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Il Paese invisibile: i 10 calciatori albanesi più forti di sempre

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L’Albania è stato per circa quarantacinque anni uno dei movimenti calcistici più impenetrabili e misteriosi d’Europa a causa della folle politica isolazionista promossa dal suo leader indiscusso, Enver Hoxha, che in nome dell’ortodossia marxista-leninista ruppe prima qualsiasi legame con l’Unione Sovietica (nei primi Anni Sessanta) per legarsi alla Cina maoista, di cui l’Albania fu l’unico avamposto europeo. Poi quando nel 1978 finì anche l’epoca maoista, l’Albania divenne uno dei primi paesi marxisti integralmente autarchici. Il folle e anacronistico isolazionismo promosso da Hoxha e dai suoi seguaci ha fatto sì che il movimento calcistico albanese sia stato a lungo completamente ignorato sia ad Occidente ma anche all’interno dello stesso blocco comunista. Le squadre albanesi per anni non hanno partecipato alle coppe europee e la stessa Nazionale ha disputato solo saltuariamente partite ufficiali. Nonostante questa autentica cortina di ferro che ha circondato per decenni il “bunker” albanese siamo riusciti a confezionare questa splendida graduatoria dei migliori calciatori albanesi che parte dagli Anni Quaranta e arriva fino al giorno d’oggi.

1) Loro Boriçi

Meteora in Italia, icona in patria sia da giocatore che da allenatore, nonché autentico “eroe dei due mondi”. Così possiamo definire questo possente centravanti/mezzala (alto quasi un metro e novanta) ambidestra e dai piedi fatati, veloce ma abilissimo anche a impostare il gioco, paragonato allo jugoslavo Bobek per il suo stile di gioco. Nato a Scutari, enclave cattolica nel Nord dell’Albania, Boriçi iniziò a giocare nella squadra della sua città, il Vllaznia (“fratellanza” in albanese). Nel 1941, in piena occupazione italiana, Lorenzo Borici (questo il suo nome italianizzato) fu tesserato dalla Lazio e giocò due campionati come vice di una leggenda come Silvio Piola segnando sei gol in ventotto incontri. A differenza di altri suoi compatrioti come Naim Kryeziu e Riza Lushta, che saranno per anni protagonisti nel nostro calcio, Boriçi ritornò in patria sia per motivi ideologici che per restare vicino alla sua numerosa famiglia e nella sua terra si trasformò in una leggenda del calcio.

Nel 1946 infatti capitanò la Nazionale nella vittoriosa Coppa dei Balcani (primo ed unico trofeo internazionale nella storia della selezione albanese) e poi divenne una bandiera del Partizani Tirana, la squadra dell’esercito con la quale vinse due campionati. Dalla fine agli Anni Cinquanta alla sua morte, avvenuta nel 1984, Boriçi fu a più riprese allenatore del Partizani (con il quale fece incetta di titoli) e della Nazionale albanese diventando anche un riferimento per tantissimi tecnici della regione balcanica. Dal 1972 al 1975 Boriçi fu inviato nella Cina Maoista, unico alleato dell’Albania nazional-comunista di Enver Hoxha, a gettare le basi del movimento calcistico cinese: per questa sua opera di vero e proprio missionario calcistico non volle nessun compenso ma solo un rifornimento costante di sigarette come unica forma di “salario”. Alla sua morte il regime di Hoxha vietò per un primo momento il funerale di Loro, che non aveva mai nascosto la sua fede cattolica, finché una folla enorme non convinse le autorità a concedere l’ultimo saluto alla più grande icona mai avuto dall’Albania calcistica; fu una delle prime crepe nel monolitico sistema di potere implementato da Hoxha. Nominato in vita “Maestro Emerito”, “Allenatore Nazionale”, “Onore dello sport albanese”, “Grande Maestro del Lavoro”, nel 1990 il comune di Scutari gli dedicò il nuovo stadio, che tuttora porta il suo nome, mentre a Tirana è intitolata alla sua memoria la Scuola nazionale di calcio.

