Il gioco del calcio ha un santuario colmo di what if dove miti e leggende si intrecciano tra le pagine di epiche cronache sportive. Ed è proprio qui che la figura di Paul Gazza Gascoigne emerge come un’enigmatica costellazione. Un talento sopraffino, che, come una supernova, ha brillato con intensità effimera per poi dissolversi nel turbinio delle sue stesse convulsioni esistenziali.
Nell’inverno di un’epoca “Iron” che sembrava scandita solo dai ritmi frenetici e dalle luci accecanti delle metropoli britanniche, emerse un giovane talento a Newcastle, un prodigio che danzava sul campo come un poeta con la penna: Paul Gascoigne. La sua adolescenza poi, un caotico vortice di emozioni e sogni, si svolse tra le strade grigie della capitale del North East e gli stadi incantati di una giovane Inghilterra. Un tiro sotto l’incrocio era un piccolo lasso di tempo e gioia fra le violenze domestiche e i pound da centellinare per portare un po’ di “Singing Hinning” sui piatti.
Immaginate un ragazzo che calcia un pallone, il caldo abbraccio della palla sui suoi piedi, un’estasi che lo trasportava come un canto ancestrale. A Newcastle, Gascoigne non era solo un calciatore; era una promessa “from the people, to the people”, un sogno avvolto in un’aura di genialità. All’età di soli 11 anni, quando il mondo era ancora un paradigma in divenire, si unì alle giovanili del Newcastle United, ovvero la sua squadra del cuore. Qui, sui campi erbosi bagnati dalla pioggia incessante, fece tappa sulla sua strada verso la leggenda.

La sua crescita calcistica non fu priva di ostacoli. In un contesto di sfide economiche e sociali, il giovane Gazza imparò a trovare il suo rifugio nella bellezza del gioco. La sua impressionante visione di gioco, unita a un talento innato, lo rese protagonista di aneddoti straordinari, come quando durante una partita giovanile, dribblò cinque avversari con la grazia di un ballerino e, con una finta che sembrava provenire da un sogno, segnò un gol che lasciò gli spettatori in completo silenzio, incapaci di credere a ciò che avevano appena visto.
Addirittura se ne occupò un cronista sportivo del Mirror che dopo averlo visto giocare in un derby contro le giovanili del Sunderland intitolò: “England also has its Diego”. Insomma, un titolo senza troppe pressioni verrebbe da dire.
Ma la poesia della sua carriera giovanile non si limitava solo ai gol e alle giocate sensazionali. C’era un’aura di vulnerabilità, di fragilità, che si sottintendeva in ogni sua apparizione in campo. Non si trattava solo di un ragazzo dotato; era un bambino che portava sulle spalle un carico di speranze e timori. «Ogni partita è come un viaggio» affermava, «una battaglia tra il desiderio e la paura». Queste parole risuonano e risuoneranno come una litania, echeggiando attraverso le vie di Newcastle, dove la gente iniziava a riconoscere in lui non solo il calciatore, ma anche l’uomo fatto di risse e bevute colossali.
I tempi di festa non sarebbero tardati ad arrivare. Gascoigne esplose nella folgore calcistica, segnando una rete che rimarrà per sempre nel cuore degli appassionati. In una partita contro il West Ham, il giovane in erba eseguì un “cucchiaio” che sembrava un atto di ribellione nei confronti della gravità, una parabola perfetta che si insaccò dritta in porta. Un gesto che, come una pennellata su una tela, catturava l’essenza del gioco stesso: meraviglia, bellezza, libertà.
Quando il suo nome iniziò a serpeggiare nei bar e nei club di Newcastle, la città intera si rivoltò al ritmo della sua ascensione. Gli incanti del suo stile di gioco, spesso rinominato come “Gazza’s Ballet”, trascendevano il semplice atto di calciare un pallone. Era un’espressione di vita, un racconto di come, nonostante le avversità, la gioia poteva emergere come una fenice dalle ceneri.
E così, attraverso i meri numeri e le statistiche, emerge la figura di un ragazzo che, attraverso il calcio, non stava solo cercando di raggiungere la vetta, ma stava, soprattutto, cercando di capire se stesso e il mondo che lo circondava. In questa desolata bellezza del North East, tra la nebbia e il vento, Paul Gascoigne, con i suoi sogni infranti ma anche intatti, scrisse i primi versi della sua epopea calcistica, lasciando un’impronta indelebile nel cuore della sua gente, che lo avrebbe sempre applaudito non soltanto come un campione, ma come un’anima in cerca di libertà.
