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I 10 più grandi centravanti italiani dell’epoca televisiva

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Immagine di copertina: stupenda girata di Riva

I ruoli nel calcio rappresentano a nostro parere – essendo la loro definizione è un puro atto linguistico – un concetto in costante evoluzione. Il centravanti è stato molte cose diverse, nel corso della storia, e questo rappresenta un problema centrale quando si vogliono selezionare i dieci centravanti italiani più grandi del dopoguerra: non è semplice farlo soprattutto nella misura in cui la selezione presuppone che si definisca con chiarezza cosa è un centravanti. Per evitare troppe complicazioni, abbiamo deciso di adottare il termine in un’accezione ampia, che include anche giocatori ibridi, in grado di muoversi sia come arieti in area di rigore che come punte mobili, spesso accompagnate dal numero undici sulla maglia. Il problema si pone anche con i fuoriclasse moderni: Andriy Shevchenko è stato un centravanti? Luis Suárez? E potremmo proseguire a lungo. Fatta la doverosa premessa tassonomica, anche quelli che sono a nostro parere i dieci centravanti/attaccanti puri italiani più bravi e importanti del dopoguerra.

10) Pietro Anastasi

In ballottaggio con Pierino Prati e Alessandro Altobelli per il 10° posto, alla fine abbiamo optato per lui per questioni iconiche, perché, per dirla alla Alessandro Baricco Pietro Anastasi è stato «il simbolo vivente di un’intera classe sociale: quella di chi lasciava a malincuore il Meridione per andare a guadagnarsi da vivere nelle fabbriche del Nord». Così Pietruzzo, partito da Catania, ha scalato le gerarchie del calcio italiano, dapprima nel Varese in B e in A e quindi nella grande Juventus. Otto le sue stagioni in bianconero, quattro volte in doppia cifra in serie A e 3 scudetti. Ma è con la nazionale che si è tolto la soddisfazione più bella, vincendo da titolare e protagonista l’Europeo: nella ripetizione della finale contro la Jugoslavia a Roma, dopo l’1-1 della prima partita, fu un suo splendido gol in mezza rovesciata a sancire il 2-0 e regalare agli azzurri il titolo. Anastasi, a 20 anni, aveva già coronato il sogno di milioni di bambini: vincere con la maglia della nazionale con un proprio gol.

I gol più belli di Anastasi

9) Roberto Pruzzo

Da Crocefieschi, piccolo comune dell’entroterra genovese, a Roma, cuore dell’impero. Così Roberto Pruzzo divenne re – anzi O Rei de Crocefieschi – della capitale sponda giallorossa per un decennio, bomber principe per tre volte della serie A e uno dei principali artefici dello storico scudetto 1982-83, quello con Liedholm in panchina e il divino Falcão a tessere il gioco in campo. In giallorosso 138 reti (106 in campionato) in 315 incontri e l’amore incondizionato dei tifosi. Prima l’esperienza proficua al Genoa, capocannoniere della serie B e la vittoria del torneo cadetto 1975/76. Dopo, il tramonto a Firenze, per una sola stagione prima dell’addio al calcio, nel 1988/89, decidendo lo spareggio per l’ingresso in Coppa UEFA proprio contro la Roma. Scaltro, rapido, pirotecnico e acrobatico, con il gol sempre in canna, Pruzzo doveva essere per molti il centravanti scelto dell’Italia al Mundial 1982. Ma Bearzot scelse Rossi e fu la sua fortuna. Pruzzo, mai a suo agio in azzurro (6 presenze e 0 reti) fu costretto a mordere il freno. Si sarebbe riscattato da lì a pochi mesi vincendo con la sua Roma lo scudetto a 41 anni dal primo.