Le tre fasi della carriera di Loro Boriçi: calciatore della Lazio, premiato con la sua nazionale alla Coppa dei Balcani del 1946, allenatore della Nazionale albanese.

2) Panajot Pano

Meno iconico di Boriçi ma probabilmente più talentuoso, così possiamo definire Panajot Pano, calciatore incoronato dalla UEFA nel 2000 con il prestigioso titolo di calciatore albanese del secolo. Nato a Durazzo da una famiglia di origine greca, questa sorta di “clone” di Ferenc Puskás sia per tratti somatici che per caratteristiche fisiche e tecniche, è stato uno dei primi “casi” calcistici nel suo paese. Prodotto calcistico del 17 Nëntori di Tirana (l’attuale KF Tirana), la squadra popolare della capitale, non sostenuta dagli apparati burocratici dello Stato come il Partizani (Ministero della Difesa) e la Dinamo (Ministero degli Interni), nel 1960 il giovane Panajot fu trasferito dai funzionari del Partito Comunista proprio al Partizani, approfittando del servizio militare.

Con la maglia rossa sarà protagonista per tre lustri nella Kategoria Superiore e,  nonostante questo “tradimento” la popolarità di Pano fu sempre alle stelle nella Terra delle Aquile per tutta la sua carriera. Il “Toro Rosso” vinse tre volte la classifica dei marcatori e, con l’“Accademia del Calcio” (questo il soprannome del Partizani) allenata da Boriçi, ben quattro campionati e sei coppe nazionali. Durante la sua carriera di calciatore, Panajot ricevette offerte da mezza Europa, in particolare dal Colonia e dal Fenerbahçe, però i regolamenti del regime di Hoxha errano ferrei: nessun atleta poteva espatriare all’estero. Così di Pano restano pochissimi filmati, rare immagini e tante belle parole spese dai suoi avversari, soprattutto dai tedeschi che si videro inchiodati su uno storico zero a zero a Tirana nel 1967 che causò l’eliminazione della Mannshaft dalla fase finale degli europei.

“Anche se Pano in futuro non si dovesse ricordare di me, io mi ricorderò per sempre di lui” queste furono le parole di un certo Franz Beckenbauer che nel 1990, in trasferta a Tirana alla guida dell’Olympique Marsiglia, volle a tutti i costi andare a trovare questo suo vecchio incubo di gioventù. Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, Pano allenò le giovanili del Partizani e l’Under 21 albanese, prima di diventare allenatore in seconda della prima squadra del Partizani. Il “piccolo Puskás albanese” morì a Jacksonville negli Stati Uniti nel 2010, ai suoi funerali in patria, parteciparono oltre centomila persone davanti alle massime autorità del paese.

Panajot Pano in azione

3) Lorik Cana

Soprannominato Il Guerriero per il suo piglio da indomito combattente, è il simbolo della rinascita del calcio schipetaro nell’ultimo decennio nonché il recordman di presenze (ben novantatré) con la casacca della nazionale albanese. Nato a Pristina in Kosovo, fuggito da giovane in Svizzera e cresciuto nel settore giovanile del Paris Saint Germain, a causa di questa complessa vicenda biografica Lorik possiede ben quattro cittadinanze (kosovara, svizzera, albanese e francese) ma ha scelto di rappresentare la nazionale del suo cuore, cioè quella albanese, diventandone una vera e propria icona. Come caratteristiche tecnico/tattiche Cana era un difensore centrale con caratteristiche da marcatore ma che nel corso della sua carriera ha spesso giocato a centrocampo con compiti da schermo difensivo. A livello di club ha legato il suo nome soprattutto a due squadre biancocelesti: l’Olympique Marsiglia e la Lazio dove ha trascorso gli anni migliori della sua carriera. Nella capitale Cana vinse una storica Coppa Italia contro la Roma nel 2013 e tre anni più tardi guidò da leader la Nazionale albanese al suo primo Europeo nel 2016, disputatosi proprio in Francia, il paese che calcisticamente lo aveva cresciuto. Ritiratosi nel 2017, oggi Cana è ambasciatore del calcio per bambini in Albania e apprezzato opinionista televisivo.