L’incanto del campo

Gascoigne non era solo un calciatore di belle speranze; era uno scultore d’emozioni di un paese in totale riassetto. La palla sembrava innamorata dei suoi piedi, come se tra di loro esistesse un linguaggio segreto che solo i prescelti possono capire.
Trasferitosi al Tottenham Hotspur per una cifra importante, fu lì che Gazza raggiunse il nadir delle sue capacità calcistiche, saltando avversari con dribbling ipnotici e illuminando la First Division e con l’entusiasmo di un bimbo in un negozio di dolciumi. Indelebile rimane ad esempio la sua prestazione semifinale di FA Cup del 1991.
Il tabellone regala alle tifoserie di Tottenham e Arsenal il “North London Derby” ed è in situazioni come questa che l’estro di Gazza ama fare capolino. Dribbling, passaggi filtranti, palla c’è palla non c’è, un continuo susseguirsi di applausi per poi sfociare nell’apoteosi con una punizione all’incrocio da quasi 30 metri che batte un impotente David Seaman.
Nella finale di maggio a Wembley contro il Nottingham Forest, quando tutto il mondo è lì per osservare il prossimo gioiello del mercato invidiato dai più grandi Top Club d’Europa, Paulie gioca una partita nervosa e fuori dal suo contesto tecnico arrivando perfino a fare un fallo che per anni è stato nominato come “The worst foul in FA history”. Insomma, un paradosso vivente di magia e fragilità che, in due sole partite, esemplificava il suo genio e la sua caduta.
Ma come ho scritto poc’anzi, il talento di Gascoigne è troppo più grande di un episodio e l’Europa intera sogna di acquisire il suo cartellino. Ci provano Barcellona (ma Cruijff non è convinto della stabilità caratteriale del giocatore), il Real Madrid, il Marsiglia e per ultima la Lazio.
La serie A di allora è un po’ come la Premier League di adesso, un posto dove tutti sognano di approdare. Erano gli anni in cui un giocatore come Gheorghe Hagi preventiva indossare la maglia del Brescia rispetto a quella del Real Madrid…
La Lazio si aggiudica l’asta per il talento britannico e Gazza sbarcherà a Roma con il compito di portare i biancoazzurri in cima al campionato ma, ahi noi, l’avventura di Gascoigne in Italia sarà un continuo susseguirsi di “Up&Down”. Una cosa molto peggiore di una giostra di Gardaland. Gol impossibili e prestazioni indegne, dribbling ubriacanti e allenamenti saltati con scherzi compresi nel prezzo.
Soprattutto , ad un certo punto iniziano a fare visita gli infortuni ed è lì che tutto sembra essere finito per Paulie…

Simbolo di un’Inghilterra speranzosa
Indossando la maglia bianca dei Tre Leoni, Gascoigne era diventato il cuore pulsante dell’Inghilterra durante il Mondiale del 1990 in Italia, un torneo che risvegliò la passione calcistica di una nazione dormiente. Le sue lacrime in semifinale(per la cronaca della partita contro la Germania Ovest clicca qui), il volto sconfitto come un Napoleone alla sua Waterloo, sono impressi nella memoria collettiva britannica, un lamento per ciò che sarebbe potuto essere: un Inghilterra gloriosa sul tetto del mondo.
Gascoigne teneva alla sua Nazionale più di chiunque. La metteva sempre al primo posto. In una intervista al Sun dichiarò: «Per me ricevere il berretto della convocazione significa rappresentare ciò che sono, i posti dove sono cresciuto, la mia gente. Niente mi rende più orgoglioso! Per l’Inghilterra io sto male, non dormo la notte , darei la mia vita!».
Parole di un vero patriota oseremmo pensare.
Poi arriva il momento di affrontare il discorso Euro 96. Un discorso ricco di storie e molto complesso ma è qui che alle parole devono seguire i fatti.