8) Paolo Pulici

Da Guglielmo Gabetto a Puliciclone: i due più grandi centravanti della storia granata. E se di Gabetto i gol in rovesciata e in acrobazia, un suo marchio di fabbrica, si possono solo raccontare, di Pulici è possibile rivederli. Insieme a molto altro: attaccante tecnico, veloce, completo, in coppia con Francesco Ciccio Graziani fece tornare il Torino al tricolore dopo i fasti dell’epoca d’oro, conclusa in tragedia a Superga. Nessun tifoso granata potrà mai scordare la formazione dello scudetto, con Radice in panchina, una filastrocca da mandare giù a memoria, da Castellini tra i pali a Pulici e Graziani in attacco. Svezzato dal Legnano, passò al Toro a 17 anni e ci rimase fino ai 32, per un totale di 436 partite e 172 gol, di cui 143 in campionato. Tre volte capocannoniere della serie A, la sua firma sul tricolore del 1975/76 è testimoniata da 21 reti nel carniere e dall’intesa straordinaria con il gemello Graziani. Tanto efficace con il Toro quanto più fugace l’esperienza in azzurro, un amore mai sbocciato che gli portò in dote appena 5 reti e due convocazioni ai Mondiali 1974 e 1978 senza mai scendere in campo.

I 21 gol di Pulici nella stagione di grazia 1975/1976 che portarono il Toro allo scudetto

7) Filippo Inzaghi

Giocatore tra i più controversi della storia del nostro calcio, a causa dello iato che sembra separare le sue qualità (di difficile definizione, specie per chi non sa cogliere le doti invisibili dei campioni) dai suoi numeri e dal suo rendimento, Filippo Inzaghi non può a nostro parere mancare in qualsiasi discorso sui migliori centravanti italiani. Simile per certi versi a Paolo Rossi, ma meno completo e più limitato sul piano tecnico, Inzaghi è stato un meraviglioso scherzo della natura, un “brocco di genio” secondo la definizione del giornalista Franco Rossi: Pippo non è un colosso, né spicca sul piano tecnico o della velocità palla al piede, né è efficace nel dribbling; ciononostante, Inzaghi sa leggere come pochi altri le situazioni offensive, grazie a un intuito geniale, e possiede doti aerobiche non comuni (il compianto Mondonico ha evidenziato più volte che Pippo poteva correre novanta minuti senza tregua e che era in grado di entrare nel ritmo partita in pochi secondi). La sua capacità di farsi trovare al posto giusto al momento giusto è rimasta negli annali, e d’altra parte i numeri remano dalla sua parte: Inzaghi è ancora oggi il miglior marcatore italiano nelle Coppe Europee e figura tuttora nella top 10 planetaria, accanto a giocatori di ben altro spessore tecnico, e non può essere casuale. Più che un bomber seriale, peraltro, Pippo è stato uomo dai gol pesanti: da Kiev 1998 a Madrid 2010, non si contano le occasioni in cui ha messo lo zampino quando era importante farlo. Il 2003 e il 2007 sono probabilmente le sue stagioni migliori in Europa. Meno fortunata ma comunque positiva l’esperienza in maglia azzurra.

6) Roberto Boninsegna

Per tutti era Bonimba, poderoso attaccante tra i più efficaci e letali del calcio italiano. In coppia con Riva ha tentato di rendere grande l’Italia a Messico ’70, dopo l’oro europeo del 1968, ma ha dovuto inchinarsi al magno Brasile in finale. Cresciuto nell’Inter, spedito dai nerazzurri a farsi le ossa a Prato e Potenza, conquistò le prime pagine sul finire degli anni ’60 nel Cagliari. Ma l’estate prima dello storico scudetto dei sardi tornò all’ovile, all’Inter. Poco male: Boninsegna non festeggiò il titolo a Cagliari nel 1970, ma si rifece la stagione seguente con l’Inter, cui aggiunse il titolo di capocannoniere del campionato replicato l’anno successivo. Nel 1976, 33enne, passò alla Juventus. Pareva oramai sul viale del tramonto, invece contribuì a due scudetti dei bianconeri e al loro primo trionfo internazionale, la Coppa UEFA del 1977. Forte fisicamente, classico terminale d’area, potente e scaltro negli ultimi 16 metri, Boninsegna si faceva particolarmente valere nel gioco aereo e in acrobazia.