Lorik Cana esulta con la maglia dell’Albania

4) Refik Resmja

Autentico uomo dei record, è stato senza dubbio uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio albanese. Resmja era infatti un attaccante moderno, dotato di notevoli doti atletiche e di un tiro incredibilmente potente e preciso con entrambi i piedi. Nonostante non avesse lo stesso talento puro di un Pano o la visione di gioco di un Boriçi, compensava con la grinta e la determinazione che lo hanno reso uno degli attaccanti albanesi più amati di sempre. Durante la sua carriera con la maglia del Partizani Tirana, ha segnato un totale di 184 gol in 120 partite, con una media di 1,53 reti a partita, spesso partendo dalla fascia destra per poi convergere al centro sfruttando gli assist di Boriçi. Tuttavia, ciò che lo ha davvero distinto è stata la straordinaria costanza nel tempo. Resmja, infatti, ha stabilito diversi record, il più notevole dei quali è quello di aver vinto il titolo di capocannoniere del campionato albanese per ben nove anni consecutivi, un traguardo ancora imbattuto oggi. Nel 1951 segnò ben 59 gol in 23 partite, un altro record che resiste ancora oggi. Negli anni ’50, il suo nome fu stato accostato a quello di giocatori del calibro di Bican, Deak e Friedenreich, e diverse squadre europee erano interessate ad acquistarlo, purtroppo per lui tutte cose impossibili nell’ortodosso regime di Enver Hoxha che stava sigillando il paese in un isolamento privo di senso. Con la Nazionale albanese Resmja disputò infatti appena cinque partite segnando due reti.

Un’immagine di Refik Resmja

5) Ilir Përnaska

Il Gran Maestro, ovvero uno dei più grandi centravanti puri della storia del calcio albanese, simbolo della Dinamo Tirana, la squadra che nel corso degli Anni Settanta ha preso il testimone di squadra leader della Kategoria Superiore albanese dal 17 Nëntori, con la quale ha vinto ben cinque campionati e tre coppe d’Albania. Centravanti di razza, potente e coraggioso ma allo stesso tempo agile, ha formato con Shyqyri Ballgjini e Vasillaq Zëri uno dei più forti tridenti nella storia del calcio albanese. La Dinamo degli Anni Settanta praticava un gioco offensivo e arioso ma per l’assurda autarchia imposta da Hoxha, non poteva partecipare alle coppe europee. Per ben sei campionati consecutivi, dal 1971 al 1977, è stato il capocannoniere del campionato e un sondaggio del Guerin Sportivo dell’epoca lo classificava addirittura come quarto attaccante più forte d’Europa a pari merito con una leggenda come il portoghese Eusebio. Poca fortuna invece la sua avventura con la nazionale: in un decennio, a causa dell’isolazionismo dell’Albania hoxhaista, ha collezionato solo quindici presenze, quasi tutte in amichevoli, condite comunque da una buona media realizzativa (cinque reti). Dal 1992, come molti suoi connazionali, lascia l’Albania stabilendosi in Italia, ad Ascoli Piceno, dove vive tuttora.

