liverpool vince poco (solo un campionato) – è vero – ma non è un caso se in moltissime formazioni all-time dei Reds spunta sempre il suo nome e recentemente è stato votato come il sesto miglior giocatore della storia del Liverpool. La sua dedizione alla causa è totale: pur avendo un contratto “part-time” (si allena due volte a settimana) è il leader dello spogliatoio e senz’altro uno dei giocatori più amati che abbiano mai vestito la casacca dei Reds in un periodo di grandi difficoltà. È un ala e un centro-attacco incredibilmente potente fisicamente, veloce, con un tiro incredibilmente potente e preciso, fiuto del goal e grande bravura nel gioco aereo.

Articolo a cura di FRANCESCO BUFFOLI e TIZIANO CANALE

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