5) Gianluca Vialli

Generoso, tecnico, poderoso, carismatico. Gianluca Vialli è stato uno dei centravanti di riferimento a livello italiano e non solo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Nato come ala, è diventato poi un bomber letale e completo, dotato di velocità, progressione, atletismo e capace di segnare spesso reti spettacolari. Dopo gli esordi alla Cremonese, ha fatto grande la Sampdoria in coppia con il gemello del gol Roberto Mancini e conquistando a Genova sponda blucerchiata il primo storico scudetto nella storia della società, oltre a una Coppa delle Coppe decisa da una sua doppietta nella finale contro l’Anderlecht, tre edizioni della Coppa Italia e la Supercoppa italiana. Dopo la deludente finale di Coppa Campioni persa contro il Barcellona nel 1992, si trasferì alla Juventus dove – dopo un iniziale e non semplice periodo di adattamento – divenne l’alfiere della squadra capace di riportare lo scudetto sotto la Mole a nove anni dall’ultimo. In maglia Juve si portò anche a casa Coppa UEFA e Coppa Campioni (completando dunque un invidiabile trittico delle coppe europee per club), un’altra Coppa Italia e un’altra Supercoppa europea.

Gianluca Vialli

4) Christian Vieri

Non sprecheremo troppo inchiostro nel riepilogare la vita e la carriera di uno degli ultimi grandi centravanti italiani, ci limiteremo a ricordare che Bobone Vieri, che come molti centravanti impiega qualche anno a maturare (complici anche alcuni limiti tecnici che sembrano relegarlo nel limbo dei centravanti da provinciale), quando matura può permettersi di guardare negli occhi tutti i grandi numeri nove del mondo. Dopo una stagione di apprendistato a Bergamo, Bobone trasloca alla corte di Marcello Lippi e diventa uno dei giocatori chiave di una delle Juventus più spettacolari della storia, regalandosi momenti magici soprattutto in Europa. Spedito a Madrid, Bobone domina la Liga sul piano realizzativo e per sua stessa ammissione affina la tecnica, imparando a giocare di prima e in velocità. Dopo un mondiale di Francia che lo consacra come centravanti di caratura mondiale, Vieri, pur penalizzato dai ricorrenti guai fisici, vive tra Roma e Milano le stagioni migliori della carriera, dimostrandosi un giocatore in grado di spostare gli equilibri di un campionato. Le sue performance europee faranno storcere il naso ai detrattori, che lo accuseranno di essere un bomber seriale soprattutto contro le squadre “piccole,” ma a nostro parere resta indiscutibile che fino al 2003 Vieri sia uno dei numeri nove classici più determinanti in circolazione, come confermerà anche l’infelice trasferta in Estremo Oriente del mondiale 2002, quando si prende la squadra sulle spalle in vari momenti difficili. Un rapido declino fisico renderà l’ultima parte della sua carriera una sorta di calvario, ma non può privarlo di una menzione in questa graduatoria.

Vieri e Inzaghi in nazionale

3) Roberto Bettega

Roberto Bettega Bobby Gol è stato il più credibile erede di Rombo di Tuono, una sorta di numero undici universale capace di muoversi anche come un centravanti classico. Immarcabile nel gioco aereo, dotato di due piedi al velluto degni di una mezzala, Bettega per un decennio è stato probabilmente il miglior attaccante italiano, un giocatore mobile e fondamentale anche per le capacità di dialogo con i centrocampisti e i compagni di reparto. Ragazzo prodigio a inizio anni ’70, dopo il noto problema di tubercolosi che sembra stroncarne la carriera Bobby Gol vive le stagioni migliori nella seconda metà del decennio, quando affina la propria efficacia sotto porta ed è uno degli uomini chiave di vari titoli nazionali e del primo successo europeo della sua Juventus. Memorabili le sue prestazioni al Mondiale argentino, quando decide la complicata sfida con i padroni di casa, prestazioni che gli valgono un meritato e anzi quasi punitivo quarto posto nella graduatoria del pallone d’oro del 1978. Titolare inamovibile anche a Euro 1980, Bettega è costretto a rinunciare al Mundial a causa di un grave infortunio subito a fine 1981, infortunio che di fatto scrive la parola fine sulla sua carriera al top – le ultime stagioni vedranno in campo solo l’ombra del fuoriclasse ammirato durante gli anni ’70. Bettega è tuttora il terzo marcatore all time della storia della Juventus, dopo Del Piero e Boniperti.