Ilir Përnaska in posa prima di una partita della Dinamo Tirana

6) Erjon Bogdani

Gigantesco centravanti implacabile in area di rigore, abilissimo nel gioco di aereo e nel lavorare di sponda per i compagni,  in circa un decennio ha fatto le fortune di molte nostre squadre di provincia (Reggina, Verona, Siena, Chievo, Cesena) andando sempre in gol con buona regolarità. Con diciotto reti (in 75 partite) è il miglior marcatore della storia della Nazionale albanese e solo per questo merita di essere inserito nella nostra speciale classifica. Nato a Tirana in una famiglia colta e benestante, prodotto del settore giovanile del Partizani, dopo la caduta del regime comunista visse due anni da rifugiato assieme alla madre a Castellamare di Stabia e a Roma prima di rientrare in patria. Erjon è uno dei pochi calciatori ad essersi laureati (in Economia e Commercio) e dopo aver appeso gli scarpini al chiodo si è “diviso” tra il suo paese natale, dove collabora con la Federazione nel ruolo di osservatore, e quello adottivo, da quest’anno infatti Bogdani è il responsabile scouting del settore giovanile del Palermo al fianco dell’amico e testimone di nozze Leandro Rinaudo.

Erjon Bogdani con la maglia dell’Albania

7) Altin Lala

Mediano piccolo e razzente tutto corsa e sostanza, dall’indomito spirito che contraddistingue gli albanesi, è stato un simbolo della Nazionale albanese, con la quale è il secondo giocatore ad aver collezionato più presenze, e dell’Hannover, club per il quale ha legato il suo nome per ben quattordici stagioni divenendone anche capitano. Anche Lala, originario di Kavajë, vanta una storia particolare: prodotto del settore giovanile della Dinamo Tirana, nel 1991 durante una tournée con la selezione albanese Under 16 ad Amburgo, mentre in patria stava per crollare il regime comunista, decise di chiedere asilo assieme ad alcuni suoi compagni all’ambasciata tedesca. Smistato in un campo profughi a Fulda, viene ingaggiato dalla squadra locale (il Borussia Fulda) prima di passare a ventitré anni all’Hannover, squadra con la quale conquista una promozione in Bundesliga nel 2001/02 e con la quale legherà tutta la sua carriera di calciatore. Dopo il ritiro ha avuto due fugaci esperienze come vice di Gianni De Biasi nella Nazionale maggiore  e come capo allenatore della Nazionale schipetara Under 19.

Altin Lala in azione

8) Rudi Vata

Difensore centrale agile e combattivo, prodotto del Vllaznia di Scutari, nell’estate 1990 passò alla Dinamo Tirana dove però disputò solo sei partite in quanto nel marzo 1991, durante una trasferta con la Nazionale al Parco dei Principi contro la Francia, si finse infortunato per poi sgattaiolare in un vicino commissariato della polizia dove chiese asilo politico. Il suo clamoroso gesto fu seguito da altri sei suoi compagini della Dinamo. Vata ha legato il suo nome soprattutto a due squadre: il Celtic di Glasgow, con la quale disputò tre stagioni segnando anche un gol contro i rivali dei Rangers su punizione, e l’Energie Cottbus in Germania, dove invece disputò un ottimo quadriennio. Con la maglia biancoverde del Celtic divenne il primo albanese a vincere il primo trofeo con un club europeo (la Coppa di Scozia nel 1994/95). Suo figlio Rocco, classe 2005, è una delle promesse più luminose del Celtic Glasgow anche se ha scelto di vestire la maglia della nazionale irlandese per via delle origini della moglie di Rudi. Oggi Vata è procuratore sportivo e opinionista televisivo molto apprezzato in patria.