Il calcio, come intitolava il Main Theme della competizione, “è tornato a casa” e l’Inghilterra di Terry Venebles ha il compito di non deludere le aspettative. La aelezione va in mini-tournée nel sud-est asiatico prima del torneo e durante una serata libera alcuni giocatori danno il meglio di loro stessi. In un locale colmo di prostitute e alcol in quantità industriale c’è una sedia da dentista. Il gioco è legare un volontario alla suddetta sedia e fargli ingurgitare più alcol possibile.
Il “volontario” già sapete chi è no!?
I tabloid grideranno allo scandolo. Forse, almeno questa volta, non avevano nemmeno tutti i torti. Come può una nazionale che deve vincere il torneo (in casa fra l’altro) comportarsi così?
Fra l’altro,la partita d’inizio con la Svizzera sembra dare ragione proprio ai tabloid che quasi contenti del pareggio esulteranno scrivendo: “We warned you! Same old England”.
Poi però arrivarono pure Olanda e Scozia e la musica sembrò allinearsi alle note del “BritPop” e della sua “Cool Britannia”.
Il momento culminante avviene contro i cugini scozzesi e cioè quando, con una finta sublime, un sombrero ai danni di Colin Hendry e un tiro calibrato, il pallone si insacca nella rete, generando un’esplosione di euforia tra i tifosi. È come se il gol fosse una poesia che si materializza, una sublimazione del desiderio di trionfo e appartenenza che attraversa il pubblico; un richiamo all’identità collettiva di una nazione anelante a riportare in auge le sue glorie calcistiche.
L’eco di quell’istante risuona ben oltre il campo di gioco. L’atto di Gascoigne diventa una narrazione condivisa, un simbolo di rinascita e di speranza in un’epoca di trasformazione, incapsulando le aspirazioni di un’intera generazione. Non è solo un gol, ma un manifesto culturale, una celebrazione di abilità e passione che si intrecciano in un abbraccio vibrante, testimoniando la potenza del calcio nel delineare storie che affondano le radici nel cuore umano. Gazza festeggerà proprio con Sheringham e Steve McManaman fingendo di essere proprio sul quella famosa sedia del dentista.
Ciò che aveva distrutto il buon nome dei Tre Leoni diventava di colpo il loro punto di forza.
In quel momento, Paul Gascoigne non è soltanto un calciatore: è l’incarnazione di un sogno condiviso, un poema visivo che afferma il potere del calcio di unire le persone e di evocare emozioni che s’intrecciano con l’anima stessa della propria nazione. Insomma “Gazza Is Good as Before”.
Euro 96 per l’Inghilterra finirà ai calci di rigore in semifinale contro la Germania e Gascoigne per 4 centimetri non arriverà su un pallone vagante in mezzo all’area che avrebbe portato l’Inghilterra in finale contro la sorpresa della Repubblica Ceca di Nedved, Poborsky e Bejbl. Non se lo perdonerà mai!
Da lì la sua carriera vivrà una eterna “Swan Song”, qualche mitico lampo con la casacca dei Glasgow Rangers e nulla più.
Quel torneo per Gascoigne fu il “Raise and Fall” di tutta la sua storia come calciatore e anche se il calcio tornò a casa solamente di passaggio, ad oggi, il dolore per quella competizione è ancora molto vivo nella mente di molti inglesi.
Ombre e rimpianti
Ma come Icaro che si avvicina troppo al sole, anche la parabola di Gascoigne si scontrò con i limiti della propria umanità. Al di fuori del campo, Paul era un personaggio tragicomicamente shakespeariano, immerso in aneddoti che spaziano dal divertente all’assurdo. Dai suoi scherzi infantili nelle camere d’albergo ai litigi inverosimili, la vita di Gazza è stata una commedia nera raccontata in atti improvvisati, un perpetuo confronto con i suoi demoni personali – alcool e depressione.
Cosa sarebbe accaduto se Gazza avesse potuto esprimere, in tutta la sua carriera, quella polifonia di talento che il destino, impietoso, ha alterato? È un interrogativo che risuona nei cuori degli inglesi come un eco distante. Forse avremmo visto l’Inghilterra sollevare un trofeo con la stessa grazia con cui Gascoigne alzava pinte di Guinness, ma proprio come l’occasione mancata, Gazza rimane come il crepuscolo incantevole di ciò che sarebbe potuto essere.