2) Paolo Rossi

Soprannominato Garrincha in giovane età, in ragione della sua rapidità palla al piede che gli consente di saltare l’uomo con facilità disarmante, Paolo Rossi è probabilmente (con Roberto Baggio) il miglior attaccante azzurro della storia dei Mondiali, dal 1945 in avanti. Giovane fenomeno nel Real Vicenza che si gioca in titolo nel 1978, quando giocando come atipico centravanti mobile fa il vuoto sotto porta, Rossi convince il Vecio Bearzot a consegnargli la maglia da titolare in vista del Mondiale argentino, e in Sudamerica diventa Pablito, formando con Bettega la miglior coppia d’attacco del torneo. Ancora protagonista con la maglia del Perugia dei miracoli, sempre grazie a un rapidità di movimento in area di rigore con pochi eguali e a un intuito capace di esaltare le sue doti tecniche di prim’ordine, Rossi sembra appendere gli scarpini al chiodo in largo anticipo a causa della nota squalifica, ma come sappiamo tutti risorge ai Mondiali di Spagna e vince un meritato Pallone d’oro. La successiva stagione in bianconero è probabilmente il suo canto del cigno come fuoriclasse; Pablito sarà comunque un giocatore valido, pur se molto discontinuo, fino al 1985, ma il passaggio al Milan di fatto chiude la sua carriera. Le sue straordinarie performance in due tornei iridati e le stagioni migliori, in particolare quella di Vicenza, non possono che assicurargli un posto di rilievo nella storia del nostro calcio.

Rossi e Bettega

1) Luigi Riva

A nostro parere, Gigi Riva non è stato solo il miglior attaccante puro italiano del dopoguerra, ma anche uno dei solisti più decisivi della storia del nostro calcio. Costretto a crescere in fretta a causa di una serie terribile di drammi familiari (perde quando è giovanissimo i genitori e la sorella), Riva sviluppa un carattere introverso e spigoloso, poco incline ai compromessi, un carattere che fa del riserbo una ragione di vita e che gli consente di derubricare i problemi del mondo dello sport a questioni risolvibili; Gigi viene pure dotato da madre natura di un sinistro essenziale e di una purezza anche estetica invidiabile, ma soprattutto di una forza fisica e di una cattiveria agonistica quasi senza pari, e grazie a queste doti per diversi anni domina il mondo del calcio, terrorizzando le difese dello Stivale. Dopo averlo bocciato a causa del suo mancinismo estremo, Brera si ricrede, lo incorona come uno dei suoi idoli e gli regala il soprannome più bello. Riva può giocare sia come centravanti classico che come numero 11 che parte defilato e si accentra, grazie alla capacità di accelerare palla al piede. La sua carriera non è lunghissima, anche perché in due occasioni Riva si immola sull’altare azzurro lasciandoci la gamba, ma è straordinaria: dopo un rapido percorso di crescita (ancora oggi Riva ricorda che in allenamento, in Inghilterra durante i Mondiali, umiliava quotidianamente i titolari, e che avrebbe quindi dovuto giocare titolare), il fuoriclasse lombardo diventa il giocatore più importante del nostro calcio. Dopo aver vinto l’Europeo del 1968 da protagonista, Rombo di Tuono sfiora il pallone d’oro con la maglia del Cagliari (Rivera merita il titolo per le straordinarie performance europee, ma in molti credono che il giocatore più forte d’Europa viva in Sardegna) e finisce di nuovo sul podio nel 1970, dopo aver vinto uno degli scudetti più straordinari e indimenticabili della storia del calcio. L’anno dopo il suo grave infortunio impedisce ai suoi di giocarsi il titolo e ne favorisce il rapido declino, ma poco toglie a una carriera leggendaria.

Articolo scritto da NICCOLÒ MELLO e FRANCESCO BUFFOLI

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