Rudi Vata (al centro) con la prestigiosa casacca del Celtic Glasgow

9) Naim Kryeziu

Anche se non ha mai vestito la maglia della Nazionale albanese, in quanto ha disputato quasi tutta la sua carriera calcistica in Italia, va menzionato uno dei più grandi calciatori albanesi che abbia mai giocato nella nostra Serie A, contribuendo da grande protagonista al successo del primo storico scudetto della Roma nella stagione 1941/42. Stiamo parlando di Naim Kryeziu (speso trascritto Krieziu in Italia), soprannominato la “Freccia di Tirana”, nativo del Kosovo ma trasferitosi giovane nella capitale dove a quindici anni iniziò a giocare nel settore giovanile del K.F. Tirana, la squadra della borghesia tiranese. Dopo aver vinto campionato e Coppa d’Albania nella stagione 1938/39, Kryeziu venne a Roma per iscriversi alla facoltà di Scienze Motorie. Un suo insegnante lo segnalò alla Roma e in giallorosso fu protagonista assoluto con 37 gol in 140 incontri nonostante abbia perso i suoi anni migliori a causa della Seconda Guerra mondiale. Ala destra classica, velocissima e specialista negli assist (di cui beneficiava il suo grande amico Amedeo Amadei), Kryeziu vestì, pur senza brillare come in giallorosso, anche la maglia del Napoli. Smessi i panni di giocatore è stato tecnico nel settore giovanile della Roma (con cinque panchine anche in Prima Squadra nel 1963), da osservatore è stato lo scopritore di un certo Giuseppe Giannini.

La Roma campione d’Italia nel 1941/42: Kryeziu è il primo in piedi da sinistra

10) Qemal Vogli

Nonostante l’Albania sia stata terra di ottimi portieri (citiamo Mikel Janku, Perlat Musta, Foto e Thomas Strakosha), questo sfortunatissimo atleta nato nel 1929 è considerato ancora oggi il miglior portiere mai prodotto dalla nazione balcanica ed ha una storia tutta da raccontare. Nativo di Kavajë, siccome la sua famiglia era sospettata di aver collaborato con i nazifascisti durante la Seconda Guerra Mondiale, Qemal fu assunto dalla Dinamo Tirana con il duplice compito di portiere e di spia. Talento naturale, a soli diciassette anni difendeva già i pali della Nazionale e nel corso della sua seppur breve carriera in patria veniva paragonato per la sua mole (187 centimetri) e per il suo stile di gioco all’astro nascente del calcio sovietico Lev Jašin. Nel 1955, lo stesso leggendario portiere sovietico, ai margini di un incontro amichevole tra le due Dinamo, invitò Vogli a Mosca per perfezionare la sua tecnica di parata. Nel settembre 1956, durante una tournée in Germania Est, riuscì a scappare e chiedere asilo in Germania Ovest. Messo sotto contratto dal Monaco 1860, grazie ad un’operazione congiunta tra la Sigurimi e la Stasi, fu costretto a rimpatriare in Albania dove ad attenderlo c’erano ben quindici anni di carcere. Vogli ne scontò solo cinque ma fu costretto per sempre ad abbandonare la carriera di calciatore e a vivere sotto stretta sorveglianza della Sigurimi (che gli vietò anche di scendere in campo nelle partitelle tra amici) fino al crollo del comunismo. Morì nel 2004 dopo i postumi di un incidente stradale.

Una delle rare immagini di Qemal Vogli in azione

Menzioni d’onore

Detto degli ottimi portieri che hanno vestito la maglia rossa della nazionale schipetara, non sono rientrati in questa speciale classifica ma vanno comunque menzionati: Altin Rrakli, attaccante protagonista in Bundesliga negli Anni Novanta, il “nostro” Igli Tare attuale direttore sportivo della Lazio, Arben Minga, Agustin Kola e Sulejman Demollari, bandiere del 17 Nëntori Anni Ottanta, Ervin Skela, centrocampista attivo sempre nella Bundes tra il 1996 e 2006 e quarto nella classifica di presenze all time, Riza Lushta, attaccante che negli Anni Quaranta ha vestito la prestigiosa maglia della Juventus.

Un’immagine della Nazionale Albanese del 1970 tratta da una rivista tedesca: allenatore è Loro Boriçi (terzo in piedi da destra), ultimo accosciato a destra Panajot Pano.

Articolo scritto da FRANCESCO SCABAR e TIZIANO CANALE

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